Hard Rock

Intervista Aerosmith (Steven Tyler e Tom Hamilton) 1987

Di Stefano Ricetti - 15 Gennaio 2024 - 9:03
Intervista Aerosmith (Steven Tyler e Tom Hamilton) 1987

Intervista a Steven Tyler e Tom Hamilton degli Aerosmith realizzata da Piergiorgio “PG” Brunelli e tratta dalla rivista HM numero 25 del settembre 1987. Il periodo è quello successivo all’uscita dell’album “Permanent Vacation”, disco che di fatto consolidò, molto di più del predecessore “Done With Mirrors”, il ritorno alla formazione originale avvenuto dopo il rientro di Joe Perry e Brad Whitford.

Buona lettura

Steven Rich

 

 

“Permanent Vacation” è il disco con il quale gli Aerosmith tornano alla carica. Una band nuovamente motivata, come ci raccontano Steven Tyler e Tom Hamilton intervistati o Los Angeles.

LET’S TYLER DO THE TALK!

Los Angeles – Gli Aerosmith sono un gruppo di sopravvissuti al punk e alle mode della musica e dei sopravvissuti a sé stessi. Non sono mai stati una band che ha fatto leva sull’immagine, eppure hanno influenzato centinaia di gruppi da dieci anni a questa parte… Soprattutto, non hanno utilizzato quelli che sono i mezzi promozionali classici dei giorni nostri, non hanno, perciò, promosso i loro prodotti musicali con adeguati video clips. Quello che si è visto, ben poco in verità, è girato in studi di prova, oppure come presunti video bootleg eseguiti da un paio di kids in mezzo al pubblico (“Let The Music Do The Talking”). La filosofia di Steven Tyler sui video clips è piuttosto singolare.

Steven Tyler – Quando la video tecnologia apparve, circa otto anni fa in modo massiccio nell’ambito discografico, mi è piaciuto che i video, invece di mostrarmi pulito ed atletico, mi mostrassero cadere dal palco. Una volta girai un brevissimo video clip in New Jersey per un annuncio pubblicitario che sarebbe andato in onda su tante televisioni, nel quale, alla fine di “Train Kept a Rolling”, io afferravo il mio foulard, saltavo in aria finendo nel buco davanti al palco.

L’editing rendeva il salto prolungato, quasi in una caduta continua, mi piacque molto. Qualcuno mi ha chiesto di fare un video di “Dream On” ed io credo sarebbe un’atrocità. Il nostro vecchio manager fece una specie di video collage per quella canzone e fu uno sbaglio, perché è nata per essere ascoltata e far viaggiare l’immaginazione. Mi piace pensare a una ragazza molto sexy che indossa un négligé (immagine suggerita dalla canzone) e nient’altro. Questa è in parte la mia filosofia riguardo alle cose. Mi interessa vedere quello che è nascosto dietro alle tende, in questo caso dietro alle parole di una canzone.

 

 

Come detto, gli Aerosmith sono dei sopravvissuti a sé stessi. Steven Tyler si autodefinisce quasi un reduce di guerra che con “Done With Mirrors” è tornato a casa. Il prodotto stesso risente di questa lontananza. Si potrebbe obiettare che nel periodo dal 1979 al 1984 gli Aerosmith fossero ancora una band che registrava dischi. In effetti, non trattandosi della formazione originale, molta della magia dei tempi di “Dream On” e “Toys In The Attic” era andata persa. “Done With Mirrors”, senza nulla togliere a “Rock In A Hard Place” e a Jimmy Crespo, era da considerarsi alla stessa stregua del primo album di una nuova band. Sembrerà un paradosso, ma proprio negli Stati Uniti questa argomentazione ha trovato i pilastri più solidi. Solo 350.000 copie vendute di “Done With Mirrors” sono lì a provarlo.

S.T. – lo e Joe Perry ci siamo separati dopo essere stati insieme per dieci anni. Ci siamo rimessi assieme, abbiamo fatto la sorpresa di presentarci ripuliti ed in buona forma, ma la sorpresa non è servita. Ma non era tutto vero e non bastava assolutamente, eravamo troppo nuovi. Le canzoni erano troppo nuove, erano appena state scritte. Ero orgoglioso di aver scritto cinque canzoni in due mesi, ma adesso che riguardo a quella situazione, non riesco a considerarla più di una semplice esperienza. Le canzoni avevano bisogno di almeno un altro mese di lavoro, non avevamo abbastanza carattere, non hanno avuto la possibilità di crescere.

