From The Depths – L’occhio di TM sull’underground – Dicembre 2010/Gennaio 2011

Di - 18 Gennaio 2011 - 0:10
From The Depths – L’occhio di TM sull’underground – Dicembre 2010/Gennaio 2011

L’occhio di TrueMetal.it sull’Underground – # 01/2011

Nuovo numero per la nostra rubrica sull’underground italiano. Qui, e nelle prossime edizioni, troverete informazioni sui demo che ci arrivano in redazione, da sommare alle recensioni dei demo migliori, che continueremo a pubblicare nell’apposita sezione.


 

Ricordiamo che i sample di tutte le band sono disponibili sulle relative pagine MySpace, segnalate a lato della recensione.
Buona scoperta!

Indice aggiornato della rubrica

4GOT10
4GOT10
2010, Autoprodotto
Rock/Metal
Myspace Ufficiale
Email

Tracklist:

1. Pushing Forward
2. Midnight
3. The Hunter
4. Lie
5. No Way Out
6. One Step Ahead

Non ci siamo. Per l’ennesima volta un promo che dovrebbe fungere da trampolino di lancio per una sedicente rock-band, palesa non solo la comprensibile inesperienza ma, cosa davvero grave, la trascuratezza e la superficialità che traspaiono sin dalla presentazione a dir poco imbarazzante.
CD masterizzato in casa con vistosa etichetta (scritta a mano…male) applicata direttamente sopra il supporto ottico, copertina stampata (in casa, ovviamente) su normale carta A4 e poi ritagliata.
Ragazzi, siamo nel 2010 (quasi 2011), i mezzi ci sono, serve la voglia.
Aspetti quelli della confezione, ad ogni modo, secondari. Musicalmente?
Il gruppo parmense, che ci presenta un hard-rock/metal di dubbio gusto, mi aveva quasi incuriosito con il primo brano, almeno finché una voce sguaiata e stonata non ha fatto irruzione nei miei padiglioni auricolari, il tutto condito da una batteria piatta e da assolo di chitarra decisamente scolastici e privi di mordente.
Alcuni riff sono spudoratamente copiati (Steel Dragon), altri buoni ed interessanti (giusto per non stroncare ogni cosa), come l’incipit dell’ultimo brano, “One Step Ahead”.
La traccia conclusiva, decisamente più metal-oriented e con vaghi echi dei Megadeth periodo “Trust”, mi sembra la strada migliore per la band, che quando riesce a contenere in qualche modo le velleità vocali del singer e a rendere il pezzo maggiormente dinamico, lascia trasparire qualcos(in)a di (semi)buono.
Consigliando ai ragazzi emiliani di cercarsi un altro cantante e di rendere maggiormente incisive le parti di batteria (più groove e più dinamismo ragazzi, la batteria è uno strumento, non solo un metronomo per scandire il tempo), non posso che rammaricarmi per l’ennesima occasione sprecata per un giovane gruppo

Alberto Biffi

 

Amorphead
Psychotic
2009, Autoprodotto
Thrash
Myspace Ufficiale

Tracklist:

1. Dreaming (Intro)
2. Psychotic
3. I’m Unreal
4. Rabhead
5. Critical Mind
6. Awakening (Outro)

Gli Amorphead arrivano da Catanzaro e suonano un death/thrash vagamente Amoral e decisamente molto più hardcore, con forti richiami agli ultimi Machine Head. Nonostante una scelta di suoni decisamente discutibile, ma ahimè questa è la direzione in cui il thrash (post thrash?) sta andando, la produzione riesce a salvare parzialmente un demo che per la verità non entusiasma molto. Piuttosto apre diversi interrogativi su idee ed esecuzione del combo calabrese. In troppi momenti i brani di questo Psychotic risultano sconnessi e più di una volta la produzione riesce a nascondere, sotto al proverbiale tappeto, un mucchietto di piccoli errori di gioventù. Velocità e rabbia sono elementi fondamentali dell’esecuzione di tutto lo spettro metal, elementi che bigogna imparare a dominare senza però caderne vittime. Al contrario, si rischia di originare una cacofonia sgangherata da parodia. Decisamente da rivedere il “cantato”, spesso fuori dagli schemi ritmici più di quanto possa essere dettato da soluzioni che escono dal binari del tempo comune. Non c’è affinità tra le linee vocali e la parte strumentale, il che rende il prodotto finale fin troppo dissonante. Sinceramente, a oggi vedo la band lontana da quei 50-70 minuti di materiale di qualità necessario per affrontare il passo del primo disco. Al momento c’è un EP in produzione per la Casket Music, vedremo se i tempi sono maturi o meno.

