George Bellas
A distanza di un solo anno dalla pubblicazione del pretenzioso e controverso Step Into the Future, torna sulle scene George Bellas con un nuovo album solista, il sesto della carriera, intitolato The Dawn of Time. Abbiamo approfittato dell’occasione per raggiungere il chitarrista statunitense e fargli alcune domande a proposito del nuovo disco, del passato e dei progetti futuri. Buona lettura!
Ciao George e benvenuto sulle pagine di Truemetal.it! Per cominciare, che ne diresti di presentarti brevemente a beneficio dei nostri lettori?
Beh, cosa posso dire, mi chiamo George Bellas e sono un compositore e un polistrumentista, in quanto oltre alla chitarra suono anche il basso, le tastiere, le percussioni e altro ancora. La mia avventura solista è cominciata nel 1996 con la Sharpnel Records, da allora ho dato alle stampe più di venti dischi, andando a contare tutti i progetti secondari a cui ho preso parte. Nella mia carriera ho avuto l’opportunità di suonare con alcuni dei migliori musicisti del pianeta, ciò a essere sincero mi inorgoglisce parecchio. Da avido compositore quale sono mi piace spaziare molto tra i vari generi musicali, anche se al grande pubblico sono conosciuto più che altro per i miei vari dischi progressive / neoclassici. Attualmente sono legato all’etichetta finnica Lion Music, il mio ultimo album si intitola The Dawn of Time ed è stato pubblicato lo scorso mese di luglio.
Iniziamo appunto a parlare della tua ultima fatica, The Dawn of Time. Puoi raccontarci come si sono svolte le fasi di composizione del disco? Quanto tempo ti ha preso nel complesso la lavorazione di questo album?
Ho cominciato a comporre The Dawn of Time poco tempo dopo aver completato il mio album precedente, Step Into the Future. La fase di composizione è durata sei/otto settimane circa, poi sono cominciate le registrazioni.
C’è una traccia che preferisci rispetto alle altre all’interno di The Dawn of Time? Se sì, per quale motivo?
Una delle mie canzoni preferite è senz’altro la title-track The Dawn Of Time. Ne apprezzo davvero molto il ritmo, la melodia, l’armonia. Anche l’assolo, completamente improvvisato, non è per niente male.
Il tuo primo disco solista, Turn of the Millennium, è stato pubblicato nel 1997, ben quattordici anni fa. Trovi per caso che il tuo approccio alla musica sia cambiato da allora, dopo tutto questo tempo?
No, il mio approccio alla musica è rimasto più o meno lo stesso di quattordici anni fa. Anche oggi, come allora, sono solito comporre tutto il disco in blocco, nota per nota, senza nemmeno prendere in mano la chitarra. Imbraccio lo strumento solamente quando tutte le tracce sono ormai pronte: a quel punto inizio a suonare le mie parti e distribuisco il resto agli altri musicisti.
Che tipo di reazione ti aspetti sia dal pubblico che dalla critica specializzata dopo l’uscita nei negozi di The Dawn of Time?
Dopo l’ascolto di The Dawn of Time mi aspetto che la gente scenda nelle strade con le mani nei capelli e si metta a urlare “Stanno arrivando! Gli alieni stanno arrivando!”. No dai, seriamente, non mi aspetto nulla in particolare. Spero solamente che possa piacere a più gente possibile.
Sei soddisfatto del lavoro svolto dalla tua etichetta, la finnica Lion Music? Come sei entrato in contatto con loro?
Io e lo staff di Lion Music siamo in stretto contatto da moltissimo tempo, sin dall’inizio del decennio scorso. E’ sempre stato un piacere collaborare con loro.
Il tuo disco precedente, Step Into the Future, consisteva di un’unica traccia strumentale lunga ben settantacinque minuti. Non trovi che una canzone del genere, così lunga e al tempo stesso così sperimentale, possa risultare estremamente difficile da ascoltare e da assimilare nella sua interezza da parte dell’ascoltatore medio?
