Vario

Intervista Benvenuti all’Inferno (Flavio Adducci)

Di Stefano Ricetti - 9 Marzo 2025 - 7:30
Intervista Benvenuti all’Inferno (Flavio Adducci)

Intervista a Flavio Adducci, autore di due libri, “Benvenuti all’Inferno! – Storia delle origini del Black Metal” del 2020 (qui recensione) e il più recente “Più Veloce! Le origini del grindcore e del power violence 1982-1986” (qui recensione). Una lunga chiacchierata che poi è sfociata anche in svariati altri ambiti, slegati dalla letteratura metallica, andando ad abbracciare tematiche legate all’Oi!, all’hardcore punk, alle fanzine e molto altro ancora.

Buona lettura

Steven Rich

    

Flavio, cosa ti ha spinto a scrivere dei libri legati al mondo dell’heavy metal?

Ciao Steven, contentissimo di essere intervistato da te per TrueMetal! Allora, la mia passione per la scrittura ha radici lontane, fin da quando intorno ai 16 anni mi divertivo a scrivere dei racconti horror influenzati dall’opera non solo del grande H.P. Lovecraft ma anche di Stephen King. Una decina di anni fa ho scritto pure un intero romanzo metà horror e metà western perché all’epoca ero particolarmente in fissa con gli spaghetti western, soprattutto con quelli più sanguinari e cupi tipo “Django” di Corbucci o “Preparati la bara” di Baldi, anche se poi questo libro non l’ho mai pubblicato in quanto troppo incasinato.

Ma questa passione per la scrittura è cresciuta sempre di più di pari passo con quella per la musica, in questo caso per il metal e più avanti per il punk. Così, dopo vari tentativi andati a vuoto di scrivere dei saggi musicali, un bel giorno mi sono deciso di concentrarmi su un progetto preciso e coerente nonché originale perché al tempo ancora non c’era, almeno nel mercato editoriale italiano, un libro totalmente focalizzato sulla first wave of black metal. Ecco quindi arrivare il 24 marzo 2019, giorno del mio 30esimo compleanno, il mio primo libro, in realtà un ebook autoprodotto tramite StreetLib: “Nel Segno del Marchio Nero”. Un anno dopo, opportunamente rivisto e corretto, questo è stato trasposto finalmente su carta per diventare “Benvenuti all’Inferno!”, uscito per conto della genovese Officina di Hank, adesso non più in attività.

E il 1° novembre 2024 mi sono rifatto vivo con un’altra opera, “Più Veloce!”, anche questa incentrata su una strada poco battuta dall’editoria italica come quella rappresentata sia dal grindcore che dal power violence. Fra l’altro, la mia nuova fatica è stata pubblicata dall’Arcana Edizioni, storico editore romano attivo dagli anni ’70. Ma ciò che mi ha spinto e mi spinge ancora a scrivere libri di questo tipo non è solo l’amore che nutro da ormai tanti anni per le sonorità metalpunk, non è solo la voglia di affrontare temi e generi musicali di nicchia, ma anche la mia infinita curiosità, che mi permette di andare dentro le cose, di trattarle in profondità senza limitarmi a parlare dei soliti 4 gruppi che conoscono tutti, e così facendo scopro io stesso qualcosa di nuovo. Amo quindi conoscere, scoprire sempre roba nuova. E pensa che, dopo aver pubblicato “Più Veloce!”, ho scoperto altre cose che potevo inserire tranquillamente fra le sue pagine. Ma ormai mi sa che è troppo tardi ahah! Chissà, forse in un’eventuale ristampa…

 

Flavio Adducci 

 

Qual è stato il tuo percorso da metallaro/punk sinora? Intendo come hai iniziato a conoscere questo tipo di musica e le vicende da lì in poi…

Diciamo che tutto è iniziato negli ultimi mesi del 2004, quando comprai in edicola un doppio numero della seminale Grind Zone, con in copertina il barbutissimo Chris Barnes dei Six Feet Under ed ex-Cannibal Corpse. Grazie a questa rivista, mi appassionai fin da subito al metal estremo, saltando a piè pari il metal classico, che avrei veramente conosciuto e approfondito solo tempo dopo, e abbandonando allo stesso tempo la mia precedente dieta musicale tutta a base di Slipknot, System of a Down, Limp Bizkit e altra roba nu metal.

