Death

Intervista Carcass (Bill Steer)

Di Davide Sciaky - 20 Settembre 2021 - 9:00
Intervista Carcass (Bill Steer)

Intervista a cura di Davide Sciaky 

Ciao Bill, Benvenuto su TrueMetal.it. Il vostro nuovo album, “Torn Arteries”, esce a circa un anno e mezzo dall’inizio della pandemia di COVID-19, quindi immagino che sia stato in larga parte, se non per intero, scritto e registrato in questo periodo. Quali sono state le sfide del fare un disco in questa situazione?

A dire la verità abbiamo completato l’album diversi mesi prima dell’arrivo della pandemia.
Sono passati circa due anni da quando abbiamo completamente finito i lavori su questo disco.

 

Quindi è stato rimandato a causa della pandemia?

Sì, l’etichetta non si sentiva fosse il caso di pubblicare l’album senza la possibilità per noi di andare in tour a promuoverlo. Ovviamente per noi è stata un po’ una delusione, ma capiamo il loro ragionamento. Non volevano correre un rischio, quindi alla fine hanno deciso di cambiare i piani che avevamo e di far uscire prima l’EP [“Despicable”] e per l’album hanno deciso di aspettare fino a che le restrizioni non si fossero allentate e non fosse diventato nuovamente possibile tornare a suonare dal vivo.
Quindi eccoci qui!

 

Com’è funzionata questa cosa, siete stati semplicemente in attesa che vi dessero il via, o c’è stata una conversazione attiva tra band ed etichetta sul da farsi?

Sai, io non sono molto coinvolto in queste cose perché, come succede per la maggior parte della band, c’è un membro che si occupa di tutti i rapporti con l’etichetta, e nel nostro caso questa persona è Jeff [Walker]. Di fatto lui è il nostro manager, quindi si occupa di molte cose dal lato commerciale ed è amico di diverse persone dell’etichetta.
Penso che quello che è successo qui è che ci hanno semplicemente detto, “Questo è quello che vorremmo fare” e noi non abbiamo neanche pensato di discutere la cosa perché se avessero fatto qualcosa che non li convinceva sarebbero finiti a fare un lavoro peggiore. Avremmo potuto provare a pressarli e dire, “Guardate, noi vogliamo che l’album sia pubblicato ora”, ma penso che avrebbero promosso il disco con lo stesso entusiasmo se gli avessimo forzato la mano in questo modo.
Ci siamo rassegnati a questa situazione, e sapevamo di non essere l’unica band in questa situazione, quindi non siamo neanche stati tanto a piangerci addosso, si tratta semplicemente di un fatto della vita come tutto quello che abbiamo passato nell’ultimo anno e mezzo.
E’ bello vedere che finalmente il disco sta per uscire, è un po’ strano ma davvero una bella sensazione.

 

Questo è il vostro primo album registrato con Tom Draper alla chitarra, e da quello che mi hai appena detto l’avete registrato meno di un anno dopo il suo ingresso nella band. Com’è stato lavorare con lui in studio?

Questa è un’altra cosa dove capisco che possa esserci confusione perché è un po’ che suona dal vivo con noi, ed è in molte foto con noi, ma lui non è presente sull’album.
Abbiamo registrato questo disco come un trio, esattamente com’è successo con “Surgical Steel”. Questo è sempre stato il piano, perché ci sentiamo di lavorare al meglio in studio come un trio. Quando si tratta del contesto live, certo, abbiamo bisogno di un secondo chitarrista perché ci sono molte parti della nostra musica dove si sovrappongono due chitarre, tante armonizzazioni, tante variazioni in quello che succede tra canale destro e sinistro. Dal lato creativo però sarebbe chiedere quasi l’impossibile dire a qualcuno che è entrato nella band da qualche mese di diventare un membro alla pari creativamente. Voglio dire, io e Jeff suoniamo insieme dagli anni ’80 e abbiamo idee molto decise e definite di cosa suona giusto per i Carcass.
Se porti dentro una persona che fino a molto recentemente suonava uno stile di musica diverso con un’altra band e che è cresciuta ascoltando musica diversa, questo potrebbe davvero alterare il risultato. Ci piace poterci focalizzare in questo modo e per ora lavorare come un trio in studio sembra la mossa giusta per noi.

 

Sono alcuni giorni che ascolto l’album e una cosa che mi piace del disco è che suona esattamente come un potrebbe sperare e aspettarsi dai Carcass del 2021. Come vi siete approcciati al songwriting, e avevate degli obiettivi specifici con questo album?