 

Tom Hamilton 

 

Tom Hamilton – Sebbene siano passati molti anni e abbiamo registrato molti albums dopo “Rocks”, questo ultimo album, per il suo suono, mi sembra il passo logico e la continuazione ideale di “Rocks”. “Done With Mirrors” è stato il nostro primo album per la Geffen ed era la dichiarazione musicale che dovevamo fare in quel momento, ma anche dovevamo provare che eravamo in grado di entrare in studio e registrare un disco nei limiti stabiliti. La data di scadenza era una di quelle cose che pesavano di più su di noi e questo non ha lasciato molto spazio per l’ispirazione. Per questo album, “Permanent Vacation” la storia è diversa. Eravamo più preparati e le canzoni stesse erano già a uno stadio piuttosto avanzato, il che ci permetteva di suonare con maggior sicurezza ed aggiungere delle idee nuove con più facilità, perciò quando siamo entrati in studio non ci siamo dovuti preoccupare per le canzoni, gli arrangiamenti ecc., ed abbiamo suonato con maggiore sicurezza, forza e potenza.

A chi dovevate provare che eravate in grado di fare una cosa del genere? A voi stessi?

T.H. – Beh, in un certo senso anche a noi stessi, ma più che altro alla gente coinvolta nel business. Gli Aerosmith si sono fatti la reputazione di quelli che passano troppo tempo in uno studio di registrazione e che spendono troppi soldi per i loro albums e non sempre i risultati giustificano pienamente tutto quel dispendio di tempo e denaro. Siamo riusciti dimostrare il contrario. Una volta entravamo in studio soltanto con gli arrangiamenti e la parte vocale, generalmente, non era mai pronta, perciò non potevamo suonare con sicurezza, perché non eravamo mai sicuri che quello che stavamo suonando fosse la versione finale.

S.T. – Avevamo un dovere non solo nei confronti delle nostre mogli e dei nostri figli, ma anche nei confronti della band stessa, e soprattutto, nei confronti dei nostri fans. Una delle ragioni per cui mi sono ripulito e rimesso in piedi, era perché mi sono reso conto di essere vergognoso. Cadevo dal palco, non riuscivo a rialzarmi in piedi, dovevamo sospendere i concerti e i kids si infuriavano. Degli stadi con 20.000 kids costretti a vedere un cantante cadere tre volte dal palco, ubriaco perso. Che cazzo mi rappresenta? Il rock’n’roll è una religione, i kids hanno bisogno di un’iniezione di Aerosmith una volta all’anno e se noi non siamo all’altezza si incazzano.

 

Aerosmith, Permanent Vacation, 1987 

 

Sia la carriera solista di Joe Perry che quella degli Aerosmith senza Perry e Whitford, non sono state particolarmente baciate dalla fortuna. Potrebbe trovarsi qui una delle ragioni della reunion della band alla formazione originale?

T.H. – Beh, dopo tre anni durante i quali, da un lato gli Aerosmith cercavano di tirare avanti senza Joe e Brad, e dall’altro loro due con la loro carriera solista, nel tentativo di ricatturare ciò che avevano negli Aerosmith, alla fine ci siamo resi conto che i casi erano due: o ce la facevamo entrambi oppure fallivamo. Così ci siamo riuniti ed era ciò che volevamo veramente. Ci siamo dovuti sbattere un casino per fare in modo che la gente accettasse la nuova formazione degli Aerosmith e convincerla che quelli erano i nuovi Aerosmith e che quella era la band che dovevano ascoltare ed apprezzare come avevano fatto per la vecchia line-up.

