Intervista Dark Lunacy (Mike Lunacy – Jacopo Rossi)
Pochi giorni dopo l’uscita di The Rain After the Snow, nuovo album degli storici Dark Lunacy, abbiamo avuto l’opportunità di scambiare due chiacchiere con Mike Lunacy e Jacopo Rossi. Dopo aver curato la recensione del disco (che potete trovare cliccando qui), il nostro Marco Donè è stato mandato in missione.
Eccovi il resoconto di una piacevole chiacchierata in cui le sorprese non sono mancate.
Intervista a cura di Marco Donè
Ciao Mike, ciao Jacopo, sono Marco, benvenuti su TrueMetal.it. A due anni di distanza da The Day of Victory tornate con un disco nuovo, caratterizzato da una lineup rinnovata. Che cos’è successo in casa Dark Lunacy?
(Mike) Allora guarda, in realtà è molto semplice. In un gruppo devi coadiuvare la voglia di far musica con il saper stare insieme. Da questo punto di vista è sempre andato tutto bene. I primi problemini iniziarono con l’idea di fare The Rain After the Snow, un disco che comportava il dover rimettere in gioco la band per andare a ricercare quelle sonorità alle quali stavo pensando da tempo. Fare, cioè, un ritorno al passato, ma con la veste attuale, con quello che la band ha saputo fare in questi anni. Dopo aver espresso a tutti la mia volontà di ritorno alle origini, la prima persona che presentò delle idee musicali concrete fu Jacopo. Dalla prima reazione che ebbero gli altri membri nei confronti di quelle note, compresi che loro, sebbene membri dei Dark Lunacy da cinque anni, non avevano capito l’essenza della band. Mentre per me, quelle note, erano la perfetta incarnazione di quello che avevo richiesto, a loro non sembrava un materiale inerente alla storia dei Dark Lunacy. Chiesi quindi a Jacopo di lavorare su qualche altro pezzo, così da fargli cavalcare quell’onda d’ispirazione che avevo percepito nella prima bozza, e lui presentò altri brani. Dopo aver ascoltato i primi provini scritti da Jacopo, di quello che per intenderci sarebbe diventato The Rain After the Snow, Daniele e Alessandro hanno ritenuto che un disco di questo tipo sarebbe stato, e qui cito testualmente, “un clamoroso autogol”. Di conseguenza, alla mia volontà inamovibile di perseguire un percorso che avevo ormai ben chiaro in testa, i ragazzi hanno ritenuto di non far più parte dei Dark Lunacy e se ne sono andati. La decisione è stata condivisa poiché forzarli a fare qualcosa che non sentivano nelle loro corde sarebbe stata una perdita di tempo per tutti. Non è stato bello, nè semplice. Abbiamo trascorso tanti anni assieme, ci sono tanti ricordi, però per me si era nuovamente presentato il momento in cui decidere cosa fare con la band. Siccome, volente o nolente, giusto o sbagliato, è da quasi vent’anni che la porto in giro, quello che avevo in testa dovevo per forza perseguirlo e siamo arrivati alla scissione con l’ingresso di due nuovi elementi: Davide Rinaldi (chitarra) e Marco Binda (batteria), con i quali oggi ho ritrovato grande serenità. Ovviamente non rinnego nulla del passato, tengo a sottolinearlo, però questo percorso, ora, mi sta dando molte soddisfazioni.
La nuova lineup dei Dark Lunacy
Sbaglio o questa rivoluzione interna sembra abbia portato nuovi stimoli in seno alla band?
(Mike) Assolutamente sì. Ci sono due fattori: il primo è sicuramente lo stimolo di lavorare a un progetto che sento molto e questo mi dà tanta energia. Poi, non secondario, anche se apparentemente potrebbe sembrarlo, c’è anche la logistica che ci ha permesso di affinare meglio l’armonia interna. Prima eravamo una band con elementi che arrivavano da lontano. Era difficile trovarsi, difficile provare. Fare le prove non è solo esercitarsi, eseguire il pezzo, è anche guardarsi negli occhi. Sai anche tu che non c’è niente di meglio di un confronto a quattr’occhi con le persone. Okay, ci sono le mail, i messaggi, whatsapp, però un contatto vero è molto più produttivo, è lì che crei il feeling. Adesso, invece, Davide Rinaldi abita a 30 km da casa mia, Marco è di Voghera e noi ci troviamo a provare a Piacenza, Jacopo abita lì. Questo consente di vederci molto più spesso e, mentre ci esercitiamo sui i pezzi, si fa squadra.