La musica è una cosa completamente soggettiva, il tipo di reazione che si può avere di fronte a una data canzone cambia radicalmente da ascoltatore ad ascoltatore. Ci sono molte tracce musicali ben al di sotto dei tre minuti di durata che, personalmente, trovo estremamente difficili da ascoltare e da assimilare, per cui non penso sia solo una questione di minutaggio. Parlando nello specifico di Step Into the Future non posso negare che si tratti di una canzone piuttosto particolare. Non era mia intenzione dilatare così tanto la durata del pezzo, ho semplicemente continuato a scrivere e ad aggiungere nuove cose finché non mi è sembrato che la composizione fosse a tutti gli effetti completa, compiuta. Per quanto riguarda invece la natura di questa traccia, dal mio punto di vista Step Into the Future non è nemmeno una canzone così sperimentale. E’ stata composta con delle tecniche musicali all’avanguardia, questo sì, ma non è affatto sperimentale nel senso pieno del termine.
Che cos’è, a tuo parere, la cosa più essenziale in assoluto in un disco completamente strumentale? C’è chi dice che la tecnica strumentale sia la cosa più importante, chi invece punta il dito sulla melodia e sul feeling. Qual è la tua idea a proposito?
A mio parere un fattore molto importante, oltre alla tecnica strumentale e al feeling, è ciò che chiamo “sostanza musicale”. La musica è un mezzo per esprimere le emozioni umane, più un musicista riesce a sviluppare le proprie capacità, più questi, di conseguenza, sarà capace di tradurre le proprie sensazioni in musica. Un altro fattore assolutamente fondamentale in questo senso è quello che io definisco “intelletto musicale”, vale a dire avere la consapevolezza di tutti quegli elementi che sono effettivamente necessari a una composizione per potersi considerare compiuta.
Chi ti ha ispirato maggiormente come chitarrista? Avevi una figura, un modello ben fisso in mente quando hai iniziato a suonare la chitarra?
A essere sincero no, quando ho iniziato a suonare non avevo in mente nessun modello in particolare. Ero semplicemente affascinato da questo strumento musicale! E’ stato con il passare del tempo che, sia come compositore che come esecutore, mi sono aperto a molteplici influenze esterne, appassionandomi di volta in volta a nuove correnti musicali. Ad esempio, oggi come oggi una delle mie principali fonti di ispirazione è senza alcun dubbio la musica romantica.
C’è qualche consiglio in particolare che ti sentiresti di dare a chi oggi si avvicina per la prima volta ad uno strumento musicale?
Imparate, esplorate, fate pratica e create. E soprattutto non badate a quello che fanno gli altri, siate voi stessi e lasciate che la vostra unicità vi indichi la via.
Che giudizio hai a riguardo dell’attuale scena rock/metal internazionale? Trovi che sia in salute?
Personalmente la reputo estremamente primitiva. Dopotutto la musica rock è nata solamente sessant’anni fa, laddove molti altri stili e generi musicali hanno invece avuto la possibilità di evolvere per dei secoli interi. A questo punto della mia vita i miei interessi si rivolgono soprattutto alla musica romantica, preferisco focalizzare la mia attenzione su quella corrente artistica in particolare. Allo stesso tempo però apprezzo davvero tanto anche alcuni compositori di colonne sonore, come ad esempio Hans Zimmer, John Williams e Danny Elfman.
Hai pensato all’opportunità di promuovere il disco anche in sede live, con delle clinic o dei concerti? Nel caso, è previsto qualcosa del genere anche qui in Italia?
Certamente. Purtroppo non a breve, in quanto al momento sono estremamente impegnato con vari progetti musicali; tuttavia, appena ho un po’ di tempo a disposizione, mi piacerebbe proprio organizzare una serie di concerti. E perché no, passare anche per l’Italia.
Che altro ci sarà nel tuo futuro?
Ci sarà sicuramente tantissima altra musica. Spero di continuare in questo modo ancora a lungo, finché il mio fisico me lo permette.
Ok, questa era la mia ultima domanda. Grazie per il tempo che ci hai dedicato George, a te un’ultima battuta per salutare i fans italiani e chiudere quest’intervista nel modo che preferisci.
Grazie a te per quest’intervista. Vorrei ringraziare anche i tutti miei fans per il loro fantastico supporto.
Lorenzo “KaiHansen85” Bacega