Tutti a quel punto pensavano che avremmo sostenuto la nuova band con una tournée, che però non c’è stata. Joe e Steven avevano pensato di rimettere insieme la band, ma non era ancora il momento giusto, c’erano ancora troppi problemi e vibrazioni negative, così la reunion è avvenuta alla fine del 1983, inizi dell’84, quando sembrava che tutti noi fossimo pronti per quel passo. Eravamo sicuri che i kids ci volessero sentire ancora. Vogliamo raggiungere le grandi masse, piacere a un vasto pubblico e pensiamo di sapere come fare senza compromettere il nostro stile.

Sembra così di ricominciare tutto da capo?

T.H. – Credo che per quest’album abbiamo trovato il processo creativo che ha fatto funzionare questa band agli inizi. Ogni volta che finiamo di registrare un disco, lo ascolto e ritengo che sia sempre qualcosa di meglio rispetto agli atri. Questa volta è scattato qualcosa di diverso che noi mi è mai capitato di provare per nessuno degli album precedenti. Tutto qui. Il ritornare assieme, in parecchi casi, può essere un fatto creativo ed è questo il caso di “Permanent Vacation”. Abitualmente gli album degli Aerosmith arrivavano a malapena ai 40 minuti, lasciando una specie di insoddisfazione non tanto per la qualità, quanto per la quantità. Questo nuovo album è fatto a misura di CD, con 12 brani, e della durata di 55 minuti circa.

S.T. – Questo nuovo album è stato concepito scegliendo tra un totale di 28 canzoni, che sono sgorgate in modo insolitamente naturale. Abbiamo cercato di scegliere quelle che avevano un certo carattere e, dopo la scelta, sono rimaste sette canzoni su master tape che sono disponibili per eventuali B-sides. Ci sono delle canzoni che erano buone fin dall’inizio, altre invece hanno necessitato di maturazione, come il vino. “The Movie”, addirittura, è una canzone che doveva essere inclusa in “Done With Mirrors”. È un aspetto degli Aerosmith (un brano strumentale) che non era mai stato preso in considerazione.

Nonostante l’abbondanza del materiale disponibile, seguendo una direzione ormai classica, sull’album c’è anche una cover song. Dopo aver eseguito, parecchi anni fa, “Come Together”, pezzo forte soprattutto dal vivo, è stata rivangata un’altra canzone dei Beatles, “I’m Down”.

S.T. – “I’m Down” è scaturita alla fine delle registrazioni da una conversazione tra me e Joe. Originariamente l’avevamo considerata per un album. Allora gli Aerosmith non esistevano ancora ed io e Joe registrammo la canzone su una demo tape. Ci è venuta in mente, perché a Vancouver c’è un negozio di souvenirs dei Beatles, così abbiamo comprato il disco dei Beatles, l’abbiamo ascoltato 4 o 5 volte e l’abbiamo arrangiata. È sempre stato un piacere per gli Aerosmith prendere una canzone altrui e migliorarla, anche “Come Together” era un’ottima versione. “I’m Down” mi fa sentire come un ragazzino che sta andando alla spiaggia, mi fa venire voglia di saltare in macchina a torso nudo e guidare col finestrino abbassato fischiando dietro alle ragazze che passano. Non è una canzone tipica degli Aerosmith, ma mi fa venire la pelle d’oca. Un’altra cosa che è nell’album è il carattere.

Abbiamo lasciato ogni tipo di suono, compreso quello di una bottiglia presa a calci durante la registrazione di una parte della chitarra in “Hangman Jury”. Abbiamo aggiunto ogni tipo di suono, dalle risate alle sedie a dondolo. A me piacciono le cose sporche, mi piaceva quando ero più giovane ascoltare dischi non ripuliti, pieni d’errori. Chiunque guardi uno show degli Aerosmith, si rende conto che questa band non è solo un fenomeno ristretto a pochi intimi, ma è qualcosa a cui tutti possono fare riferimento, senza età. Finché riesco a muovermi sul palco e Joe conserva la testa a posto e quel suo suono caratteristico, acquisteremo nuovi fans. Non riesco a sentire quel distacco generazionale che, teoricamente, ci dovrebbe essere tra me e tutti questi nuovi fans. Sul mio viso non ci sono segni di invecchiamento, mi sento come se avessi 12 anni. Non sono cresciuto, non voglio crescere. Nessuno può dire esattamente quanti anni ho finché continuo a muovermi atleticamente sul palco. Il metodo migliore per tenermi in forma è fare aerobica, il che è come essere sul palco.