(Jacopo) Come dice Mike la vicinanza è stata un elemento molto importante, soprattutto per me, per poter realizzare l’idea di disco che avevo in mente. Ai fini di una resa ottimale e naturale della registrazione volevo che la band si presentasse in studio con i pezzi ben metabolizzati, macinati in ore ed ore di prove, soprattutto perché, avendo scritto in prima persona tutte le parti, dovevo lasciargli il tempo di interiorizzare tutto. Purtroppo sembra una banalità ma non la è! Negli ultimi anni ho registrato diversi dischi con diverse band e il trend è sempre stato quello di registrare le parti in studio e solo successivamente di provare i pezzi in saletta per portarli dal vivo. Questa metodologia non consente di conferire alla registrazione quel senso di naturalezza che la musica dovrebbe avere e quindi, per un mese e mezzo, abbiamo fatto delle prove molto intense, che prendevano tutta la giornata. La ciliegina sulla torta di tutto questo processo è stata la maestria di Fabio Palombi, proprietario dei Blackwave Studio nei quali abbiamo registrato, che ha saputo sfornare un prodotto estremamente dinamico, naturale e potente allo stesso tempo. Merita davvero un plauso.
Come spiegavate prima, con The Rain After the Snow avete recuperato le sonorità degli esordi, puntando maggiormente sulla componente degli strumenti ad archi. Come ha preso piede questa evoluzione nel vostro sound che a tutti gli effetti è un ritorno alle origini?
(Jacopo) Mike sentiva la necessità di tornare dove tutto era cominciato, a quelle sonorità che avevano fatto affezionare molte persone ai Dark Lunacy, e voleva che si scrivesse un album sullo stile degli esordi. Quando mi affidò il compito della scrittura del disco e mi espresse questa volontà di ritorno, mi trovò assolutamente in linea col suo pensiero e mi misi al lavoro. A quel punto la problematica più grande fu quella di trovare un modo per ritornare alle origini senza però risultare anacronistici, dato che l’esordio risaliva all’anno 2000. Ragionai, quindi, su quello che era la musica dei Dark Lunacy di quell’epoca e cioè una commistione tra temi ed armonie di musica classica e death metal svedese e cercai di traslare gli elementi all’anno corrente. Le prime scelte di evoluzione ricaddero quindi sul riffing e sul ruolo della chitarra perché la matrice di riferimento dell’epoca, appunto il metal svedese, aveva nel frattempo passato il suo climax e aveva subito negli anni una notevole inflazione. Decisi quindi di creare i pezzi in una maniera inusuale per il genere e cioè di non partire obbligatoriamente dalla chitarra ma di arrivarci in seconda battuta, creando riff ad hoc su delle armonie già stabilite o per arrivare al tema principale.
Sono estremamente soddisfatto del risultato rimanendo conscio dell’impossibilità di accontentare ogni fan di vecchia data. L’attualizzazione porta sempre alla rinuncia di qualcosa in favore di altro, è inevitabile. So per esempio che a te la componente un po’ “guitar hero”, passami il termine, dei primi lavori è venuta a mancare, e immagino anche ad altri, ma credo che in questa veste i Dark Lunacy possano meglio avvicinarsi a chi verrà a conoscenza della band solo ora. Incrociamo le dita!
Apprezzo molto questa risposta. Ti colleghi a un passaggio della recensione che ho curato su queste pagine, approfondendo e spiegando alcune soluzione compositive. Ricollegandomi alla recensione, sottolineavo che i Dark Lunacy sono una band in cui musica e testi sono fortemente correlati. Ogni vostro disco è basato su un concept molto forte. Mike, ti andrebbe di presentarci il concept che sta alla base di The Rain After the Snow e di come sia nato nella tua mente?
