Intervista Folkstone (Lorenzo Marchesi)
Nel duemiladiciannove i Folkstone decisero di salutare il loro pubblico con una serie di concerti celebrativi che ne hanno ripercorso la storia. Fu una lunga serie di “ultime volte”, in cui la band capitanata dall’istrionico Lorenzo Marchesi volle pagar tributo ai numerosi e variopinti fan italiani accorsi da ogni dove.
Quattro anni dopo, dalle macerie ancora fumanti e intrise di vino speziato, rinasce una piccola fiamma che in poco tempo è stata capace di riaccendere l’ardente fuoco del Folk Metal tricolore in salsa orobica.
Per la gioia dei fan e, non ultima, per quella dello scrivente.
La storia profuma di racconto, e i racconti sono parte integrante della storia e della cultura di un popolo. I racconti attingono da miti e leggende e li fanno vivere nel nostro presente di ogni giorno.
Se guardiamo nella bottiglia, tra la cannella e il ginepro raggrumati sul fondo, possiamo leggere di vecchi fasti e di nuovi, strepitosi trionfi di anime dannate a cantar…
Racconto di Lorenzo Marchesi trascritto ed elaborato per tuemetal.it da Daniele Peluso.
MACERIE
Partiamo dalla fine e la fine, che per noi rappresenta un nuovo inizio, corrisponde con il video del nuovo brano che abbiamo costruito assieme come Folkstone: “Macerie”.
In questo lavoro abbiamo voluto ripercorrere tutta la storia del gruppo fin dalle origini; non a caso, tra i fotogrammi, si possono trovare molti riferimenti del nostro passato più recente e le radici di quello che siamo stati fin dagli inizi. Dalle Rocce Nere Orobie alle ciminiere di Ferà, abbiamo voluto ricominciare la nostra narrazione facendoci abbracciare dai nostri posti del cuore, dove l’energia dei Folkstone ha visto i natali e dove non abbiamo mai girato nulla nel nostro passato.
In questo posto abbiamo raccolto le energie e ci siamo rimessi in cammino.
“Macerie” è stato scritto di getto quando è scoppiata la guerra in Ucraina.
Testo che è nato spontaneamente e che solo in un secondo momento è stato musicato.
È stata una cosa che ci ha colpito molto, la guerra, sopratutto perché erano da anni che non si vedevano scene così tragiche così vicine all’Europa. Il senso del testo, che è intriso dalle emozioni vissute nel vedere certe scene, lo si ritrova nella precarietà della vita, nella consapevolezza di quanto tutto sia assolutamente instabile. Da un momento all’altro, infatti, tutto quello che hai amato e che ami può trasformarsi in un cumulo di macerie senza vita.
NON SARÒ MAI
Per dare un corpo a tutta questa emozione, per farlo sul serio, abbiamo attinto ai luoghi che ci hanno sempre portato ispirazione creativa. È stato come tornare a casa dopo essere stati via per un lungo viaggio.
Siamo ripartiti da lì dando al tutto un forte significato simbolico. Calpestare le fotografie che erano appese al muro ha rappresentato un netto distacco dal nostro passato che viene metaforicamente distrutto e, in un certo senso, anche dolorosamente ripercorso. Non a caso il sangue, abbondante in scena, ne rappresenta il passaggio, traumatico, come fosse una metaforica rinascita.
Un urlo di disperazione che nasce da un meccanismo troppo più grande della singola persona, nel caso della guerra appunto, che ti dice che malgrado tutto, di quel finimondo che ti scoppia attorno, tu nei fai parte.
Con dolore devi decidere di combattere, perché non hai scelta. E non parliamo solo della guerra fine a se stessa, perché al nostro lavoro possiamo dare diversi piani di lettura: combattere è quello che facciamo ogni giorno, ciascuno di noi, e ricostruiamo, sempre, dalle macerie che inevitabilmente restano ai nostri piedi. È il ciclo della vita: c’è sempre la speranza e la voglia di ripartire e nel nostro piccolo, non paragonando certo le catastrofi umane che stiamo vivendo con la nostra storia, in questa spinta alla rinascita c’è molto del nostro vissuto come Folkstone.
E VADO VIA
È stato un passaggio obbligato, credetemi.
Nel 2019 io e Robi avevamo deciso di “appendere la musica al chiodo” dopo quindici anni di vita e storia musicale passata assieme. Eravamo svuotati, esausti.
Non abbiamo mai campato di musica ma abbiamo sempre dovuto lavorare per mantenerci. Questo ci ha dato l’indubbia fortuna di non dover dipendere direttamente dalle nostre produzioni né dal dover essere ogni volta la fotocopia di noi stessi, diventando delle macchiette costrette a sbarcare il lunario per sopravvivere.
Le “Macerie” a cui facevamo riferimento prima, per quanto concerne i Folkstone, si riferiscono al mondo che avevamo deciso di lasciare quattro anni prima l’uscita di questo brano.