Direi che non c’erano degli obiettivi precisi, voglio dire, non c’è niente che abbiamo discusso ad alta voce tra noi tre, ma c’era un sottointeso che avremmo fatto un album diverso da “Surgical Steel”.
Innanzitutto perché siamo sempre stati una band che fa un nuovo disco allontanandoci da quanto fatto con quello precedente, è un fatto assodato ormai con questa band. Poi abbiamo suonato dal vivo così tanto tra i due album che questo ha avuto inevitabilmente un’influenza sul songwriting, cambia il materiale che scrivi, cambiano le dinamiche: per me questo disco è molto più vario dal punto di vista delle dinamiche rispetto al precedente.
Ci sono delle cose fuori di testa, dei momenti davvero intensi, ma c’è anche musica che… be’, semplicemente c’è molto più spazio nel sound, e forse un po’ più di musicalità.
Per quanto riguarda l’approccio non direi che c’è qualcosa di davvero diverso perché scriviamo sempre nello stesso modo: entriamo in studio con dei riff, ci lavoriamo su tutti quanti, e a volte una canzone viene completata molto in fretta, altre volte ci vogliono un po’ di prove per arrivare al risultato, ma abbiamo sempre lavorato in questo modo. Non penso che potremmo mai scrivere a distanza “per email” come fanno alcuni gruppi.

 

Una delle canzoni che ha attratto di più la mia attenzione, e penso che non sarà una sorpresa, è “Flesh Ripping Torment Limited”. Questa è la canzone più lunga della vostra carriera ed include vari momenti interessanti ed inaspettati tra melodie e parti atmosferiche. Come è nato questo brano?

Era un pezzo di musica che tenevo da parte da un po’. Non era assolutamente una canzone finita, ma era una parte abbastanza consistente da portarla in sala prove e chiedere agli altri, “Sentite, cosa ne pensate?”. Sapevo che sarebbe stata una canzone un po’ più lunga a causa di come le cose erano arrangiate all’inizio. Ci sono lunghi passaggi di musica, parecchi cambi prima della prima ripetizione; normalmente in questo tipo di musica le ripetizioni sono parecchio rapide, quindi sapevamo di star lavorando su qualcosa che aveva una dimensione un po’ maggiore del solito.
E’ cresciuta ancora più di quanto ci saremmo aspettati e all’improvviso è diventata lunga 9.45 minuti o quello che è. È stata una sfida molto divertente per noi.
Normalmente bastano tra i 3 e i 5 minuti per esprimere quello che vuoi dire; questa è una buona durata per la musica Rock in generale. Ma ogni tanto ci sta allungare le tempistiche e vedere se riesci ancora a creare qualcosa di efficace, anche se mettendoci molti più ingredienti, e mantenere viva l’attenzione della gente un po’ più a lungo. Il tempo ci dirà se quest’esperimento ha funzionato [ride].

Penso che tutti i fan dei Carcass saranno felici di sentire che sei stato più coinvolto nelle parti vocali rispetto all’album precedente. C’è stato qualche motivo particolare per questa tua maggior presenza dietro al microfono su “Torn Arteries”?

È stata un’idea di Jeff, più che altro. Io ho messo subito in chiaro che ero aperto a tutto, e che se avesse voluto che cantassi di più sarei stato più che felice di farlo.
Una cosa che devo specificare è che anche Dan[iel Wilding] ha contribuito molto alla voce, quindi a volte puoi sentire tre voci insieme; la sua voce è molto bassa, quindi in alcuni momenti è difficile dire chi è che sta cantando, se devo essere sincero [ride].
Questo è decisamente l’album su cui abbiamo dedicato più attenzione alla registrazione delle voci in un album dei Carcass. Questa è stata la nostra intenzione da subito, perché penso che Jeff ritenesse di non essere stato abbastanza valorizzato sugli album precedenti. Con il tempo che ci vuole per registrare le chitarre ritmiche, perché ce ne sono così tante, ce ne sono sempre almeno quattro in ogni dato momento, quello consuma molto tempo in studio. Non sto dicendo che la voce sia messa in secondo piano, ma a volte forse è stata registrata un po’ troppo velocemente.
Comunque sia, questo non è stato il caso con “Torn Arteries”.
Abbiamo dedicato molto tempo ed energie alla registrazione delle voci, e Jeff aveva molte idee, cose che voleva farci provare.

 

La copertina è particolare a dir poco. Il cuore ovviamente rimanda alle vostre copertine passate, e ai vostri testi, ma la sua realizzazione si allontana molto dalle classiche copertine Death Metal. Chi ha avuto questa idea?

Questa è una buona domanda. Penso che quello che hai detto sia proprio una grossa parte dell’idea alla base della copertina, questo fatto di avere un artwork che non fosse una generica, “facile” copertina Metal classica.
Direi che questo è stato probabilmente in parte alla base dell’idea, ma non posso dirtelo con certezza perché questa è stata una collaborazione molto stretta tra l’artista polacco che ha concretamente realizzato la copertina e Jeff. Dan ed io eravamo per lo più all’oscuro di quanto stessero combinando e ci è stato presentato il lavoro finito quando avevamo quasi completato il disco. Si è trattato semplicemente di un, “Vi va bene questa copertina, ragazzi?”.
Sì, certo, e da lì avrebbe dovuto essere tutto in discesa ma, ovviamente [ridacchia] la data di uscita non è andata esattamente come avrebbe dovuto.

