From The Depths – L’occhio di TM sull’underground – #02/2013

Di Stefano Burini - 3 Dicembre 2013 - 21:17
From The Depths – L’occhio di TM sull’underground – #02/2013

L’occhio di TrueMetal.it sull’Underground – # 02/2013
 

 

 

Weeping Willow
Weeping Willow [EP]
2011, Autoprodotto
Death
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Tracklist:

01. The Chase
02. Winter
03. Crystal Mountain (Death Cover)

Gli Weeping Willow nascono a Pisa nel 2010 grazie all’incontro dei due chitarristi Mattia Lenti e Claudio Iacono. Una volta definita la line-up con l’innesto del batterista Marco Di Chiara e di Matteo Prandini al basso, la band decide di intraprendere strade diverse dall’iniziale hard rock con cui aveva iniziato, e il risultato scaturisce nella demo autoprodotta che porta il nome della band, prodotta da Matteo Buti nei Touch Sound Recording Studio. Il riff thrasheggiante dell’opener “The Chase” mette in evidenza la voce di Mattia Lenti, che potrebbe essere avvicinata a Mille Petrozza. Le sezioni del brano sono ben architettate con uno slow-time che permette interessanti inserti chitarristici. Di certo i suoni non aiutano l’ascolto, nonostante anche il solo di chitarra sia di buona fattura, che va a infrangersi in ambiti metalcore, inaspettati fin a quel momento. Forse si sarebbe potuto non eccedere troppo in questa fase con le durate, anche se in qualche modo risalta maggiormente il successivo slow-time. Un finale comunque aggressivo rompe gli indugi e ci incita a proseguire con la successiva “Winter”, i cui arpeggi iniziali sono l’intro per la strofa ringhiata da Mattia, mentre la batteria lavora al di sotto delle parti, con pattern abbastanza prevedibili sulle pelli ‘alte’, mentre buono il lavoro con la doppia cassa nella successiva sezione. Ancora un intermezzo ‘riffoso’ per una parte più -*core che culmina in un solo di basso, interrotto bruscamente da una nuova sezione a solo, nella quale il tapping la fa da padrone,conducendoci a dei break di batteria, preludio del finale. Purtroppo per le cover il sottoscritto non è preparato, in un mondo dove l’originalità dei brani sono la carta più interessante che possa esprime il pensiero musicale di una band. Crystal Mountain è senz’altro ben suonata, ma non riesco ad andar oltre per una mia carenza nell’ambiente cover. Buona prova della band che in futuro farà senz’altro di meglio in fase di editing. Mentre le idee ci sono e sono per la maggior parte buone, ma vanno rivisti alcuni passaggi tra le sezioni per rendere il discorso più chiaro e fruibile.

Vittorio “VS” Sabelli

 

 

Process Mass Destruction
Process Mass Destruction [EP]
2012, Autoprodotto
Death
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Tracklist:

01. Intro
02. Seven
03. Gymnasium
04. Brutalcore
05. I Scream
06. Reason Of Death

Nati nell’ormai lontano 2004, con una buona attività live nel biennio 2006/2007 ma purtroppo funestati subito dopo da un grave lutto (Nicola aka Gino, il cantante), gli abruzzesi Process Mass Destruction risorgono dalle ceneri per dare alle stampe il materiale inedito dell’epoca, per onorare, appunto, il compagno scomparso. Lo fanno con EP autoprodotto che s’intitola nello stesso nome della band, composto da cinque brani oltre a un breve incipit strumentale all’apertura delle danze. Seppure siano evidenti i limiti del ‘fai da te’, il sound che scaturisce dalle tracce rivela una spiccata predisposizione per il death estremo; versante brutal, cioè. L’inhale di Davide non ha certo nulla da invidiare da quello dei migliori interpreti del genere, come si può evincere dal virtuosismo vocale della strofa di “Brutalcore”. Pure le chitarre scarificano senza pietà grazie a un riffing non particolarmente complicato ma spesso e scabro come la carta di vetro a grana grossa. Poco incisiva, per quanto scritto sopra, la sezione ritmica che, altrimenti, avrebbe fornito una dose di potenza in più al suono dei Nostri, comunque sufficientemente cattivo e aggressivo. Una pecca che si percepisce soprattutto durante i devastanti blast-beats di Matteo. In ogni caso, la forza, la determinazione e la perseveranza che i Process Mass Destruction mettono in campo è assolutamente genuina, e meritoria di qualche possibilità in più di registrare le proprie song in modo professionale.