 

Ovviamente avrete delle speranze molto forti per questo vostro ultimo LP, anche dovute al fatto che “Done With Mirrors” non era diventato disco d’oro. Oltre all’imminente uscita di “Permanent Vacation”, avete anche realizzato un album dal vivo quasi in contemporanea. Non pensi che il fatto di vedere due dischi nuovi degli Aerosmith crei dei conflitti e dei dubbi nei kids che non sanno così quale acquistare?

T.H. – Spero di no, ma comunque non penso. L’album dal vivo è qualcosa che sicuramente piacerà molto ai fans degli Aerosmith tra i più duri mentre “Permanent Vacation”, invece, è diretto a un pubblico più vasto. Guadagneremo sicuramente nuovi fans con questo album e venderà molto di più del live.

 

CLASSIC LIVE

Questo album dal vivo è approvato ufficialmente dalla band, a differenza del precedente. Pensi che l’uscita di “Classic Live!” abbia in qualche modo portato dei vantaggi alla band, oppure è stato qualcosa di negativo?

T.H. – Non credo che molta gente sia a conoscenza di quell’album. Era stato realizzato dalla nostra vecchia casa discografica e dal nostro vecchio management, a nostra insaputa, perciò il nostro atteggiamento non è stato esattamente quello di supportarlo. Con questo nuovo album è diverso, perché noi abbiamo scelto il materiale e siamo stati coinvolti in tutta la sua post-produzione. Crediamo in quest’album, ha tutta la nostra approvazione. Se volete ascoltare un buon album dal vivo degli Aerosmith, questo è quello giusto.

 

Aerosmith

 

Credi che l’abuso di alcool e droga sia stato uno dei motivi che hanno portato alla rottura delle relazioni personali tra Joe e Steven e in un secondo tempo allo scioglimento della band?

T.H. – Si, anche se eravamo più giovani e più in grado di resistere a quel tipo di abuso. La situazione tra Joe e Steven ha continuato ad andare avanti e non andavano d’accordo e non è mai stata affrontata dalla band o dal nostro management che ci mandava in tournée aspettandosi che tutto si sarebbe risolto e noi eravamo molto incasinati. Quando ci siamo separati, stavamo registrando “Night In The Ruts” e le parti vocali non erano ancora state scritte perché Steven aveva dei problemi nel comporre quei testi.

Il fatto è che erano già state fissate le date per la tournée e così abbiamo dovuto lasciare il disco a metà per andare in tour. Solitamente incominci a fare concerti una volta finito l’album, così lo supporti, noi invece ancora non l’avevamo finito di registrare, cosa che, oltre ad essere estremamente frustrante, ha causato molti attriti, soprattutto fra Joe e Steven. A questo aggiungi il fatto che tutti noi, chi più chi meno, eravamo coinvolti in un giro di parties piuttosto pesanti, il disco non funzionava, in più tutti i problemi di chimica, puoi capire perché siamo arrivati allo scioglimento. Finanziariamente stavamo tutti bene, perciò potevamo permettercelo. C’è una tendenza tra le molte nuove band a sopprimere i problemi di personalità, quando stanno combattendo per ottenere il successo e poi, una volta che lo raggiungono, si possono permettere di mandare a quel paese questo o quello. E so che molti gruppi si sono sciolti per quella ragione. Adesso abbiamo cercato, invece, di eliminare metà della band che addita gli altri, di eliminare le droghe come qualcosa che controllano il nostro futuro e questo è stato il primo passo per la registrazione di “Permanent Vacation”. Così, una volta che avevamo tutto sotto controllo, tutto ad un tratto abbiamo iniziato ad essere più creativi e produttivi e la nostra abilità compositiva e il nostro ottimismo sono aumentati.

Non pensi che la gente veda gli Aerosmith come una vecchia band e vi penalizzi, in un certo senso, nei confronti di nuove band formate da ragazzi giovani e piacenti?  