Alessandro Zaccarini

 

Aspersound
Melt Truths
2009, Autoprodotto
Prog
Myspace Ufficiale

Tracklist:

01. Angel Demon
02. Melt Truths
03. Rings of a Chain
04. The Missing Piece
05. What Else is There
06. The Lucky Man
07. A New Life
08. The World on my Feet (Cover Royksopp)

Primo lavoro autoprodotto per i romani Aspersound, quartetto formatosi sul finire del 2008 per volontà di Andrej Surace (chitarra) e Massimiliano Inzillo (batteria), che propone un progressive metal dalle tinte heavy, a metà strada tra Dream Theater e Fates Warning. Un disco forse non completamente originale e innovativo, ancora piuttosto acerbo e immaturo per quanto riguarda alcune composizioni (oltre che a tratti un po’ pretenzioso, sentire la lunga Rings of a Chain per credere), ma ciò nonostante piuttosto piacevole da ascoltare (grazie soprattutto ad un’ottima prova della cantante Francesca Di Ventura) e che ha inoltre dalla sua una produzione piuttosto pulita e ben bilanciata. Otto sono le tracce che compongono questo Melt Truths (tra cui una cover di What Else is There dei Royksopp), brani piuttosto compatti e lineari, figli di un songwriting ancora piuttosto lacunoso e solo parzialmente convincente, ma in ogni modo capaci di mettere in bella mostra le ottime abilità esecutive del gruppo. Certo, di strada ce n’è ancora da fare per dare alla luce una proposta musicale che risulti effettivamente personale e originale, ma la presenza di qualche spunto davvero interessante all’interno di questo Melt Truths ci fa sentire moderatamente ottimisti per quello che sarà, a tutti gli effetti, il futuro di questa band. Staremo a vedere.

Lorenzo Bacega

 

Children Of The Corn
Promo 2010
2010, Autoprodotto
Avantgarde
Myspace Ufficiale

Tracklist:

01 Sebastian
02 Cellule esagonali

L’esordio promozionale degli isontini Children of the Corn è davvero spiazzante per non dire avantguardistico. Il loro primo lavoro evoca spazi pregni d’ossessività e dal profumo chirurgico e, a livello di schizoidi atmosfere, ricorda i più ispirati Dødheimsgard e Godflesh. Una musica raggelante permea l’aurea di questo combo dalle idee assai ‘deviate’. Progetti come questo non nascono tutti i giorni infatti di esperienza alle spalle ce n’è a tonnellate. Si pensi che il cantante Seby Di Martino, già al microfono dei thrasher Censura e dei technical deathster Karnak, è conosciuto nel circondario per l’attitudine artistica dedita alle musiche proiettate oltre quello che può essere il concetto di ‘ordinarietà’. A supporto dello stesso troviamo altre conoscenze di settore tra cui il bassista Andrea Atollino, fondatore dei Desmodus, thrash metal band che a inizio anni novanta ha sfiorato il professionismo. Dicevamo: avantgarde. Questo “Promo 2010” trasmette un sacco di fredde emozioni; gela, ustiona e terrorizza. L’elettronica è mescolata alle strutture compositive con perizia e pure la produzione enfatizza il ‘mood’ riuscito. Inoltre, la voce è uno dei punti di forza del lavoro, espressiva e asettica, realizza un songwriting caratteristico e assai personale. Ovvio che la parte ritmica ricopra un ruolo di supporto, forse qualche stacco in più avrebbe reso il prodotto più ‘dinamico’, quindi meno atmosferico e, forse, accessibile. A corollario del tutto, una ricercatezza grafica di artwork e immagini pone i Children of the Corn come una potenziale realtà di tutto rispetto nel panorama avantgarde italiano.

Nicola Furlan

 

Disaster Devotion
Metal Density
2010, Autoprodotto
Heavy
Myspace Ufficiale

Tracklist:

1. The Coming Of Chrono (Intro)/Burn The Rage 5:00
2. Barren Land 4:53
3. I Kill The Negative 4:41
4. Manimal 4:14
5. Strike At Columbine 4:02
6. Demolition 4:00
7. Only One 4:00
8. Situation 3:24
9. I’m Ready 4:02

Benché in alcuni testi i veneti Disaster Devotion siano accumunati al thrash, è fuori da ogni dubbio, invece, rimandare il loro sound all’heavy figlio della NWOBHM. Heavy classico, quindi, semmai leggermente «sporcato» con un po’ di speed. Nulla di più, nulla di meno di quanto presente agli atti riguardo alla prima metà degli anni ottanta.
Ciò, evidente, non comporta alcun pregiudizio alla base del giudizio di “Metal Density”, secondo full-length frutto di un’autoproduzione come “Your Joy My Pain” del 2008. La buona musica così è, indipendentemente dal genere. Poco ma sicuro.
Il trio di Marano Vicentino, sebbene sia evidente la passione che bolle nelle sue vene, è ahimè lontano dall’età adulta. Prima cosa, l’esecuzione. Ancora troppo scolastica e quindi poco personale. Intendiamoci: Andrea Busato (Voice, acoustic, rhythm and lead guitars), Christian Fabris (Bass and back vocals) e
Giacomo Zanandrea (Drums and back vocals) svolgono i compiti loro assegnati senza ansie particolari, garantendo la sufficienza tecnica necessaria per incidere un prodotto da mandare in giro a mo’ di promozione. Se si vuole crescere sotto quest’aspetto, però, si devono macinare ore e ore a consumarsi dita, ugola, braccia e gambe per affinare e potenziare la propria preparazione strumentale, sì da acquisire quella sicurezza necessaria per affrontare il «Mondo esterno». Seconda cosa, lo stile. Malgrado se ne sia già scritto in merito, un approccio esageratamente classico alla questione – nel 2011 – rischia di rendere irrimediabilmente anacronistico ogni tentativo teso a proporre materiale del tipo di quello presente in “Metal Density”. Un restyling completo del sound è condizione necessaria per avere una chance, insomma. Terza cosa: le canzoni. Anche loro acerbe e troppo legate agli «ironmaideniani» déjà vu. Qualche buona idea c’è, fra le varie armonizzazioni; ma andrebbe sviluppata con decisione per evitare di perdersi nel mare del «già sentito». “Metal Density”, in conclusione, parrebbe più un disco dedicato ai miti della gioventù, invece che una proposta destinata a lasciare un segno sulla sterminata scena metal per giungere, come tutti sperano, a un contratto discografico.
Ai Nostri l’arduo compito di mostrare con più determinazione quale, fra le due fattispecie, sia quella voluta.