Daniele “dani66” D’Adamo

 

 

Forråtnelse
Forråtnelse
2012, Autoprodotto
Black

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Tracklist:

01. Skandale av den norske TV (intro)
02. Ventetiden er nesten over
03. Utryddelse av pozers
04. Gian ass er homofil
05. Hovedstaden i black metal
06. Satan praktfulle (feat Omero Ulissato)
07. Zucberg, jeg ødelegger deg
08. Sån gen – amerikanerne overvektige

 

Cos’è il black metal? Da cosa nasce, perchè e, quindi, cosa lo caratterizza? Tutte domande che sorgono quasi spontaneamente mentre si ascolta il demo d’esordio dei Forråtnelse, giovane band vicentina nata nel 2010 e di auto-dichiarate origini sardo-norvegesi. Il perchè di queste domande è presto detto. E’ sufficiente mettere in fila un congruo numero di riff e suoni distorti, vomitare nel microfono qualche ringhio, un po’ di suoni gutturali inarticolati e un buon numero di “satan” ripetuti allo sfinimento, per fare black metal? Certo, il black è anche e soprattutto un’attitudine (fermo restando che è ancora tutto da verificare se quella dei Forråtnelse è realtà o scena), ma può quest’ultima surclassare e porre in secondo piano la musica? A nostro avviso no. Lo spirito giusto deve esserci, l’ispirazione è fondamentale, è un requisito insindacabile per poter scrivere, dipingere, suonare, etc. A maggior ragione è importante se il genere scelto è il black, che si nutre, letteralmente, di tutto un coacervo di emozioni e sentimenti oscuri che albergano, in profondità, nel cuore dell’uomo. Ma l’attitudine deve essere sorretta dalla capacità di rendere comprensibile e far giungere agli altri ciò che si vuole esprimere. In caso contrario il risultato non è dissimile dai deliri di un pazzo: suoni inarticolati che, forse, hanno senso solo per chi li produce, destinati a non lasciare traccia di sé in chi li ascolterà. Il demo dei Forråtnelse è, nel caso migliore, un tentativo fallito di mettere in musica l’attitudine black del gruppo, dimenticandosi di aver di fronte un pubblico e realizzando, sostanzialmente, rumore fine a sé stesso; nel caso peggiore è il frutto dell’errata convinzione che basti ringhiare un po’ nel microfono e fare un po’ di casino con gli strumenti per fare black metal. Ai posteri l’ardua sentenza.

Alex “Engash Krul” Calvi

 

 

Aeris
Temple
2013, Extension Records
Prog/Djent
Pagina Facebook

Tracklist:

01. Fire Theme
02. Hidden Sun
03. Rising Light
04. Richard
05. Horizon
06. Robot
07. Captain Blood

Gli Aeris sono un quartetto francese di stanza a Nantes. Capitanati dall’ottimo chitarrista Manuel Adnot sono giunti, alla prova del secondo demo, intitolato Temple. Presentato da un lussureggiante artwork che si rifà ad una tradizione grafica molto in voga nel metal di questi anni (per esempio i Flight of Sleipnir o gli In Vain, ma più fumettistici), i nostri ci propongono un progetto piuttosto originale che mischia jazz, djent e progressive rock in varie misure. Il demo è composto di sette pezzi raggruppati in due suite (i primi tre danno vita a Flame, i successivi a Richard/ Horizon/ Robot) a cui si aggiunge la conclusiva Captain Blood. Ne viene fuori un demo di ottima costruzione, dove i primi pezzi si caratterizzano per sonorità feroci e strutturate che progressivamente sfumano in toni tranquilli e sognanti, con l’apice raggiunto dagli arpeggi di Horizon. Elemento degno di nota e forse unico limite del quartetto è l’assenza di cantato. Ciò detto, i francesi offrono un ottimo prodotto dando per di più prova di ottime abilità tecniche e compositive. In altre parole avrebbero tutte le carte in regola per sfondare nel panorama del djent attuale. A patto di trovare un cantante versatile (o anche più d’uno), in grado di adeguarsi alla varietà stilistica proposta dai quattro.