(Mike) Guarda, il concept sta nel titolo. Tradotto in maniera letterale è: la pioggia dopo la neve. Io vengo da una zona in cui l’inverno si fa ancora sentire e l’arrivo della neve è una cosa che ti riporta alla tua fanciullezza. Quando la vedi arrivare ti senti emozionato. L’inverno, poi, è una stagione a cui sono legati molti ricordi, ad esempio il Natale con le persone care. Ti sto parlando proprio con gli occhi di un fanciullo. Poi arriva la pioggia che ti porta via tutto, tutto quello che c’è stato. Questo concetto l’ho riportato al momento della vita in cui la tua fanciullezza viene portata via. A quando devi crescere e affacciarti al mondo con tutte le sue bellezze ma anche le bruttezze. A quel punto lì devi scegliere se adeguarti al mondo che avanza e che non puoi fermare, oppure entrarci ma senza mai rinnegare la tua fanciullezza, quello che sei stato. Pensare con quel briciolo di animo puro che ti è rimasto. Non è semplice, nel momento in cui ti accorgi di essere diventato grande ti ritrovi in una linea di confine: da quel punto lì non sarai più lo stesso. Bravo è colui che non ha paura di tenersela, questa fanciullezza e tirarla fuori nel momento opportuno. Ecco, questo è il succo del concept.
L’artwork è curatissimo, estremamente decadente e ben si sposa al concept del disco. Se non erro è stato realizzato da Gaspare Frazzitta…
(Mike) Esatto. Gaspare lo reputo un elemento della band. Cerco di spiegarmi meglio: per realizzare la parte grafica lui ha voluto i testi addirittura prima che andassimo in sala di registrazione. Li ha voluti prima perché, poi, ascoltando i pezzi, ha disegnato l’immagine dell’album. È per questo che lo considero un elemento a tutti gli effetti. Con il suo lavoro Gaspare dà ancora quella voglia di scoprire, di avere un disco in mano, perché, oltre alla musica, puoi guardarne le immagini. Oggi viviamo in un mondo dove la musica tende a inondarti fino all’eccesso, puoi ascoltare qualsiasi cosa di un gruppo. Avere una bella rappresentazione grafica fa sì che, se apprezzi una band, hai anche voglia di averne il disco tra le mani, come si faceva una volta quando si andava a comprare il vinile (ride, ndr). Sono nato con il vinile e mi ricordo che, al di là della musica, c’era proprio la bellezza dello scoprire il gruppo attraverso le immagini che ti proponevano all’interno nel disco. Quindi sono molto contento e orgoglioso che Gaspare abbia saputo, a mio avviso, interpretare al meglio l’immagine che la nostra musica trasmette.
La copertina di The Rain After the Snow
Come anticipazione del disco avete pubblicato il video di Gold, Rubies and Diamonds. Video che a me è piaciuto tantissimo e in cui le visioni di Mike Lunacy risultano evidenti. Ci parleresti del suo significato e di come sono andate le riprese?
(Mike) Partiamo sempre dal concept: la fanciullezza che ti viene portata via. È tradizione, nei vecchi dischi dei Dark Lunacy, riprendere una favola famosa e riportarla su una canzone. Mi viene in mente, da Forget-me-not, Fiamm, la storia della piccola fiammiferaia di Andersen. In Gold, Rubies and Diamonds abbiamo utilizzato la favola de Il Principe Felice di Oscar Wilde. Non mi dilungo a raccontarne la trama, è lunga e complessa. Il video cosa rappresenta: un bambino che chiede a una persona se può leggergli una favola e questa persona, troppo presa dalla vita e quindi non più fanciulla, non ne ha il tempo. Lo stress, la difficoltà, i pensieri, insomma un bambino può incontrare delle persone “stanche”, che reagiscono in un certo modo. Da qui la scena della pittrice che strappa il libro delle favole. Pittrice che alla fine scopriremo essere la zia del bambino, che cercava in lei la mamma venutagli a mancare. Sebbene sembrino due cose completamente scollegate, testo e video hanno il punto di contatto nel libro stesso, che contiene la fiaba Oscar Wilde. La favola, strappata in pezzi, va a comporre il testo della canzone.
