Intervista Estetica Noir (tutta la band)
Intervista a cura di Lisa Deiuri
Incominciamo dalla vostra storia di band attiva da più dieci anni nella scena darkwave italiana e internazionale. Com’è nato il vostro progetto e chi sono, oggi, gli Estetica Noir?
(Rik) Estetica Noir è un progetto nato nel 2013 per mano di Silvio e mia, legati da sempre a sonorità wave/electrorock/industrial ed in particolare a band quali Nine Inch Nails, Cure, Depeche Mode e Killing Joke, giusto per fare quattro nomi tra le migliaia che continuiamo a collezionare sui nostri scaffali di cd e vinili.
Volevamo creare qualcosa di nuovo, moderno, ma legato alle nostre influenze; influenze che per noi due passano dal mondo goth/wave, per passare al metal, al thrash. Per farti capire, abbiamo sempre adorato gruppi come Voivod, Anthrax, Slayer, Iron Maiden o altri milioni di cose che costantemente continuiamo ad ascoltare.
Per arrivare al suono attuale siamo passati attraverso vari cambi di formazione, passando dall’avere due chitarre a un tastierista di ruolo, che poi ci ha dato quella dimensione sonora che io e Silvio cercavamo fin dall’inizio.
Oggi siamo una band soddisfatta dei risultati raggiunti, ma in costante ricerca, non ci fermiamo; io e Silvio siamo già proiettati verso il futuro, a portare la band a un livello successivo che ancora non sappiamo quale possa essere.
Uno sguardo al passato: in brani come ‘Room of Masks’ e ‘Sweepers’ (da ‘This Dream in Monochrome’, Red Cat Records, 2022) o, ancora prima, ‘I hate’ e ‘Deluxe Lies Edition’ (da ‘Purity’, Red Cat Records, 2017) emergono la rabbia e il disincanto nei confronti di una realtà fasulla nella quale, a dispetto di tante assurde utopie, lo spettro della fine aleggia costantemente al nostro fianco.’Amor Fati’ (Swiss Dark Nights, 2024) nel quale dell’antica rabbia rimane un vago ricordo, è un concept album che parla dell’inesorabile invecchiamento e lo fa, sì, con qualche malinconia, ma anche con lo sguardo di chi non dimentica il proprio lato vitale, genuino, umano. In un mondo di consumatori congelati davanti a un display che senso ha per voi riflettere sul tempo che passa?
(Silvio) La tua disamina è precisa e attenta e quindi innanzitutto ti ringrazio per l’approfondimento e la professionalità con le quali hai affrontato questa intervista; nello specifico, temi come la rabbia e il disincanto nei confronti di una realtà fasulla, restano presenti anche su “Amor Fati”, ma vengono affrontati da un punto di vista meno viscerale, meno “di petto”, ma con la consapevolezza di una persona più adulta seppur ancora sognatrice.
Se con “This Dream In Monochrome” si sottolineava la preoccupazione per una deriva alienante di un progresso forzato, con “Amor Fati” si passa allo step successivo, cioè un tuffo nel crudele e inevitabile processo dell’invecchiamento, affrontato allo stesso tempo con nostalgia, romanticismo, rabbia e soprattutto determinazione, sia a livello personale che a livello sociale: “Amor Fati” è, per quanto possibile, un modo adulto di pensare con il proprio fanciullino, l’uscita forzata dal pessimismo cosmico adolescenziale, la consapevolezza delle difficoltà, il confronto con l’inesorabile scorrere del tempo e con la razionalizzazione dei sogni, che proprio in virtù della loro fugacità, acquistano un’aurea ancor più fascinosa e fondamentale per la propria vita, donando un’inaspettata vitalità che si nutre proprio del succo dei frutti morenti. Per quanto la costante deriva culturale e l’eccessivo progresso cantati in “This Dream In Monochrome”, ci rendano costantemente timorosi e preoccupati riguardo al futuro, in fondo amiamo i cambiamenti e la speranza di positività che possono portare. Il limite del sogno viene traslato ancora una volta e la notte tarda ad arrivare, immersi in un’eterna giovinezza che rende vivi e permette di assaporare il presente portando vitalità anche a chi ci sta intorno.
Rispetto ai precedenti, il disco offre un sound sicuramente più raffinato e dinamico. I toni synthpop e industrial, con basso e batteria a sottolineare la profondità e la potenza della nuova visione se, da un lato, ricreano un’atmosfera decisamente Eighties, dall’altro immettono diversi momenti di originalità. Cosa vi ha portato a questa evoluzione musicale?
