Intervista Dark Lunacy (Mike Lunacy)
I Dark Lunacy stanno per fare il loro ritorno live, con due imperdibili date (qui i dettagli), per festeggiare i venticinque anni di “Devoid”, il seminale debut album della formazione emiliana. Noi di Truemtal.it abbiamo colto l’occasione al balzo e abbiamo contattato Mike Lunacy per celebrare a dovere “Devoid” e per scoprire cosa stia bollendo in casa Dark Lunacy. Non rimane che augurarvi buona lettura!
Intervista a cura di Marco Donè
Ciao, Mike! Sono Marco di Truemetal.it, è un vero piacere riaverti ospite sulle nostre pagine. Come stai?
Ciao Marco, un saluto a te e alla magnifica redazione di Truemetal. Leggendovi da tanti anni ed avendo avuto l’onore di essere stato diverse volte vostro ospite, il piacere di ritrovarvi è carico di un grande affetto. Nonostante il tempo implacabile soffi impetuoso e inesorabile sulle nostre vite, l’essere sempre in battaglia, mi fa sentire estremamente bene.
I Dark Lunacy stanno per festeggiare un evento importante: il venticinquesimo anniversario del debut album “Devoid”, un disco fondamentale per te e per gli stessi Dark Lunacy. Che emozioni stai provando?
Sono emozioni forti caro Marco… molto forti. Considero “Devoid” il miglior disco dei Dark Lunacy, non tanto in termini compositivi, ma perché “Devoid” è stato l’inizio della nostra storia. Il disco che ci ha aperto la strada, consentendoci di vivere un’esperienza unica. Una di quelle esperienze che ti lasciano il segno indelebile di una vita vissuta nella sua pienezza.
“Devoid” è a tutti gli effetti un gioiellino del metallo europeo, un album che vi ha subito regalato tantissime attenzioni. Venne addirittura coniato il termine dramatic death metal per descrivere il vostro stile. Ti va se proviamo a ricordare assieme il disco? Ti andrebbe di raccontarci come nacque “Devoid”, quali i temi trattati, quali erano le vostre aspettative dell’epoca e, perché no, qualche aneddoto di quegli anni, magari ancora non rivelato?
Prima di addentrarmi in “Devoid”, è necessario fare un passaggio a ritroso, che ne anticipa la genesi: nel 1998 conobbi Enomys, al secolo Simone Ferrari, e con lui iniziò la storia dei Lunacy. Una volta trovata l’intesa artistica tra di noi, producemmo un EP dal titolo “Silent Storm” e successivamente un secondo EP intitolato “Serenity”. Già con “Silent Storm” iniziarono ad arrivare le prime attenzioni da parte di pubblico e critica, mentre con “Serenity”, oltre a forgiare definitivamente in nostro stile, diventammo anche una vera e propria band. Enomys chitarre e pianoforte, Mike Lunacy voce, Harpad (Bernard Boggia) al basso e Baijkal (Luigi Berti) alla batteria.
In “Serenity” l’inserimento di un vero quartetto d’archi, unito alle aperture melodiche di una corale, portò la band a fare un ulteriore passo verso quella che sarà la nostra identità negli anni a venire. In “Serenity”, così come in “Silent Storm”, sono presenti i brani che andranno a confluire appunto in “Devoid”, poiché con questi due EP riuscimmo a firmare il primo contratto discografico e da lì iniziammo il nostro cammino.
Come dicevo, “Devoid” rappresenta l’inizio di tutto, soprattutto a livello umano, ma scendendo nei dettagli prettamente artistici posso dirti che considero questo album uno dei passi compositivi più importanti della nostra storia. Ogni brano è in equilibrio costante tra l’audacia degli esordi e la spregiudicatezza dei vent’anni, ma sempre con quel briciolo di maturità in grado di calibrare le forze a fronte di un progetto che non doveva emozionare solo gli esecutori, ma anche essere un vero e proprio prodotto discografico. Il risultato finale andò ben oltre le nostre aspettative e da lì tutto ebbe inizio. Riguardo al ricordare aneddoti particolari, direi semplicemente che i vari episodi di quel tempo possono concentrarsi in un unico aneddoto: l’insieme delle esperienze fatte durante i mesi di registrazione dell’album. L’impresa di unire un quartetto d’archi e un coro sinfonico alle sonorità death metal, con l’inesperienza di allora, ci regalò ogni giorno momenti indimenticabili. Bisogna infatti tener presente che venticinque anni fa, anche se la tecnologia aveva già fatto il suo ingresso negli studi di registrazione, alcune cose erano ancora agli albori e per noi assolutamente sperimentali. Mescolare i suoni fragorosi del metal con le melodie della musica classica oggigiorno è una cosa abbastanza gestibile. Ma venticinque anni fa, appunto, ci dovemmo inventare uno stile di ripresa quasi da zero e – passami il termine – innovativo. Un’autentica impresa che alla fine ripagò tutti i nostri sforzi. Ovviamente questo fu possibile anche grazie all’importante contributo economico della nostra casa discografica, la quale ci permise di fare il salto di qualità. All’epoca, infatti, era il fatidico “contratto discografico” che permetteva alle band che riuscivano ad ottenerlo di salire al livello superiore.
