Intervista DGM (Simone Mularoni e Mark Basile)
Bentrovati e benvenuti sulle nostre pagine, ragazzi, è un piacere potervi conoscere e farvi qualche domanda. The Passage è il vostro nono album in studio, in più di vent’anni di carriera, come ci si sente con tanta storia sulle spalle?
Mark: bene, è sicuramente un’eredità significativa, che ci responsabilizza, ci ispira nel fare sempre meglio e con più personalità, tenendo presente che questa line-up nella storia dei DGM è quella più longeva e stabile, cerchiamo di raccogliere ciò che musicalmente hanno significato e significano i DGM e portarlo verso il futuro imminente della band, che per ora è ben rappresentato da The Passage.
I DGM hanno subìto nel corso degli anni tanti cambi di line-up e piccole rivoluzioni, pur mantenendo una propria identità nel tempo. Riprendendo il tuo discorso, come vedete il futuro della band?
Mark: come dicevo un attimo fa, è stato un processo e una storia inusuale quella che ci ha portato qui ora tutti insieme da quasi 10 anni, io sono l’ultimo entrato in formazione e ci sono da inizio 2008, da allora di strada ne abbiamo fatta tanta assieme, condiviso sonno (soprattutto mancanza di sonno 🙂 tour, dischi, videoclip, esperienze personali… Le nostre vite si sono fuse, come in ogni grande famiglia, e come in ogni famiglia che funziona ci si augura di percorrere ancora molta strada tutti assieme.
Come fate ad avere un sound così riconoscibile a distanza di anni, in bilico tra power e prog? A mio avviso le tastiere aiutano, anche gli attacchi al fulmicotone dei brani, o sbaglio?
Mark: se dovessi trovare il leitmotiv dell’approccio alla composizione dei DGM direi sicuramente una cosa su tutto: uno spiccato senso della melodia, che ricerchiamo puntualmente all’interno di ogni brano. Linee vocali, assoli e arrangiamenti vengono di conseguenza.
Noi non abbiamo fatto altro che perpetrare questo trend melodico, era così anche prima che ci fossimo Simone, Emanuele e io, ed è rimasto intatto con l’entrata di noi tre. Nella band si sono alternati tanti ottimi musicisti ma questa linea continua che unisce tutta la produzione musicale, come noti bene, ha sempre resistito agli scossoni del tempo ed è evidente a noi e a chi ci ascolta.
Ci spiegate il significato di artwork e testi? Qualche brano in particolare è tra i più rappresentativi del disco?
Mark: The Passage non è un concept, cominciamo da questo, o perlomeno non lo è in senso canonico. I brani sono legati da questo tema musicale portante che ascolti in diverse modalità e chiavi in tutto il disco; delle volte è assolutamente “visibile”, delle altre si “nasconde” in citazioni meno evidenti, ma è lì presente a fare da collante a tutto il disco. Per quanto riguarda i testi come al solito non ci siamo mai posti una tematica precisa, abbiamo espresso noi stessi nella maniera più onesta possibile.
Le tematiche sono vicine a ognuno di noi e quindi potenzialmente a tutte le persone che incontrano la nostra musica. I brani diventano un luogo esistenziale dove far confluire le sensazioni che scaturiscono da ciò che la vita ci fa assaporare ogni giorno. Non siamo mai stati una band capace di raccontare così bene “l’altro da se”, e mi riferisco a storie epiche di draghi, castelli e spade [verrebbe d’aggiungere, citando il sommo Benson, “il fico sacro, coboldi e betulle” n.d.c.], lontane dalla vita di tutti i giorni; io in particolar modo non riuscirei mai a essere credibile e (si spera) un buon interprete, se non sentissi davvero vicino emozionalmente gli argomenti di cui mi accingo a cantare.
Una sintesi del disco è certamente l’opener “The Secret” Part I e Part II che un po’ raccoglie il senso precipuo di quel che spiegavo prima, una suite di 15 minuti che attraversa vari momenti musicali e tematici. La nostra copertina esemplifica il tutto: tutto scorre come passaggio tra elementi, in questo caso dal fluire dell’acqua all’accendersi della fiamma.
Le prime due canzoni in scaletta, “The Secret Part 1 e 2”, dunque compongono in pratica un’unica suite? Perché le avete divise?
Mark: esattamente “The Secret” è a tutti gli effetti una suite ed un mini-concept a sé all’interno di The Passage; in realtà non le abbiamo divise, i titoli indicano solo due momenti diversi della suite e due momenti del testo contigui ,che trovano il loro compimento nell’unione di due parti diverse.
Puntate molto su un sound saturo, potente e che trasmette energia: non pensate che alternare pezzi veloci ad altri più lenti, potrebbe giovare? A questo proposito, la breve ballad “Disguise” è pura poesia, peccato per il minutaggio breve… Avete scelto, poi di chiudere l’album con un altro lento “In sorrow”, la collocazione dei brani è pensata a cose fatte?