Tiziano “vlkodlak” Marasco

 

 

Edain
Of Those Who Worship Fire
2013, Nobudget Promotions
Death/Prog
Nobudget Promotions

Tracklist:

01. Blood as an Anaesthetic
02. Critical Intelligence I
03. Critical Intelligence II
04. Of Elements and Men
05. On the Cold Floor
06. Silent Weapons for Silent Wars

I cechi sono sempre stati molto attivi nel campo del Death metal per quanto, ahiloro, non siano andati mai oltre la pedissequa ripetizione dei canoni standard del genere, quelli dettati da Napalm Death o Cannibal Corpse. Ad invertire la tendenza ci provano gli Edain, quintetto moravo capitanato dall’intraprendente Martin Br?oviak, peraltro gestore dell’etichetta No Budget promotions. Per la sua band è il traguardo del terzo disco, per la sua etichetta invece le pubblicazioni sono 128, traguardo invero impressionante. Venedndo a Of those who worship fire, bisogna dire che si tratta di un lavoro di buon livello, caratterizzate da una produzione ancora una volta impressionante se teniamo conto che è pubblicato da una One Man Label. Un lavoro che si concretizza in 6 episodi di pregevole fattura compositiva e di considerevole durata, laddove il death tanto caro ai cechi viene spesso spezzato da parti molto più lente e riflessive. Da segnalare la capacità dei nostri di dar vita a brani molto complessi e strutturati, che si snodano su regolari quanto profondi e meditati cambi di ritmo che trova le radici nel miglior prog, per quanto la matrice resti marcatamente death, come ribadito da diffusi growl e dall’assenza del clean. Gli episodi migliori sono i tre posti in apertura, ma tutto il disco si mantiene su livelli decisamente alti, per quanto di assimilazione piuttosto difficile. Perfino l’artwork, seppur di due sole pagine, risulta di pregevole livello artistico. A tutti gli effetti, un disco maturo e variegato, originale e ben eseguito, che meriterebbe il supporto di una label con ben altri mezzi finanziari, senza offesa alcuna alla nobudget records.

Tiziano “vlkodlak” Marasco

 

 

Nimor
Submission
2010, Autoprodotto
Black/Ambient
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Tracklist:

01. Fall
02. Winter
03. Spring
04. Summer
05. Rapist Of Nature

I Nimor nascono nel 2011 come sorta di one-man-band declinata in due (come da loro stesse parole). Nel senso di gruppo con uno dei due componenti (Michael Filippo) che scrive, compone e suona tutte le canzoni, ma è solo con l’apporto di Gloria De Sandre che le tracce trovano la loro definitiva identità e profondità. Nati come gruppo black, i Nimor si devono essere ben presto accorti che il genere gli andava un po’ stretto, visto che in “Submission” possiamo trovare anche ampie digressioni ambient, passaggi elettronici e sperimentazioni di vario genere. Ogni brano si attesta intorno ai 15 minuti, denotando quindi un notevole sforzo in sede di songwriting, ma anche un certo impegno nel non far risultare pesanti e noiosi i pezzi nonostante la lunga durata. In effetti i risultati si vedono, perchè le tracce sono molto varie (a volte quasi troppo) e la capacità di svariare tra tanti generi è sicuramente una delle frecce in più a disposizione del gruppo. Purtroppo, però, certe scelte oltre a mettere in luce le qualità, possono anche esporre il fianco alle critiche. Critiche che, in questo caso, riguardano principalmente la produzione. I suoni sono, purtroppo, in buona parte veramente terribili: se da una parte la bassa qualità della registrazione delle chitarre e del basso può essere vista come una scelta voluta, perchè riesce a donare quella patina di freddezza tipica del black-metal delle origini, dall’altra ci si scontra con una lunga serie di lacune. La drum-machine è esageratamente finta, perfino nel caso in cui lo si fosse scelto apposta, tanto da suonare stonata nell’economia del sound; discorso simile per molti degli inserti elettronici e delle tastiere, che variano da passaggi molto puliti (la maggior parte di quelli ambient, tra le cose migliori e più evocative del demo) ad altri dalla resa sonora davvero incomprensibile. A volte si ha quasi l’impressione di trovarsi di fronte a un collage, mal riuscito, di contributi di origine (e quindi qualità sonora) diversa, buttati insieme senza verificarne la compatibilità o cercare di far nulla per amalgamarne e uniformarne la resa. “Submission” è, quindi, un demo estremamente interessante dal punto di vista teorico, purtroppo rovinato da una realizzazione, prettamente tecnica, non all’altezza del livello concettuale e compositivo che, invece, ci è apparso convincente. Ci piacerebbe ascoltare altro di questo gruppo, ma osiamo sperare che riescano a trovare i fondi per migliorare le loro produzioni.

