Heavy

Intervista Death SS (1982)

Di Stefano Ricetti - 18 Settembre 2006 - 11:39
Intervista Death SS (1982)

Vede finalmente la luce l’intervista probabilmente più famosa che sia stata scritta relativamente a una band italiana.

Intervista a Steve Sylvester dei Death SS. Anno 1982.

PRESENTAZIONE

Vede finalmente la luce (è proprio il caso di dirlo in questo caso… ah,ah,ah), probabilmente l’intervista più famosa che sia stata scritta relativamente a un band italiana sui magazine specializzati. Si tratta dello scambio di battute (si fa per dire…) fra il decano dei giornalisti HM italiani Beppe Riva e i Death S.S. di Steve Sylvester e Paul Chain, nel loro periodo più oscuro, morboso e misterioso. Lo scritto apparve sul numero 22 di Rockerilla del marzo 1982, quello dalla copertina “verde”, tanto per capirci, con Lydia Lunch in primo piano. Penso sia giunto il momento giusto per farla uscire su TrueMetal, proprio in prossimità dell’autunno alle porte, con le serate sempre più buie, l’umidità e le foglie che cadono, tanto per rimanere in clima crepuscolare.

Spero con questa iniziativa di far felici i lettori appassionati di ambientazioni lovecraftiane, i fan dei Death S.S. e tutti quelli che negli anni mi hanno chiesto personalmente di pubblicare questo storico articolo. L’intervista è in versione “quasi” anastatica, essendo stata leggermente “addomesticata” in alcuni punti. Un unico inciso prima di lasciare il passo all’introduzione di Steve Sylvester: il nome Death S.S. in quegli anni veniva sempre riportato con i due puntini finali, rendendo ancora più sinistro l’immaginario che girava intorno a quel progetto, un qualcosa che oggi possiamo sicuramente definire una leggenda italiana!

Stefano “Steven Rich” Ricetti

 

 

INTRODUZIONE DI STEVE SYLVESTER, anno 2006

…Era un pomeriggio di inizio 1982 e Beppe Riva di Rockerilla, che fino ad allora avevamo conosciuto solo telefonicamente tramite un comune amico che faceva il DJ radiofonico in una delle prime “radio libere” riminesi, ci venne a trovare a Pesaro… Per ringraziarlo del disturbo lo portammo subito a fare un “tour” attraverso tutti i luoghi per noi più suggestivi di quel lembo di territorio che si stende tra i confini delle colline marchigiane, la Romagna e il Montefeltro, teatro di tutte le nostre “scorribande” giovanili… Uno dietro l’altro facemmo quindi visitare al giornalista i cimiteri di campagna semi-abbandonati, le chiesette diroccate e sconsacrate, i ruderi di casolari in odore di possessione diabolica, i boschetti più impervi ed inquietanti…. Durante questa insolita crociera parlammo a lungo con lui, spiegandogli come quei luoghi fossero per noi fonte di sincera ricerca e ispirazione, e iniziammo così anche a conoscerci meglio

Proprio durante queste lunghe chiacchierate scoprimmo di avere molti interessi in comune con Beppe, non solo musicali, come la passione reciproca per le opere di Poe e H.P. Lovecraft….
Quando ci congedammo era già notte inoltrata ed eravamo tutti stanchi ma ancora carichi della contagiosa adrenalina che quei posti sapevano infonderci… Eravamo anche certi che una nuova amicizia era nata e promettemmo reciprocamente di tenerci in contatto. Beppe ci salutò carico di input, assicurandoci che l’articolo sarebbe stato una “sorpresa” che sicuramente avremmo gradito……

La promessa venne mantenuta e quelle pagine poi apparse sul numero di marzo ’82 di Rockerilla sono entrate a far parte della storia del metal italiano…..

Steve Sylvester, settembre 2006.

 

 

Da Rockerilla numero 22 del marzo 1982.

 

Questa la grafica, ingiallita dal tempo, che dà il titolo all’articolo contenuto nel numero 22

 

BEYOND THE REALMS OF DEATH S.S.

