Game Over (Reno, Sanso, Ziro)
Tra le punte di diamante della nuova ondata di giovani band thrash che il nostro Bel Paese possa vantare, figurano senz’altro i ferraresi Game Over. Band che ha pubblicato quest’anno il secondo album sulla lunga distanza: il convincente “Burst Into The Quiet”. Freschi di contratto con la storica etichetta Scarlet Records, i Nostri si sono concessi per una lunga e piacevole intervista.
Intervista a cura di Orso Comellini
– Ciao ragazzi, benvenuti su TrueMetal.it e grazie per averci concesso questa intervista!
Allora… l’uscita di “Burst Into The Quiet” è ormai imminente, il 23 Giugno se non erro. Quali sono le vostre sensazioni e aspettative? Prevedete quanto meno di replicare la buonissima risposta da parte di pubblico e addetti ai lavori del precedente “For Humanity”, immagino… Oppure siete ancora più confidenti?
Reno: Ciao, grazie mille a voi!
Fortunatamente il nostro primo disco ha ricevuto ottimi consensi e conseguito grandi risultati sotto ogni punto di vista, permettendoci di suonare in gran parte dell’Italia ed in Europa.
Naturalmente però si cerca di fare sempre meglio. A chi è piaciuto “For Humanity” quasi sicuramente gradirà “Burst…”, ed inoltre tenteremo di allargare sempre più i nostri “orizzonti”.
Siamo soddisfattissimi del risultato di “Burst Into the Quiet” e speriamo venga apprezzato in tutto il cosmo.
– Come saprete ho avuto modo di ascoltare l’album in anteprima e la prima impressione è che questo album sia il degno successore. Un lavoro maturo ma aggressivo. Molto curato anche dal punto di vista di artwork e suoni. Insomma, sicuramente un passo avanti da qualunque parte lo si guardi. Chi ha curato tutti questi aspetti?
Reno: Ti ringrazio, sono davvero felice che sia tangibile quello che, in effetti, era la nostra intenzione!
Per quanto riguarda le tracce, come da tradizione, sono state scritte e “arrangiate” più o meno da tutta la band seguendo un approccio decisamente “live”. Ci si trova in sala prove con alcuni riff e si costruisce il brano insieme, in maniera piuttosto spontanea. In seguito, poi, ci si rimettono sopra le mani per ristrutturarlo, limarlo e farlo funzionare al meglio. Da qualche tempo a questa parte, complice anche i maggiori impegni personali di tutti noi, ci siamo dovuti inchinare di fronte alla tecnologia approfittando della possibilità di passarci via PC idee o pezzi di tracce, le quali comunque venivano rielaborate insieme in sala.
La produzione, i mixaggio e il master sono, come al solito, ad opera dallo sciamanico Simone Mularoni, il miglior producer/audio engineer in Italia per quanto riguarda il nostro settore. E’ senza dubbio un eroe, capace di entrare in immediata sinergia con la band, capendo subito cosa questa vuole e come farlo al meglio. Nel nostro caso abbiamo optato per un suono “vecchia scuola” ma con una botta al passo con i tempi, utilizzando strumentazione clamorosa e tradizionale.
L’artwork è ad opera di Mario Lopez, talentuoso illustratore del Guatemala e vincitore, nel 2007, della Iron Maiden Xmas Card Competition.
L’aspetto grafico del book è invece stato curato da NapalmSolution GraphicArt e le foto sono di Anomalia Photo Art.
– Quanto ha influito in questo senso l’approdo a Scarlet Records? Come vi trovate e come siete entrati a far parte del loro roster?
Reno: Una volta registrato l’album ci siamo armati per andare a caccia di un’etichetta che potesse garantirci una buona promozione e distribuzione all’estero. Quasi immediatamente, però, siamo stati contattati dai ragazzi della Scarlet, i quali si sono detti interessati a “Burst Into the Quiet” e subito siamo giunti ad un accordo. Per il momento le cose vanno alla grande: Scarlet Records è un’etichetta di livello internazionale formata da un entourage solido, ed è esattamente ciò che stavamo cercando.
– Precedentemente vi eravate accasati presso My Graveyard, un’etichetta molto attenta a valorizzare quanto di buono provenga dall’underground italiano, che tuttavia pare stia affrontando un momento di difficoltà. Un pensiero per i vostri passati partner…
Reno: Non si può che parlare bene di un personaggio come Giuliano Mazzardi. Il nostro primo album, “For Humanity”, è uscito per My Graveyard Productions, e lui si è dimostrato sin da subito onesto (dote rarissima, oggi come oggi) e disponibile. Non va dimenticato che, in primis, è un fan dell’Heavy Metal e della musica che produce: conferma ne è il Play It Loud Festival.