Alex “Engash Krul” Calvi

 

 

Rabhas
Demo 2013 [EP]
2013, Autoprodotto
Death
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Tracklist:

01. Dell’Apparenza
02. Tutti vs Tutti
03. Critical Intelligence II
04. Il Marcio

I Rabhas nascono nel 2010 in quel di Bologna e, dopo la solita fase di rodaggio, realizzano quest’anno l’EP “Demo 2013” che, nelle intenzioni della band, dovrebbe fungere da apripista per il debut-album. Il death proposto dai Nostri si può accostare all’old school, con la particolarità del cantato in italiano. I tre brani presenti nel dischetto mostrano uno stile lineare e pulito, semplice e d’impatto. I dettami seguiti rimandano a echi lontani la cui origine si può far risalire alla fine degli anni ottanta, inizi dei novanta. Per quanto sia possibile ricavare delle sensazioni attendibili dall’ascolto di un solo trittico di pezzi, peraltro brevi, l’ensemble dell’Emilia-Romagna pare essere in uno stato di maturazione ancora insufficiente per compiere il grande balzo. Non si tratta di tecnica, poiché – soprattutto per quanto riguarda il bassista Preck – ciascun membro ha una preparazione tecnica adeguata alla bisogna. Si tratta, invece, di una capacità compositiva. Al momento acerba, giacché nel demo non si evidenzia granché oltre alla riproposizione di schemi e soluzioni già viste, o meglio sentite. In particolare, appaiono un po’ monotone le linee vocali, che forse andrebbero rese più aggressive e cattive. Comunque sia, le fondamenta su cui erigere una struttura robusta e massiccia ci sono: occorre ‘solo’ svilupparle in profondità.

Daniele “dani66” D’Adamo

 

 

Glacial Fear
Equilibrium Part II [EP]
2013, Autoprodotto
Thrash
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Tracklist:

Civil Failure

02. Adrenaline Of The Night
03. Upload Your Life
04. Ghost City
05. Asteroid (Original by Killing Joke)

Così come si era già evidenziato in occasione della recensione di “Equilibrium Part I”, EP del 2011, i Glacial Fear rappresentano un mistero sul perché ci siano band di assoluto livello qualitativo, come loro, appunto, costrette ad autoprodursi per dar prova di sé al Mondo. Una situazione inconcepibile data l’innegabile maturità di un ensemble completo sotto tutti i punti di vista, situazione che continua con il nuovo lavoro, l’EP “Equilibrium Part II”, concentrato di thrash metal devastante e massiccio. L’ugola corrosiva di Peppe Pascale è il condottiero ideale di un sound travolgente e terremotante, lindo e pulito anche in occasione delle furibonde accelerazioni di cui è capace la formazione calabrese. Non solo, quando il ritmo cala e fa capolino il groove si possono trovare degli interessanti spunti melodici come in “Ghost City”. Peraltro, i Glacial Fear si trovano a proprio agio con tutti i ritmi tipici del thrash, confermando una completezza tecnico-artistica degna dei migliori interpreti attuali del genere, come dimostra facilmente l’opener “Civil Failure”, mid-tempo sciolto e possente che assume le fattezze di bombardiere quando i BPM aumentano vertiginosamente. Nient’altro da aggiungere alla valutazione di un prodotto eccellente, se non sperare di ritrovare i Glacial Fear, la prossima volta, con un meritatissimo contratto discografico fra le mani.

Daniele “dani66” D’Adamo

 

 

Ekpyrosis
In Pulverem Reverteris [EP]
2013, Autoprodotto
Death
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Tracklist:

01. Sepulchral
02. Pulvis Et Umbra
03. Paradise Lost
04. Omnia Mors Aequat

Esordio col botto (come da monicker) per i lombardi Ekpyrosis (conflagrazione) che, appena formatisi, danno alle stampe l’EP “In Pulverem Reverteris”, buon esempio di death metal ricco di venature black e thrash, alla maniera dei Grandi Antichi del genere quali Necrodeath, Slayer, Possessed e Morbid Angel. L’evidente amore per la vecchia scuola non rappresenta certo un limite, per Nicolò Brambilla e compagni, poiché pur non brillando per contenuti progressisti, “In Pulverem Reverteris” è ricco di particolari e di varietà sì da rendere l’ascolto piacevole e interessante, nonostante i diciotto minuti di durata e i soli quattro brani a disposizione. Gli Ekpyrosis, difatti, mostrano una coesione notevole, soprattutto se rapportata alla verde età. La band va all’unisono, manifestando una certa chiarezza d’idee sulla direzione da intraprendere e azzeccando così il proprio stile. Uno stile cupo e rabbioso, frontale, diretto e senza particolari fronzoli, tuttavia efficace per manifestare appieno l’aggressività e la furia sonora che, in un genere come questo, non possono assolutamente mancare. Più che discreta la selezione dei riff, alcuni dei quali addirittura travolgenti (“Sepulchral”), forieri di una creatività di base che, senz’altro, non potrà che sfogarsi in misura maggiore, in futuro. Continuare così!