Daniele D’Adamo

 

Engine Driven Cultivators
Helly Gator
2009, Autoprodotto
Thrash
Myspace Ufficiale

Tracklist:

01. Eyewash Squad
02. Dead City
03. Air Jive Interceptor
04. Killpeace
05. Oblivion Loaded Guns
06. Mad Speed Tractor
07. Daitarn III (Superobots cover)
08. Evidence of Connection
09. K. Much Hell-O

“Helly Gator” è l’ultimo disco promozionale della carriera della thrash metal band nostrana Engine Driven Cultivators. I gruppo in questi nove brani caccia dentro un po’ tutte le influenze che, nel corso degli anni ottanta, hanno dato vita al maremoto musicale che condizionerà poi intere generazioni di giovani dediti all’estremo, non solo in ambito thrash. Sebbene il cantato e certi spunti ricordino molto i Tankard, in “Helly Gator” coglierete anche sfumature filo-Bay Area, con qualche puntatina al thrashcore tanto caro ai circondari dell’Arizona. Il tutto è infarcito da foto demenziali e artwork che sfiorano il ridicolo. Discrete le puntate soliste, un po’ quadrato il drumming a cui manca poco per dar quella continuità in grado di amplificare lo slancio delle chitarre ritmiche. Purtroppo sono poco incline a spaccarmi d’ascolti quando un promo arriva sul mio tavolo in condizioni davvero poco rispettose se, considerati i tempi, davvero non ci vuole nulla a curare un po’ anche la parte grafica…, parte che ritengo assai importante, la vera cornice di quella che è poi la sostanza, ovvero la musica. Divertenti, ma certamente poco inclini alla professionalità nonché infantili a livelo grafico. Considerati i tempi di magra, passi da fare ce ne sono parecchi se l’obiettivo è quello di farsi notare. In alternativa, c’è sempre qualche personaggio pronto ad aprirvi le porte della propria osteria.

Nicola Furlan

 

First Reason
Never Give Up
2009, Autoprodotto
Thrash
Myspace Ufficiale

Tracklist:

1. A Day Of Hate
2. Never Give Up
3. Here Comes The Pain
4. Never Trust Alone
5. Last Scream

Primo vagito a firma First Reason, sotto forma di un demo di 5 tracce della durata complessiva di 16 minuti. Sin dall’attacco dell’opener A Day Of Hate si sente come i nostri rincorrano i capisaldi del thrash metal americano e degli Exodus in particolare, la cui influenza è percepibile chiaramente in vari passaggi, mischiando tali echi con rimandi al tanto bistrattato metalcore, qui omaggiato con tessiture melodiche e rallentamenti pesanti. Nella seconda traccia, il cui incedere iniziale non può che far pensare agli Slayer, si prosegue grossomodo lo stesso discorso intrapreso col primo bran ancora un pezzo breve, diretto eppure costruito il più riccamente possibile. I First Reason provano ad inserire nei loro pezzi tutto ciò che deve esserci: rallentamenti, ripartenze, assoli, melodia, refrain. Eppure manca il guizzo, la trovata in grado di destare attenzione, di stupire o di far venire voglia di riascoltare un passaggio o un intero brano. Rimane poco o niente dopo ripetuti ascolti, e ciò va a scapito di quella che dovrebbe essere un’uscita promozionale volta proprio a suscitare curiosità ed interesse. Le doti tecniche, non eccezionali ma comunque accettabili, e la produzione di bassa qualità completano il quadro di un demo mediocre ed evitabile. Rimandati a settembre.

