Intervista Francesco “Fuzz” Pascoletti
Come si era soliti raccontare anni fa in una nota rivista del settore, abbiamo catturato un ospite illustre, l’abbiamo legato alla sedia più scomoda della redazione e, dopo avergli puntato la classica luce da scrivania negli occhi, abbiamo iniziato a sottoporlo ad una serie di domande a bruciapelo da cui non ha potuto sottrarsi.
La nostra vittima per una volta, è un personaggio che è stato spesso dall’altra parte della “lampada”.
Francesco “Fuzz” Pascoletti, iconico giornalista metal, già caporedattore di storiche riviste cartacee del settore, senza batter ciglio ha risposto al nostro fuoco redazionale costituito da una serie di domande al riguardo della nuova vita del suo Classix Metal e, inevitabilmente, del suo passato.
Ne è uscita una chiacchierata fiume, con aneddoti, rivelazioni, proverbiali “sassolini” e molto altro di decisamente succoso da leggere e scoprire con tutta calma.
Un’intervista di quelle che possono rappresentare un punto d’arrivo per chi, scribacchino del tutto improvvisato come il sottoscritto, ha avuto il piacere di esserne parte…
Intervista a cura di Fabio Vellata con la collaborazione della redazione di Truemetal.
Partiamo lisci con un po’ di autopromozione libera…raccontaci di questa nuova vita di Classix, soffermandoti in particolare sui motivi di una scelta così radicale.
Ma soprattutto su quali vantaggi pensi ne possano derivare…
Perdona la lunga risposta, ma questa è una domanda da un milione di dollari, che contiene dentro un mucchio di elementi diversi. Devi sapere una cosa: io sono una persona con una bassissima tolleranza alla noia! Anche riguardo a cose fighissime o più goduriose, dopo che le ho fatte per un po’, ne ho abbastanza e passo ad altro, been there, done that dicono gli inglesi (o gli americani, boh…). Ho sempre voglia di nuovi stimoli ed esperienze. Per fortuna che non mi sono mai drogato, altrimenti sarei schiattato già vent’anni fa. E per fortuna che mia moglie è una donna eccezionale, altrimenti… Un’esperienza totalizzante come quella di un lavoro che è anche un piacere e un privilegio fare, ma che spesso si fa anche per 12 ore al giorno, tutti i giorni, ti riempie. Anche se questo è un lavoro creativo, la struttura di una rivista è inevitabilmente fatta di cicli, ricicli e catena di montaggio. In passato ho cercato di sfuggire a questa ripetitività sia inventandomi nuovi progetti che evitando di parlare 50 volte dello stesso artista o di metterlo per 50 volte in copertina… quello che gran parte delle riviste rock negli ultimi anni NON fanno, ecco perché sono diventate noiosissime. Ogni nuova “trovata” del Fuzz, ogni cambiamento, compreso questo di lasciare l’edicola, è stato adottato per rendere più interessante il mio/nostro lavoro, e ha ben poco a vedere con l’aspetto economico. Sinceramente? Con i venduti che avevamo fino agli ultimi numeri da edicola (Classix 70 e Classix Metal 49 e il n.2 di Rrazörr) noi avremmo potuto andare avanti tranquillamente per X anni, ma sentivo che non aveva più senso continuare a fare le cose “alla vecchia maniera”, e il tempo mi sta dando ragione. Con il covid (e anche con la mia lunga degenza in ospedale, che mi ha “regalato” il tempo per riflettere su me stesso e il mio lavoro, pure troppo…), ho capito quello che volevo o non volevo fare in futuro (ad esempio, progetti come Classix Football, Wantlist o i primi ClassiXbook sono nati proprio sul letto di ospedale) e per quanto ancora avrei voluto farlo. La motivazione principale era evolvere e rendere sempre stimolante il mio lavoro, bada bene, non trovare un modo per guadagnare un milione di euro. Mi chiedi dei vantaggi? Ebbene, una decisione come l’allontanarsi dall’edicola (il classico “mollo tutto!”), si è trasformata in un vantaggio, anche economico: le