Vario

Gjallarhorn (Fenrir)

Di - 29 Maggio 2005 - 13:50
Gjallarhorn (Fenrir)

Può non essere semplice intervistare un amico con cui si ha un contatto quotidiano. Per fortuna tutto è andato nel migliore dei modi con il nostro buon Fenrir, ed è bastato ‘tagliare’ un paio di burle per avere un’intervista che rende onore a quanto i Gjallarhorn hanno fatto con il loro debut ‘Nordheim’, qui recensito.

Bene Fenrir, vorrei cominciare chiedendoti: soddisfatto del prodotto finale e di questo Nordheim?

Sono molto soddisfatto del prodotto finale: Nordheim è praticamente riuscito come noi lo volevamo, e devo dire che nonostante la sua età non ha perso di mordente nella mia memoria. Da come ne parliamo tra di noi, il discorso si può estendere sicuramente anche al resto della band.

Ecco, a questo proposito, visto che parli di “età” dell’album, facciamo un salto indietro di un paio di anni. Come e perchè sono nati i Gjallarhorn? Come siete arrivati a Nordheim?

I Gjallarhorn sono nati quasi di colpo, e sono frutto di una lunga interazione tra me e Vali. Non avevamo mai avuto l’intenzione di incidere qualcosa insieme, finché non ci siamo trovati a un ‘bivio’ importante, e in quel momento sono nati i Gjallarhorn. Per telefono, credo. Due giorni dopo eravamo già in sala d’incisione, con le idee già perfettamente chiare su cosa fare e come farlo. Per questo l’incisione è durata relativamente poco: non abbiamo mai avuto discrepanze o discussioni, solo diverse notti per comporre, creare e berci sopra.

Un feeling che credo si noti molto dalla compattezza dell’album. Tra l’altro, se compariamo i gusti dei due mastermind del progetto, troviamo un background per lo più estremo e fatto principalmente di black metal nel tuo caso, mentre uno estremamente classico per quanto riguarda Vali. Credo che l’unione di queste culture musicali così differenti sia stata un’arma vincente nel songwriting di molti pezzi dell’album. Mi sbaglio?

Non ti sbagli! A dire il vero ci siamo decisamente completati a vicenda. Bisogna dire che Vali è ben a conoscenza del mondo del black metal più estremo e brutale per via di un ‘vizio di famiglia’ diciamo, mentre da parte mia, prima che il black metal conquistasse l’Europa ero dedito ad ascoltare i grandi monumenti dell’hard rock/thrash angloamericano, per cui è vero che eravamo diversi, ma in un certo senso eravamo ben vigili quando nell’album si toccava questa o quella corrente musicale. Inoltre, l’aggiunta in fase esecutiva di Nidhoggr e Gungnir ha allargato e rafforzato ulteriormente le diverse tradizioni musicali confluite in Nordheim.

Ti dirò che trovo la parte ritmica dell’album davvero splendida. Raramente ho sentito parti di basso così ben protagoniste e curate in un album viking, e inoltre credo che le linee di batteria siano una struttura fondamentale nella scorrevolezza, soprattutto a livello ‘narrativo’, di Nordheim. Credo abbiate trovato due musicisti estremamente validi e perfetti per quello che avevate in mente. Condividi?

Ti dirò, quando ho sentito le linee di basso per la prima volta non credevo alle mie orecchie. Non ero presente in sala quando sono state registrate, quindi mi hanno colto di sorpresa. Quel basso prescinde dal mero accompagnamento e diventa più di una volta protagonista, e personalmente non potevo chiedere di meglio. Le canzoni di Nordheim sono molto lunghe, specialmente Ragnarok, e gli strumenti devono essere espressivi ed eclettici per riuscire a cavalcare per 20 minuti senza interruzioni. La batteria è riuscita nell’intento di segare, trascinare, distruggere e sublimare, e il risultato ci ha decisamente soddisfatto.