Entrando invece nei dettagli tecnici delle riprese, è stata un’esperienza molto bella. Per la prima volta mi son trovato a lavorare con i ragazzi della Lucernafilm, persone molto in gamba che hanno fatto tutto in poco tempo, rendendo al massimo le immagini che si svolgono quasi tutte all’interno di un’unica stanza. La cosa simpatica, se vuoi (ride, ndr), è che il bambino è mio figlio. Una sorta di continuità nella storia dei Dark Lunacy. Poi mio figlio, vivendo con me, ha saputo entrare nella parte in modo del tutto naturale.
E sei rimasto soddisfatto della sua prestazione?
(Mike) Sì. Anche perché ci sono attori e poi ci sono i bambini, che sono attori già di per sé. Gli dici una cosa e loro entrano nella parte molto velocemente, anche perché, parlando del concept, la fanciullezza ti rende disinibito in maniera naturale, ti fa accettare le cose senza tante remore. Poi, la scelta di inserire mio figlio nelle riprese, mi ha coinvolto emotivamente, donando, a livello personale, una sorta di poesia alla cosa. Il risultato è ottimo e ciò mi rende felice. Ovviamente, se fosse venuta in maniera diversa avremmo usato altri personaggi.
Beh, meglio che sia andata così, la possiamo definire una sorta di eredità dei Dark Lunacy!
(Mike) Già (e qui Mike ride come solo un padre orgoglioso del proprio figlio può fare, ndr).
Il video di Gold, Rubies and Diamonds
Il vostro legame con la Russia e la sua storia è sempre stato forte e anche in The Rain After the Snow, sebbene tratti argomenti diversi, non siete riusciti a fare a meno di inserirne qualche riferimento. Nel testo di Tide of my Heart c’è infatti un verso in lingua russa. Come ha preso piede questo legame indissolubile tra Russia e Dark Lunacy?
(Mike) È un amore che nasce come una passione, una fame per il sapere e nasce in tempi non sospetti. Sono sempre stato un grande estimatore di Dostoevskij e i suoi romanzi mi hanno appassionato in maniera unica. Già dai primi Dark Lunacy ho cercato di portare un po’ di romanticismo russo all’interno della nostra musica. Anche perché partiamo da un punto fermo: il fatto che tu abbia la possibilità di scrivere canzoni è un privilegio che devi onorare. Hai la possibiltà di scrivere qualcosa che poi verrà condiviso con tante persone. Quello che compongo oggi potrà essere ascoltato da un ragazzo in Messico, in Giappone o nella stessa Russia. Quindi, nel momento in cui scrivo, mi trovo a dover onorare questa possibilità ed è la passione che ti deve guidare nel cammino della canzone. Il cercare di inserire tante piccole parti legate alla Russia all’interno del disco è proprio dovuto a questo. Provo a spiegarmi meglio: in Varen’ka, da Devoid, raccontavo una storia di Varvara Dobroselova e Makar Devushkin, un ragazzo e una ragazza di San Pietroburgo dal libro Povera Gente di Dostoevskij. Possiamo spostarci al “fascino” dell’assedio di Leningrado, una tragedia riportata da tanti racconti, un assedio che durò 900 giorni. Insomma, ci sono storie veramente toccanti che ho potuto tastare con mano essendo stato a San Pietroburgo, l’allora Leningrado, tante volte. Quasi come fosse una tesi universitaria ho potuto visitare, parlare con la gente, un qualcosa che mi ha arricchito in maniera estrema. Più queste cose mi arricchivano, più sentivo la necessità di esternarle. Tornando quindi al privilegio di poterle tramutare in canzone, il gioco è presto fatto. In ogni disco dei Dark Lunacy sarà quindi inevitabile un passaggio che riporti a questa passione. Poi, guarda, mi fermo qua perché potremmo aprire dei capitoli infiniti su questa cosa, diciamo che ti ho dato le linee guida.