spese di produzione sono drasticamente crollate, i guadagni sono entrati tutti le nostre tasche e subito, non tenuti in ostaggio da un distributore, tramite gli abbonamenti e vendita diretta abbiamo risaldato o stretto nuovi rapporti con i nostri lettori, ci siamo tirati fuori da regole, obblighi, tempistiche, schiavitù, stupidità e ripetitività del mercato. E credo che i vantaggi ci siano stati anche per i nostri lettori: i nostri numeri eXtra! oggi sono 10 volte più belli di quelli che andavano in edicola, hanno molte più pagine, un formato più grande, una carta lussuosissima (pensa che Classix eXtra! – Cult Hard Rock ha 156 pagine e pesa circa 600 gr), abbiamo dato ulteriore cura e attenzione alla grafica, che era già un nostro punto forte, abbiamo arricchito le riviste di gadget come artprint, card, borse, poster, toppe. Questa libertà ci ha dato finalmente anche il tempo di dar vita a progetti che avevamo in cantiere da anni ma non si realizzavano mai: abbiamo affiancato alle riviste i ClassiXbook, dei libri (noi li chiamiamo dei reference-book) che ampliano ed integrano gli argomenti trattati nei numeri e, in alcuni casi (vedi i libri sui singoli della nwobhm o sul proto hard rock del 1970) sono letteralmente enciclopedici. Naturalmente intendiamoci ragazzi, io mica sono infallibile, mica ho la palla di cristallo! Sono felicissimo di questa mia scelta e ne vedo i risultati creativi, tangibili ed economici, poi chissà, sulla lunga distanza può darsi che avrò fatto una colossale stronzata! Ma, visto che non prevedo di lavorare per altri 34 anni di editoria, posso ritenermi soddisfatto.
Togliere le riviste dalle edicole: non credi che questo possa contribuire a perdere dei potenziali nuovi lettori?
Nuovi lettori? Guarda, rivolgo io una domanda a te: sinceramente, sulla base della tua esperienza di fruitoe di riviste, di frequentatore dell’edicola o comunque di chi, in un modo nell’altro, un’idea di questo “ambiente” se l’è fatta, tu pensi che lì fuori esistano nuovi lettori? Tu credi che oggi sia possibile che qualcuno che ancora non la conosce scopra le mie riviste se ne innamori? Ma da dove arriverebbero questi nuovi lettori, dal pubblico giovane??? Io davvero non vedo la possibilità di trovare i nuovi lettori! A meno di non cambiare argomenti, di pubblicare altre cose (ad es. abbiamo in cantiere un libro che sposterà un po’ le nostre coordinate tradizionali) oppure di andare a trovare un nuovo tipo di pubblico… che in edicola non ci va! In parte è quello che stiamo facendo con il nuovo numero di WANTLIST, che sarà distribuito come freepress nei negozi di dischi proprio nei giorni in cui questa intervista dovrebbe andare online. Tra l’altro, sta cominciando a diventare anche tecnicamente difficile trovare nuovi lettori in edicola, visto che su sul territorio italiano le edicole stanno chiudendo, non è un’esagerazione, a ritmo giornaliero. A Roma in meno di due anni (il dato è di RomaToday di poche settimane fa) hanno chiuso 102 edicole e, secondo le cifre ufficiali della SNAG, nel 2021 in Italia ne sono scomparse 850. Abito in un quartiere centrale e ho visto smantellare edicole davanti ai ministeri, ti rendi conto? Io in realtà il nuovo lettore l’ho trovato nel vecchio lettore, coinvolgendo sempre di più chi ormai ci ama e ci segue con nuovi o diversi progetti, che non siano più la classica rivista di X pagine che si trova nella sezioncina musicale delle edicole. Poi ovviamente anche qui mi metto in discussione: sarebbe bellissimo per me sapere che una nuova rivista musicale diversa, coraggiosa, innovativa e pure bella arrivi in edicola e abbia successo, ma sembra che oggi non sia permesso alle riviste musicali di essere diverse, coraggiose e innovative.
Rock Hard esce ancora regolarmente, però. Sono stati più bravi di voi?