Luca Trifilio

 

Groove Anger
Astonishment In Speech
2008, Autoprodotto
Thrash
Myspace Ufficiale

Tracklist:

1. Misgiver
2. Animal Man
3. Astonishment In Speech
4. It’s Behind You
5. Children Of The Grave (Black Sabbath cover)

Prima, e per il momento unica, testimonianza in studio da parte degli emiliani Groove Anger, Astonishment in Speech è il ritratto di una band ancora acerba e che molto ha da lavorare per inseguire il sogno di una carriera nell’affollato panorama musicale. La proposta musicale è quella che si etichetta, in maniera assai generica e poco chiara, come groove metal, quel genere che di solito viene fatto risalire ai Pantera. In realtà, la definizione è ampia ed abbraccia un largo spettro di band che fanno, per l’appunto, del groove il loro punto cardine, pescando, nel caso specifico, elementi dal panorama thrash, ma rimanendo più che altro ancorati alla ricerca di soluzioni in grado di far “muovere” l’ascoltatore. Il risultato inizialmente pare essere centrato, pechè l’opener Misgiver è un buon brano ed anche la successiva Animal Man si lascia ascoltare e regala buoni momenti, oltre che la sensazione che i ragazzi ci abbiano messo tutto l’impegno possibile per comporre dei brani strutturati e con frequenti variazioni. Il castello di carte però crolla malamente nel seguito, quando la titletrack e la scialba It’s Behind You mettono in evidenza tutti i limiti di idee e compositivi della band emiliana. La frittata si completa con una pessima cover di un classico, Children Of The Grave dei Black Sabbath, qui proposta, paradossalmente, senza un filo di groove, lenta e snaturata. Di lavoro ce n’è ancora da fare parecchio, per ora c’è ben poco di interessante da segnalare in questo demo di 23 minuti.

Luca Trifilio

 

Hammered Effect
Free Brutality
2010, Autoprodotto
Thrash
Myspace Ufficiale

Tracklist:

01. Dictatorship
02. Unwanted Death Party
03. Ignorance is Power
04. Fight Tooth & Nail
05. Angel of Mercy

Ancora non ci siamo. E per tanti motivi sopratutto a causa dell’incapacità che questi ragazzi hanno nel vendersi. I contenuti, naturalmente vero e proprio cuore pulsante di questo “Free Brutality”, non sono nulla male. Commentare il disco appare quindi giusto, ma relativo. “Free Brutality” suona thrash metal vero e s’attesta coerente con quanto sta accadendo ora su tutti i territori mondiali ovvero con il riavvicinamento dei giovani al movimento artistico ‘thrash metal’. Il songwriting è quindi buono, i pezzi sono incalzanti e qualche spruzzata di soli degni di nota è frequente. Forse qualche accellerata in più e meno ‘monotonicità’ a livello di timbrica vocale avrebbero giovato al risultato finale, ma quello che manca sono le informazioni. Non si sa nulla della band: nessun flyer, nessua nota sul MySpace ufficiale, nessuna immagine della copertina, nessuna nota autobiografica. Solo qualche brano in streaming, però non è abbastanza. Per chi come me è abituato ad ascoltare più volte un disco, per chi come me è stato ed è musicista (di basso livello..) e sa che vuol dire andare in sala prove, spendere soldi per dar vita a una passione, è necessario conoscere chi suona, conoscer parte della loro storia, aver il minimo supporto informativo per valutare chi sta dietro agli strumenti. Sapere da dove viene e dove vuole andare. Sapere chi è stato da giovane. Quindi, senza dati, mi spiace dovermi fermar qui con le considerazioni che ora sintetizzo: “Free Brutality” è un album di discreto thrash metal. Provate ad ascoltare questi perfetti sconosciuti, non suonano male!

Nicola Furlan

 

Loneload
Love Would Never Work
2010, Autoprodotto
Hard Rock
Myspace Ufficiale

Tracklist:

1. Einstein
2. Bad Kitchen
3. Silly Dead
4. Into The City Centre
5. Load Of Pain
6. Bill Gates
7. Rotten Lone
8. Sick Of The Scene
9. To Alex
10. Goodnight

Mi ritrovo tra le mani la demo di una one-girl-band, ovvero, il lavoro di Laura Liparulo, che in questo cd si occupa coraggiosamente delle chitarre, delle voci, dell’armonica e della programmazione midi.
Un dischetto che, onestamente, non capisco dove voglia andare a parare.
Produzione e packaging decisamente amatoriali, quantità di tracce superiore a quella di una demo sensata (ragazzi, mai più di tre o quattro brani), bio informativa allegata, dove in modo esaustivo viene “raccontata” la passione per la musica che la giovane coltiva sin da quando, alla tenera età di dodici anni, iniziò a studiare la chitarra, mezzo che la portò a guidare diverse formazioni hard’n’heavy.
Risultato della bio? Creare enormi aspettative che, una volta ascoltato il cd, verranno inesorabilmente distrutte e deluse.
Laura ci propone una sorta di ibrido tra metal,grunge e pop, dove, dei tre generi musicali, viene preso solo ed esclusivamente il peggio. Noiosi arrangiamenti di chitarra, basati per la maggior parte del tempo su scontati power-chords, una voce totalmente stonata, che palesa enormi difficoltà e limiti tecnico-espressivi invalicabili, non ultimo, un approccio pop che, mancando il bersaglio di rendere più catchy ed accattivanti i brani, riesce solo ad infastidire l’ascoltatore.
Non manca qualche buona idea, come l’ottimo uso dell’armonica a bocca, la quale dona un flavour folk decisamente ben accetto ed originale, ma non basta.
Una demo con la quantità di canzoni di un lavoro completo ed autoprodotto o un vero e proprio “primo disco” per Laura, che malauguratamente decide di presentarcelo “fisicamente” come una demo?
Tante, troppe idee alquanto nebulose per Laura.
Focalizzare meglio gli obiettivi e a risentirci alla prossima!

