Intervista Accept (Wolf Hoffmann)
Intervista a cura di Davide Sciaky
Ciao Wolf, come stai?
Bene!
Sono in Florida, il sole splende e la vita è bella!
Eh, immagino che lì il tempo possa essere decisamente meglio di qua, ora sta nevicando…
Immagino, so bene com’è dicembre in quella parte di mondo.
Sono cresciuto in Germania e ricordo bene che questi mesi sono piuttosto tetri, freddi, bui, bleah.
Come hai passato il lockdown? Hai lavorato all’album o era già pronto quando è cominciato?
Eravamo circa a metà quando è iniziato tutto quanto, avevamo mezzo album pronto in marzo, quando il corona[virus] ha cominciato a farsi serio.
Quando volevamo concludere il lavoro, a giugno, luglio, il nostro produttore Andy Sneap non poteva neanche raggiungerci dal Regno Unito, nessuno poteva entrare od uscire dagli Stati Uniti, quindi non abbiamo avuto altra alternativa che registrare per conto nostro; poi lui ascoltava e produceva il tutto da dove si trovava.
Non è stato un problema perché comunque a quel punto la maggior parte del disco era già stato registrato, quindi è finita bene, ma è stata una situazione strana.
Almeno avete avuto qualcosa da fare, vi è andata meglio che ad altri.
Esattamente, anche se comunque c’è sempre qualcosa da fare.
La mia vita privata consiste per lo più nel mio lavoro, che si tratti di fare del lavoro d’ufficio o scrivere musica, non sono uno che esce molto, a meno che non si tratti di andare in tour, ma quando non dobbiamo suonare, be’… sono sempre come in una sorta di quarantena, ad essere onesti [ride].
Questo nuovo album, “Too Mean to Die”, esce quattro anni dopo il suo predecessore, “The Rise of Chaos”. Come mai tutto questo tempo?
Ci è davvero voluto così tanto? Non so il perché, non è neanche sembrato così tanto tempo.
Siamo stati impegnati a suonare tanti concerti, siamo stati in tour per due anni, poi l’anno scorso abbiamo fatto un tour orchestrale.
Sì, non lo so, ha semplicemente richiesto questo tempo, magari non avevamo abbastanza canzoni pronte, ma in realtà non abbiamo cominciato a lavorarci fino allo scorso autunno, avevamo solo un paio di idee scritte mentre eravamo in tour, ma il grosso del lavoro è iniziato l’anno scorso.
Come descriveresti l’album? Cosa si possono aspettare i vostri fan, in parole tue?
Ehi, questo non è il mio lavoro, questo è il tuo lavoro.
Io non descrivo la mia musica, io la scrivo e poi la faccio avere a voi che dovete dire com’è.
Va bene, sto scherzando, ma a volte è davvero difficile per me fare ciò che chiedi…
Per questo secondo me è interessante sentire la prospettiva del musicista stesso.
No, non è per niente interessante perché non posso essere assolutamente oggettivo, sono troppo vicino al disco per dirti qualcosa di oggettivo.
Posso solo dirti quello che altri 80 giornalisti mi hanno detto finora, cioè che è un album sorprendentemente energico e fresco, questo è quello che ho sentito dire finora, sta piacendo a tutti e mi hanno detto che ha uno stile vicino a “Blood of the Nations”.
Qualcuno ha addirittura detto che è il nostro lavoro migliore di sempre, non lo so, ma da quello che mi hanno detto sembra essere un disco che sta piacendo.
Recentemente Peter Baltes ha lasciato la band, com’è stato fare un album senza di lui, e come è andata con Martin Motnik?
Prima di tutto non è così recente, ormai sono passati quasi due anni, ormai è un po’, ma è stato triste. Mi si è un po’ spezzato il cuore, è stato un giorno triste per il Rock N’ Roll quando ha deciso di andarsene.
E tuttora non so esattamente perché abbia deciso di lasciare, non ci ha mai dato l’opportunità di sederci insieme per parlarne.
Comunque sia, ha preso questa decisione ed è un peccato, ma penso di non avere altra alternativa che continuare anche senza di lui. Alla fin fine saranno i fan a decidere se l’abbandono di Peter ha davvero cambiato la band in peggio, in meglio, o quello che è.
Alla fine quello che conta è l’album, le canzoni, la loro qualità, questo è ciò che guida tutto il resto.
Se questo nuovo album finirà per essere orribile allora tutti diranno, “Ah, allora era Peter che scriveva quelle ottime canzoni”, sarete voi a decidere.
Martin è un bassista fantastico e un’ottima aggiunta alla band, ha scritto un paio di ottime canzoni e di parti di altre canzoni su quest’album, quindi siamo molto contenti.