Le ciurma di Rock Hard è bravissima a fare un tipo di rivista che noi non saremmo assolutamente capaci di fare. Loro sono una macchina perfettamente oliata che ogni mese produce un magazine di, credo, 128 pagine, strapieno di cose. Io non ce la farei mai! Ovviamente loro puntano sull’informazione “da quotidiano”, riferiscono di quasi tutti i dischi che escono, intervistano quasi tutti i gruppi che hanno fatto un disco e coprono un range di generi molto più definito del nostro. Noi, rispetto al quotidiano, siamo il mensile o il settimanale (o forse, viste le nostre lunghe tempistiche, il trimestrale …grrrr) che si può permettere di centellinare fra 1.000 input e scegliere di cosa parlare o addirittura il lusso di non parlare affatto di quelle cose, ma di dare 12 pagine ai Babe Ruth o 29 pagine a un articolo sulla Ebony Records, che non ha mai fatto nessuno sulla stampa italiana e presumo pure estera. A Rock Hard, probabilmente sono meglio strutturati di noi (togli anche quel probabilmente), se non erro sono tre soci, mentre io sono una one-man band, come diceva lo scomparso Francesco Coniglio. Oltre a lavorare benissimo, RH, avendo questo contatto con l’attualità, ha una possibilità infinitamente maggiore della nostra di ottenere spazi e introiti pubblicitari. Noi le uscite proposte sul 90% delle poche pagine pubblicitarie che ancora circolano oggi, praticamente non le trattiamo! Quindi ci precludiamo un’importante fonte di guadagno e possiamo basarci solamente sul venduto. D’altronde, la libertà si paga. Freedom isn’t free! Fuzz, vuoi parlare di quello che cazzo ti pare? Vuoi uscire quando ti va? Vuoi fare 29 pagine sulla Ebony Records e avere il gadgettino ma non ti va di fare la marchetta sugli Iron Maiden? E allora il giornale te lo paghi di tasca tua!
Oltre alla concorrenza della rete, a un diverso modo di fruire dell’informazione musicale, a indiscutibili fattori economici e ad una inevitabile diminuzione di lettori interessata a questi generi, pensi che ci sia stato anche dell’altro a danneggiare le riviste tradizionali?
L’elenco di argomentazioni che hai esposto è già una perfetta ricetta per il disastro. È chiaro che, quando la carta, a Dicembre 2021, è aumentata del 70%, SETTANTA, qualunque discorso relativo all’imprenditorialità in questo settore crolla. Immagina cosa accadrebbe in Italia se, ad es., i beni alimentari, l’affitto o la benzina aumentassero del 70%, sarebbe lo sbando, la bancarotta di una nazione!!! Personalmente, o almeno nel mio caso, ritengo che una grossa responsabilità ce l’abbiano anche coloro che sono i primi a guadagnare sulle riviste, ancor prima dell’editore, e quindi dovrebbero garantire la massima protezione sia alla stampa che agli editori, ma invece non lo fanno: la catena distributiva. Io ho avuto sempre un ottimo rapporto con il mio distributore, che fa parte di uno dei più grossi e storici editori italiani, ma il problema è che queste persone distribuiscono giornalucoli come il nostro nello stesso identico modo con cui distribuiscono il milione di copie della rivista scandalistica del supereditore. In realtà queste aziende non sono altro che fattorini: portano le riviste in edicola, prendono una percentuale e addirittura vengono pagati anche nel caso tu non venda nemmeno una sola copia. Con una malvagità diabolica (o una stupidità colossale, fate voi) quando la carta è aumenta del 70% questi che hanno fatto? Hanno aumentato anche la loro percentuale di trattenuta sulla copia venduta! La distribuzione è rigida, statica, pigra, inamovibile. Io ho avuto edicolanti che mi hanno segnalato disservizi, riviste che improvvisamente non arrivavano anche se vendevano tre copie, ritardi nelle consegne, ripeto, gli stessi edicolanti ci scrivevano! Giravo queste comunicazioni al distributore, ma niente, mese dopo mese non cambiava nulla. Risultato? Punti vendita irrimediabilmente perduti. Inoltre non esistono modi alternativi di distribuire le riviste. Non hai idea le volte che ho chiesto di intensificare una distribuzione in una regione, di spostare le copie invendute di una zone dove invece c’era più richiesta, di conoscere l’esatta locazione di ogni singolo punto vendita, che ne so, a Napoli come a Firenze… zero! Con la rivista Rrazörr ci ho provato ancora: dato il carattere particolare e l’appeal estremamente limitato di una (meravigliosa) rivista dedicata alla musica moderna, underground, estrema, era chiaro che una distribuzione nazionale fosse inutile e sprecata, ma non c’è stato niente da fare: il distributore a preteso un X numero di copie sul territorio nazionale ed è stato anche impossibile organizzare una distribuzione parallela abbinando insieme le copie di Classix Metal a quelle di Rrazörr. La cosa divertente è che, quando abbiamo annunciato il progetto Rrazörr, io prevedevo che avremmo al massimo venduto un determinato numero di copie, ebbene, a dimostrazione che qualcosa ancora ci capisco, il venduto è stato esattamente quello che io avevo preventivato, ma ovviamente troppo limitato per riempire gran parte delle edicole d’Italia. È come se la distribuzione impedisse la pubblicazione di riviste che possono avere sì un seguito nazionale, ma non da dover per forza stampare 20.000 copie! Rrazörr (che, ripeto, ha avuto il piccolo successo che ci immaginavamo, ma che è comunque piaciuta moltissimo) è arrivato al momento sbagliato, quando in ogni caso meditavamo l’uscita dall’edicola. Oggi parte di quegli argomenti è ancora presente in una sezione di Wantlist.