Ma nella mia formazione musicale metal è stato importantissimo anche uno storico negozio di dischi della mia zona che purtroppo ha chiuso i battenti nel 2022, Star Music, da cui ho comprato per tanti anni una vagonata di album a prezzi scontati basandomi spesso sulle copertine soprattutto perché agli inizi non avevo Internet, fortunatamente azzeccandoci tante volte con questo sistema primitivo molto anni ’80. Però nel 2008 comprai da un Feltrinelli “American Punk Hardcore – Una Storia Tribale” di Steven Blush, libro per me fondamentale che ogni tanto leggo ancora adesso con piacere. Da lì ho cominciato non solo ad amare gruppi leggendari come Warzone, Siege, Dead Kennedys, Bad Religion, e altri ma anche a interessarmi sempre più di politica, di anarchismo, e quant’altro. Solo che all’epoca rimanevo fondamentalmente un metallaro ma con un occhio verso il punk (e pure verso l’oi!) tanto che il mio primo concerto è stato proprio a una serata accacì per vedere il gruppo fastcore di un mio amico, i Vermenara, e questo fra il 2009 e il 2010 presso, se non ricordo male, il CSOA La Strada di Roma.

Tuttavia la “trasformazione” da metallaro a punk è veramente iniziata nel 2019, quando, diventato finalmente vegetariano, ho cominciato a staccarmi a poco a poco dalla scena metal. Adesso infatti frequento solo quella punk e quella oi!, praticamente legate fra di loro, andando di quando in quando anche a eventi/serate affini come quelle di stampo reggae, di certo un genere più tranquillo ma comunque di base sempre attitudinalmente antisistema. In sostanza, ai concerti metal ci vado ormai rarissimamente perché non mi piace l’ambiente, molto lontano da me dal punto di vista attitudinale oltreché spesso troppo ingessato, troppo poco entusiasta e con un ricambio generazionale prossimo allo zero, almeno qui a Roma. Di conseguenza, è cambiato anche il mio look, da qualche anno ormai molto più sullo stile skin, quindi basta coi capelli lunghi e col chiodo nero, e vai di capelli cortissimi, scarponi Doc Martens, polo Lonsdale, coppola, bretelle e basette lunghe.

Suoni la chitarra in una band hardcore punk misto oi! chiamata le Quattro Lire Vigliacche: quindi puoi parlare con cognizione di causa anche al di là della barricata. Quali le maggiori difficoltà, oggi, per un gruppo come il vostro e quali invece le maggiori soddisfazioni sinora incamerate.

Sì, ci siamo formati nel marzo 2023 e abbiamo preso il nome dal discorso intensissimo di Gian Maria Volontè in “La classe operaia va in paradiso”. Il nucleo principale è formato da me (chitarra), Luca (voce) e Daniele (batteria) mentre c’è stato un viavai assurdo di bassisti fino a qualche mese fa, quando abbiamo finalmente trovato Raffaele, un mio amico, un chitarrista prestato al basso. In totale, lui è il nostro quarto bassista. Ecco, questa è stata la nostra più grande difficoltà, quella di trovare un bassista stabile ma anche adatto sia alle nostre idee che a noi in quanto persone.

Per questo per ora abbiamo fatto un solo concerto, precisamente il 22 giugno 2024 al CSOA Ex-Snia, dove abbiamo diviso il palco in una serata-benefit con gruppi quali 612 Comma 2, Anestesia, Rogo, Greve e, soprattutto, i Disforia, storica formazione crust punk abruzzese. E devo dire che è stato pure il mio primissimo concerto come musicista (o sedicente tale), quindi l’emozione era alle stelle prima di salire sul palco. Come inizio non è stato male ma ora, con Raffo, è nostra intenzione riprendere l’attività concertistica, e per questo, oltre a cercare nuove date, stiamo anche preparando dei pezzi nuovi, talvolta un po’ più estremi rispetto ai nostri soliti standard, in realtà piuttosto larghi.