Sono al corrente del fatto che ora l’etichetta stia affrontando un momento difficile, anche se non so precisamente di cosa si tratta. In ogni caso non posso che augurare il meglio alla My Graveyard e a Giuliano. Se ce ne fossero di più, come lui, in Italia, forse non saremmo il terzo mondo che ci ritroviamo ad essere ora, e forse se il nostro paese si sta leggermente riscattando dalla figura di fantoccio schernito qual era fino a qualche anno fa, un po’ il merito va anche alla My Graveyard.
– Quali sono le principali differenze che avete riscontrato nel modo di operare delle due label?
Reno: Come dicevo, la nostra precedente etichetta ha dato il 100%, e sono andate vendute tutte le copie del nostro primo album (attualmente sold-out, anche se a brevissimo ci saranno news per quanto riguarda una estetica ristampa).
Quello che ci ha portati a cercare una label differente è la necessità di ampliare il nostro raggio d’azione nei termini di distribuzione e promozione, cosa che la Scarlet può garantire.
– Torniamo all’album. Di cosa parlano i testi, dato che non ho ancora avuto modo di leggerli, e come si è evoluto il modo di concepirli rispetto al lavoro precedente?
Reno: Come da tradizione, i testi dell’album si dividono in due “tronconi”: se da una parte diamo sfogo alle nostre più turpi fantasie, palesando senza vergogna la nostra ossessione morbosa per il cinema brutto, i personaggi weird o, in generale, trattando situazioni tutto sommato leggere, dall’altra parte ci prendiamo la libertà di affrontare tematiche più serie od “impegnate”. In linea di massima il modo di concepire i testi è rimasto il medesimo, e non ci sono particolari motivi per cui, una volta composto il brano, il testo venga a far parte di un gruppo piuttosto che dell’altro. Certamente, alcune volte una struttura “scanzonata” come può essere quella di “Nuke ‘em High”, traccia presente in “Burst Into the Quiet”, rende più efficace un testo più leggero (o kitsch). In questo caso, il brano è un tributo all’immortale capolavoro della Troma (casa di produzione e distribuzione cinematografica americana ed elemento imprescindibile della nostra vita, responsabile di aver immesso nel mercato alcuni tra i più grandi capolavori del cinema come “The Toxic Avenger”, “Tromeo and Juliet”, “Poultrygeist” e, appunto, “Class of Nuke ‘em High”). Credo sia normale avere una sorta di bicameralismo che porta per un verso ad interrogarci sulla realtà con cui abbiamo incessantemente a che fare, sulle sue contraddizioni, sulle sue lacune, e per l’altro ad avere bisogno, di tanto in tanto, di“scaricarci”, quasi catarticamente, in situazioni più leggere, ciniche, esagerate o paradossali. Credo siano due componenti importanti, e ritengo fondamentale che le persone possano, attraverso la musica, divertirsi (soprattutto in periodo decisamente buio come quello che stiamo vivendo, in cui spesso la tristezza viene pateticamente ostentata fino a raggiungere un poco raccomandabile autoflagellamento).
In “Burst Into the Quiet” quindi si trovano tracce come “Masters of Control”, dove viene trattato lo spinoso tema dei nuovi centri di potere, ora che, per via della rete globale, l’assetto mondiale è radicalmente cambiato, “Trapped Inside Your Mind”, che parla di schizofrenia o “No More”, decisamente il testo più criptico ed intimista che abbia mai scritto, affiancate a brani come la già citata “Nuke ‘em High” o “Seven Doors to Hell”, ispirata al grandissimo capolavoro “…E tu vivrai nel terrore! L’aldilà”, del maestro Lucio Fulci. “The Eyes (Of The Mad Gardner)” invece è la vera storia di un folle che, per diversi mesi, ha messo a dura prova il quieto vivere della pacifica provincia modenese, proclamando, da solo, guerra contro il triste mondo contemporaneo dando fuoco ad ogni SUV incontrato lungo il suo cammino. Una sera la cosa gli è scappata di mano e, per via di un tragico effetto a catena, sono esplose più auto del previsto.