Esisterà in futuro la possibilità di vedere pubblicati ancora i numeri in modalità “tradizionale” di Classix Metal?
Attenzione, se per tradizionale intendi l’edicola, penso di averti già risposto poco fa: no! Allo stesso tempo, crediamo ancora moltissimo nei prodotti cartacei, crediamo nel piacere di avere un bell’oggetto fra le mani, nel conservarlo, nel ritornarci nel tempo, ecco perché oggi facciamo riviste ancora più belle, eleganti, oserei dire lussuose, che davvero sappiano raccontare in modo splendido le grandi e piccole storie del rock. Oggi non facciamo “giornali”, ma oggetti da collezione. Rispettare la tradizione significa anche impelagarsi in un progetto come WANTLIST freepress, un giornale gratuito e di carta (e anche bello, pur se di dimensioni ridotte) che arrivi a parlare di musica e di dischi lì dove la musica si trova e si vende. Vabbè, se la gente comprasse ancora dischi, ma questo è un altro discorso… Quindi siamo assolutamente tradizionali, ma siamo anche rivoluzionari nel nostro modo di essere tradizionali!
Non pensi che la mancanza di regolarità delle uscite possa in qualche modo allontanare i lettori più affezionati?
Ripeto: oggi non facciamo “giornali”, ma preziosi oggetti da collezione. Un oggetto prezioso non lo puoi fare tutti i mesi. E un oggetto da collezione è qualcosa per molti, ma non per tutti, lo sappiamo bene, come sapevamo perfettamente, fin dal primo giorno, che andando via dall’edicola e perdendo una vetrina fissa il nostro venduto medio sarebbe crollato inesorabilmente. Non mi sono mica detto “speriamo che…” o “magari non succede…” lo sapevo, punto e basta! Saremmo stati proprio stupidi a non tenerlo in considerazione, no? E siamo realisti abbastanza da sapere che colui che “ci ama e ci segue” può anche decidere di fare come cazzo gli pare. Naturalmente abbiamo anche fatto dei calcoli. E i calcoli ci hanno dato ragione. Poi, dopo, abbiamo scoperto che i lettori affezionati non ci hanno affatto abbandonato, anzi non ci concedono il lusso di mollare, di dormire sugli allori, di annunciare un pre pre pre pensionamento, aiuto! I lettori affezionati, vedendo i prodotti che realizziamo oggi, hanno semplicemente capito che sono migliori di quelli che compravano ieri in edicola. Poi ok, ci sono i lettori casuali che ti comprano se oggi in copertina metti X e non Y, ma quelli ce li hanno tutti. Poi c’è chi non ti ha mai letto ma segue costantemente le tue pagine social solo per criticarti, io però quelli li individuo subito, che spasso. E poi ci sono i brontoloni che dicono “Non vi seguo più, casso, perché le vere riviste vanno in edicola, ostia!” e nel post seguente “Ciapa lì, ecco gli ultimi acquisti della settimana!” con la foto dei cd comprati online, e ci sta pure un libro, e la busta di Amazon sullo sfondo. C’è un sacco di gente che ancora oggi mi scrive: “Che succede? È un sacco di tempo che non vi trovo in edicola!” e io mi prendo il tempo di spiegargli tutto (ok, ho una risposta-base). Devo dire che, con immenso mio piacere, ho trovato persone che sono passate dal “No grazie, comprare riviste online non fa per me” al “Ho ricevuto la rivista e i regalini che allegate ai pacchi e ho capito che un prodotto del genere non avrei mai potuto comprarlo in edicola o sarebbe costato molto di più”. Adesso naturalmente arriverà il commento di uno che mi rovinerà questa splendida risposta: “Io ero un lettore affezionato e vi ho abbandonato perché le vere riviste si coprono solo in edicola! Casso, minchia, ciumba, daje, eja, dè!”.