Daniele “dani66” D’Adamo

 

 

Necrutero
Necrutero [EP]
2013, Autoprodotto
Death
Pagina Facebook

Tracklist:

01. Zombie Park
02. Flying The Sky
03. My Torment
04. Natura
05. Quorthon
06. Senghen Carbonisation (Salvation)

Una storia come tante, quella dei bresciani Necrutero, se non fosse per uno spirito di combattività estremo che li ha fatti risorgere nel 2010, dopo un biennio (2004 ÷ 2005) ricco di soddisfazioni e anche di un EP autoprodotto, “Negritudine Domine”, che, registrato a fine 2005, non vide la luce che nelle mani di pochissimi fan a causa, proprio, dell’abbandono dei membri originari (Steve, chitarra; Gabba, basso; Ste, batteria). Con la formazione rinnovata, i superstiti NecroBosco e Alexi hanno proseguito il progetto lasciato a metà e, quindi, registrato quest’EP, contenente brani sia della vecchia line-up (“Flying The Sky”, “Quorthon”, “Senghen Carbonisation (Salvation)”, “Yellow War”), sia della nuova (“Zombie Park”, “My Torment”, “Natura”, “Veci De Ospi”). Questa scelta, compiuta per consentire ai due former members di riprendere il filo del discorso là dove era stato interrotto nel miglior modo possibile, ha implicato l’accostamento di materiale eterogeneo; purtroppo parecchio sfilacciato e inconsistente. Pare troppa la carne al fuoco, fra echi di thrash, death, black ed heavy. A predominare è il death, più che altro per il rabbioso growling di NecroBosco e la presenza di alcuni scatenati blast-beats, ma soprattutto la sensazione di incompiutezza e immaturità che generano le varie tracce, ancora sospese fra un genere e l’altro. È chiaro, a questo punto, che il dischetto deve essere considerato solo come un punto partenza per la definizione di uno stile adulto e consistente; focalizzando le idee su una tipologia musicale precisa. Encomiabile, invece, la presentazione dell’EP in quanto a veste grafica.

Daniele “dani66” D’Adamo

 

 

Grunter
Speck Off [EP]
2012, Autoprodotto
Sludge
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Tracklist:

01. Grunter;
02. Sons Of Hatred
03. All Is Need Is Sludge
04. Screams Of Desolation
05. Weapons And Deamons

Appena il tempo di mettersi assieme nel 2011, Andrea Rosini alla chitarra e Mattia Gigli alla batteria, che nascono subito le idee giuste per dar vita al progetto Grunter (maiale). Una volta completata la line-up con Pierpaolo Alderuccio alla voce e Lorenzo Ricci al basso, è già tempo di metterle su supporto permanente. Così, nasce “Speck Off”, EP autoprodotto composto da cinque tracce ‘crude come il prosciutto’, così come affermato dalla band stessa. Per essere un lavoro fatto da sé, il dischetto suona assai bene, facendo con ciò risaltare il caratteristico sapore dello sludge. Ritmi lenti, quindi, che accompagnano pesanti riffoni di chitarra, che sanno tanto di polvere, sabbia e arbusti secchi. Un paesaggio spoglio, percorso in lungo e in largo dall’ugola al vetriolo di Alderuccio, che definire scabra è dire poco. Non si può rilevare una grande originalità, nello stile dei marchigiani, anche se bisogna ammettere che quel che fanno, lo fanno benissimo. “Speck Off”, del resto, mostra l’esteso retroterra culturale posseduto dai quattro, che manifestano anche una certa abilità nel comporre i brani. Brani completamente privi di melodia ma comunque interessanti e, pure, accattivanti nella loro capacità di materializzare atmosfere roventi, sulfuree, riottose. Un quarto d’ora piacevole, insomma, foriero di un roseo futuro artistico. Per i Grunter, naturalmente.