Alessandro Biffi

 

Mercury Eye
Promo 2010
2010, Autoprodotto
Gothic
Myspace Ufficiale
Email

Tracklist:

01 Our Blame
02 Over the Fall
03 Drowning
04 Another Day

Nuovi Turilli crescono. Potrebbe essere questo un modo per definire il demo di Niccolò Abate, autore di musiche, arrangiamenti, testi, orchestrazioni e musicista dietro a tastiere, sintetizzatore e piano dei tre brani del disco. “Here We Are”, pezzo d’apertura e titolo del cd, risente infatti molto del gusto neoclassico dei primi Rhapsody, soprattutto nella fusione tra musica sinfonica e metal. Lo stesso può dirsi per la successiva “Sacrifice” e la conclusiva strumentale “18 Years”.
Forse di originalità, nel sound, non ce n’è moltissima, ma bisogna dare atto a Niccolò di aver voluto distaccarsi dagli originali quantomeno sotto il profilo dei testi. Niente draghi, spade magiche o saghe fantasy, ma argomenti da una parte più mainstream (“Here We Are” potrebbe essere la versione metal di “Si Può Dare di Più”), dall’altra più intimistici, in particolare nel descrivere il proprio rapporto con la musica. Infine, elemento da non sottovalutare assolutamente, il fatto che, pur scrivendo tutto da solo, tutti e tre i brani (mediamente lunghi sui 6 o 7 minuti) non peccano sotto nessun aspetto compositivo dimostrando ottime doti di arrangiatore e un gusto non indifferente per la melodia. Con un pizzico di personalità in più, secondo noi sarebbe già pronto per esordire.

Alessandro Calvi

 

My Refuge
3407 Picture Of An August Night
2010, Autoprodotto
Power
Myspace Ufficiale
Email

Tracklist:

1. A Storm Is Coming
2. The Cage
3. Calling Of The King
4. Fair Demon (F.D.O.T.D.D.)
5. 3407 – Picture Of An August Night

I My Refuge sono il frutto del progetto personale di Mauro Paietta, giovane musicista di Varese. Dopo le solite vicissitudini che le band underground passano alla ricerca di membri stabili da inserire in line-up, il gruppo inizia a prendere forma con l’arrivo del cantante Andrea Archita.
Cominciano quindi a nascere le idee per la stesura di questo demo 3407 Picture Of An August Night. Il disco è composto da cinque brani piuttosto vari e originali: il genere proposto è un power metal abbastanza semplice con una forte vena heavy predominante. Discreta è la tecnica messa in mostra da Paietta, mente e chitarrista del gruppo, purtroppo però non si può dire altrettanto del prodotto finale in sè: i suoni sono calibrati in malo modo, con batteria e voce che il più delle volte sovrastano tutti gli altri strumenti e gli effetti delle chitarre molto spesso non sono efficaci. Altra nota dolente è la voce, spesso è al limite della stonatura e in più punti è evidente come sia difficile per il cantante tenere la nota corretta risultando inevitabilmente calante. Tra i vari brani spicca Fair Demon (f.d.o.r.d.d.) pezzo in cui compare una leggera vena elettronica che ne esalta il tiro veloce e incalzante.
Sicuramente la band dovrà lavorare molto sulla produzione e sulla resa finale dei brani in futuro, ma le basi al momento sono più che sufficienti per poter andare avanti con la stesura di nuovi pezzi, perché la fantasia non manca e la voglia di creare qualcosa di nuovo la si riesce a percepire chiaramente tra le note di ogni canzone.

Stefano Vianello

 

Natrium
Inscribed In The Victims Scars
2008, Autoprodotto
Death
Myspace Ufficiale

Tracklist:

1. Inscribed In The Victims Scars
2. Torture The Truth
3. Eyes Of Ineluctability
4. Compulsive Enslavement
5. Portrait Of Terror