Se la pubblicazione di Classix e Classix Metal continua, seppure in modalità diversa, è perché economicamente hai un tornaconto, altrimenti saresti un pazzo. E non lo sei. Paghi i tuoi collaboratori o è tutto all’insegna del “dai, su, siamo una grande famiglia, volemose bene”?
Non sono un pazzo? Uhmmm, mi sa che non mi conosci bene, ahah. Io sono uno di quelli tutto istinto e poco cervello, che prima fa e dopo ragiona o comunque il tipo di “imprenditore” che, anche quando si fa i suoi calcoli, vede che il risultato non torna e che i segnali non sono positivi, se ci crede davvero, se sente i peli del braccio rizzarsi, si butta lo stesso. Visto che dopo c’è una domanda sull’aspetto economico e sul tipo di soddisfazioni che derivano da fare questo lavoro, ti risponderò lì in dettaglio. Non è il caso di dire com’è andata negli anni dei precedenti editori delle riviste, quando erano loro a pagare i costi e le collaborazioni… ma è andata male! Nel 2014 ho fondato la mia casa editrice, Say Yes Publishing, e da quel momento le cose vanno così: pago regolarmente il mio grafico, anzi, credo di essere diventato il suo principale datore di lavoro, pago regolarmente il mio “assistente” Tony Aramini, pago dei collaboratori che si occupano del supporto logistico (ad es. recentemente è diventato molto complicato stare dietro alle centinaia e centinaia di spedizioni che facciamo e quindi su quell’aspetto ho bisogno di assistenza), pago il collaboratore X incaricato di seguire dalla A alla Z un progetto specifico, oggi pago anche un’agenzia che si occupa della nostra promozione, ma non mi è possibile pagare regolarmente le collaborazioni dei miei giornalisti. È anche vero che qui vige la regola del “condizionale”: io non dico “devi!” ma “potresti?”, non “fai!”, ma “vorresti fare?”, non impongo di scrivere una recensione, posso umilmente proporla al collaboratore. Chi non vuole, non può o ha altro da fare, non fa, non ci sono obblighi. Siamo una famiglia? Io penso di sì, perché oggi le famiglie non sono mai perfette. Siamo gente che ha un obiettivo comune, che ama fare delle belle cose dove in fondo alla pagina la firma sia la sua, mica la mia. È vero, tanta gente ha collaborato gratuitamente per tanti anni sulle mie riviste. Ma è anche vero che io, investendo moltissimo tempo, energie e denaro e pagando tutti i conti di questo giornale, ho concesso a tanta gente di pubblicare per anni tutto quello che volevano, senza censure, senza obblighi. I patti con ogni collaboratore sono sempre chiarissimi fin dalla prima telefonata, è impossibile che qualcuno si senta o venga imbrogliato. Ripeto: la libertà costa, quindi la libertà di poter collaborare a un progetto prestigioso, dove nulla viene imposto, è molto importante e anche molto rara.
In tutta onestà, lo fai per guadagno? O dopo tanti anni c’è ancora una parte preponderante di passione nel lavoro che porti avanti? Come ti senti? Orgogliosamente come uno degli ultimi difensori di un certo modo di fare giornalismo? O Non te ne frega più di tanto e badi al sodo (ai risultati)?