Quindi sì, di base facciamo una via di mezzo fra l’hardcore punk e l’oi! in stile Nabat e Colonna Infame Skinhead ma con un sacco di influenze diverse, andando così dal crust al rock’n’roll e al black metal. Non ci piace l’immobilismo stilistico. Una delle maggiori soddisfazioni è proprio questa, cioè quella di esprimerci come pare e piace, senza troppi paletti mentali né preconcetti. E questa cosa è piaciuta anche al nostro primo e finora unico concerto, durante il quale c’è stato incredibilmente un bel pogo che sinceramente non mi aspettavo. Alla fine ci hanno chiesto addirittura il bis, urlandoci pure “FATE I NABAT!”, una specie di slogan che nella scena punk è praticamente immancabile, il che per me è stato un grande onore.

Ecco, il fatto di essere riusciti a far pogare un po’ di gente già alla nostra prima serata è stata un’altra bellissima soddisfazione. Ma la più grande è sicuramente quella di aver creato una band di amici. Ci vediamo infatti spesso, non solo per andare insieme ai concerti ma pure per berci una birra al pub, per cenare da qualche parte e altre cose. Insomma, c’è una grande unità fra di noi, nonostante i nostri caratteri molto diversi, e così si va da quello più sano di mente a quello più pazzerello. Sì, l’amicizia è la cosa più importante. Se manca quella manca tutto.

 

Timpani allo Spiedo

 

Dirigi inoltre una fanzine cartacea metalpunkoi! chiamata Timpani allo Spiedo, arrivata nel novembre 2024 al terzo numero. Come vanno le cose anche in quest’ambito? C’è seguito? Hai intenzione di non mollare anche per i prossimi anni in questo senso?

La storia di Timpani allo Spiedo è lunghissima ma, per farla breve, per tanti anni è stata una webzine, ancora comunque raggiungibile su Blogger (https://www.timpaniallospiedo.blogspot.com), ma durante l’estate del 2023 ho deciso di realizzare un mio vecchio sogno, cioè quello di farla diventare una fanzine cartacea vera e propria. Così nel novembre di quell’anno è uscito finalmente il primo numero. 50 copie numerate a mano in fogli A4, copertina e quarta di copertina a colori, tutto il resto in bianco e nero, per un totale di 60 pagine.

Ha riscosso un buon successo, anche grazie ai miei collaboratori, cioè Marina (che scrive anche per Punk4Free oltre a dirigere una pagina su Instagram/FaceBook chiamata The Undergrounder), Luca (voce dei miei QLV) e Francesco “Bazzu”, che già scriveva per la webzine e che in quest’occasione ha curato la parte grafica (suo infatti il logo) facendo anche dei disegni niente male, molto in stile fanza anni ’80. Stessi collaboratori, con in più Judah Altamont, autore dell’interessante volume autoprodotto “Hardcore Punk Giapponese 1980-89” uscito l’anno scorso, per Timpani allo Spiedo #2, pubblicato nel maggio 2024. Questo è il numero di cui vado più orgoglioso, visto che è il più lungo (72 pagine), e quindi ci siamo scatenati a offrire i contenuti più diversi, da un mio articolo sull’RABM (acronimo per Red and Anarchist Black Metal) a quello sul binomio cinema/metal scritto da Bazzu (che, per inciso, è anche il fondatore di una compagnia teatrale chiamata Sipario7 con cui rappresenta dei coraggiosi spettacoli, e quindi vi consiglio di seguirla se vi piace il teatro impegnato).

Eppure, paradossalmente, il successo è stato minore, tanto che delle 50 copie stampate me ne rimangono ancora 10. Infine, nel novembre 2024 è uscito il terzo e, per ora, ultimo numero, quello più breve (44 pagine). In verità l’ho pubblicato solo in digitale, e per questo è gratuito. Me lo sono anche stampato ma solo a titolo personale perché preferivo toccarlo con mano piuttosto che averlo soltanto come un freddo file digitale. Però ho avuto comunque nuovi collaboratori anche a questo giro, cioè Mary (che scrive pure per Punkadeka) e Lucmorart, un artista presente su Instagram che ci ha fatto un bel fumetto, cosa che volevo proporre già nel secondo numero ma allora non abbiamo avuto tempo per farla. Quindi, sì, c’è un seguito, anche se piccolo, ma devo dire che ora, sceso l’entusiasmo iniziale, non sono più particolarmente interessato a continuare l’esperienza cartacea. Forse prima o poi riprendo la webzine ma di sicuro non mollo la mia creatura visto che è attiva su Instagram e aggiorno regolarmente la sua pagina.

