Intervista Eric Clayton (Saviour Machine)
Intervista a Eric Clayton dei Saviour Machine da parte di Mickey E.Vil (The Mugshots, Radio Onda D’Urto FM). In fondo alla pagina è possibile ascoltare la stessa in versione audio con sottotitoli.
Non so in quanti si ricordino dei Saviour Machine, qui in Italia. Io me li ricordo, ricordo le recensioni entusiastiche di Sandro Buti su Flash e reputo il loro album di debutto una vera e propria pietra miliare: un’originalissima formula sincretistica che nulla lasciava al caso, fondendo senza paura progressive metal e suggestioni dark-wave per sonorizzare temi apocalittici e spettacoli davvero teatrali. Dopo un secondo album egualmente efficace ma meno facile da assimilare, i Saviour Machine hanno intrapreso un pericoloso percorso in salita con la controversa trilogia denominata Legend, per poi far perdere le loro tracce. La mente dietro questo progetto, Eric Clayton, non rilascia molte interviste e dunque siamo onoratissimi di poter condividere il pensiero di questo poliedrico artista con i lettori di TrueMetal! Buona lettura!
Dunque, caro Eric. Come vanno le cose da quelle parti e come mai la decisione di trasferirti in Germania? Che differenze trovi tra gli Stati Uniti e l’Europa in termini di vita quotidiana?
Sì, prima di tutto la ragione per la quale sono qui è che mi sono innamorato di una donna tedesca: mi sono trasferito e ci siamo sposati tre anni fa. Stiamo cercando di farci una vita qui, la ragione per cui siamo qui è la sua famiglia… Ci sono varie ragioni per le quali sono qui ma l’amore è la prima e più importante motivazione. Ho anche avuto l’opportunità di tornare ad esibirmi e sono pure tornato in studio, infine, a registrare materiale e via dicendo. Il mio pubblico musicale qui è sempre stato più tangibile, per me è sempre stato più facile in Europa: dato il mio isolamento negli Stati Uniti anche in ambito musicale, mi è sembrato giusto venire qui e vedere se riuscivo a riconnettermi all’ambiente. Quando sei innamorato fai ogni pazzia immaginabile, giusto? Trasferirmi in Europa è stata un po’ una cosa folle, potete definirmi un espatriato ma sono ancora un americano e un giorno mia moglie ed io troveremo il modo di tornare a vivere negli Stati Uniti. Ma al momento, per una qualche ragione, dobbiamo stare qui!
Dunque ti sembra più facile, da queste parti, lavorare con la musica?
Sai, la penso così. Non saprei, sento che qui sono più connesso a quello che immagino sia rimasto della scena, la scena metal, goth, wave, prog… Ogni scena alla quale mi sono sempre relazionato, qui mi ci sento più legato: sai, gli Stati Uniti sono disconnessi dalla scena metal e via dicendo da molto tempo! Difficile trovare una scena là, è un posto grande, qui è un po’ più facile (ride)!
Cosa ci dici del responso da parte di fan e stampa per A Thousand Scars? Hai in progetto una ristampa su cd o vinile?
Prima di tutto grazie per avermelo chiesto! Sì, ho fatto uscire copie fisiche, abbiamo realizzato una prima stampa nel 2020 quando è uscito: qualche centinaio di copie in cd e in vinile che sono andate esaurite. Dopo qualche grosso ritardo per i vinili – sono sicuro che sai dei ritardi globali dell’industria della stampa di vinili – abbiamo cercato di fare una seconda stampa limitata di A Thousand Scars che è uscita lo scorso settembre (2022). Ci sono voluti quasi due anni di caos tra fabbriche di dischi, compagnie di produzione e ritardi… La questione vinile è il vero problema! Dunque sì, forse ci sarà la possibilità di una terza edizione speciale un giorno e decisamente altri cd. Al momento sono più focalizzato su altri progetti, comunque credo di avere ancora cinque o sei copie di A Thousand Scars, non lo sto pubblicizzando ma se la gente si connette al mio sito può prendere una copia. Si tratta della seconda edizione, quasi sold-out ma ce ne sono cinque o sei qui in Europa e una dozzina negli Stati Uniti: se qualcuno in ascolto, il sito è www.eric-clayton.com
Stessa domanda per Bowie: Decade. I fan saranno in grado di acquistare una nuova edizione di questo disco, nel futuro?