Credo sia inevitabile rimanere affascinati da un paese così lontano ma allo stesso tempo così vicino, che ha influenzato varie epoche.
(Mike) In realtà, a livello sociale è lontanissimo. Però ti assicuro che viverle dall’interno ti dona una consapevolezza e una concezione di quello che è lo spirito russo, che è completamente diverso da come le può vedere un esterno. Te lo dico perché è capitato anche a me. Nel momento in cui mi ci sono addentrato, sono rimasto affascinato da tutta questa storia, nel suo bene e, ovviamente, nel suo male. Questa componente russa nella nostra musica da alcuni è stata definita come un tocco di originalità, da altri come una forzatura a essere originali, dato che fare metal partendo dalla Russia è una cosa un po’ atipica per come siamo stati abituati. In realtà sono sereno fino alla fine dei miei giorni, perché la voglia di scrivere di questi argomenti è qualcosa che, paradossalmente, non c’entra niente con la musica. Nei Dark Lunacy, la musica rivolta a questa tematica, nasce per la passione nella tematica. Questo è il punto.
Un concetto affascinante, quello che hai appena espresso, Mike
(Mike) Ti ringrazio
A fine ottobre vi siete imbarcati in una serie di date italiane in compagnia dei Fleshgod Apocalypse. Alla batteria, però, non c’era Marco Binda ma Francesco La Rosa. Cos’è successo?
(Mike) Innanzitutto, Francesco è un buon amico. Per quanto riguarda Marco, lui è anche il batterista dei Mortuary Drape e in quel periodo si trovavano impegnati in un tour europeo. Ovviamente era un’opportunità per lui che gli spettava di diritto. I Mortuary Drape arrivano prima dei Dark Lunacy per Marco, con tutti i vari accordi che ne derivano e che lui ha già preso. Va da sé che, nel momento in cui avrà delle date da rispettare, ci adegueremo di conseguenza. Ovviamente, la fortuna di una band che è in giro da tanto tempo come i Dark Lunacy, è che se in un determinato momento ti manca un musicista, riesci sempre a recuperarne un altro di altrettanto spessore e questo è fondamentale. Anche perchè, in un gruppo che ha cambiato tanti elementi, l’esigenza è quella di avere un musicista di primo grado, straordinario, e deve essere così. Un musicista straordinario, va da sé che sia già impegnato in altri progetti. Sarebbe veramente pretendere troppo, no? Però, per riallacciarmi a una delle tue prime domande, ora siamo una band ritrovata anche a livello umano.
I Dark Lunacy in tour con Francesco La Rosa
Dark Lunacy e Fleshgod Apocalypse: un bel binomio da vedere in sede live. Una band di esperienza come voi e una nuova realtà come la formazione umbra. Il vecchio e il nuovo assieme, se mi concedete tale definizione. Come a significare che nel metal il ricambio generazionale c’è. E dal punto di vista dell’affluenza com’è andata? Anche tra i fan avete potuto notare un “nuovo che avanza”, un ricambio generazionale?