Elencami i più grandi gruppi punk hardcore di sempre, secondo te, motivando la tua scelta per ognuno.

Diciamo troppi per elencarli tutti e quindi, siccome non si finirebbe mai, ti nomino in ordine rigorosamente sparso i seguenti 10 gruppi, pur conscio di trascurarne un’infinità di altri che meriterebbero l’inclusione:

  • I Lärm perché senza la loro “Campaign for Musical Destruction” non sarebbe mai esistita buona parte del grindviolence.
  • I francesi Heimat-Los, gruppo originalissimo che aveva tutto: ferocia, tecnica, creatività, testi impegnati e profondi, perfino melodie orecchiabili. E cantavano pure in tante lingue diverse!
  • I Raw Power perché sono ancora oggi una forza inarrestabile. Tecnici ma martellanti, forse il gruppo italiano più amato dagli americani. E li ho pure visti spesso dal vivo!
  • I Wretched, forse invece il gruppo italiano più radicale degli anni ’80. Il loro “Chaos non musica” ha fatto scintille addirittura in Inghilterra. Così per dire.
  • I Septic Death perché erano ultraveloci, morbosi e darkissimi. E Pushead è un pazzo vero!
  • I Siege, fondamentali quanto i Lärm per le sorti del grindviolence. Ma con 2 differenze: sapevano suonare sul serio e avevano una canzone malatissima come “Grim Reaper”.
  • I Discharge perché hanno influenzato praticamente tutti (o quasi).
  • Gli Youth of Today, cioè brutalità hardcore a palate mista a positività straight edge. Strano ma vero!
  • I Dead Kennedys perché sono stati uno dei primi gruppi hc di sempre. E pure quello più geniale!
  • E i DRI perché sono stati importanti sia a livello punk che metal, dando fra l’altro un nome al movimento crossover con l’omonimo disco. Anche se erano mooolto meglio nella loro prima fase perché poi sono diventati fin troppo metallari per i miei gusti.

L’anno scorso sono andato a vedere i Discharge dal vivo… 

Mai visti dal vivo ma sappi che la loro compilation del 1984, “Never Again”, è stato uno dei primi dischi punk a far parte della mia collezione, ormai taaanti anni fa. Agli inizi sono stati un gruppo dal sound molto peculiare, capace anche di influenzare mezza scena svedese, da sempre una delle più grosse in Europa. E infatti i Discharge degli esordi li ho adorati un botto, specialmente grazie a canzoni come “Doomsday”,”Decontrol” o “State Violence State Control”, assolutamente gasanti quando ero un adolescente arrabbiato.

Solo che poi, a metà degli anni ’80, si sono dati al metal, come all’epoca stava andando di moda fra i gruppi punk, e così si sono praticamente sputtanati, perdendo in questo modo la loro identità. Fortuna che l’hanno capito quando si sono riformati e da lì sono tornati a fare quello che sanno fare meglio: colpire duro e veloce, senza pietà. Come piace a me. Insomma, sono stati indubbiamente molto importanti per la mia formazione musicale ma faccio sempre dei distinguo quando parlo di loro.

Restando in ambito punk hardcore Oi! qual è lo stato di salute della scena italiana?

Direi che è in gran fermento visti i tanti giovani e giovanissimi che ultimamente la stanno rinvigorendo con rinnovato entusiasmo come non succedeva da anni, tanto che hanno cominciato a organizzare con regolarità concerti fatti da loro per loro. Prendo ad esempio una serata a ingresso gratuito che si è tenuta recentemente al LOA Acrobax per ricordare Runi, il primo bassista degli Anestesia, purtroppo scomparso all’inizio del 2024 a soli 17 anni. In cartellone 3 gruppi emergenti tutti formati da gente di quell’età, cioè i Peroni e Pericolo (grande nome!), i Floema e, appunto, gli Anestesia.