– Potete illustrarci le tracce per voi più significative? C.H.U.C.K. fa riferimento all’omonimo film? E Metropolis Pt. 3 ai Dream Theater?
Reno: Ahah! “C.H.U.C.K.” non parla del film ma (non so come tu abbia fatto) nel primo disco doveva esserci proprio un brano dedicato a quella pellicola (se intendi “C.H.U.D.”, del 1984). Il pezzo poi è diventato “Evil Clutch”, obbligatorio tributo al maestro Andrea Marfori ed al suo imprescindibile “Il Bosco 1”.
“C.H.U.C.K.” narra le vicende di un nostro grande amico che ci ha dato una grossa mano, ed il suo soprannome è, appunto, Chuck. E’ talmente iconico che mi sembrava obbligatorio dedicargli un brano. Credo che tutte le persone del mondo dovrebbero conoscerlo. Attualmente la CIA sta indagando nel tentativo di scoprire per cosa stiano le lettere puntate le quali formano il suo nome. Il brano comunque è un’apologia a lui, al suo modo tenace di contattare promoter e tenacissimo di alzare il gomito.
“Metropolis pt.3” è il sunto di una carriera, ma anche un brano che ci porterà milioni di dollari, donne, e diverse querele.
“Masters of Control” è stata usata come prima preview del disco e contiene un po’ di tutto: cori diretti, ritmiche serrate e riff abbastanza articolati.
Un brano che ci diverte molto fare dal vivo e del quale siamo soddisfatti è “No More”, impreziosito da un clamoroso assolo ad opera di Simone Mularoni. E’ un brano dalla struttura leggermente atipica, con un ritornello abbastanza melodico e una lunga parte strumentale centrale.
Un’altra traccia particolare è senza dubbio “Nuke ‘em High”, dove finalmente siamo riusciti ad inserire un “Wooo-ooo” come coro.
– So che per promuovere il disco state per imbarcarvi in un tour europeo in compagnia di Condition Critical ed altri ospiti. Siete pronti a mettere a ferro e fuoco il Vecchio Continente? Conoscete già i vostri compagni d’avventura?
Reno: Siamo carichissimi! Per la prima volta ci imbarcheremo in un tour di circa due settimane che ci porterà in giro per mezza Europa, dal quale, però, speriamo di tornare vivi per riabbracciare i nostri cari.
In realtà non conosciamo bene i Condition Critical, anche se siamo stati molto in contatto negli ultimi mesi per via dell’organizzazione del tour. Con noi ci saranno anche gli Ultra-Violence di Torino, che avremo modo di conoscere “strada facendo”.
– Avete in programma anche altre date in Italia e/o nel resto del mondo?
Reno: Al di fuori del tour, l’unica data per ora confermata è al SummerMusic Fest di Codroipo (UD), in compagnia di Obituary, Bulldozer e altri.
Grazie al recente accordo con Apocalypse Extreme Agency/MP Promotion stiamo pianificando diverse date, in Italia e all’estero.
– Per quel che ho potuto vedere, la vostra dimensione ideale è quella on stage. Forse meglio anche che su disco. Nello specifico mi riferisco alla data al Cycle Club di Calenzano (FI) in occasione del “40… And Still Rockin’ On!” in compagnia di Tossic, Dark Quarterer e Bud Tribe, tra gli altri. Si godeva dell’aria di festa per il compleanno di Claudio ed è stato davvero una bella serata. Avete qualche ricordo o aneddoto in particolare di quella serata?
Reno: Decisamente, il nostro habitat è il palco! Cerchiamo di suonare quanto più possibile, e a ogni concerto diamo sempre il 100%. Credo che per una band come la nostra (ed ingenerale per la maggior parte dei gruppi Heavy o Thrash Metal) l’aspetto live sia e debba essere determinante e quasi caratterizzante.
Quando suoniamo dal vivo non vogliamo semplicemente eseguire le tracce dei nostri dischi: sul palco vogliamo offrire uno spettacolo, coinvolgere le persone, divertirci e divertire.
Ricordo bene la serata a cui ti riferisci! Claudio è un grande amico ed un eroe della scena Heavy Metal italiana. A proposito, ha appena terminato i preparativi per “Officina dei Sogni 2”, doppio tributo alla leggendaria Strana Officina con ospiti d’eccezione del calibro di Tygers of Pan Tang, Jack Starr, Leather Leone, Holocaust ed ospiti degni di biasimo come noi.