Ho sentito dire tantissime cose su di me da chi sapeva pochissimo della vita di redazione e assolutamente nulla del business editoriale, ma qui in redazione, per le famose 12 ore al giorno, ci sono io! So io come funzionano le cose, quanto costano questi progetti, i margini di guadagno sempre più stretti e quelli sempre più ampi di rischio, eppure ti ripeto quanto detto: l’aspetto economico è sempre stato secondario all’autogratificazione, al piacere furioso di fare qualcosa di speciale, di realizzare prodotti che nessuno avesse mai pubblicato o semplicemente di dire “questa cosa, bella come l’abbiamo fatta noi, non l’ha fatta mai nessuno!”, allo spacchettare il primo scatolone di riviste che arriva dalla tipografia. Poi, quando quel prodotto è fuori e vedi che ha anche successo, beh, è la scintilla che ti dà la carica per ripartire! Fammelo dire chiaro e tondo, visto che riguardo all’aspetto economico mi fai delle domande dirette: è molto facile fare l’allenatore del lunedì, l’esperto da poltrona, “io avrei fatto così io avrei fatto cosà”, “i veri giornali escono solo in edicola bla bla bla”. Io nel 2024 compio 34 di questo mestiere e, se sono ancora qui, è perché ho imparato anche a guardare avanti, nonostante mie riviste parlino del passato. Amo il mio lavoro e ho voluto continuare a farlo restando al passo con i tempi e senza compromessi. Che hanno fatto tanti altri editori? Si comincia ad allargare la grafica per riempire più pagine, si passa a una carta da quattro soldi, si aumenta il prezzo, si tagliano i tempi e si esce con un prodotto sciatto, tanto alla fine paga, letteralmente, sempre e solo il lettore! Modi per guadagnare in editoria, per “imbrogliare”, soprattutto il lettore fedele, quello che ti segue sempre, che è quasi dipendente dal tuo prodotto, ci sono ancora. Io sono assolutamente incapace di applicarli, nel senso che non mi piace farlo e combineremmo comunque è un disastro, lavoreremmo comunque tanto, troppo, non faremmo il prodotto-fuffa da prendi i soldi e scappa! Mi ricordo quando provammo a facilitarci la vita, a fare il colpaccio: decidemmo di ripubblicare alcuni vecchi articoli di Classix in un numero chiamato Classix Anthology, il n. 40 del Giugno 2014 (ancora disponibile sul nostro webStore). Si trattava solo di ripubblicare i vecchi articoli… ebbene, li ricostruimmo completamente, cambiammo tutti gli impaginati, aggiungemmo nuove foto, nuove parti negli articoli, alcuni li riscrivemmo, insomma, una faticata bestiale, eppure doveva essere una passeggiata! A fare le porcate di certi editori con speciali farlocchi fatti di articoli presi da vecchi numeri o pacconi con due o tre vecchie riviste che non si compra nessuno incollate fra di loro o il calendario con le solite foto… no io non ci sono capace, moralmente e logisticamente! Poi sai, il lettore delle riviste musicali italiane (non necessariamente le nostre) in certi casi è un personaggio strano, ama le certezze, non apprezza i salti nel vuoto, si vuole muovere in una comfort-zone, ecco perché Classic Rock Italia nel giro di tre anni mette in copertina, che ne so, i Queen dieci volte! Mica sono stupidi, sono bravi! C’è della gente che vuole continuare a leggere sempre delle stesse cose, quasi a cercare paradossalmente una conferma a quanto già sanno, forse un’autogratificazione. Sono situazioni che in tanti anni di vita editoriale ormai conosciamo bene, però… io la porcata non la posso fare! E grazie a Dio, prove alla mano, non l’abbiamo mai fatta. Sarà l’aggettivo più scemo del mondo, ma una nostra produzione deve essere… bella, cazzo, di qualità, altrimenti butto tutto! Ed è successo!
Sei uno che degli ex collaboratori parla, oppure mantieni il tipico “no comment” di prammatica?