Una cosa che mi ha sempre colpito di “Devoid” è il legame indissolubile tra musiche e copertina. L’immagine raffigurata in copertina trasmette delle sensazioni fortissime: eleganza, decadenza, poesia, arte. Elementi che ritroviamo in ogni singola traccia di “Devoid”. Condividi questo mio punto di vista? Ti andrebbe di parlarci di come nacque l’idea di quell’immagine?
Parlavo di questo proprio l’altro giorno con Jacopo, bassista della band ed impareggiabile compagno di viaggio da molti anni, il quale in poche parole ha descritto “Devoid” non come un disco musicale, ma come un’opera teatrale, capace di unire musica, narrazione ed immagini. Ed è con questo spirito che già allora decidemmo di presentarci al mondo. Questo significò mettere in campo non solo il massimo impegno in studio di registrazione ma coinvolgere le tematiche dei testi, dando loro una rappresentazione narrativa attraverso immagini mirate. L’idea della copertina, poi, fu un colpo di genio di Enomys, il quale diede lo spunto al grafico dettandogli gli elementi che potessero unire in una sola immagine quello che era racchiuso in questo disco: poemi dal devastante trasporto emotivo, innalzati dalle melodie ma sempre e comunque ingabbiati nell’intimità e nella solitudine di colui che si sarebbe messo all’ascolto. Come a dire: siamo i Dark Lunacy e in questo album troverai anche un po’ di te stesso. Troverai la malinconia che non puoi soffocare, le fragilità che non puoi raccontare e la speranza che nel profondo del tuo cuore continua a bruciare, nonostante tutto.
“Devoid” è uscito nel 2000, un periodo importantissimo per la musica dura italiana, e non solo. Sono stati anni di fermento, di sogni, di passione. Un periodo in cui l’universo metal era tornato alla ribalta, ottenendo consensi e immettendo nel mercato prodotti di qualità e personalità. Tu hai vissuto in primissima persona quegli anni, sia come artista, che come fan. Se ripensi a quel periodo, quali sono le differenze più evidenti rispetto all’epoca attuale?
Credo che la differenza sostanziale tra quel periodo e i giorni nostri sia l’atteggiamento artistico. Oggi abbiamo musicisti tecnicamente strepitosi ma con poche idee. Una sorta di omologazione al nostro tempo che, frenetico, marcia in avanti senza lasciarti nemmeno l’istante di una pausa, di un respiro che ti consenta di contemplare quello che hai intorno, che stai vivendo. Ecco quindi che tutto quello che stai ascoltano oggi, domani sarà già dimenticato. E via, a tutta velocità, per rimanere sulla cresta dell’onda. Un disco dopo l’altro, contenuti per Facebook, storie per Instagram, attività sul web non più lunghe di quindici secondi, altrimenti chi guarda perde l’attenzione… e avanti tutta. Ecco: credo che questo si rifletta nelle produzioni musicali di oggi. Ritmiche iper-tecniche, iper-veloci, tutte con lo stesso suono perché oggi il mercato richiede questo tipo di approccio. Produzioni plasticose, senza dinamica. Attitudini smisurate ma con il talento barattato per l’uniformità d’intenti. Insomma, quel che basta per essere dimenticato nella manciata di un centinaio di “like”. Non a caso gli headliner dei grandi eventi di oggi sono band che erano famose quarant’anni fa. Questo perché negli ultimi vent’anni non c’è più stato nessun produttore che ha continuato a pensare con il cuore e a cercare il talento. E quelli che lo hanno fatto hanno trovato solo delle porte chiuse in faccia, colpevoli di non cavalcare l’esigenza di mercato. Una volta il metal era una musica che ti dava una visione alternativa. Oggi ha lo stesso pathos della musica da talk show. Ed è per questo che è ancora più avvincente rimanere in battaglia.
E Mike Lunacy? Quanto è cambiato da allora?