La macchina ronzava fastidiosamente mentre consultavo con aria febbrile l’orologio, avvicinandomi al luogo dell’appuntamento. Vi giunsi all’imbrunire, trovandomi improvvisamente al cospetto dell’unico, inquietante scenario che rimane vivido fra i miei vacillanti ricordi. Il posto era un antico cimitero, così antico che rabbrividivo ai molti segni di anni immemorabili. Era situato in una depressione profonda e umida, avvolto da muschio ed erba lussureggiante, e permeato di un indefinibile tanfo che la mia oziosa immaginazione attribuì alle rovine stesse, alla pietra in decomposizione. Da ogni parte erano visibili i segni della decrepitezza e dell’abbandono, e mi sentivo ossessionato dal pensiero di essere la sola creatura vivente venuta a disturbare un letale silenzio di secoli. Sopra l’orlo della valle la luce si irradiava ormai debole e incerta, fra i malsani vapori che sembravano emanati da catacombe inaudite, ma potevo ancora distinguere una schiera ripugnante di antiche lastre, urne, cenotafi e facciate di mausolei: tutti in rovina, semicoperti da erbe striscianti e macchiati dall’umidità.

Realizzai in pochi attimi le impressioni suscitate in me da questo quadro angosciante, quasi pietrificato dall’emozione, accanto all’abitacolo rassicurante dell’auto. Mi scosse dallo stato d’attonito stupore una voce profonda e remota, certo travisata dalla suggestione, che fendeva il silenzio opprimente dell’incredibile situazione; mi voltai e vidi la faccia sconvolgente di Steve Sylvester, proiettata con fare impassibile quasi a contatto della mia. In lui non avvertivo una presenza ostile, ma i suoi occhi rossi (che più tardi, nell’ambiente illuminato di cui vado a riferirmi, avrei definito come autentici pozzi di fiamme, stagliati su un pallore ossuto del suo volto), mi fissavano con un’espressione che classificai come freddamente distante. Il sinistro personaggio cardine dei Death S.S. mi invitò a seguirlo, oltre i cancelli divelti e devastati dalla ruggine dell’ingresso cimiteriale. Sul lato destro della necropoli si scorgeva un mausoleo dal portale semi-obliterato dall’eccezionale rigoglio della vegetazione.

La lanterna nelle mani del mio accompagnatore rivelò la parte più alta di una rampa di gradini di pietra, gocciolante qualche detestabile siero dalla terra più profonda, e fiancheggiati da mura umide, incrostate di salnitro. Discendendo nel piano sotterraneo, mi accorsi di essere disperatamente ansioso di raggiungere l’ampia cella, illuminata dal bagliore di più lampade, che intravedevo dissociarsi dall’oscurità, alla fine delle scale. Ci ritrovammo all’interno di un indescrivibile ossario (dove è stata realizzata la fotografia che accompagna questo servizio irrazionale…), reso ancor più allarmante dalla “presenza” degli altri quattro dell’infausta congrega, vestiti dei paramenti funebri esibiti nelle loro rare apparizioni sul palcoscenico, e chiusi in un mutismo inquietante, che perdurerà per l’intero svolgersi dell’incontro. Cercando di sgusciare dalla paralisi che mi frenava, mi rivolgevo infine a “Vampire” Steve (chi ha pensato a una replica italiana del grottesco Gene Simmons, rinunci a leggere quanto segue…); era il solo predestinato, da un tacito accordo, a esaudire il torrente di frementi domande che iniziava a scorrere incoerentemente.

 

IL VERBO DEL VAMPIRO

Dunque è vero che cimiteri o luoghi analoghi sono il vostro habitat ideale, o che perlomeno voi nutrite un’affezione morbosa nei loro confronti…

Noi adoriamo veramente i cimiteri, le vecchie case abbandonate, le chiese sconsacrate e luoghi similari, passiamo gran parte del nostro tempo libero alla ricerca di essi. Esercitano su di noi il fascino dell’antica tradizione del mistero, da cui spesso traiamo l’ispirazione per la nostra musica. Ma non tutti i cimiteri mi piacciono. Odio, ad esempio, i cimiteri moderni e quelli di guerra, così profondamente poco artistici.