Lo spero, sicuramente… Naturalmente è disponibile come streaming e download ma le copie fisiche sono rare di questi tempi! Mi piacerebbe stamparne qualche migliaio di copie, era stato stampato in qualche centinaio di copie a casa, in modo indipendente. Non ho nemmeno un management, dunque… Da quando sono tornato a fare musica sono ancora più indipendente che negli anni Novanta: di base si tratta di me e qualche amico, senza promuovere in modo aggressivo. Sapete che non rilascio molte interviste ma spero comunque che ci sia una richiesta per la ristampa di A Thousand Scars, esistono al mondo meno di mille copie e sarebbe bello ce ne fossero altre!
Cosa stai pianificando di questi tempi, sia in termini di studio che di esibizioni live?
Beh, immediatamente mi metterò in viaggio per l’Olanda per registrare parti vocali con Marcel Coenen… Spero di aver pronunciato bene il suo nome, l’olandese è una lingua molto insidiosa, ancor più del tedesco (ride)! Marcel mi ha contattato circa sei o sette settimane fa per una collaborazione: ho lavorato con lui su The Theater Equation degli Ayreon nel 2015 ed è stata la porta che mi ha aperto nuovamente la possibilità di ritornare a fare musica. Marcel ed io siamo rimasti in contatto sporadico su Facebook, giusto per gli auguri di buon compleanno o di buon Natale… Ma di recente mi ha inviato un brano molto bello di sei minuti, chiedendomi se fossi interessato a scrivere una linea vocale e un testo oltre che a registrare la parte: è la prima volta che faccio una cosa simile da un po’ di tempo, si tratta di registrare e collaborare con un brillante chitarrista. Penso sia una canzone molto bella e credo di poter annunciare il titolo, Of Broken Hands. A parte ciò, dal punto di vista delle registrazioni non ho nulla di pianificato, scrivo musica di tanto in tanto ma non mi sono mai seduto con l’intenzione di scrivere un pezzo musicale o un concept o cose simili. Ho avuto momenti di ispirazione durante l’ultimo anno, nei quali mi sono seduto al piano per scrivere trenta secondi di musica o una progressione di accordi, oppure una linea vocale, talvolta la parte ritmica, talvolta una linea di basso. Ho avuto la musica dentro ma sto scrivendo in modo passivo, giusto quando arriva… Credo che se dovessi sedermi ad ascoltare quanto ho raccolto sinora, potrei avere in mano materiale sufficiente per un album alle prime fasi. Non ne sono sicuro ma quello che posso dire è non mi sto focalizzando interamente sulla musica, sono diviso tra varie cose tra cui il progetto di un documentario: ne possiamo parlare anche dopo ma è quello che sta prendendo il grosso del mio tempo.
Sono passate tre decadi dall’uscita del vostro primo album. Cosa ricordi dei tempi relativi ai primi due album dei Saviour Machine? Sia in termini positivi che negativi, sul vivere facendo musica nei primi anni Novanta, un’era molto diversa!
Assolutamente. È una domanda molto attinente rispetto a quanto sto facendo ora perché sto lavorando a questo documentario… Non ho mai affermato di essere un regista, forse un regista frustrato (ride): ecco perché, forse, la mia musica suona come quella di un tizio che vuole fare film! Mio fratello Jeff (Clayton, chitarrista dei Saviour Machine), io e Dean Forsyth (bassista dei Saviour Machine) stiamo lavorando a stretto contatto. Tutti e tre stiamo partecipando a questo progetto di documentario relativo a quello che abbiamo vissuto come Saviour Machine in modo particolare nel 1993, trent’anni fa. Il nostro primo album è uscito in una serie di negozi di dischi e librerie cristiane, librerie che oltre ai libri vendevano anche musica christian rock, quella degli inizi soprattutto. Il nostro primo album è inizialmente uscito con un’etichetta cristiana della California del sud, la Intense Records / Frontline Records, chiunque possieda una copia del 1993 può vedere il logo della Frontline. Ciò è connesso a quello a cui stiamo lavorando, la storia dei Saviour Machine e della musica cristiana statunitense: ci fu un incontro piuttosto violento nel 1993, penso possa essere definito così. È una storia lunga e in un’intervista posso solo grattare la superficie, ecco perché devo decisamente fare un film: è quasi incomprensibile e folle cercare di comunicare cosa successe in un arco di undici mesi, tra gennaio e novembre del 1993. Da quando abbiamo firmato con l’etichetta all’entrata in studio e la pubblicazione del disco in un mercato che era impreparato per noi, che eravamo molto impreparati per esso! Si è trattato di una ricetta per il caos e il disastro ed ecco cosa successe: alla fine dell’anno – oddio – una volta uscito il disco ho passato i successivi cinque o