I primi una formazione oi! al debutto dal vivo, i secondi fanno death/grind tecnico e già hanno un bell’album all’attivo, e i terzi i veri beniamini di casa, una forza hardcore che attira sempre un po’ di pubblico anche grazie a Gabbo, cantante carismatico coi controcojoni. Per farla breve, non ho mai visto così tanti giovan(issim)i in un solo concerto, e noi pochi “vecchietti”, me compreso, ci siamo goduti questa situazione, entrando pure nella mischia in un pogo a dir poco sfrenato. Penso che questo concerto abbia affermato in via definitiva la nuova scena hardcore romana, ormai una realtà consolidata, anche perché ha potuto esprimersi in un centro sociale grosso e importante come l’Acrobax. Ma lo stesso sta accadendo in altre parti d’Italia, come a Milano grazie a gruppi come i Narkan, bel quartetto chaospunk ultra politicizzato alla Wretched che sta facendo molto parlare di sé e che ho anche intervistato per il terzo numero della fanza.

Ormai parecchi di questi giovinastri li vedi anche suonare nei grossi festival punk. Nella mia città c’è il Marci su Roma e, soprattutto, il Questa È Roma, mentre a Ferrara il Distruggi La Bassa o a Bari il Bari Hardcore Fest. Insomma, da qualche annetto si parla di una rinascita della scena mondiale, cosa che si rispecchia anche in quella italiana ma devi considerare che stiamo vivendo tempi bui, sia localmente che globalmente. Pensa al dl (in)sicurezza 1660 che incombe minaccioso su tutti noi con la sua natura pericolosamente liberticida. Pensa al genocidio in Palestina. O pensa alla rielezione di Trump. Senza dimenticare il lockdown da Covid che ha dato una svegliata a tante persone, secondo me tutto questo fermento c’è perché lo richiedono, appunto, questi tempi bui, e l’hardcore reagisce sempre e DA SEMPRE alle stronzate che succedono nel mondo. Perché se gli togli la politica gli togli praticamente tutto.

 

Se beccamo ner pit!

 

Nel 2020 hai pubblicato tramite BandCamp “Se beccamo ner pit!”, mega-compilation sulla scena hardcore laziale. Avanti tu, Flavio…

Questo è un progetto che ho fatto insieme a Bazzu. L’idea mi è venuta praticamente poco dopo la fine del primo, terribile lockdown. Non si faceva niente, nessun concerto, nessun evento, la scena era praticamente morta, e così il mio obiettivo iniziale è stato quello di riunire in una sola compilation la scena hardcore romana ma ben presto ci si è allargati a tutto il Lazio.

Però è venuta fuori una cosa enorme, con 68 fra band e progetti vari, ognuno con un massimo di 2 pezzi a disposizione, con questi ultimi che a poco a poco sono diventati in totale ben 125. Una follia vera. Mi urge segnalare che al progetto hanno partecipato, con le loro band, anche delle persone che non ci sono più. Parlo di Claudia Acciarino dei xCaracox, vero pilastro della scena metalpunk romana grazie alle sue infinite iniziative, e di Stefano Mascia dei Defending Truth, entrambi scomparsi nel 2021. Doveroso ricordarli.

E veniamo ora nello specifico ai due libri “ufficiali” sinora da te vergati: “Benvenuti all’Inferno!” e “Più Veloce!”. Quali le differenze di realizzazione fra i due? Intendo: dopo la pubblicazione del primo e l’esperienza maturata hai cambiato qualcosa come approccio per il secondo?

Sì, l’approccio è cambiato molto da un libro all’altro. Per esempio, è cambiata la forma del linguaggio. In “Benvenuti all’Inferno!” è troppo da fanzinaro entusiasta, con troppi punti esclamativi, troppe parole in maiuscolo e con frasi troppo arzigogolate senza nemmeno una virgola. E senza trascurare pure qualche licenza poetica che sinceramente potevo anche risparmiare. In “Più Veloce!” invece il linguaggio è più asciutto, più serio, più “accademico” se vogliamo ma con qualche fiammata informale qui e là. Poi per il mio nuovo libro mi sono dato da fare subito con le interviste.