Con voi l’Italia sembra finalmente aver trovato una convincente risposta al dark sound inglese. A livello contenutistico (brani) traete ispirazione da qualche fonte specifica?

L’Italia possiede da sempre un vasto retroscena di cultura occulta, ma nessuno, finora, aveva pensato di tradurla in musica e il dark sound sembrava essere un fenomeno limitato alla sola Gran Bretagna. Noi abbiamo dimostrato il contrario. Per ciò che riguarda i testi, l’approccio è diverso: io sono un buon medium e molte lyrics le compongo in trance, dopo pratiche magiche o nel corso di sedute spiritiche. A volte fatico persino a capire cosa ho scritto!

Potresti motivare il vostro fascino nei confronti dell’esoterico? E’ frutto di una convinzione autentica, legata anche a interessi extra-musicali?

Tutti noi Death S.S. siamo veramente occultisti; lo dimostra il fatto che inizialmente ci siamo conosciuti per la comune passione per l’occulto e solo in seguito abbiamo pensato di formare una band.

Come si riflette tutto questo nella vostra musica?

Ti ripeto, noi non siamo i classici personaggi che vanno sul palco truccati, rilasciano dichiarazioni maligne e tutto si esaurisce quando rientrano nei camerini, dove riassumono i connotati abituali. Noi crediamo realmente in ciò che facciamo e questo i kid che ci vengono a vedere in concerto lo percepiscono, avvertono che c’è qualcosa in più in noi rispetto alla altre band cosiddette dark/horror.

In ogni nostra esibizione c’è un feeling, una tensione, un contatto che trasporta immediatamente anche il più scettico degli ascoltatori, in un mondo irreale, magico e affascinante. Ciò accade perché non simuliamo nulla. I testi che recito, i riti che compio periodicamente on stage sono frutto di una lunga ricerca su antichi testi di esoterismo, sulle superstizioni ataviche, sui detti magici di una tradizione tramandata nel tempo, da padre in figlio. A noi non interessa tanto far soldi, piuttosto far capire al pubblico che l’occulto esiste e non possiamo far finta di ignorarlo.

Ognuno di voi incarna un personaggio della tradizione orrorifica. Potreste presentarvi singolarmente e motivare questi travestimenti?

I Death S.S. – abbreviazione di “In Death of Steve Sylvester” (perché quest’esperienza avrà fine con la mia morte) – sono: S.S. (il vampiro), simbolo del male, che assorbe ormai la linfa vitale di tutta l’umanità. Paul Chain è la morte, l’inesorabile complemento della nostra tediosa esistenza. Claud Galley è lo zombi: simbolo della rivalsa, dopo la morte, dell’uomo medio, ignorato durante la vita. Danny Hughes è la mummia: eterno esempio di un passato irripetibile, legato alle prime pratiche storiche di stregoneria.

Infine Tommy Chaste è il licantropo, che rappresenta la bestialità latente, celato nel profondo dell’essenza umana. Abbiamo scelto di travestirci soprattutto perché ci piace e ognuno di noi “sente” realmente il personaggio che interpreta. Inoltre pensiamo che il rock sia un genere strettamente legato alle immagini e che un gruppo come il nostro debba senz’altro offrire anche un lato visivo della propria musica, in modo di creare un contesto personale e inconfondibile di Musica/Teatro.

Il vostro spettacolo viene infatti descritto come un fatto autenticamente scioccante. E’ vero che ricorrete alla presenza di boia-culturisti, croci disseminate sul palco, donne nude che fuoriescono da bare?