sei mesi, di base il resto dell’anno, al telefono coi rivenditori e i negozi che lamentavano che mamme e papà erano scandalizzati per il trucco, per gli orecchini, che chiedevano cosa diavolo fosse quella cosa sulla testa, che non poteva trattarsi di una band cristiana dato che ci truccavamo e vestivamo di nero, non si può essere una band cristiana con testi del genere e via dicendo. Forse era un po’ troppo artistico come progetto per i tempi: quando fai cose un poco bizzarre o inusuali oppure troppo all’avanguardia spesso finisci per scontrarti. Noi come gruppo e come uomini molto giovani eravamo impreparati per la follia di quell’anno, quanto successe fu l’ispirazione per gli argomenti di ciò che divenne Saviour Machine II. Mi hai chiesto dei primi due album e ti rispondo interrompendo questa lunga frase, questo lungo mio soliloquio (ride): quello che è successo nel 1993, il cercare di buttar fuori un disco – il primo – e supportarlo nell’industria discografica cristiana, è direttamente responsabile per Saviour Machine II, registrato nella primavera del 1994. Una volta uscito Saviour Machine ho passato il resto dell’anno a rispondere ad agenti, rivenditori, a cercare di calmare qualche vecchietta scandalizzata da quello che mi mettevo in testa, a genitori incazzati perché i figli avevano iniziato a mettere l’eyeliner (ride)! Quando non ero impegnato in quel senso, Jeff, Dean, io e Nathan (Van Hala, tastierista), che era appena entrato nei Saviour Machine, potevamo iniziare a scrivere musica per Saviour Machine II: un anno folle che finì per creare la narrativa di quel bel disco che uscì l’anno successivo.
E il passo successivo, la trilogia Legend? Come l’avete concepita e pensi di tornare a lavorarci?
Per la faccenda Legend hai fatto un bel salto in avanti! Se parliamo dei primi due dischi e poi si passa a Legend c’è un bel salto perché nel frattempo sono successe molte cose, tra le quali Live In Deutschland del 1995. Non abbiamo iniziato a scrivere Legend prima del tardo 1995… Sì, tutta la questione Legend è una storia diversa e con il dovuto rispetto per te, i tuoi ascoltatori e lettori preferirei non parlare della trilogia Legend: è una di quelle cose, di quegli argomenti che mi toccano ancora troppo ed è meglio per me non parlarne, amico! Ma possiamo parlare di qualsiasi altra cosa, in quel caso sono un libro aperto!
Qual è lo stato attuale dei Saviour Machine?
Beh, questa è una bella e legittima domanda! Inattivi (ride)? Assolutamente inattivi! Dean, Jeff ed io siamo rimasti in contatto più frequentemente in quest’ultimo anno: parliamo di alcune cose, passiamo più tempo insieme, in questo periodo siamo nostalgici. Siamo tutti ultracinquantenni: io 56, Dean 54, mio fratello 52… Quell’età in cui dici «wow»! Quanto successo, collettivamente, anche se non ne abbiamo discusso… Beh, penso che trent’anni se ne siano andati e per essere completamente umili ed onesti a riguardo, il fatto che tu ed io stiamo parlando di un disco di trent’anni fa sia qualcosa di eccezionale! È quello a cui pensi come giovane artista, pensare che qualcuno considererà il tuo disco dopo dieci o venti o trent’anni: è il sogno proibito di ogni ragazzino che fa cose simili, anche a questo livello limitato… Voglio dire, Saviour Machine non ha mai conosciuto il successo commerciale, il momento in cui siamo stati più famosi sono stati i tardi anni Novanta. Abbiamo venduto qualcosa, sì, però è stata una breve finestra temporale prima che il mondo della musica cambiasse in modo così rapido! Sì, riguardando indietro e considerando il fatto che Saviour Machine sia un disco amato da così tante persone, accanto ad altri album classici, è davvero un onore! È sorprendente che tu ed io, che ancora non ci siamo incontrati faccia a faccia, lo faremo un giorno ma potrebbe anche non accadere mai, stiamo parlando di qualcosa a cui ho dato inizio con mio fratello e un caro amico in un garage di Grand Terrace in California nel 1988: ciò ha dato vita ad un disco, poi ad un altro e poi a “qualcosa”, una band, un progetto che ha lasciato il segno in una decade durante la quale molto è successo. Ti dico che Dean, Jeff ed io siamo in una fase un po’ nostalgica, normalmente non sono una persona nostalgica e tendo a vivere il presente cercando di vivere qui ed ora, ma la nostalgia è una di quelle cose che può raggiungerti, specialmente quando invecchi. È quello che proviamo Dean, Jeff ed io e se mi chiedi qual è lo stato dei Saviour Machine… C’è una sorta di battito cardiaco, c’è una sorta di “qualcosa che succede”, sono felice che Dean, Jeff ed io stiamo mantenendo diciamo una vicinanza che resiste da vent’anni o giù di lì!