A questo punto volevo lasciare un attimo da parte la componente musicale e dedicare giusto un po’ di tempo all’artwork dell’album: se non erro si tratta di un particolare di Slaget ved Svolder di Otto Sinding, giusto? Come mai questa scelta? Inoltre, sempre se la memoria non mi trae in inganno, l’originale è esposto alla galleria nazionale di Oslo, a fianco di quel Asgårdsreien di Peter Nicolai Arbo che Quorthon utilizzò per Blood Fire Death… questa ‘posizione’ ha influito in qualche modo sulla decisione di adottare l’opera?

Sì, le tue informazioni sono corrette. Effettivamente il quadro da cui abbiamo preso la copertina si trova proprio nella Galleria Nazionale d’Arte di Oslo, alla destra dell’Asgårdsreien di Arbo. Ma se pensi che la cosa sia studiata, ti sbagli – la storia è molto più interessante. Scegliemmo la copertina di Nordheim oltre due anni fa, quando la band ancora si chiamava “Nidhoggr”. L’estate seguente, Vali venne a trovarmi a Oslo e ci dirigemmo alla galleria per visitarne le meraviglie e ci rimanemmo di sasso quando, salendo le scale principali d’entrata, vedemmo la Battaglia di Svolder proprio accanto al capolavoro di Arbo che ha ispirato la copertina di uno degli album più significativi della storia del Viking Metal. Non è la prima volta che il fato mette le sue zampe nel nostro lavoro.

Domanda più triviale e meno impegnativa (forse): hai un pezzo preferito all’interno dell’album, o comunque qualcuno a cui sei affezionato di più?

Mentirei se ti dicessi che mi piace tutto l’album allo stesso modo. Da bravo essere umano ho le mie preferenze, e sono decisamente attaccato al movimento centrale, Ragnarok. Evoca delle immagini talmente potenti che ogni volta rimango stordito. Sono un grande appassionato degli scritti eddici e il pensiero di veder materializzarsi, anche solo in musica, i brani più spaventosi della Snorra Edda è un’emozione indescrivibile.

Condivido la tua scelta, anche in sede di recensione ho evidenziato come la suite sia quanto di più ispirato le mie orecchie abbiano colto nell’album. Restando sempre in tema musicale, passo a un argomento a me molto caro. Spesso e volentieri i dischi viking sono deliziosamente contaminati da venature folk più o meno massicce. Da grande amante del genere, l’unica vera mancanza che ho avvertito in Nordheim è stata proprio l’assenza di questi aspetti folk. È stata una scelta ponderata? Avete valutato e poi escluso di inserire anche ‘soltanto’ una ballata alla Ring of Gold, oppure vi siete attenuti semplicemente a quello che usciva dalla composizione?

Beh, credo che qualche venatura folk ci sia tutto sommato, specialmente nella trilogia. Certo non si tratta di vero e proprio folk anche perché abbiamo utilizzato strumenti classicissimi senza contaminazioni. Come sai ci sono diversi tipi di Viking, alcuni molto vicini al folk e alcuni molto più canonici. In particolare, Nordheim si rifà a quella “legge della purezza” che esiste non solo per la birra ma anche per il viking ed è stata tramandata da Quorthon. Egli riteneva che il viking dovesse astrarsi da artifici come tastiere pompose e strumenti derivativi, e che dovesse mantenersi particolarmente rigoroso a livello musicale. Non condivido necessariamente la sua visione, ma è un modo comunque rispettabile di vedere le cose da parte di un artista che non è esattamente l’ultimo arrivato. Nordheim in questo senso è un album molto Quorthoniano. Anzi, diciamo che è una buona birra quorthoniana.

Mi allaccio a quanto dici e torno a chiederti del songwriting. Nel disco ho percepito più che esplicite le influenze di Bathory e Amon Amarth, volendo anche di qualche passaggio falkenbachiano. Al di là di questi tre imponenti nomi della scena, ci sono altri gruppi che hanno stimolato le composizioni?