Escludendo ovviamente quei fuochi di paglia di cui nemmeno io ricordo il nome o chi ha scritto giusto tre recensioni (ma dopo anni e anni ancora dice di essere stato “collaboratore di…”), tutte le persone che hanno collaborato attivamente a queste riviste sono state importantissime e le ringrazio. Hanno concesso alle nostre pagine il loro tempo, il loro sapere e la loro esperienza e quanto hanno fatto resta ancora vivo, presente, importante: è nelle pagine delle riviste che la gente ha a casa o negli arretrati che si possono comprare ancora oggi sul nostro webStore. Comunque sia finita, con una stretta di mano, un abbraccio o un vaffanculo, anche per gli ex collaboratori sono stati anni meravigliosi che lasceranno ricordi indelebili, perché abbiamo fatto veramente tanto tanto tanto assieme, abbiamo costruito delle cose importanti. Soprattutto in quegli anni in cui, vuoi perchè eravamo più giovani e affamati, vuoi perché avevamo più tempo e più energie, macinavamo come forsennati, ci sbattevamo per una continua esposizione con stand, concerti, eventi. Erano anni in cui si viaggiava tantissimo, in cui incontravamo tanti lettori per ricevere un feedback pieno di calore, di entusiasmo, di positività. Sono cose che fanno parte della vita anche del collaboratore che se ne andato sbattendo la porta, che non potrà dimenticare e credo difficilmente abbia potuto trovare in altre situazioni, proprio perché io ho cercato di fare in modo che questa fosse molto più che “la collaborazione” ad un giornale, ho voluto rendere questo luogo familiare. Sai, per molti ex è stato facile all’inizio dire “Pascoletti di qua… Pascoletti di là” e poi magari non si sono più riciclati da nessuna altra parte, perché hanno capito che, come si lavorava da Pascoletti, altrove non si lavora. Con i collaboratori presenti fin dall’inizio (Classix è nato nel 2003, Classix Metal nel 2007), vedi Gianni Della Cioppa, Lorenzo Becciani o Paolo Bertazzoni abbiamo davvero sofferto, riso, pianto, mangiato, bevuto e vissuto tanto. Anche loro ti diranno che ormai questo “scrivere”, questo rapporto, è una parte della loro vita, non potrebbero raccontare la loro vita senza quel tassello. Poi ok, non sono perfetto, nessun “capo” lo è, ma soprattutto non posso essere perfetto per circa 40 collaboratori diversi, come è sempre stato in media il parco-giornalisti di queste riviste. Non posso dare a tutti quello che loro cercano o vogliono, anche perché ognuno di loro è diverso. Hai presente quella canzone dei Mr.Big? Ecco, tieni presente che io per i collaboratori, a seconda delle situazioni, devo essere padre, fratello, amante, maestro, spalla su cui piangere, confessore, psicologo… Poi, se proprio devo parlare degli ex collaboratori, dipende da cosa mi chiedi! Se vuoi sapere chi è quello che in camera d’albergo scorreggiava tutta la notte, ti posso dire il nome, se devo rivelare chi, durante una trasferta a Bologna, tradì la moglie con la ex fidanzata dell’ex bassista degli Anathema, posso dirti le inziali…
Su Classix Metal scrivono sia penne storiche del giornalismo metal italiano che giovani redattori. Come scegli i tuoi collaboratori?
Quando qualcuno mi scrive (anche se ultimamente capita raramente che si propongano nuovi collaboratori, sebbene la nostra porta sia sempre aperta), io non dico mai no, e aggiungo sempre la solita frase: sarei uno stupido a dire di no, perché il genio della penna, il più grande giornalista rock del mondo, con una personalità irresistibile e una simpatia travolgente potrebbe essere dietro ogni angolo. Purtroppo capita più spesso che si presentino degli analfabeti antipatici e presuntuosi, ahah. Abbiamo avuto proposte di chi scriveva come in II media, era chiarissimo che conosceva molto poco o affatto le nostre riviste o non le leggeva da tempo, che aveva provato a scrivere senza successo per Rock Hard o la webzine di grido e si facevano vivi proponendomi cose evidentemente già scritte per altri!!! Quando a questa gente, con una pazienza infinita e anche l’educazione che mi ha insegnato la mamma, gli spiego che quelle recensioni o quell’articolo non funzionano per il nostro modo di fare giornalismo, e magari gli chiedo di scrivere delle cose ex novo o di modificarle, mi rispondono che non hanno certo tempo da perdere per uno che nemmeno li paga! Aò, a coglione, mi hai cercato tu!!!! Per fortuna su certe cose ho una memoria infallibile e quindi mi ricordo perfettamente se questa persona tre anni dopo mi manda il suo raffazzonato libro sul Trick Track Metal per avere una recensione… La figura del collaboratore ideale che invece io cercherei si è ormai modificata. Una volta doveva essere qualcuno che avesse una conoscenza rock in-fal-li-bi-le, che sapesse come si chiamava il cugino del bassista dei Watchtower, che avesse le copie originali dei demo dei Van Halen o ricordasse il titolo del terzo brano del lato B dell’ottavo disco degli Status Quo. Oggi cerco qualcuno che sappia scrivere, che abbia uno stile, che si diverta a scrivere, ma non si scriva addosso e non lo faccia solo per leggersi una volta pubblicato, quello che abbia una chiara idea di cosa è il rock oggi e di cosa è stato nel passato, che si interroghi, che si sia confrontato, abbia viaggiato, abbia letto, abbia un’attitudine aperta e matura (ma non deve essere per forza anziano, anzi!) e che unisca tutte queste doti al lusso di aver assimilato e digerito tanta tanta tanta musica di tanti tanti generi diversi. E ovviamente che sappia il titolo del terzo brano del lato B dell’ottavo disco degli Status Quo!