Credo che Mike sia cambiato nel modo in cui affronta la vita. Sicuramente in modo molto più consapevole e meno spregiudicato. Ma nella sostanza è rimasto sempre quello di un tempo. Gli anni scorrono veloci e navigando nell’oceano della vita non sempre si riesce a tenere il timone a dritta con la stessa determinazione dei vent’anni. Ma la voglia di continuare il viaggio è ancora ben radicata in me. Questo non vuol dire essere migliori, anzi… a volte sentirsi fuori dal tempo può darti un senso di solitudine piuttosto pesante, ma la magia sta proprio in questo. Quando mi sento solo prendo carta e penna e inizio la stesura di un nuovo brano. Un circolo vizioso forse… ma che a me piace chiamare “virtuoso”.
Tornando a “Devoid”… C’è un pezzo del disco a cui sei particolarmente legato? Se sì, perché?
In verità posso dirti che ogni canzone porta dentro un mezzo del Mike. In sostanza sono i periodi storici che attraverso ad aumentare l’affetto che ho per loro, a seconda del mio sentire interiore di quel momento, perché quando li ho scritti ho messo dentro ad ognuno di loro un messaggio preciso. Una sorta di preghiera da infilare nella bottiglia e consegnare alle onde. Quando vivo un periodo malinconico, ascolto ‘Fall’, ‘December’, ‘Frozen Memory’, ‘Time For Dacay’. Quando vivo momenti in cui il mio cuore batte ancora di passione, ascolto ‘Varen’ka’, ‘Cold Embrace’ e ‘Take My Cry’. Quando vedo il mondo andare in frantumi, ‘Stalingrad’ e ‘Forlorn’… e quando mi sento perso ma felicemente innamorato di questo mio vagare, ‘Dolls’.
Che emozioni sai evocare, Mike… A febbraio sarete protagonisti di due date speciali, nate proprio per festeggiare i venticinque anni di “Devoid”. Cosa dobbiamo aspettarci da questi due eventi? Puoi anticiparci qualcosa?
Credo che saranno due concerti davvero speciali. Talmente speciali che, spero tu possa perdonarmi, mi vincolano al silenzio stampa, proprio perché il bello di questi due show sarà quello di sorprendere, rivivere una storia unica, emozionarsi e… una volta tornati a casa, averla nel cuore per molti anni a venire.
Potrebbe esserci un cammèo di qualche vecchio componente dei Dark Lunacy?
Al momento non è previsto nessun cammèo… ma i rapporti cordiali con alcuni componenti storici che hanno militato nei Lunacy non sono mai venuti meno.
E adesso la domanda è quasi d’obbligo… Come sono i rapporti tra te e Enomys? È utopia pensare in un vostro ricongiungimento artistico?
Se volessimo immaginare i Dark Lunacy degli albori come un germoglio che aspettava di sbocciare, potrei dirti che in quel tempo l’ispirazione del Mike fu acqua ed aria, mentre il lavoro di Enomys fu terra e fuoco. Ognuno complementare all’altro in tutto e per tutto. Poi venne il tempo della separazione, e non fu facile. Tuttavia, anche questo faceva parte della vita e della sua imprevedibilità. È giuso quindi non rimpiangere niente di allora e capire che le cose dovevano andare così. Dovevamo attraversare in nostri momenti, ognuno per proprio conto. Poi, come tutte le cose che hanno radici e sostanza, passate le stagioni più fredde, ritorna tutto alla vita. Tutto questo per dirti che proprio ieri eravamo insieme nello studio di casa sua, a berci un raffinatissimo Lagavulin invecchiato sedici anni e a parlare di tantissime cose.
Questa è una super notizia! E quindi? Quali sono i progetti futuri dei Dark Lunacy? A quando un nuovo disco? “The Rain After the Snow” risale ormai al 2016…
Quello che posso dirti in questo momento è che l’anniversario di “Devoid” è un’ottima base di partenza per rimettersi in gioco. Riprendere le attività con la band, dopo tanto silenzio, ci sta enormemente motivando sotto tanti punti di vista. Non è quindi da escludere che presto ritorni la voglia di mettersi al lavoro per scrivere un altro capitolo della nostra storia.
Mike siamo arrivati alla fine della nostra intervista. Ti ringrazio per la disponibilità e il tempo dedicatoci. Lascio a te le ultime parole, per un saluto ai nostri lettori.
Rinnovo i miei ringraziamenti a te e alla redazione per l’opportunità che mi avete dato nel poter tornare a parlare di Dark Lunacy. Mando un forte abbraccio a voi e a tutti i lettori di Truemetal, con la speranza di vederci presto on stage per uno spettacolo che, attraverso immagini e musica, vi racconterà chi erano, chi sono e quello che rappresenta Dark Lunacy.
Marco Donè