Mark: beh in realtà se si ascolta il disco per intero, tutto d’un fiato insomma, ci si accorge che c’è una grandissima alternanza (più che nei dischi precedenti) di momenti lenti, mid tempo e accelerazioni; ed è quel che rende, a mio avviso, questo album un ritorno al concetto progressive della band.
I momenti lenti “Disguise” ed “In Sorrow” sono stati un tentativo compositivo di fare qualcosa di diverso (non delle classiche ballad) e che fosse funzionale a tutto il discorso dell’album, come delle finestre, dalle quali, in mezzo alla battaglia, gettare uno sguardo lontano e prendere fiato durante la narrazione, un momento riflessivo insomma, capace di far assorbire ed assaporare il disco. Per la scaletta dei brani, una volta composto il materiale cerchiamo il modo migliore per metterlo in sequenza tenendo presente che questa volta i rimandi tra un brano e l’altro sono molto forti.
A chi vi critica dice che i vostri album sono ben suonati e prodotti, ma “tutti uguali”, cosa rispondete?
Mark: sinceramente non saprei proprio cosa rispondergli, la musica è qualcosa che si divide equamente tra assoluta oggettività e totale soggettività, l’una è certa e matematicamente discutibile, l’altra completamente personale e basata sulle proprie emozioni, quindi magari consiglierei di soffermarsi senza pregiudizi su The Passage e dargli una chance.
Avete un vostro personale inspiration corner, ossia ascoltate dei classici rock e metal in particolare prima di entrare in studio?
Mark: e non solo prima di entrare in studio direi direi 🙂 siamo dei grandi consumatori di musica, ognuno con le proprie peculiarità e predilezioni, ma di sicuro potrei citare: Toto, Whitesnake, Journey, Ark, Symphony X, Kansas, Freak Kitchen, Jørn Lande, Malmsteen, Shadow Gallery…e tanti altri ancora.
Chi gestisce il processo creativo all’interno della band? Partite dalla musica, dai testi o non avete una priorità?
Mark: Diciamo che tutto parte sempre dalla musica e da Simone Mularoni che si occupa del 90% della scrittura strumentale dei brani; qualche brano è affidato a me ed Emanuele, quasi sempre le ballad, e poi tutti e tre lavoriamo alle linee vocali, per cercare davvero la soluzione più efficace e adatta alla scrittura. Il tutto, infine, viene chiaramente limato e passato al vaglio della band al completo, passaggio estremamente importante per conferire al tutto il marchio DGM. In seconda battuta ci sono i testi che ci dividiamo molto democraticamente, chi sente vicino un particolare mood, si cimenta nella scrittura e sceglie un brano che poi viene condiviso e passato al vaglio della band.
Pensate mai di comporre una nuova strumentale in futuro?
Mark: non è escluso, sarebbe davvero una bellissima sfida.
Ora qualche domanda a Simone Mularoni. Ottima la prova di Thomas Englund in “Ghost of Insanity”: com’è nata la collaborazione? Ricordo che è un vero vichingo, alto quasi due metri…
Simone: io e Tom ci siamo conosciuti anni fa suonando insieme in un progetto uscito per AFM Records chiamato Epysode, in cui lui cantava qualche brano e io registrati tutti gli assoli dell’album… Da quel giorno condividendo gli stessi alberghi le nostre strade si sono incrociate più e più volte. Da fan della sua voce e degli Evergrey, una volta composto il brano, ho subito pensato che sarebbe stato magnifico averlo come ospite e gliel’ho chiesto senza pensarci due volte! Lui ha subito accettato e addirittura ha preso un aereo per venire a Rimini, dove ho i miei studi, per registrare le parti insieme a me, evitando così la tipica “freddezza” di quando si ricevono tracce di guest che però registrano nella loro città natale e che spediscono poi via internet…
Michael Romeo è ospite in “Dogma”: dopo Russel Allen in Momentum, di nuovo un componente dei Symphony X, sono loro la vostra band di riferimento, anche dopo la sterzata verso lidi più thrash?
Simone: di sicuro sono una delle band che hanno influenzato maggiormente il nostro modo di scrivere, ma direi più che altro in passato. Continuiamo ad amare la band in tutte le sue sfaccettature, soprattutto dopo il tour del 2011 in Europa, che ci ha visto a supporto del loro Iconoclast e ci ha permesso di restare in contatto con tutti i componenti della band. Per noi è importantissimo che i guest siano prima di tutto amici e che sposino la visione della nostra musica e dei brani! In “Dogma”, che è il brano più Symphony X-oriented dell’album, abbiamo pensato che sarebbe stato bellissimo avere un assolo di colui che ha fondato la band e che ha scritto tantissimi capolavori.
Hai prodotto l’ultimo album dei Trick of Treat, cosa ne pensi del risultato finale?