Formazione sarda attiva sin dal 2000, nata per volere dei fratelli De Muro, i Natrium hanno alle spalle la produzione di tre demo ed un full-length autoprodotto. Tuttavia, a seguito di vari cambi di line-up, la loro ultima produzione Inscribed In The Victims Scars, sposta le coordinate del loro stile verso il death metal di matrice americana. Ciò è in parte dovuto all’inserimento del nuovo cantante, Lorenzo Orrù, proveniente da gruppi brutal, il cui apporto inevitabilmente ha portato ad un generale inasprimento del sound. La produzione, fangosa ed underground, dà il suo ulteriore contributo per far sì che la proposta dei Natrium affondi le proprie radici nella Florida a cavallo tra anni Ottanta e Novanta, prendendo spunto dalle lezioni impartite da mostri sacri come i Cannibal Corpse, il cui imprinting brutale è presente nelle tracce dei sardi, ed i Morbid Angel, soprattutto nelle soffocanti parti lente di Portrait Of Terror. Tuttavia, le origini classicamente thrash della band rimangono ben presenti e fanno sfoggio di sé nelle fulminanti ripartenze di Torture The Truth e di Eyes Of Ineluctability. Risulta evidente come, in sede di songwriting, sia stato fatto il possibile per comporre brani sufficientemente vari: assistiamo quindi ad assoli, break cadenzati, ripartenze in classico stile Bay Area, passaggi marci, in una formula che originale non è ma che funziona per via della buona esecuzione e delle partiture non banali. Ci troviamo di fronte un demo che mette in mostra delle potenzialità, sebbene non contenga elementi di interesse talmente elevato da meritare elogi sperticati. Un’uscita onesta e che merita senza dubbio di avere un seguito, in cui magari lo stile della band venga ulteriormente affinato.

Luca Trifilio

 

Niccolò Abate
Here We Are
2010, Autoprodotto
Power/Symphonic
Myspace Ufficiale
Email

Tracklist:

01 Here We Are
02 Sacrifice
03 18 Years

Nuovi Turilli crescono. Potrebbe essere questo un modo per definire il demo di Niccolò Abate, autore di musiche, arrangiamenti, testi, orchestrazioni e musicista dietro a tastiere, sintetizzatore e piano dei tre brani del disco. “Here We Are”, pezzo d’apertura e titolo del cd, risente infatti molto del gusto neoclassico dei primi Rhapsody, soprattutto nella fusione tra musica sinfonica e metal. Lo stesso può dirsi per la successiva “Sacrifice” e la conclusiva strumentale “18 Years”.
Forse di originalità, nel sound, non ce n’è moltissima, ma bisogna dare atto a Niccolò di aver voluto distaccarsi dagli originali quantomeno sotto il profilo dei testi. Niente draghi, spade magiche o saghe fantasy, ma argomenti da una parte più mainstream (“Here We Are” potrebbe essere la versione metal di “Si Può Dare di Più”), dall’altra più intimistici, in particolare nel descrivere il proprio rapporto con la musica. Infine, elemento da non sottovalutare assolutamente, il fatto che, pur scrivendo tutto da solo, tutti e tre i brani (mediamente lunghi sui 6 o 7 minuti) non peccano sotto nessun aspetto compositivo dimostrando ottime doti di arrangiatore e un gusto non indifferente per la melodia. Con un pizzico di personalità in più, secondo noi sarebbe già pronto per esordire.

Alessandro Calvi

 

Shardana
Shardana
2010, Autoprodotto
Viking
Myspace Ufficiale

Tracklist:

1. Anthem (Instrumental) 1:51
2. Shardana (Sea Folk) 3:56
3. Sa Battalla 4:04
4. Back To Homeland 4:47
5. The Doom That Came To Sarnath 4:25

Prendendo spunto da un antico popolo del mare (Srdn-wn, 1.350 a.c. ca.) dedito alla pirateria e, presumibilmente, originario dell’attuale Sardegna, i cagliaritani Shardana, appunto, provano a esprimere la loro personale interpretazione del viking metal.
Viking metal immerso nell’acqua salata, scandito all’inizio (“Anthem”) da un tappeto di cornamuse e dal monotono tuonare di un timpano. Giusto per preparare l’atmosfera al maestoso riff portante di “Shardana (Sea Folk)”, song epica e di grande impatto; ruvida e aggressiva sino a lambire i limiti dei blast-beats. Ma, anche, melodica grazie alle parti vocali in clean e ai fini arabeschi di chitarra. Una canzone riuscita in tutti i suoi aspetti, che davvero non ha nulla da invidiare a ciò che combinano i migliori act fautori del metal omerico. Poi, stranamente – o meglio incredibilmente – , il combo isolano si perde un po’ per strada. Il solco tracciato in profondità con la canzone appena descritta s’interrompe bruscamente con “Sa Battalla” brano nel quale, probabilmente, i giovani musicisti raggiungono i propri limiti; soprattutto per quanto riguarda la sonorità dei cori e delle parti vocali in genere. “Back To Homeland”, con il suo piglio da battaglia e la sua forza mitologica, prova a rimettere le cose a posto: nei momenti più «quorthoniani», cioè quelli grezzi e cattivi, il combo sardo pare infatti essere di più a suo agio, sebbene non si raggiunga più il phatos posseduto dall’opener. Il potente mid-tempo di “The Doom That Came To Sarnath” chiude il dischetto non mancando di ricordare che, sempre e comunque, alla base di tutto c’è l’heavy. Iron Maiden in primis.
I Shardana, con questo EP, lasciano facilmente trasparire la loro evidente immaturità sia tecnica, sia artistica. Innegabili l’impegno, la passione e, pure, la presenza di qualche idea interessante (“Shardana (Sea Folk)”). Lo stile, seppur chiaro, dovrà venir messo a punto con la ricerca di una propria personalità che dia nel futuro continuità alla sequenza delle canzoni, oggi discontinuo. Se “Shardana” appare ancora distante da un giudizio di piena sufficienza, lascia intravedere – per quanto scritto sopra – dei notevoli margini di miglioramento. Ai Nostri, la voglia di mettersi sotto per provarci.