Il primo che ho intervistato è stato Tompa Andersson degli Asocial, poi ho continuato con altre 44 persone fra musicisti, discografici, fanzinari e vari addetti ai lavori. Grazie a loro, ho potuto comporre un libro pieno di fonti dirette, pieno di informazioni di prima mano, diversamente dal mio primo volume, per il quale volli proporre soltanto 3 interviste, 2 delle quali (quelle agli Holocausto e a SB Reder degli Schizo), le ho integrate, seppur in minima parte, anche nella nuova fatica. Ma il fatto è che per “Benvenuti…!” decisi di intervistare qualcuno soltanto a una fase già piuttosto avanzata del libro mentre per “Più Veloce!” non ho perso tempo perché ho cominciato a darci dentro con le interviste dopo qualche giorno averlo iniziato. E la qualità del lavoro secondo me ne ha giovato parecchio.

 

Più veloce!

 

Quali le maggiori difficoltà che hai incontrato per poterli realizzare? (ad es. gente che non risponde alle e-mail, gente che dice di sì e poi si volatilizza, mancato supporto dalle case editrici etc etc)

Gente che non ha risposto alle mail o che è immotivatamente scomparsa dopo aver detto di sì ce n’è stata eccome. Ma meglio così perché altrimenti il libro sarebbe stato ancora più lungo, altro che 536 pagine! Però ha rischiato comunque di esserlo perché la difficoltà vera ha riguardato come al solito il mio approccio alla materia. Se infatti per “Benvenuti…!” ho fatto una fatica immane a fermarmi, a dare una fine alla storia, per “Più Veloce!” mi è riuscito difficile trovargli non solo una struttura ma anche una lunghezza appropriata.

Nella sua prima stesura ogni capitolo corrispondeva a una biografia anche approfondita di questo o quel gruppo andando però spesso oltre l’arco temporale da me prefissato. Ma così facendo mi sono accorto che la cosa mi stava sfuggendo “leggerissimamente” di mano dato che avevo già sforato le 700 pagine e passa. Perciò a un certo punto ho deciso non solo di accorciare tutto questo delirio ma anche di sistemarlo in ordine cronologico dal 1982 al 1986, scrivendo così effettivamente una storia. Alla fine è uscito fuori lo stesso un mattone ma molto più presentabile, e quindi pubblicabile.

A posteriori, cambieresti qualcosa, potendolo fare, per entrambi?

Per il primo cambierei di sicuro una cosa: la casa editrice. Non entro nei dettagli ma con l’Officina di Hank mi sono trovato malissimo. Non è un caso che non sia più attiva. Per “Più Veloce!” invece non cambierei niente, anche perché, grazie all’Arcana, ho avuto totale libertà di espressione, proponendo pure una bellissima copertina, curata dal sempre affidabile Bazzu. Diciamo che, a forza di rileggere il libro dopo averlo pubblicato, al massimo sistemerei qualche errore di cui mi sono accorto recentemente. E, come già detto prima, aggiungerei qualcosa in più che ho scoperto da poco.

Citerei allora i newyorkesi The Catatonics (ultrafast hardcore metallico), gli svedesi Döden (noisecore spaccatimpani totalmente improvvisato) o i francesi Death Attack (noise metal velocissimo con il grande Laurent Ramadier, allora direttore dell’influente fanzine Decibel of Death e più avanti di Snakepit Mag). Oppure approfondirei roba soltanto accennata come i Sea Monkeys dallo Stato di Washington (noisecore malatissimo e iperfurioso sempre in blast) o il Novi Rock, festival jugoslavo dedicato alla musica alternativa giovanile che si teneva ogni anno a Lubiana e che nel 1986 si concentrò completamente sul prolifico hardcore punk locale, in un’edizione storica che vide come headliner nientemeno che gli Amebix. Ma il fatto è che questa tipologia di libri è virtualmente infinita perché salta sempre fuori qualcosa in più di cui parlare, e quindi “Più Veloce!” va bene così com’è.

Lo scarso patrimonio grafico che accompagna i due libri da cos’è causato? Soliti problemi di diritti e derivati?