Quali sono le tue principali ispirazioni come cantante, come musicista e quali sono i tuoi artisti preferiti a parte Bowie, naturalmente!
Questa è una di quelle domande che se me l’avessi posta trent’anni fa avrei avuto una manciata di nomi: Jim Morrison e i Doors, ovviamente, una parte fondamentale di quello che è diventato lo stile di Eric Clayton, Jim Morrison è stata una grande influenza soprattutto per le parti più crooner che ho realizzato. Amo i Doors e sono un grande fan dei Black Sabbath, mi piacciono tutti gli Zeppelin, sono un hard rocker, un grande fan di Jimi Hendrix! Mi rendo conto che le cose che mi piacevano trent’anni fa mi piacciono ancora oggi ma ho anche sviluppato un amore per vari artisti nel corso del tempo, troppi per menzionarli tutti ma ce n’è uno che devo per forza tirare in ballo, anche due: gli U2 mi hanno profondamente influenzato per lo spirito e la direzione dei Saviour Machine, l’idea che quattro persone potessero stare su un palco con un messaggio, sconvolgendo le menti delle persone! Penso che Bono sia uno dei primi cantanti che vengono definiti emo! Direi che se prendi un po’ di Morrison, di Bowie, di Leonard Cohen, un pizzico di Bono e un paio di altri tizi che mi sto dimenticando… Forse Frank Sinatra (ride)? Non saprei… Invecchiando ovviamente la mia voce è diventata più profonda, rotonda e piena: questa caratteristica del baritono è diventata il mio marchio di fabbrica ora che sono più vecchio. Oggi per me è più facile cantare come Leonard Cohen che non come Bruce Dickinson. Per quanto riguarda le influenze musicali dei Saviour Machine, se prendi Bowie, Black Sabbath, The Doors e i primi Genesis… Oddio quanta roba, come quando uno ti chiede: «Che tipo di cane è quello?» e include quindici differenti razze! Credo che siamo stati abbastanza fortunati da mettere tutto insieme in modo che suonasse originale…
Prima di mandare un saluto e messaggio finali ai tuoi fan italiani, hai qualche ricordo legato all’Italia nella tua vita?
Oh amico! Purtroppo non sono mai venuto in Italia, sono stato due volte in Grecia, vivo in Europa da qualche anno ma tecnicamente non ho mai calpestato il suolo italico! So che qualche volta negli anni Novanta siamo andati vicini a organizzare una data italiana ma non è mai successo! So che c’è una base di fan piccola ma leale in Italia: il fatto che i Saviour Machine non siano mai riusciti a suonare là è stato dannoso. Abbiamo suonato in Grecia nel 1998 e ancora oggi ho un enorme e leale responso dai fan per sole due date fatte allora! Credo che le regole del gioco sarebbero cambiate se avessimo suonato in Italia negli anni Novanta ed ora tu ed io staremmo parlando di una band più popolare in Italia! Non è mai troppo tardi, mi hai chiesto cosa vorrei dire ai miei fan italiani? Trovate il modo di portarmi in Italia, voglio suonare e cantare per voi! Grazie, che Dio vi benedica per tutti questi anni di supporto, specialmente quando sparisco per cinque anni ogni tanto e non rendo facile seguire la mia carriera, a volte! Apprezzo davvero il supporto per A Thousand Scars, lo so perché ho gestito io ogni ordine, ho impacchettato ogni vinile e so per certo di aver inviato almeno trenta copie in Italia nell’ultimo anno: vorrei ringraziare queste persone personalmente per il supporto del disco, spero di renderlo nuovamente disponibile per l’acquisto. Ma la cosa più importante è che voglio suonare là, voglio vedere l’Italia, passare del tempo là, insieme alla gente! Ho del sangue italiano in famiglia, il cognome di mia nonna – la mamma di mio padre – era Adamo! Veniva da una famiglia italiana, italo-irlandese, un sacco di cose! Mi piacerebbe venire, il mio amore per l’architettura, l’arte e la storia e… (ride) Il romanticismo, sono un grande romantico! Io che vengo in Italia è una di quelle cose che dovrà succedere, alla fine!