(Mike) Gli appuntamenti sono stati quattro: il Modena Metal Ink ed un tritticco di date. Se dovessi farti una panoramica, potrei dirti che erano più i giovani che i vecchi, passami i termini. Sicuramente i Fleshgod Apocalypse sono la band del momento e credo che da parte nostra ci sia stata una grande dimostrazione di maturità, nel senso che queste date erano loro, dei Fleshgod. Sai, si tende sempre a pensare che il gruppo storico, o perlomeno con qualche anno in più, voglia imporsi dicendo che quelle cose le aveva già fatte anni prima. Questo, in primo luogo, sarebbe un atto di superbia che non mi appartiene e non appartiene ai Dark Lunacy. Noi siamo partiti per queste tre date con la consapevolezza che avremmo aperto per loro, presentandoci, ovviamente, con il nostro vestito migliore e, magari, facendo conoscere a quei ragazzi giovani, che sono stati la maggioranza, che tanti anni fa c’è stato un gruppo che faceva delle cose che, magari, si sono sentite nello stesso concerto da una band più fresca, più nuova e assolutamente molto preparata. Tu giustamente dicevi che siamo stati un bel binomio, io personalmente ritengo i Fleshgod Apocalypse uno dei gruppi più in forma al mondo, ed è un orgoglio assoluto averli come alleati. Ed è un orgoglio italiano. Che poi, non voglio saltare di palo in frasca, ma il problema dell’Italia non sta nella qualità delle band che ha, ma nel fatto che ci si fa la guerra tra poveri. Dovremmo unirci tutti assieme, intendo come band, ed esportare la nostra musica nel mondo, ma a casa nostra questo non accade. C’è sempre quello che vorrebbe essere come te o ti giudica perché non sei come lui, qualcosa di totalmente deleterio che si vede esplicitamente quando vai a confrontarti con il resto del mondo. Guarda ad esempio gli svedesi: sono, per dire, un decimo rispetto a noi ma hanno, che ne so, trenta band unite tra loro, come una sorta di legione, uso un termine forte, che parte e conquista tutto. Da noi invece questo non accade. Ognuno pensa al proprio orticello, non c’è solidarietà e diventa tutto più complicato. Ritornando ai Fleshgod, dico che loro meritano di essere dove sono, meritano quello che stanno ottenendo, e se un domani li vedessi crescere ulteriormente, la cosa non mi stupirebbe affatto. Lo dico con cognizione di causa, dopo tanti anni, un po’ di esperienza me la sono fatta.
Allacciandomi a questa tua ultima affermazione, i Dark Lunacy hanno quasi raggiunto il traguardo dei vent’anni di carriera. In questo lasso di tempo Mike Lunacy è cambiato o è rimasto sempre lo stesso?
(Mike) Bellissima domanda… Sicuramente sono cambiato. Adesso guardo più alla qualità, non che prima non lo facessi, sia chiaro. Un tempo, però, non vedevo l’ora che uscisse un nuovo disco dei Dark Lunacy per salire su un palco e girare il Mondo. Non che abbia girato tutto il Mondo, ma sai, andando dal Messico al Giappone, passando per la Russia, ho toccato gli angoli del Pianeta. Appena usciva un disco non vedevo l’ora di presentarlo sul palco. Oggi sono un po’ più remissivo, nel senso che, quando mi si presenta l’occasione sono il primo a essere carico e motivato, però, oggi, quello che mi affascina di più è la scrittura di un pezzo. Il cercare di arrivare a quel ragazzo, che magari non ti vedrà mai dal vivo perché abita in un paese remoto, ma che si mette il suo walkman, okay, forse è una parola vecchia, meglio usare il termine mp3, ti ascolta e inizia a sognare. La musica deve essere emozione e, per me, la ricerca dell’emozione è fondamentale. Oggi sono più riflessivo, vorrei, cioè, che si privilegiasse più l’emozione di un buon brano che la grinta di un concerto strepitoso dal vivo. Poi, sai, va a carattere. Forse sono riflessivo di natura più che aggressivo, inteso in senso buono, ovviamente. Se fossi stato un aggressivo avrei fatto thrash, punk o del brutal. Invece prediligo la melodia, nonostante abbia una voce che con la melodia crea una sorta di duello. Proprio la voce, nei Dark Lunacy, la immagino come un contributo ritmico che è anche il battito del cuore nel petto e questo è quello che sono i Dark Lunacy.
Una risposta che trasmette tutta la tua passione per la musica, da cui nasce la domanda successiva. L’ambiente musicale com’è ora rispetto al passato? È cambiato?