E’ stata una gran bella serata, ricordo che preparammo un paio di cover “ad hoc” di Raw Power e Negazione. Claudio è un grande fan della scena Punk/HC italiana e avrebbe voluto che portassimo un brano dei nostri concittadini Impact.
– Quanto è importante per un qualsiasi gruppo fare una certa gavetta sulle assi di un palco (e in sala prove, ovviamente) prima di pensare a registrare un album sulla lunga distanza? Nel vostro caso, aver trascorso alcuni anni in preparazione del debutto pare abbia giovato…
Reno: Credo che una gavetta live ed in sala prove sia piuttosto importante, anche se poi dipende naturalmente da band a band e dal contesto musicale cui si fa riferimento. Ora come ora registrare un disco è decisamente semplice. Chiunque può prenotare uno studio ed uscirne con un prodotto registrato e prodotto benissimo, indipendentemente dalla sua preparazione o dall’affiatamento della band. Poi però le carte si scoprono una volta che ci si ritrova sul palco.
Nel nostro caso sono trascorsi circa tre anni e mezzo dalla formazione dei Game Over al primo approdo discografico: conta però che eravamo mediamente tutti molto molto giovani! All’inizio ero l’unico maggiorenne. Abbiamo trascorso quel lasso di tempo sbattendoci come dei forsennati in saletta e cercando di organizzare le prime date, suonando il più possibile. In definitiva sono d’accordo, credo che la nostra gavetta ci abbia giovato, e forse è anche merito suo se ora siamo ricolmi di donne.
Ziro: Chiaramente la gavetta è indispensabile per farsi un’esperienza. Ma come in tutto, non solo in ambito musicale. La registrazione di un disco bisogna vedere con quali obbiettivi uno l’affronta. Se lo fai con l’intenzione di conservarlo come ricordo di gioventù non vedo perché uno non possa registrarlo, ma se i tuoi obbiettivi sono diversi, presentarsi su un mercato infinito come quello musicale con un disco senza che poi nessuno conosca un minimo il tuo nome credo abbia più effetti negativi che positivi. Macinare chilometri su chilometri serve. Noi a forza di macinarne qualche frutto ce lo stiamo raccogliendo e comunque ancora ne dobbiamo fare di gavetta, sia ben chiaro!
– Forse alcuni gruppi, supportati da una tecnologia ormai alla portata di tutti, arrivano troppo presto ad incidere un album e finiscono per non essere del tutto preparati. Per non parlare dell’aiuto e dei suggerimenti che solo dei professionisti delle produzioni possono dare. Ma prima di tutto è necessario rodare i meccanismi del gruppo e farsi conoscere suonando dal vivo… Qual è la vostra opinione?
Reno: Diamine, dannato il mio vizio di non leggere in anticipo tutte le domande! Credo di avere risposto a questa domanda qualche rigo più su!
– Dei gruppi della nuova ondata thrash chi vi ha colpito maggiormente? Cosa ne pensate per esempio dei vari Vektor, Warbringer, Gama Bomb ecc.?
Reno: Credo che tra queste “nuove” band ce ne siano parecchie davvero valide, anche se non le seguo troppissimo. Amo molto Toxic Holocaust e Municipal Waste, per il resto non posso dirmi espertissimo. I Vektor, senza dubbio, sono un gruppo incredibile. La lezione dei Voivod è massiccia, ma riescono a creare il loro sound con una perizia impressionante. Apprezzo molto i Gama Bomb, anche se ultimamente ho un po’ perso le loro tracce. Con i Warbringer abbiamo condiviso il palco in qualche occasione: una buona band, ma purtroppo non la conosco sufficientemente bene per darne un parere più specifico.
Sanso: Dei tre sono più interessanti i Vektor sinceramente! E della nuova ondata thrash metal io salverei i Violator, Insanity Alert, Crippled Fox.
Ziro: Negli anni scorsi hanno avuto una forte eco Violator e Municipal Waste e personalmente non mi sono mai dispiaciuti, anzi. Poi c’era un gruppo che aveva attirato la mia attenzione, si chiamava Nihilist (non quelli Svedesi Death Metal). Ora però non so che terra pestino! Anche i canadesi Striker mi piacciono assai, forse i migliori all’estero per il momento. Dei tre che hai menzionato ognuno può piacere a suo modo, li trovo molto diversi tra loro. Con i Warbringer, ora che ricordo, ci abbiamo anche suonato assieme e giocato una partita a Super NES nel pre concerto!