Daniele “dani66” D’Adamo

 

 

Sepulcretum
Ritorno alla Cripta
2012, Autoprodotto
Black
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Tracklist:

01. … alla Cripta
02. Lacrime di Sangue
03. Sanguis Et Mors
04. Fiumi di Sangue Sul MIo trono
05. R.I.P.
06. Penitenziagite

Tornano a farsi sentire, a distanza di ben 10 anni dal precedente demo “A Mystic Funeral Site”, i siciliani Sepulcretum con un EP di 6 tracce intitolato “Ritorno alla Cripta”. La proposta del gruppo è un raw-black metal che trae la propria ispirazione dalle radici del genere, da quei primi seminali lavori provenienti dalla scandinavia, in cui il black si fondeva con il thrash e con il punk, ancora alla ricerca di una sua precisa identità. Ciò che caratterizza maggiormente il sound della band, però, sono una serie di scelte forse non del tutto condivisibili. E’ notorio che molti sono i gruppi che hanno scelto di affidarsi a registrazioni che ricordassero quelle imprecise e grezze degli albori del black, allo scopo di ottenere un sound più freddo e disturbante. I Sepulcretum hanno fatto altrettanto, ma esagerando, con suoni fin troppo artigianali e abborracciati, a tratti quasi imbarazzanti. Lo stesso dicasi del songwriting e degli arrangiamenti. I riff sono elementari, quasi messi in fila senza nessun collante a tenerli insieme e di certo con poca o nessuna musicalità atta a costruire un costrutto unico, una canzone. L’impressione, come accennavamo, è che tutto ciò sia stato fatto per scelta, non per incapacità a comporre. Una scelta atta a voler catturare in tutto e per tutto lo spirito di un tempo andato, una purezza originale d’intenti che il black sembra aver dimenticato. Se l’idea può essere apprezzabile, purtroppo non lo è il risultato. Pur senza voler a tutti i costi scalare le classifiche con brani commerciali, vi è una soglia minima che distingue il “rumore” dalla “musica” o, quantomeno, ciò che disturba e basta dalla capacità di farsi ascoltare (magari anche solo per curiosità). Le sei tracce che compongono “Ritorno alla Cripta” rimangono perennemente in linea di galleggiamento, a volte sopra, a volte sotto, questa soglia. Il fatto, come leggiamo nel libretto, che i pezzi siano stati registrati solo “per soddisfazione personale” nel 2013, ma scritti interamente tra il 2000 e il 2002, è solo una parziale motivazione. Il problema, forse, è dato dall’aver confuso l’intento primigeneo del black di voler proiettare in musica determinati sentimenti ed emozioni senza alcun filtro, quindi a volte anche sbagliando per eccesso di foga e di trasporto, con il fatto che questi errori dovessero esserne una parte fondamentale ed imprescindibile. Probabilmente “Ritorno alla Cripta” non avrà un seguito, viste le motivazioni che hanno portato alla sua realizzazione. In realtà, nonostante le parole di critica spese su questo EP, ci dispiace, perchè i gruppi veramente interessati a riscoprire lo spirito originale del black, al di là di mode e scelte commerciali, son sempre troppo pochi.

Alessandro “Engash Krul” Calvi

 

 

Ideogram
Raise the Curtain
2013, Autoprodotto
Gothic/Black
Sito Ufficiale

Tracklist:

01. Which Role Will You Play Today?
02. Evil
03. Theatre Of The Absurd
04. Silently
05. Mirrors

Scoperta davvero interessante questi Idogram, quartetto milanese approdato con questo Raise the Curtain al traguardo del primo demo. Affascinati dalla poetica delle maschere shakespiriana (ma pure molto pirandellesca) i nostri si presentano con uno stile molto affascinante, maschrati come attori del ‘700. Oltre ciò, si fanno promotori di una musica che loro stessi definiscono avantgarde e che trova vita dall’unione dei Nightwish, dei Dimmu Borgir (scevri da ampollosità sinfoniche) e de Dark Tranquillity degli anni migliori. All’esame acustico, seppure non ci venga da confermare la dicitura avantgarde, ammettiamo senza remore che si tratti di un gothic estremo e fortemente ricercato. In questo demo il gruppo mette inevidenza quattro pezzi (più intro) compatti, raffinati e di gran pregio, dominati dal cantato femminile di Opera e da riff truculenti presi dal black e dal death melodici. Il nostro augurio pertanto è di rivederli al più presto alla prova del full-length, poiché è dai tempi di Rubino Liquido dei Dismal (2003) che il Gothic italiano non ci offriva una proposta tanto convincente.

Tiziano “vlkodlak” Marasco