Simone: sono e siamo molto soddisfatti! Ho prodotto tutti i loro album, a partire dal primo ormai “antico” Evil Needs Candy Too [pubblicato nel 2005, n.d.c.], e penso che questo sia il loro album più maturo e ispirato! Oltre ad essere miei clienti, i ragazzi sono quasi una famiglia per me dopo 10 anni passati insieme in studio, quindi c’è da dire che sono sicuramente di parte eheheh…
Com’è stato, invece, partecipare al progetto estemporaneo del Vivaldi Metal Project?
Simone: sicuramente divertente e non mi tiro mai indietro quando qualcuno apprezza il mio modo di suonare. È sempre prestigioso suonare al fianco di tantissimi musicisti così blasonati!
Torniamo a te Mark. Ricordo con piacere i napoletani Mind Key, che, insieme agli Empty Tremor, se non sbaglio nel 2004 aprirono per i Dream Theater al Lazzaretto di Bergamo… Mark, sei davvero migliorato nel tempo, ma hai perso la tua chioma da leone!
Mark: beh…c’è da fare una rettifica, non ero io su quel palco (era Aurelio Fierro Jr attuale singer della band che mi aveva appena sostituito), mai avuto una chioma da leone, più una ingestibile chioma afro hahahahaha Comunque, tornando seri, io ero appena andato via dai Mind Key prima di quel concerto ma avevo realizzato tutto il disco, (Journey Of A Rough Diamond uscito proprio per Frontiers) è un pezzo della mia storia musicale a cui sono estremamente affezionato, mi sento però di ringraziarti comunque se mi trovi “migliore” :D. [dopo questa gaffe, non rivangherò più ricordi adolescenziali! n.d.R.G.]
Torno a te Simone, cosa ne pensi della scena italiana, mi vengono in mente band come Secret Sphere, Metatrone, Derdian e Kingcrow?
Simone: cerchiamo di supportarla e di aiutarla al massimo. I Secret Sphere passano ormai da un po’ dal mio studio quindi anche in questo caso sono di parte. Una grandissima band e soprattutto un gruppo di amici anche in questo caso! Con i Kingcrow abbiamo condiviso il palco qualche anno fa, se non sbaglio, e sono sicuramente un’ottima prog band. Penso in generale che l’Italia abbia tanto da offrire musicalmente e speriamo che i nostri lavori possano aiutare a farla crescere questa scena.
Quest’anno ha visto numerose ottime uscite in ambito progressive: (in ordine non cronologico) Protest the hero, Fates Warning, Frost*, Cirrha Niva, Haken, Tiles, Sunpocrisy, Circus Maximus, Dream Theater, Headspace, Redemption… C’è il rischio di una saturazione del mercato discografico, anche in un genere così di nicchia?
Mark: ahhhhh io adoro letteralmente i Frost*, comunque non credo ci sia un simile rischio. Alla fine sono realtà musicali che interpretano il genere in maniera differente, quindi non penso si corrano particolari rischi di saturazione; c’è certamente l’esigenza di discernere tra chi fa musica onesta diretta e sincera, e chi invece ha esigenze compilatorie e non molto di più.
Il mondo è sconvolto da tragici eventi che stanno modificando drammaticamente la nostra quotidianità e il nostro modo di vivere. Secondo voi la bellezza salverà il mondo, o come leggiamo in questi giorno, il mondo riuscirà a preservare la bellezza? Restando in tema, non pensate sia più rischioso rispetto al passato viaggiare e fare concerti in giro per l’Europa?
Mark: senza scomodare auctoritates altisonanti, ma per dirla alla Keats “Beauty is truth, truth is beauty”. La connotazione di bellezza come viatico alla verità e all’onestà dovrebbe ben indirizzarci verso una via fatta di unione, di comunanza, di fratellanza, e non di sterile separazione facendo a chi urla più forte. Ne discutevamo di recente in un intervista e Simone sosteneva un concetto forte di unione e di solidarietà tra le band per darsi una mano e avere una forza maggiore, uniti, piuttosto che separati. Io sono totalmente d’accordo con lui, credo che la musica abbia il dovere sociale di unire e di far riflettere sui profondi momenti di difficoltà che attraversiamo in questo preciso momento storico. Dovrebbe essere un “luogo” di ritrovo per creare coscienza in tutti.
Spesso in questi attacchi terroristici si sono presi di mira i luoghi dell’arte (Bataclan) e i luoghi dell’informazione libera (Charlìe Ebdo) questo dovrebbe farci riflettere tutti su quanto questo potere oscuro senza bandiera non accetti i diritto di libero pensiero, ma voglia le persone totalmente asservite al terrore e al comando.
A voi concludere come meglio preferite: un saluto, una massima, uno slogan… avete campo libero!
Mark e Simone: anzitutto grazie a voi e alla redazione di Truemetal per questa splendida chiacchierata, vorrei ringraziare tutte le persone che ci seguono con tanto affetto ed invitarle a tener d’occhio i nostri canali social FB, Twitter, Instagram, etc per tenersi aggiornati sulle date imminenti dopo l’uscita del disco del 26 di agosto, sarà un piacere incontrarvi e scambiare due parole ai concerti sul nuovo lavoro e vedere come se la cava dal vivo.