 

Qual è stata la tua reazione quando hai visto la copertina per la prima volta?

Penso che fossi piuttosto sorpreso perché è così diversa, ed in un certo senso è vistosa. Voglio dire, non solo per i colori così vividi, ma soprattutto per lo sfondo così bianco. Non è stato uno shock completo, sapevamo che Jeff avrebbe fatto qualcosa di particolare e ci andava bene perché volevamo che l’album risaltasse il più possibile.
Sembra aver polarizzato molto le opinioni, abbiamo sentito molta gente dire cose molte negative [ridacchia] ma c’è anche gente che dice esattamente il contrario e che pensano che sia figa una copertina così diversa.

Sì, sicuramente una copertina così risalta quando la vedi nello scaffale di uno negozio, magari in mezzo a tante copertine scure e più classicamente Death Metal.

Esattamente.

 

Spostandoci per un momento ad un’altra band con cui hai suonato, la prima volta che ti ho visto dal vivo è stato con gli Angel Witch, un concerto fantastico. Hai suonato con il gruppo solo dal 2010 al 2013, come mai questa collaborazione si è interrotta dopo così poco tempo?

È stata unicamente una questione logistica: è stato bello suonare con quella band, ma sapevamo che non avrebbe potuto durare per sempre perché presto o tardi sarebbero saltate fuori delle sovrapposizioni tra i concerti degli Angel Witch e dei Carcass.
Ovviamente per me i Carcass sono sempre stati la priorità; quindi, quando ho visto che ci sarebbero state complicazioni da questo punto di vista glie l’ho detto. Loro hanno trovato in fretta un altro chitarrista, è venuto a casa mia così ho potuto aiutarlo a prepararsi per le prime prove con gli Angel Witch.

 

Parlando di un altro tuo progetto che ho sempre amato, i Firebird sono un gruppo che ha mostrato un lato completamente diverso di te, musicalmente. La band si è sciolta circa 10 anni fa, pensi che i Firebird possano tornare in circolazione in futuro?

Sì, assolutamente, mi piacerebbe molto!
Nell’ultimo paio di anni ho scritto alcune canzoni; quindi, posso dirti che sicuramente quello è una parte di me che è ancora viva e che mi piacerebbe esprimere di nuovo. Si tratta solo di capire come fare, chi potrebbe suonare sul disco e via dicendo.
Ma, sì, penso che sia arrivato il momento di affrontare di nuovo quella sfida. E devo dirti che i Firebird mi sono mancati. Suonare dal vivo come trio è un ottimo modo per tenersi in esercizio come musicista, con quel sound non troppo distorto c’è molto spazio per improvvisare. E poi sei molto esposto! Devi essere presente al 100% in ogni momento, non puoi perdere la concentrazione perché se sbagli qualcosa lo noteranno subito tutti [ride].

Questa è un’ottima notizia, e penso che oggi sia un ottimo momento per suonare in una band come i Firebird. Negli ultimi anni c’è stato molto interesse in questo tipo di sound con band come Kadavar e Graveyard; quindi, sicuramente trovereste facilmente un pubblico interessato.

Sì, potresti aver ragione. Oggi è sicuramente un momento migliore per questo tipo di musica rispetto a quando abbiamo iniziato a suonare con i Firebird. All’epoca non sembrava il momento giusto per questo tipo di musica. Voglio dire, era quello che noi volevamo suonare, ma allo stesso tempo potevamo percepire che non ci fosse molto pubblico per quella musica.
Sai com’è, a volte devi fare un passo indietro e lasciare che la natura faccia il suo corso. Io ho sempre pensato che uno debba suonare quello che gli dice l’istinto; se cominci ad inseguire i desideri del pubblico le cose possono diventare confuse perché finisci per cercare quasi di psicoanalizzare la gente per dargli ciò che vogliono, ma in questo processo finisci per perderti e non fai più musica sincera.

 

Tra la Brexit e il COVID-19, nel prossimo futuro sarà decisamente difficile andare in tour per una band inglese. Avete dei piani per promuovere “Torn Arteries”?

Per quanto riguarda piani concreti abbiamo molto poco perché in questo momento tutto quanto è molto incerto. Ovviamente se le cose continueranno come stanno andando ora, e le restrizioni continueranno a diminuire, sicuramente suoneremo di più e questo sarebbe fantastico.
Al momento però abbiamo pochissimo di confermato: c’è un concerto nel nord dell’Inghilterra, il Damnation Festival, a novembre, e poi un paio di festival in Europa, forse uno anche negli Stati Uniti, per l’estate prossima.
Vedremo, io cerco di non pensare troppo in là. Sarebbe fantastico se tutto andasse come da programma, ma al momento viviamo giorno per giorno.
La cosa più importante ora sarebbe poter tornare in sala prove per rimetterci in forma, perché è passato un sacco di tempo dall’ultima volta e saremo arrugginiti [ride].

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