Certo, e di numerose altre componenti, come il lancio di carne putrefatta, teschi e vermi sul pubblico, pioggia di vero sangue, evocazioni, etc. Suoniamo immersi in un autentico cimitero composto da croci, statue, bare, rampicanti. Per poter inscenare tutto ciò ci avvaliamo dell’aiuto dei nostri roadie, ossia culturisti vestiti da boia medievali, che hanno lo scopo di allontanare il pubblico dal palco durante lo svolgimento del rituale live. Il nostro show segue un itinerario ben preciso: ogni song viene mimata, recitata singolarmente e per non rinunciare al nostro complesso apparato scenico, abbiamo coerentemente declinato numerose offerte di lavoro.

 

La foto dei Death SS così come apparsa nel numero di Rockerilla del 1982

 

Parlami della musica che sostiene questo impianto spettacolare…

La nostra musica non è etichettabile facilmente, comunque è innegabile che affronti una tematica molto violenta, miscelando heavy metal, effetti elettronici e atipici riff pesanti in un unico contesto ossessivamente dark. Noi la definiamo Horror Music.

Puoi motivare le principali influenze che hanno concorso alla definizione musicale del prototipo Death S.S.?

Ognuno di noi ama ascoltare diversi generi di musica, ma nessuno è stato influenzato da un genere o da un gruppo preciso. I nostri gusti variano dall’ hard’n’heavy alla new vawe, al jazz, ma ascoltiamo anche musica classica, elettronica e raccolte di antichi canti funebri popolari.

Cosa pensi della corrente gotica dell’HM?

Venom e Angel Witch non mi convincono molto. Inoltre hanno adottato dei simboli, il Baphomet e la Stella Demoniaca che noi utilizzavamo da anni… I Black Sabbath erano un’altra cosa: Black Sabbath e Paranoid sono degli autentici capolavori.

Tornando a voi, quali progetti auspichereste di realizzare?

Quello che ci interessa maggiormente riguarda la fondazione di una gigantesca setta, con migliaia di iscritti, che operi per potare il mondo verso una ricostruzione…

Qualcuno potrebbe definirvi succubi di un’infantile concezione di negatività…

La negatività che noi rappresentiamo è composta da tutte le paure inconsce dell’uomo: la paura del buio, del mistero, del malvagio, che è ben lungi dal superare con la maturità e che anzi molto spesso acutizza, cercando di respingerle nel suo subconscio!

Infine, come pensi che reagiranno il pubblico e la stampa italiana, in previsione di una vostra più diffusa notorietà?

In Italia non esiste una consistente preparazione per il rock: per questo abbiamo avuto finora non pochi problemi per allestire il nostro spettacolo. Comunque voglio chiarire che, nonostante i nostri testi e nomi d’arte siano in inglese (la lingua anglosassone è uno strumento inalienabile per il rock), noi non rinneghiamo l’Italia, perché è la nazione che vanta le maggiori tradizioni ed esperienze esoteriche. Non dimentichiamo che il cristianesimo, l’inquisizione, il papato, sono situazioni tipicamente italiane e quindi un gruppo di ispirazione gotico-teologica come il nostro ha più ragione d’essere italiano anziché inglese o addirittura americano. Purtroppo però, la maggior parte della nostra stampa specializzata ama esaltare tutto ciò che proviene dall’estero, invece di ricercare proposte valide anche nelle nostre città…

… e a questo punto avverto il sentore di circostanze estranee che mi inducono a congedarmi. Mi allontanavo in preda alla tensione nervosa, mentre la cappa dell’oscurità racchiudeva ogni cosa. La lunga, nera notte era discesa su quello sconosciuto cimitero nella depressione, fra le tombe cadenti e le pietre che si sbriciolavano, la vegetazione rigogliosa e i vapori miasmatici. Turbata dalla situazione, la mia fantasia assurdamente vaneggiava, proiettando su uno schermo irreale i cinque inquietanti figuri, intenti in riti sacrileghi, giù nelle catacombe putrescenti, sotto la maledetta falce della luna calante… night of the living Death S.S.!

Beppe Riva

Servizio a cura di Stefano “Steven Rich” Ricetti