(Rik) Hai centrato subito il punto, la prima cosa che abbiamo chiesto al produttore (Riccardo Sabetti) è stata proprio quella di far suonare i pezzi potenti già solo con basso e batteria, era un nostro obbiettivo; al contempo volevamo dare profondità e colore ai suoni che avremmo utilizzato, e credo che l’obbiettivo sia stato raggiunto. La ricerca sonora poi, è parte fondamentale del nostro processo creativo, questo ci rende originali (spero) rispetto ad altre band, nella maniera in cui lo si possa essere in un genere che negli ultimi 30 anni di originalità ne ha veramente poca. E soprattutto ci rende difficilmente collocabili in un unico genere musicale. I toni industrial e synthpop, ci sono, dosati al punto giusto e al servizio della forma canzone, non ci piace creare suoni fini a se stessi.
‘Amor Fati’ è stato prodotto da Riccardo Sabetti (This Eternal Decay, Spiral 69) che in ‘The End of Moraliadays’ è entrato anche nella composizione e nell’esecuzione insieme a This Eternal Decay. Cosa vi ha regalato questa collaborazione?
(Silvio) Questa collaborazione è nata da una proposta di Riccardo Sabetti, che dopo aver lavorato a un paio di nostri brani, ci ha proposto una sua composizione, chiedendo se fossimo interessati a farla nostra. Inizialmente non eravamo convinti al 100%, ma più ascoltavamo il brano in questione e più ci rendevamo conto che aveva un ritornello dal grosso potenziale. Parallelamente, tra le demo in lista per l’album, avevo scritto un brano che mi piaceva molto per la melodia della strofa, ma non mi soddisfaceva per come si evolveva; è venuto quindi spontaneo provare ad unire le due cose e devo dire che il risultato mi ha soddisfatto fin dall’inizio.
Un po’ perché mi annoia farlo, tanto perché lo trovo condizionante, finora non ho volutamente tirato in ballo Depeche Mode, The Cure, N.I.N. e Killing Joke in qualità di “muse ispiratrici” della vostra musica. Non che non vi abbia rintracciato le suggestioni, ma sono dell’idea che ascoltare una band cercando di individuare a ogni riff di chitarra, giro di basso o loop i gruppi del passato che possono aver influito sul suo lavoro sia come leggere un romanzo e, invece di godersi la storia, ci si metta a passare il tempo a dirsi – a ogni paragrafo – “Oh, ecco Tizo! Uh, qui Caio avrebbe fatto così.” Insomma: una cazzata. Per carità, le fonti sono importanti, la citazione, quando è fatta bene, aumenta il piacere ma, in entrambi i casi, si parla di arte, quindi di accrescimento, non di saggi compilativi. Comunque, ritornando alle Muse: di quali band, contemporanee e non, consigliereste l’ascolto a un ragazzino di oggi? (Valgono tutti i generi…)
(Rik) Io sono un ascoltatore di musica vecchia scuola (non solo per motivi anagrafici), mi piace ascoltare un disco nella sua interezza, mi piace gustare l’opera intera, e a meno che non mi capiti di sentire plagi, cerco di non farmi condizionare troppo dal ‘già sentito’. Ogni artista è cresciuto con determinati ascolti che per forza di cose riportano a influenze a volte chiare a volte meno, quindi se il disco merita, tollero certe influenze. Cosa consiglierei? Non vorrei passare per il vecchio classico nostalgico, ma consiglierei di ascoltare ovviamente cose vecchie, ma più per l’attitudine che il livello qualitativo in sé: sicuramente consiglierei di dare più valore a band tipo i Killing Joke, seminali e cazzutissimi, oltre che ai soliti nomi come già detto in una risposta precedente.
(Silvio) Io sono musicoterapista per professione, quindi mi imbatto ogni giorno in quelle che si definiscono “sequenze sonda”, cioè un insieme di brani che possano “agganciare” al tuo mondo, un paziente che ne è abbastanza lontano. Solitamente, per far avvicinare un ragazzino al gran calderone di musica oscura, cerco di propinargli le cose più accessibili come Cure, Depeche Mode, Talk Talk, Placebo, NIN e tutto ciò che può essere particolarmente orecchiabile e poco “disturbante” (perlomeno all’inizio, finchè non mi creo un quadro più preciso della persona). Ovviamente, in base all’età anagrafica, ci sono proposte con suoni più moderni che possono fare presa, ma dipende sempre dalla similarità con i gusti dell’altro. Delle uscite più recenti, adoro comunque gli ultimi Ulver, i +++Crosses e gli Actors.
Grazie per aver dedicato del tempo a questa intervista e, come diceva Dylan Thomas, bisogna infuriare “contro il morire della luce / Benché i saggi conoscano alla fine che la tenebra è giusta”.