(Mike) Assolutamente sì. Anche se potrei dire che è cambiato a fasce territoriali. Provo a spiegarmi andando per gradi. È evidente che oggi ci sia meno entusiasmo, a livello generale, nell’arte in generale. Ad esempio: se vai su youtube alla ricerca di una band, arrivi a quella band dopo un’ora, perché prima ti sei perso a vedere altre mille cose. Penso che se dovessimo vedere tutti i video pubblicati su youtube, non basterebbe una vita. C’è così tanta, toppa roba. Questo crea un’arma a doppio taglio. Prova a immaginare: qualsiasi band può comporre i suoi brani di una certa qualità e, tramite il web, in quindici minuti può arrivare, che ne so, in Vietnam. Però, dall’altro lato, c’è cosi tanto materiale, e non tutto di qualità, lo sappiamo tutti, non sto facendo retorica. Quando avevo quindici-sedici anni e andavo in un negozio di cd, per me era un evento. Alla fine dell’anno avevo acquistato dieci-quindici album che avevo ascoltato e gustato. Ora è tutto diverso, ci sono troppi dischi, nel corso di un anno ti ritrovi a seguirne centinaia e questo comporta che nelle zone che, oltre a internet, hanno anche un concerto al giorno, la gente dice “vabbè, ci andrò la prossima volta”. Non sente più l’evento a meno che non sia un mostro sacro e anche qui sarebbe da fare un bel discorso, dato che nei festival i mostri sacri sono quelli che c’erano trent’anni fa. Dato questo per scontato, dato di zone dove la gente è “stanca”, ci sono però luoghi in cui l’evento live, per una questione geografica, arriva più raramente e crea curiosità nella gente. Luoghi in cui possiamo ancora presentare uno spettacolo davanti a persone motivate che vengono a vederti. Penso ai concerti fatti a Matera, a Bari, in Campania. Questo parlando dell’Italia. Possiamo trasportare questo discorso anche nel resto del mondo ma la mia analisi era più incentra sul nostro paese. Al Sud gli eventi sono più sentiti, anche se, al nord, nostante ci sia meno gente, quella che c’è, è sempre bella carica. In poche parole bisognerebbe che alla gente ritornasse la voglia di vedere uno spettacolo, un po’ come parlavamo prima riguardo l’avere il cd, il booklet, la copertina. Qui è la stessa cosa, serve la voglia, il sentire, il desiderare uno spettacolo.
E in previsione futura che opinione hai?
(Mike) Partiamo dal fatto che i ragazzi di oggi hanno un iPod pieno di band, ascoltano di tutto: crossover, grindcore, punk, se c’è un bel pezzo di Mariah Carrey ascoltano quello. Non ci sono più le fazioni, non c’è più colui che ascolta un solo genere, il classico punkettaro, il rockettaro, quello che ascolta pop e via dicendo. Per questo mi aspetto scenari strani, in cui rimarranno in piedi solo le formazioni che oggi hanno avuto una certa visibilità. Mi spiego: prova a pensare al 1988. Un ragazzo entra in un negozio di dischi e acquista ..And Justice for All dei Metallica, per dirne uno. Al di là che oggi il disco possa piacere o meno, a quei tempi ascoltavi una cosa mai sentita prima, un’esplosione. E oggi dov’è un …And justice for All dei Metallica? Dove trovi qualcosa che ti sconvolga? L’ascolto scombinato di milioni di gruppi ci ha un po’ addormentato, per questo dico che, probabilmente, le band capaci di avere contratti discografici oggi, saranno quelle che riusciranno a sopravvivere in un futuro. Avranno alle spalle supporto logistico, tecnico e finanziario per poter proporre cose di un certo spessore. Anche ai giorni nostri un contratto discografico fa la differenza. Lo vedo anche coi Dark Lunacy. Io ho tanto belle idee, Jacopo pure, ma se non avessimo avuto un’etichetta alle spalle, avere il coro, il quartetto, lo studio adatto per un certo tipo di registrazione, non sarebbe stato possibile. Avrei avuto l’idea ma non sarei riuscito a esprimerla in cd. Io la vedo in questo modo. A meno che non arrivino i nuovi The Beatles, ma la vedo dura. Ormai è stato detto così tanto che difficilmente può arrivare qualcuno in grado di aprire il cielo. Forse un po’ drammatica come visione ma nasce da quello che ho visto in tanti anni, da come il panorama si sia modificato.
Mike Linacy in uno shot dallo studio
Mike, molti fan sono legatissimi ai vostri primi lavori e alla formazione che li compose. Come sono i rapporti con i tuoi vecchi compagni di avventura? Vi sentite ancora?