Daniele D’Adamo

 

Sinking Soul
Sinking Soul
2009, Autoprodotto
Prog
Myspace Ufficiale

Tracklist:

01. Others’ Land
02. Temptation
03. The Unknown
04. Returns & Flights
05. Sinking Soul
06. Dancing With Tears in My Eyes (Cover Ultravox)
07. Into Your Arms

Formatisi nell’ormai lontano 2000 in seguito all’incontro tra il chitarrista Luca Riccetti e il tastierista Giuliano Vangelista, due giovani musicisti incrociatisi per caso in una chat room, i Sinking Soul riescono a completare i ranghi solamente qualche tempo più tardi grazie all’ingresso nella band della cantante Laura Marchionni. Il genere racchiuso nelle sette tracce che compongono questo Sinking Soul – primo (eponimo) album completamente autoprodotto, pubblicato nel 2009 – rimane a cavallo tra hard rock, heavy e progressive metal, per una proposta musicale piuttosto tradizionale e tutto sommato valida sotto il profilo puramente tecnico, ma allo stesso tempo abbastanza carente a livello di incisività e di mordente. Pochi sono infatti gli spunti interessanti all’interno di questo disco, per un lavoro che nel complesso risulta poco ispirato, decisamente acerbo e privo di personalità. Non che sia tutto da buttare, anzi: basti pensare soprattutto alle svariate aperture melodiche dell’opener Others’Land, messe in risalto dalla splendida voce di Laura, oppure all’eterea title-track, ma è comunque troppo poco per salvare un platter davvero scialbo e che non riesce proprio a convincere nella sua interezza. Certo, i margini di miglioramento ci sono tutti, proprio per questo siamo sicuri che con un po’ più di esperienza i Sinking Soul potranno fare qualche passo in avanti con i prossimi lavori.

Lorenzo Bacega

 

Strategy Of Tension
Strategy Of Tension
2010, Autoprodotto
Heavy Metal
Myspace Ufficiale

Tracklist:

1. Strategy Of Tension 3:4
2. Slaverin’ For Money 3:09
3. World’s Killer – Part. 1 0:23
4. World’s Killer – Part. 2 3:27
5. Die At Midnight 5:15

Gli Strategy Of Tension, quartetto bolognese dedito al «thrash primi anni ottanta», per la preparazione del loro demo hanno ben pensato di curare, anche, l’aspetto grafico. Una veste che rimanda a una visione, certo non originale, di un Mondo futuro completamente distrutto dal più folle dei suoi abitanti: l’Uomo. Un tema, questo, che affascinava o meglio spaventava le prime bands che, a cavallo del 1985, affrontavano le sonorità estreme dell’allora Heavy Metal. Nuclear Assault su tutte.
Anche la musica, pertanto, risente di quest’approccio stilistico: speed metal, anzi – meglio – U.S. power che rimanda immediatamente a quegli irripetibili anni. Guitarwork semplice ma efficace sia nella potente parte ritmica sia nella più raffinata sezione solista, battute – dal medio incedere – classicamente assestate sull’heavy-groove, canzoni strutturate sull’ortodossa ossatura strofa/ponte/ritornello/strofa; alcune delle quali, come “Strategy Of Tension”, baciate da un refrain piuttosto accattivante. Poco ficcante, invece, il sound. Sono tante, direi troppe, le influenze (“Die At Midnight” = Iron Maiden) alla base dello stile del quartetto; sì da rendere anonimo e noioso il suono dell’EP.
Se i singoli musicisti non presentano né pregi né difetti, occorre infine segnalare la non convincente prestazione della vocalist, troppo impegnata a derivare il suo stile da altre cantanti del genere, come per esempio quella dei Détente, per concentrarsi in qualcosa di più personale.
Se lo scopo è di divertirsi alle serate live, il progetto Strategy Of Tension ha senso; se invece l’intento è di affrontare la scena «over-underground», allora c’è ancora molto da lavorare. Su tutto.