So che è difficile da credere, ma a livello compositivo Bathory è stato uno degli artisti ai quali ci siamo meno ispirati. Ci fa comunque molto piacere venire accostati a capolavori del calibro di Hammerheart o Blood Fire Death, quindi ci va più che bene così – la nostra devozione per Quorthon non si può nascondere. Insomma, diciamo che in Nordheim interviene più o meno l’intera produzione viking, nel senso che era tutta ben chiara nella nostra mente dai suoi primi vagiti fino alle sue ultime espressioni, e quindi ha agiuto come una grande forza conduttrice, che ha plasmato alcune parti del disco e ci ha ispirati in altre parti, che sono genuinamente “Gjallarhorniane” (si potrà dire?) piuttosto che “Bathoryane” o “Thyrfinghiane” o “Falkenbachiane”.

L’amore che tu e Vali nutrite per Quorthon era uno dei punti dove volevo arrivare. Avete mai valutato la possibilità di inserire una cover di Bathory nell’album, anche alla luce dei nefasti eventi dello scorso giugno?

No, anche perché l’album era già completo e sigillato molto tempo prima della morte di Quorthon. Ora non saprei… molti stanno marciando sulla morte di Quorthon (la Black Mark in primis, purtroppo) e forse sarebbe meglio evitare di unirci a un coro già un po’ disarticolato di suo. Ma non escluderei niente, anzi. Personalmente, se proprio dovessi fare una cover di Bathory, mi getterei nella sua produzione meno abusata. Magari un bel brano di Destroyer of Worlds.

Tre pregi e tre difetti della scena viking, oggi.

Trovo che in questo periodo la scena viking stia vivendo un momento di ripresa dopo un periodo difficilissimo, culminato probabilmente in quegli anni tra il 1997 e il 2002. Il primo grande pregio del Viking odierno è la rottura dei confini scandinavi: Finlandia, Germania, Francia e Italia si sono introdotte a forza nella scena con band come Moonsorrow, Menhir, Equilibrium, Himinbjorg e perché no, anche Gjallarhorn, che hanno arricchito e quasi ridefinito il genere. Un altro grande pregio è la tecnologia, che ha aiutato molto degli artisti piccoli a crescere fino a diventare qualcuno anche in zone dove scarseggiano musicisti adatti al genere – è il caso di Glittertind o dei Kampfar. Entrambi questi lati positivi portano senza dubbio a quello più importante, ovvero alla rinnovata vitalità della scena europea. Ma c’è anche il rovescio della medaglia: il Viking essendo un genere essenzialmente di concetto viene contestato da una certa frangia di metallari legati a schemi musicali molto rigidi, e a volte diventa difficile anche per noi appassionati definire strettamente cos’è Viking e cosa non lo è. È un genere sfuggente, e per questo estremamente affascinante. Viene anche riconosciuto dalla stampa con un certo timore, a volte reverenziale (non basta saper suonare una chitarra per diventare chitarrista viking) e a volte ironico, e il tutto contribuisce a renderlo un genere misterioso e bistrattato – anche per la ridondanza di cui soffre spesso e volentieri. Altro grande difetto, purtroppo, è l’abbandono di alcune band storiche e la inspiegabile serie di lutti che ha sofferto negli ultimi anni.

Veniamo al futuro dei Gjallarhorn. Avete già parlato del secondo album? Volete portare avanti questo approccio e queste sonorità o pensate di sterzare in qualche direzione specifica?

L’abbiamo citato tra di noi, sì. Faremo passare l’estate e poi ci metteremo d’accordo, anche perché non è esattamente facile incontrarci. Abbiamo intenzione di seminare un’altra orgia di battaglie, divinità e alcool. Questo è certo.

Bene, vi attendiamo al varco e all’etilometro. A te il finale iper-convenzionale e altamente istituzionalizzato: concludi come meglio desideri.

Skål!!!!skål til alle kjøpere, bææææ til tyvene!

Alessandro ‘Zac’ Zaccarini