(Mike) Sì, ci sentiamo ancora, a parte Enomys con il quale non ho più rapporti. Lui fu fondatore assieme a me dei Dark Lunacy, ha scritto i primi tre album, le musiche sono tutte sue. Senza di lui non sarebbero esistiti i Dark Lunacy e non saremmo qui a parlarne, questo lo rendo palese da sempre. I Dark Lunacy nascono da una mia idea ma fu lui a portarli al successo, passami il termine. Poi, però, come a volte accade, i grandi rapporti possono finire e i nostri sono finiti nel 2008. Da lì non abbiamo più avuto modo di incontrarci. Con tutti gli altri, invece, il rapporto è sempre stato molto buono. Ovviamente non subito dopo la separazione, all’inizio c’è dell’astio, ma poi, quando l’altra persona vede la buona fede nelle tue scelte, le cose cambiano, il tempo aiuta in questo senso. Per dirti: da tradizione, una volta all’anno mi ritrovo con i componenti dei primi Dark Lunacy, quelli da Devoid a The Diarist. Ho un rapporto molto forte con loro e con tutti quelli che sono venuti dopo, forse con una piccola parentesi con la formazione di The Day of Victory in cui, forse, ci sono ancora dei contenziosi umani da risolvere, ma sono convinto che il tempo appianerà anche questo. L’unica persona con la quale non ho più rapporti è proprio Enomys, a cui, paradossalmente, devo tutto dal punto di vista musicale. So che ha apprezzato il disco e questo mi ha fatto piacere, devo essere sincero (sorride, ndr). Chissà, magari vi sarà qualche occasione…
In un certo senso hai già risposto alla domanda che stavo per porti. Provo a fartela ugualmente. Quando ti sei ritrovato senza un chitarrista ufficiale dopo la dipartita di Daniele Galassi ti ha mai toccato l’idea ti contattare Enomys per un suo ritorno in formazione ?
(Mike) Eh, no. Guarda, tra me e lui ci sono ancora troppe cose da mettere a posto a livello personale che attualmente non è possibile.
Scusami se ho toccato un capitolo poco felice…
(Mike) No, no, macchè, figurati. Questa è la prima volta che ne parlo pubblicamente ma, forse, non è merito mio. Quando è uscito l’album ha inviato un messaggio pubblico sulla pagina della band, dove si è complimentato per il disco. Diciamo che è stato lui a fare il primo passo anche se ci sono troppe cose che vanno al di là della musica, cose di cui bisogna parlare tra uomini, al di là di questo gesto che mi ha fatto molto piacere. Enomys è un musicista straordinario e sapere che ha apprezzato il disco mi ha trasmesso una bella sensazione. Riprendendo il concept dell’album, il tema della fanciullezza, magari due bambini avrebbero fatto subito la pace, due adulti ci mettono molto più tempo…
Siamo arrivati alla fine di questa intervista, vi ringrazio per il tempo dedicatoci. Prima dei saluti però, vorrei porvi un’ultima domanda. Quali sono i progetti futuri dei Dark Lunacy? Ci sarà un tour di supporto al nuovo disco?
(Mike) Sicuramente ci saranno delle uscite live, ma questa volta abbiamo deciso di agire in modo diverso. Un disco non deve essere maturo solo dal punto di vista musicale, lo deve essere anche dal punto di vista logistico. Mi spiego: una grossissima cosa che abbiamo portato a casa per il teritorio italiano è il rapporto con Bagana Rock. È fondamentale avere un’agenzia che ti organizza le date con un certo criterio. Il tour per presentare The Rain After the Snow inizierà col nuovo anno, lasciamo passare due mesi in modo che la gente assimili il disco e poi si parte. Ovviamente ci sarà il Messico, il Giappone, la Russia e poi speriamo tante date in Italia. Perchè, come ti dicevo prima, il nostro spirito è nostrano, vogliamo continuare a battere il chiodo, provare a trasmettere ai ragazzi italiani che ascoltare un gruppo italiano ne vale la pena e che dobbiamo unirci e remare tutti nella stessa direzione.
Parole sante Mike, parole sante…
Marco Donè