Daniele D’Adamo

 

Sweet Pain
Supernova
2010, Autoprodotto
Hard Rock
Myspace Ufficiale
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Tracklist:

1. Supernova
2. Burnin’ Reaction
3. Watchin Over Me
4. Here I Am

Primissimo EP per gli Sweet Pain, band cuneese caratterizzata da un sound heavy rock semplice, grezzo e dalle forti influenze settantiane. Attivo da circa un quinquennio, il gruppo piemontese conferisce alla propria proposta connotazioni, in effetti, per nulla originali o rivoluzionarie, acquisendo – volutamente – un approccio “old style” che cattura simpatie in virtù di uno stile molto energico e schietto ma che, parimenti, si presenta come ancora largamente perfettibile a causa di un songwriting per larghi tratti ripetitivo e privo di fantasia.
Le chitarre orchestrate dal leader, il chitarrista e cantante Andrea Giostra, funzionano a dovere, accompagnate da una sezione ritmica che, pur senza alcun lampo di genialità, lavora correttamente ed in buona sintonia. Le canzoni tuttavia, non convincono appieno, livellandosi talvolta in modo eccessivo entro stilemi davvero iper consolidati e canonici, perdendo in incisività e forza d’impatto.
Poco convincente inoltre, la voce dello stesso Giostra, che intuiamo non essere un esperto del ruolo. Da evitare nel modo più assoluto sono, ad esempio, le terribili parti gutturali al limite del growl della conclusiva “Here I Am”, così come da migliorare la verve interpretativa che, complice una produzione non ottimale, risulta un po’ forzata e poco naturale, suggellando un primo mini cd che lascia intravedere grinta e tanta voglia di fare, ma che per ora, limita le eventuali prospettive di successo e le possibilità concrete d’emergere oltre la massa.
Molti punti su cui lavorare insomma. Nulla ad ogni modo, cui non sia possibile porre rimedio.

Fabio Vellata

 

Torment
Scars Remain
2010, Autoprodotto
Thrash
Myspace Ufficiale

Tracklist:

1. Slaves To War 4:20
2. The Choice 6:45
3. Suffered Life 4:47
4. Scars Remain 5:03
5. Upset Reality 5:32

Ecco un’altra dimostrazione – l’ennesima – che il thrash metal è ben lungi dal voler tirare le cuoia. Anche in Italia la scena è attiva, e nuove band fanno capolino dai suoi confini. Una di queste sono i Torment che, con il demo EP “Scars Remain”, vogliono far vedere di che cosa siano ulteriormente capaci, dopo la pubblicazione – nel 2008 – del full-length “Suffocated Dreams”.
A fronte di un moniker non proprio indicativo scelto dal combo lombardo (sono decine, in tutto il Mondo, gli act omonimi …), si rileva invece una cura particolare nella fabbricazione del dischetto, comprendente – fatto inusuale – anche i testi. Ermanno (Vocals), Fabri (Guitar), Luca (Lead Guitar), Gigi (Bass) e Thrasher (Drums) propongono un thrash tecnico, adulto, attento nella scrittura dei pezzi. Lontano anni luce, insomma, dal thrash ignorante che vanta come unica peculiarità la forza bruta. Proprio a tal proposito, il sound dei Nostri non è particolarmente potente: rispetto all’impatto diretto, è stato preferito un attacco ai lati; elaborato e complesso. Non per altro, infatti, i cinque brani di “Scars Remain” mettono assieme ben ventisei minuti di musica; musica compatta e quadrata. Forse troppo. Il thrash fonda difatti nell’immediatezza delle veloci armonizzazioni il suo punto di forza. Elaborare con insistenza le partiture delle canzoni, forse, porta a un risultato sì onorevole per quanto riguarda l’aspetto tecnico, ma anche noioso per quanto concerne quello artistico. Pur avendo centrato uno stile piuttosto personale, il combo milanese lo complica con un songwriting pesante e poco dinamico. Alla lunga, appunto, poco digeribile. La bravura dei ragazzi con i propri strumenti, la loro attitudine irreprensibilmente thrash e la passione che evidentemente muove i loro passi, nonostante tutto, credo che porterà a nuovi capitoli della «Storia dei Torment», magari più diretti e meno cervellotici rispetto a questo, seppur discreto, lavoro.

Daniele D’Adamo

 

Vanth
Parallel Overdrive
2010, Autoprodotto
Heavy
Myspace Ufficiale

Tracklist:

1. Move
2. Closed To The World
3. Duality
4. Come Sweepers Come
5. Th3 Music That I N3v3r Had

I Vanth nascono a Firenze come one-man band, progetto black metal del cantante/chitarrista Ace nel 2006. Con il passare del tempo il sound viene completamente stravolto e con l’ingresso nel gruppo del bassista Lou e del batterista Nyar nel 2010, si arriva a quello che è lo stile attuale, ovvero un heavy metal molto rockeggiante con una componente elettronica dominante, quasi a renderlo totalmente sintetico. Nonostante questo possa far storcere il naso ai “puristi” del metallo, la proposta risulta interessante e anche se i campionamenti a volte possono sembrare esagerati, sono originali e trascinanti. La voce del cantante Ace è forse l’elemento chiave per questa band, infatti proprio grazie al particolare timbro, basso e oscuro, riesce a rendere le composizioni davvero particolari. Due delle cinque tracce, Move e Closed To The World, andranno a far parte, probabilmente nel corso del 2011, del disco di debutto che si intitolerà Future Overdrive.
Restiamo dunque in attesa delle novità che ci porterà la band fiorentina durante questo anno che si prospetta succulento per l’underground italiano.

Stefano Vianello