Da quando abbiamo deciso di smetterla con la musica, io non ho più cantato con nessuno se non in una parentesi davvero minimale; non ho coltivato progetti paralleli né altro, semplicemente perché non avevo più niente in testa. Abbiamo chiuso una saracinesca musicale che ci aveva portato fin anche a non frequentarci più, prendendo ciascuno strade completamente diverse.
Rivedersi è stato strano, come andare in bicicletta se vuoi o, meglio, come bere un bicchiere di vino: dopo il primo bicchiere passi al secondo, poi alla bottiglia e in fine alla botte.
Con il gruppo è stato lo stesso: ci siamo ritrovati, abbiamo discusso parecchio con tutte le persone coinvolte nel progetto e alla fine abbiamo deciso di fissare una data. Tutto il resto è venuto da sé.
ANIME DANNATE
A darci la spinta dal basso, una spinta che da sempre abbiamo sentito spingere forte in ogni occasione, è stato il nostro pubblico, le persone che per anni ci hanno supportato e con cui Folkstone è diventato un tutt’uno indissolubile. Non una famiglia, un qualcosa di una forza e di una energia che non si può descrivere, che non si può etichettare.
Quando scesi dal palco per l’ultima volta, fino al giorno del ritorno, forse un po’ mi sono scordato di questa enorme forza umana: quando sono salito nuovamente su quelle assi davanti al nostro pubblico sono stato letteralmente travolto. E ho ricordato.
Un calore e un entusiasmo che forse non era nemmeno così scontato: per noi è stata un’emozione enorme che è difficile da raccontare a parole. Certo, posso ringraziare tutti quelli che hanno voluto supportarci dopo quattro anni di vuoto assoluto e di silenzio. Per tutti i nostri sostenitori io davvero non ho più parole: è un amore grande che – credo – derivi in parte anche dalla nostra volontà di comporre e proporre musica onesta. L’onestà è stata quella che ha pagato e io sono fiero di quello che è stato fatto e di come l’abbiamo fatto. Ricordo ancora, gli anni dopo la doverosa e imprescindibile gavetta, quando arrivavo ai concerti e vedevo tutta quella massa di persone pensavo “questo è senza dubbio l’apice della mia vita, sono contento di quello che ho fatto”.
Ed è con questo spirito e questa felicità che nel 2019 arrivai a salutare tutti e fui felice di poter salutare tutti quelli che c’erano da sempre. Ritrovarli dopo quattro anni di silenzio con quella forza e quell’entusiasmo travolgente è stata una cosa forte che non dimenticherò.
E pensare che, durante gli anni del ritiro, tutto questo non mi è mancato: dire il contrario sarebbe mentire. La verità e che ho vissuto quindici anni, tra lavoro e musica, senza mai davvero staccare la spina e ormai ero fuso. Serviva staccare la spina in modo netto.
CON PASSO PESANTE
Riscrivere il singolo mi ha ridato la voglia di tornare a strimpellare e a raccontare le nostre storie. La voglia è stata proporzionale alla risposta che abbiamo avuto dalla nostra gente. Ci siamo guardati tutti e ci siamo detti che, senza peccare di presunzione, qualcosa siamo ancora capaci di fare e di dire. Ci siamo guardati e ci siamo detti “siamo ancora noi”.
Noi ci siamo assieme al nostro pubblico e abbiamo ancora voglia di fare musica, di divertire e di divertirci. Siamo tornati alla condizione del “metalmeccanico del folkmetal” che ha ancora qualcosa da dire, ancora musica da suonare.
La pausa ci voleva: stare sempre a cannella per quindici anni è impegnativo, sopratutto quando hai la testa perennemente nella musica. Ora ci si può aspettare che i Folkstone continuino a fare musica, ma attenzione: non siamo molto inclini a stili o etichette, non suoneremo per avere un certo risultato. Se quello che suoneremo ci piacerà lo farà indipendentemente da come suonerà. Se sarà più o meno metal, più o meno rock questo si vedrà, saranno solo sfumature. Non ci metteremo a tavolino a dire: “bene, questo album dovrà suonare così piuttosto che cosà”, anche se potrebbe essere una libera scelta.
Noi non abbiamo mai ragionato così e non lo faremo nemmeno in futuro: sarà molto estemporaneo, e qualcosa in testa gira già; poi, per dirla tutta, eravamo fermi da quattro anni: quando apri il vaso dopo tutto questo tempo quello che ne esce è davvero di tutto e di più.
Per concludere vorrei spingere un po’ tutti a dare ordine alle cose, sopratutto riguardo alla nostra reunion. Già qualcuno parlava di gomblotti o fantasticava delle motivazioni che ci hanno spinto a separarci o a riunirci: diamo ordine alle cose, non siamo i Kiss.
Ci siamo ritrovati per continuare lungo la strada che era giusto interrompere e siamo tornati per suonare la musica che sappiamo di saper fare.
Vi aspettiamo lungo questa lunga strada, ovunque essa ci vorrà portare…
Daniele Peluso