– Tra reunion varie e gruppi storici che procedono ad oltranza (ma non potranno continuare per sempre), quali nomi tra le nuove leve potrebbero raccogliere il testimone ed aspirare in futuro a riempire stadi e platee?
Reno: In tutta onestà dubito che qualche nome tra quelli attualmente in auge tra le nuove leve del Thrash possa, un giorno, riempire gli stadi. Ovviamente mi auguro che il Thrash e l’Heavy Metal possano rivivere una seconda giovinezza in termini di qualità e numeri, ma mi pare davvero difficile che qualcuna tra le realtà giovani di oggi possano imporsi così pesantemente sul mercato (non necessariamente per colpa delle band, sia chiaro, quanto perché il mercato non lo prevede).
Poi, certo, se davvero nessuno vuol prendersi questa onerosa responsabilità, ci toccherà proporci e vendere qualche milione di copie, ma lì ci serve anche il vostro aiuto.
– Per quanto riguarda la scena italiana chi vi ha colpito maggiormente e perché?
Reno: Se parli della scena Thrash ti dico National Suicide, una grande band che purtroppo, al momento, ha registrato un solo, mitico, album.
Poi abbiamo realtà più giovani come Demolition Saint, Endovein, Final Fright, meritevoli di grandi attenzioni.
Al di fuori del Thrash ti dico Ruler, grandi amici e grandissima band, che per fortuna sta raccogliendo i frutti di due bellissimi album e di un grande impegno, Sign of the Jackal e AxeVyper.
Sanso: Della scena italiana mi hanno colpito gruppi come Endovein, Violentor, Final Fright, Death Mechanism, Explorer, Acidity e consiglio di ascoltarvi gruppi come gli Hi-Gh di Roma, i baresi Burning Nitrum, i Demolition Saint di Ferrara-Modena, i milanesi Torment, i fiorentini Collapse i sardi Alkoholizer! Ora come ora non mi vengono in mente altre band che mi hanno colpito in sede live e su disco.
Ziro: Ce ne sono molte di meritevoli ma se vuoi un nome io resto sempre un grandissimo fan degli Asgard, l’altra band di Reno. Ma io in Italia credo che, se comparati all’estero, abbiamo un numero di band valide molto maggiore. Però, forse complici anche del non saperci muovere correttamente in questo ambiente e forse per il fatto che si tende a essere molto esterofili senza valorizzare i nostri artisti, risaltiamo molto meno del dovuto. Quante band estere adesso, canadesi, svedesi e tedesche soprattutto, basta che sfornino un pezzo mediocre che un sacco di gente corre dietro a osannarli come i nuovi profeti dell’Heavy Metal?
– A quali gruppi storici consigliereste il pensionamento?
Reno: Ai Game Over: hanno rotto le palle!
Ziro: Dipende da come la si guarda, io personalmente se si intende l’aspetto Live nessuna. Alla fine a chi non fa piacere vedere i suoi idoli suonare i pezzi con cui sei cresciuto almeno una volta prima di morire? La risposta è A NESSUNO! Se si considera l’aspetto Discografico allora potrei dire a molti dei matusa, ma d’altronde ognuno fa ciò che vuole. Se uno dei vecchietti sente che ha ancora qualcosa da dire perché non può farlo? Certo, magari dietro si nasconde l’aspetto puramente economico e legato al nome della band in questione ma allora il discorso si complica e si dovrebbero tirare in ballo fans, case discografiche , eccetera eccetera e salterebbe su un discorso luuuuungo lunghissimo!
– Cosa ne pensate del recentissimo reintegro di Zetro Souza negli Exodus?
Reno: Personalmente ti dico: sono felicissimo, chissenefrega. Ho letto da qualche parte che Rob Dukes è stato scaricato con un paio di parole al telefono da Tom, ma in tutta onestà sono cresciuto con gli Exodus, quelli di Pleasures of the Flesh, Fabulous Disaster e Impact is Imminent e per me la voce degli Exodus sarà sempre Zetro. Non so cosa ci sia stato dietro, questioni economiche, personali, non ne ho idea, ma non avendoli mai potuti vedere dal vivo con il loro singer storico non posso che essere felice. Mi spiace per Rob, ha sempre fatto il suo lavoro anche se non posso dirmi grande fan degli ultimi Exodus. L’ultimo loro album che ho comprato è “Shovel Headed Kill Machine” e per il resto non ho seguito le loro pubblicazioni. Speriamo in un buon album!