I miei libri in realtà mi sembrano nella media per quanto riguarda il patrimonio grafico. Per dire, ci sono libri molto più grossi che praticamente hanno solo una decina di immagini in tutto. Tipo l’immenso “Post Punk” di Simon Reynolds, che nelle sue 700 pagine quasi di sole parole, fra l’altro scritte in caratteri minutissimi, è comunque figo. Però “Più Veloce!” ha rischiato veramente di essere sprovvisto di qualsiasi tipo di foto perché si pensava mancasse lo spazio per inserirle.

Ma poi si è finalmente riuscito a metterle, e così di comune accordo abbiamo scelto fra varie foto scattate da me ai concerti e altre mandatemi da quelli che ho intervistato. Ed ecco allora quello spazio centrale dedicato interamente alle immagini, fra foto di gruppo, flyer di concerti e quant’altro. Quindi no, nessun problema di diritti. Anche per “Benvenuti…!”.

Quali secondo te le migliori band Black Metal della storia e perché?

Dipende cosa intendi per black metal perché per me lo è in tutto e per tutto anche la first wave, che fra l’altro preferisco di gran lunga rispetto alla seconda per la sua indole più marcia e selvaggia, meno facilmente classificabile. E anche perché sono molto più legato alla prima fase del genere. Perciò beccati anche questa lista, sistemata stavolta in un ordine abbastanza cronologico:

  • I Venom perché sono loro che hanno dato un nome al black metal. Anche se “Welcome to Hell”, molto più dark del secondo album anche a causa dell’infimo livello di registrazione, è per me il loro vero capolavoro assoluto.
  • I Mercyful Fate per il look e il corpse painting di King Diamond. E anche perché la satanica maestosità delle loro composizioni sarebbe stata poi ripresa da buona parte della seconda ondata.
  • I primi Slayer, anche se molti di voi forse non sarete d’accordo ma al tempo un po’ di fanzinari li consideravano black metal. Erano oscuri, feroci ma tecnici allo stesso tempo, cosa rarissima all’epoca. E poi “Show No Mercy” è stato uno dei primi dischi metal della mia vita. Mi ricordo ancora le sensazioni provate mentre lo stavo mettendo nel lettore cd. Temevo sul serio che alla prima nota sarebbe uscito il Demonio da quelle casse! Quel disco aveva per me una vera aura maledetta, e questa cosa me lo rendeva ancor più affascinante.
  • Gli Hellhammer perché erano lercissimi e malatissimi. Molto più dei Celtic Frost che poi si sono venduti al glam.
  • I primi Sodom perché erano assurdamente caotici, barbarici e maligni. E del loro “Obsessed by Cruelty” preferisco ampiamente la versione messa in commercio dalla Steamhammer, molto più dedita all’ultraviolenza rispetto a quella della Metal Blade.
  • I Bathory perché nel 1987 erano glaciali come i Darkthrone nel 1992. Anche se in realtà è più vero il contrario.
  • I primi Mayhem, molto più goliardici e “cazzari” di quelli venuti dopo, un filino troppo seriosi per i miei gusti. Eppure, nonostante questa goliardia, “Pure Fucking Armageddon” è di una brutalità disumana. E poi ma quanto devi essere folle per pubblicare un disco con quella copertina?
  • I Sarcófago perché “INRI” è pura bestialità, tanto da porre direttamente le basi per il war metal.
  • E i Blasphemy perché dal vivo sono terrificanti e, soprattutto, perché SONO il war metal, stile da me amatissimo anche perché è non poco influenzato dal grind, ergo è di una violenza spropositata.

Ma andando oltre la first wave, amo da sempre 2 gruppi in particolar modo:

  • Gli stessi Darkthrone, capaci di innovarsi e cambiare pelle a ogni album senza deludere mai, con “Transilvanian Hunger” che occupa un posto privilegiato nel mio cuore appena lo ascoltai per la prima volta su cd quasi 20 anni fa.
  • Infine, i Bestial Warlust, altra band war metal, che hanno fatto solo 2 dischi ma che dischi! Uno più brutale dell’altro, entrambi suonati praticamente sempre e comunque in blast beat ma, nonostante questa apparente monodimensionalità, non mi hanno mai stancato grazie a una furia e a un caos impareggiabili.