Questo è anche il vostro primo album come sestetto, il primo album con tre chitarristi, quanto è diverso lavorare con questo nuovo tipo di formazione?
È divertente, ma non è così diverso dal passato, hai solo qualche possibilità in più, soprattutto dal vivo.
In studio è sempre diverso perché comunque non siamo tutti a suonare insieme, io registro tante parti di chitarra, e in passato le registravo praticamente tutte. Ora che abbiamo Philip Shouse nella band gli abbiamo dato molto spazio sul disco per dargli modo di far vedere di che pasta è fatto.
È soprattutto dal vivo che con tre chitarre puoi fare molto di più che quando ne hai solo due, ci sono parti dove puoi suonare le parti soliste raddoppiate mantenendo sotto una chitarra ritmica, a volte suoniamo riff tutti e tre insieme e suona in modo incredibile.
Abbiamo già suonato un po’ di show con tre chitarre, prima dell’inizio della pandemia, e sono stati fantastici.
Come mai avete sentito la necessità di avere un terzo chitarrista dopo 40 anni con solo due chitarre?
Non abbiamo “sentito la necessità”, la risposta semplice è questa, nessuno ha sentito la necessità di fare niente.
È stato semplicemente che abbiamo avuto l’opportunità di scoprire che chitarrista fantastico è Phil e ci siamo semplicemente detti, “Perché no? Perché non aggiungere anche lui alla band? Sarebbe molto divertente!”.
Phil ha partecipato al nostro tour orchestrale nel 2019, e in quelle date abbiamo visto che era un chitarrista fantastico e un’ottima persona. Uwe non poteva suonare quei concerti e così abbiamo conosciuto Phil, e alla fine del tour abbiamo pensato che sarebbe stato… tragico, davvero triste non poter suonare più insieme.
Così ci siamo detti, perché non includerlo? Non ci sono regole che dicono che non si può… tre è meglio di due, magari l’anno prossimo ne avremo quattro, chi lo sa [ride].
Questa è la mia ultima domanda sulla lineup, lo giuro: dopo che Peter ha lasciato la band sei rimasto l’ultimo membro della formazione originale ancora nella band. Quando è successo sei mai stato anche solo stato sfiorato dall’idea di cambiare nome alla band?
Perché diamine dovrei farlo?
Io sono l’unico che non ha mai lasciato la band, perché dovrei essere io a cambiare nome? È ridicolo.
È Peter che ha deciso di abbandonare la band, non è colpa mia se tutti gli altri membri se ne sono andati, io sono quello che non se n’è andato e ovviamente continuerò con il nome Accept per mantenere viva l’eredità della band, con o senza Peter.
Io sono sempre stato un po’ il guardiano della band, quello che si assicura che tutto funzioni bene, che la band segua uno stile ben definito, ho scritto molte canzoni… su questo nuovo album è la stessa cosa, non c’è Peter ma ci sono tutti gli altri, c’è ancora Mark, c’è ancora Andy come produttore, quindi a parte l’uscita di Peter penso che si sia molta continuità tra gli ultimi cinque album, sia come stile che come qualità della musica.
Siamo ancora in ballo, baby.
Continueremo a fare musica fintanto che i fan ci vorranno sentire, è così semplice.
Gli Accept hanno un suono molto distintivo e definito, ti capita mai di scrivere musica che scarti perché non suona “abbastanza Accept”…
Succede spesso!
… o tu come chitarrista e la band siete due entità così vicine che ti sarebbe impossibile scrivere qualcosa che non suona Accept?
No, scrivo molta musica che non vede mai la luce del giorno, e penso che sia l’unico modo in cui le cose possano funzionare per me.
Quando scrivo musica cerco di non essere da subito il peggior critico di me stesso, quello può essere dannoso, immaginati di prendere la chitarra, scrivere un riff e cominciare subito a pensare, “Oh, questo pezzo suona come questo e quello”.
Devi riuscire a tagliare fuori quelle voci, scrivere tutto quello che ti passa per la testa, metterlo su carta, registrarlo, e questo è quello che faccio per intere settimane.
È un sacco di musica che non verrà mai pubblicata, ma allo stesso tempo sento la necessità di realizzare quella musica perché è un’idea, è una bozza, e rimane lì fino al momento di essere onesto con me stesso.
A quel punto riascolto tutto con Andy e ci diciamo, “Okay, questo non potrebbe funzionare su un disco degli Accept, questo invece sì…” e scorriamo tutte le idee che suonano come pensiamo che gli Accept debbano suonare.
Qualcuno dev’essere il guardiano [del nostro stile] e ascolto molto l’opinione di Andy perché è un buon giudice di quello che i fan degli Accept possano apprezzare o meno.