Sanso: Era ora!!! Personalmente lo stimo moltissimo come cantante e negli Exodus è una bomba.
Ziro: Da fan dico… CHE FIGATA! Da persona che potrebbe andare a cogliere e analizzare il lato “oscuro” della faccenda direi che lo hanno fatto per soldi e tutte quelle storie lì… Ma io sono un fan!!!
– Un pensiero per Jeff Hanneman, invece…
Reno: Un eroe. Non c’è bisogno di parole, chiunque stia leggendo queste righe sente la sua mancanza e sa quanto sia stato fondamentale per la vita di tutti noi.
Sanso: E’ stato un grande chitarrista…r.i.p.
Ziro: Eh… una colonna portante del Thrash e degli Slayer. Che c’è da dire? Quello che è successo si spiega da solo… la tristezza è tanta.
– A che età avete iniziato ad ascoltare metal e con quali gruppi?
Reno: La mia storia è abbastanza particolare. Già dalla tenera età di sei-sette anni ero attrattissimo dall’iconografia Heavy Metal, pur non avendo idea, naturalmente, di cosa si trattasse. Ricordo che mia nonna mi regalò una maglietta degli Iron Maiden quando avevo quell’età perché l’immagine stampata sul davanti mi piaceva da morire. Non avevo idea di chi fossero gli Iron Maiden e non potevo certo immaginare che da lì a qualche anno avrei sviluppato nei loro confronti una venerazione morbosa e feticista.
Intorno alla seconda media, poi, grazie ad un cugino più grande, ascoltai per la prima volta, appunto, “Iron Maiden” ed altri classici, rimanendone impressionato. Quasi in contemporanea scoprii i Led Zeppelin. Ho iniziato poi a comprare riviste e a seguire le primissime webzine, tra cui Truemetal, intorno al 2001-2002. I primi dischi che ho comprato sono stati “The Number of the Beast”, “The Razor’s Edge”, “Reign in Blood” e “Rust in Peace”, in meravigliosi tempi passati ove il centro commerciale era ricolmo di inaspettati album di band quali Raven, Venom, Holocaust, Nazareth e mille altri.
Sanso: Ho iniziato con i classicissimi Metallica, Iron Maiden e ahimè Motley Crue…per poi approfondire in primis il genere che facciamo noi ovvero il thrash metal, per poi passare ad altri generi più estremi e non.
Ziro: Mah, io grazie ai vasti orizzonti musicali di mio padre che spaziano dal Rock più o meno duro al Punk, dalla New Wave al Prog Rock Italiano, dalla Disco anni ‘70/’80 alla prima incarnazione dell’Heavy Metal, sono sempre stato esposto a gruppi come Black Sabbath, UFO, Motorhead e Led Zeppelin quindi una prima iniziazione di Hard’n’Heavy me l’ha data lui. Poi avevo un vicino che ascoltava metal più estremo di quello del mio Boss, e così scoprii i Metallica di Master Of Puppets attorno ai 10 anni e mi innamorai di quella band.
– Dovendo scegliere solo 5 album da portare su un’isola deserta, quali sarebbero?
Reno: “Rust in Peace”, “Somewhere in Time”, “Streets: A Rock Opera”, “Houses of the Holy”, “Show No Mercy”.
Sanso: “Black Sabbath” dei Black Sabbath, “Ride the Lightning” dei Metallica, “From Beyond” dei Massacre, “Jailbreak” dei Thin Lizzy e “The river” di Bruce Springsteen!
Ziro: Dunque, io sono uno che va a periodi. Sai no, quando sei preso da un certo disco e dici “Woooo! Questo disco è il migliore della storia!”. Ecco. I miei confini sono labili. In questo momento, considerando che è estate e che i “famosi 5 album” sono sempre troppo pochi, direi “Destroyer” dei Kiss, “II” dei Led Zeppelin, “Ride The Lightning” che assieme a uno a caso tra “I”, “II” e “1984” dei Van Halen, e sempre uno a caso tra i primi 5 di Ligabue sono quelli di cui non farei mai a meno!
– Lascio a voi la parola per eventuali ringraziamenti, sassolini da levare dalla scarpa e per concludere questa intervista come meglio preferite, con la speranza di rivedervi presto dal vivo!
Grazie mille a voi per lo spazio concessoci!!! Speriamo di vederci presto, possibilmente in una ottimale condizione psico-fisica! Ricordo a tutti, compulsivamente, i nostri contatti:
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A presto!