 

Bestial Death, Poison, Ulm, Germany

 

Un tuo parere sui Poison, quelli di Ulm, da me recensiti non molto tempo fa su Truemetal…

Meritavano sicuramente una sorte migliore perché a fine carriera erano diventati non solo dei bei musicisti ma anche dei bei compositori. E questo è incredibile se si pensa che all’inizio erano di un marciume incontenibile, cosa che comunque mi è sempre piaciuta. Esemplare in questo senso il loro primo demo, “Sons of Evil”, tremendamente inascoltabile per via di una registrazione non esattamente brillante. E per non parlare delle doti tecniche, non proprio irreprensibili. Ma quel demo è stata anche una delle primissime testimonianze di un metal veramente estremo, ragion per cui è molto importante dal punto di vista storico.

 

Death SS

 

Tuoi pensieri e parole riguardo:

Death SS

Devo ammettere di non averli mai seguiti particolarmente, anche perché a un certo punto hanno preso una direzione molto modernista e industrial non tanto di mio gradimento. Tuttavia è innegabile che ricoprano un ruolo di primissimo piano nella storia soprattutto del metal italiano. Fondamentali le loro prime cose, come “Evil Metal”, una perla di metal dark e teatrale originalissima per l’epoca, vicina in qualche modo a quanto stavano allora facendo i Mercyful Fate.

Schizo

Per un amante dell’ultravelocità come me, “Main Frame Collapse” è un vero classico. Ma già a metà degli anni ’80 andavano a velocità così folli da poter gareggiare tranquillamente in brutalità con gruppi grind come Napalm Death e Repulsion. E ne sono veramente convinto.

Necrodeath

Per quanto mi riguarda, con “The Shining Pentagram” e “Into the Macabre” erano in anticipo sui tempi grazie a un black/thrash metal che emanava veramente un’atmosfera malvagia da fuoco e zolfo. Meno impressionante “Fragments of Insanity”, più carnale, più sul death metal, quindi meno atmosferico e suggestivo. Ma per “Benvenuti…?” ho avuto l’onore di intervistare telefonicamente Peso, che poi ho visto in azione nell’aprile del 2018, quando i Necrodeath sono venuti a suonare a Roma presso il Defrag, nell’unica volta che sono stato a un loro concerto.

 

Raven

 

Visto che hai scritto di amarli parecchio, vai di Raven…

Sì, li adoro. Perché i loro primi 3 dischi hanno veramente anticipato il thrash metal, soprattutto “Wiped Out”, per me l’album di metal classico più bello della storia. Solo che i Raven già andavano oltre il metal classico, e con il loro mix di velocità estrema, sperimentalismo, follia, tecnica e creatività hanno proposto ai tempi uno dei sound più originali non solo della NWOBHM ma proprio della scena mondiale. E venivano, anzi, vengono da Newcastle, che chissà per quale losco motivo ha tirato fuori molte delle band più dure e veloci della NWOBHM quali Satan, Avenger, Tysondog, Atomkraft, ovviamente i Venom.

E in un certo senso pure gli Hellanbach e i Battleaxe, altri velocisti lungocriniti che non erano di lì ma quasi visto che comunque vivevano nella stessa contea di quella città, che è la mia preferita quando si parla di vecchio metallo britannico. E ricordiamo che nelle vicinanze c’era pure la Neat Records, che lanciò tanti di questi gruppi, compresi ovviamente i Raven. Fra l’altro, un mio carissimo amico, Davide, sapendo del mio amore sfegatato per i Raven, qualche compleanno fa mi ha regalato quasi la loro intera discografia in cd, per la mia somma gioia. L’unica cosa che mi manca è quella di vederli finalmente dal vivo.

Cos’hai in cantiere per il prossimo futuro?

Tante idee sparse per la testa e l’intenzione di rimettere mano a “Benvenuti all’Inferno!” così da ripubblicarlo in qualche modo più avanti ma si vedrà.

Spazio a disposizione per chiudere l’intervista come meglio ti aggrada, Flavio. Grazie.

Che dire di più? Le tue domande sono state molto interessanti e mi sono divertito un sacco a rispondere. Quindi mille grazie a te per l’intervista! Ciao!

Stefano “Steven Rich” Ricetti

 

 

 

 

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