Ascolto molto l’opinione di Andy e di quasi nessun’altro, non ho mai ascoltato molto neanche quello che diceva Peter sull’argomento, aveva molte idee stravaganti che abbiamo scartato perché non suonavano molto Accept.
C’è sempre bisogno di un giudice che dica, “Questo può andare bene, questo no”.
Queste idee scartate le tieni poi da parte per futuri album solisti o simili?
No, per lo più no.
Alcune cose strumentali ovviamente le ho messe sul mio album solista, in particolare le cose più classiche.
In ogni caso non ho mai voluto che il mio progetto parallelo classico fosse in competizione con gli Accept, è qualcosa di completamente diverso, per questo è strumentale, classico, doveva essere in maniera evidente qualcosa di separato.
Diciamo la verità, tutta la mia energia creativa va negli Accept, non ho l’esigenza o il tempo di fare un altro album solista; sarebbe inutile per me farlo.
“Too Mean to Die” uscirà e gennaio e nella situazione che stiamo vivendo probabilmente non vi sarà possibile portarlo in tour ancora per un po’. Ho parlato con tanti altri musicisti recentemente, e alcuni di loro sentivano che adesso non fosse il periodo migliore per pubblicare nuova musica. Non lo sentivate come un rischio? Come mai avete deciso di pubblicare l’album lo stesso?
Be’, magari ci sentiamo di correre un rischio e di dire, “Perché no?”.
A volte nella vita devi rischiare e un’argomentazione potrebbe essere che ora i fan non possono andare ai concerti, ma possono comunque ascoltare nuova musica, perché non dovrebbero poter avere nuova musica ora?
Sì, commercialmente di solito è meglio fare uscire un album in corrispondenza di un nuovo tour, ma chi ci pensa ai fan?
Come hai detto prima sono già passati quattro anni dal nostro ultimo album, forse è il momento di dare ai fan qualcosa di nuovo, poi quando potremo tornare in tour lo faremo.
È una situazione senza precedenti, non so se sarò un autogol o meno, a volte devi semplicemente correre un rischio e vedere che succede, senza rischi non si fa nulla di grande.
Sono assolutamente d’accordo e, come semplice appassionato di musica, vedo tante band che annunciano concerti, e poi sono costrette a spostarli, altri musicisti che pubblicano cover, molto carine e divertenti, ma nulla di sconvolgente. È bello poter ascoltare anche della musica nuova e che ci siano band come voi che ne pubblicano anche in questo periodo.
Sì, sono d’accordo.
Chi sa, magari potrebbe anche vendere meglio perché la gente non può spendere soldi in concerti, a volti senti gente che dice “Eh, ci sono troppi dischi, troppi concerti, non ho i soldi per comprare tutto”, magari ora ce li avranno, non lo so.
Non puoi sempre giocare sul sicuro, a volte devi fare un azzardo e vedere come va a finire.
Abbiamo deciso di fare così e speriamo che vada bene.
Giusto ieri ho letto un articolo che diceva che Woody Allen non riguarda mai i suoi film una volta che li ha finiti. Ascolti mai la tua musica una volta che è completa e pubblicata?
No, su questo sono con Woody [ride].
A volte sono costretto a riascoltarla perché devo reimparare delle canzoni per i concerti, o devo controllare qualcosa, ma… no, una volta finito di lavorare ad un album preferisco lasciare che mi esca dalla testa e passare alla prossima sfida.
Immagino che comunque suonare quella musica tutte le sere ti basti.
Sì, certo, comunque senti la musica in quel modo.
Non è che non mi piace la mia musica, ovviamente ne sono molto orgoglioso e passo molto tempo a produrla, ma una volta finita bisogna passare oltre.
Dopo aver passato così tanto tempo a scrivere, registrare e suonare dal vivo quelle canzoni potrebbe essere quasi strano andare ad ascoltarle “per piacere”, quando vuoi ascoltare musica la cerchi da qualche altra parte.
Esatto, non leggo o ascolto neanche le mie interviste una volta che vengono pubblicate, non è qualcosa che mi piace particolarmente.
Non mi piace neanche vedere me stesso in TV, non è una cosa per me.
Ti ringrazio, questa era la mia ultima domanda.
È stato divertente, è stata un’intervista diversa dal solito.
Grazie! Quello è sempre il mio obiettivo per cercare di mantenere la cosa interessante e piacevole per tutti.
Fai bene, questa è credo la mia nona intervista del giorno, ieri ne ho fatte quindici, pazzesco, ed è così tutta la settimana.
Ma, ehi, anche questo è parte del lavoro.