T.H. – Credi che se i Led Zeppelin si dovessero riformare domani, fregherebbe e qualcosa a qualcuno della loro età? Loro sono più vecchi di noi, ma se si dovessero riformare ed andare in tournée, sarebbe senza dubbio la cosa migliore dell’anno. Ed io sarei in prima fila. E penso che ci sarebbero anche tutti i kids che ascoltano Ratt, Poison e band del genere. Prendi per esempio la nuova canzone dei Whitesnake, “Still Of The Night”. Tutti dicono che potrebbe essere una canzone dei Led Zeppelin e a tutti i kids piace istantaneamente la canzone. Perché muoiono dalla voglia di sentire la musica dei Led Zeppelin, per questo ascoltano chiunque suoni quel genere di musica, a patto però che sia buona ed abbia la vibrazione giusta.

 

Il fatto che quando suonate dal vivo la gente voglia sentire i vecchi cavalli di battaglia, come per esempio “Back In The Saddle” non vi fa sentire bloccati nel tempo, come se vi trovaste ancora nel 1978?

T.H. – Ci piace molto suonare quelle canzoni perché ci piace vedere quanta energia riusciamo a tirare fuori dal pubblico. È stato molto frustrante durante l’ultima tournée, quando abbiamo presentato alcune canzoni tratte da “Done With Mirror”, come “Shela”, “The Hop”, “May Fist Your Face” e non ottenere neanche un minimo di reazione da parte del pubblico che restava indifferente… Abbiamo ottenuto una buona reazione per “Let The Music Do The Talking”, per il fatto che era la canzone che otteneva il maggior spazio radiofonico dell’intero album. Un nostro amico ha fatto una specie di indagine ed ha scoperto che vendevamo un numero maggiore di Greatest Hits, che non di “Done With Mirrors”. Vorremmo, però, che i kids accettassero il nostro nuovo materiale. Quando nell’82 andammo in tournée con Jimmy Crespo e Rick Dufay dopo aver realizzato “Rock In A Hard Place”, le canzoni tratte da quell’album non ottenevano assolutamente un buon riscontro. Non erano suonate alla radio ed i kids non le conoscevano. È difficile per i kids farsi trascinare da una canzone nuova, a meno che non ricevano dell’incoraggiamento sentendola alla radio. Perciò quando ci siamo riformati, ci siamo resi conto che dovevamo presentare i nostri vecchi pezzi forti e che dovevamo iniziare da lì, ed è quello che abbiamo fatto.

Sembrava di essere tornati nel 1979, sebbene fosse il 1984.

T.H. – La differenza è che abbiamo imparato a suonare quelle canzoni molto meglio di una volta.

I Run DMC vi hanno chiesto di usare la canzone “Walk This Way”. Alla sua incisione hanno partecipato solo Steven e Joe, però la canzone, originariamente, è stata scritta da tutta la band. Non credi che il pubblico trovi strano vedere nel video promozionale solo Steven e Joe affiancati da tre falsi membri della band che vengono tenuti in lontananza e al buio per non essere riconosciuti?

T.H. – Purtroppo all’epoca eravamo in tournée e qualcuno decise che sarebbe stato più comodo se solo chi aveva registrato il pezzo andasse a registrare il video. Il resto della band aveva l’impressione che nel video ci sarebbero stati solo Steven e Joe e, invece, alla fine saltò fuori che erano state ingaggiate tre comparse. La cosa ci fece veramente incazzare e, sebbene adesso sia troppo tardi per tornare indietro, spero che una cosa del genere non succeda più in futuro. Spero che il casino che abbiamo messo in piedi serva allo scopo. Ma vedi, il fatto è che io, Joey e Brad siamo un po’ messi da parte. Quando ci sono interviste da fare, o persone da conoscere, tutti pensano a Steven e a Joe. Originariamente erano loro due che sarebbero dovuti venire a Los Angeles per le interviste, il motivo per cui sono qui, è che mi sono dovuto imporre sul nostro management per convincerli a farmi venire qui. Dopotutto anch’io faccio parte della band e mi sono sbattuto anch’io per questo ultimo album. Ho dovuto solo costringere della gente, ed è tutto!

Piergiorgio Brunelli

 

Articolo a cura di Stefano “Steven Rich” Ricetti