Quali sono per te le grandi firme che scrivono sulle tue riviste?
No Fabio, non estorcerai da me classifiche, preferenze, top five o cose del genere, ma non tanto per correttezza, etica, equilibrio o altro, semplicemente perché sono incapace di fare liste! Le odio! Ecco uno dei motivi per cui non abbiamo mai fatto le poll di fine anno, inutili, ripetitive, barbose, banali! Le grandi firme? È presto detto, stanno fra quei collaboratori che hanno vissuto con me trent’anni di sangue, sudore, lacrime, ma anche un bel po’ di gioie e di bagordi, e ancora sono qui! Ci tengo a dirti che oggi delle ottime firme arrivano dall’universo femminile. Per me non è certo una splendida scoperta, perchè in redazione ho sempre avuto ottime giornaliste, a partire da un nome che è quasi leggenda, Francesca Fabi, ma oggi sono felice che nelle mie riviste ci sia una visione al femminile della critica rock; sono ragazze capaci di riflettere, analizzare, conoscere magnificamente la materia di cui scrivono e darne una versione ricca, emotiva, stimolante da leggere e anche stilosa. Spero che il futuro del giornalismo rock (ma soprattutto quello dell’umanità!) passi delle donne. Però vedo che tu vuoi un nome e stai allungando una banconota a cui non posso dire di no… Allora ti dico che, all’elenco delle doti del giornalista perfetto che ho fatto nella risposta precedente, ne aggiungo un’altra importantissima: il talento umano. Se hai entusiasmo, umanità, positività, se l’amore per la musica è così grande che ti poni sempre in uno stato di stupore quasi bambinesco davanti a questa, ebbene, la gente se ne accorgerà. Ecco il motivo per cui un divulgatore come Gianni Della Cioppa è forse una delle penne rock più conosciute ed amate in Italia, sicuramente molto più del sottoscritto. Lui usa le parole, ma, quando lo leggi, senti anche il cuore. Ovviamente io parlo di giornalisti di “rock vero”, perché poi esiste tutto un altro mondo di giornalismo rock, quello “alto”, quello dei Zerbi, Vignola, Monina, Castaldo, Cotto, di chi scrive sui quotidiani o fa radio da qualche parte. Sono quelli onnivori, per cui rock deve essere anche soprattutto cultura, anzi, più cultura che musica ed emozioni, che confondono volutamente la moda del momento con il rock, che si arrapano per una comparsata a X-Factor o a Sanremo, che ti citano sempre Dylan o Battiato, ma chissà se conoscono i Grand Funk o gli Uriah Heep. Naturalmente a loro non sbatte un cazzo di chi siamo noi e di tutto il lavoro che abbiamo fatto da trenta anni a questa parte.
Si vocifera che tu sia un ottimo direttore ma pure una specie di dittatore. Hai l’ultima parola su tutto? O concedi qualche decisione anche ad altri?
Io dico sempre, scherzando, che qui vige una dittatura democratica! Ho sempre un’idea abbastanza precisa di cosa si debba fare per un articolo o per i nostri attuali numeri eXtra!, che hanno un carattere più monotematico, e cerco di comunicarla al collaboratore che curerà il pezzo. Mi piace dare input, vedere se la mia opinione coincide con quella dell’autore e fornirgli anche il materiale, insomma, facilito loro molto la strada, quindi sono molto attivo anche quando non scrivo una riga. Ma non accade MAI che dica “scrivi questo e quello”, MAI! Successivamente intervengo solo in fase di editing (al mio setaccio passa ogni singola riga della rivista), per cambiare, sistemare, verificare, migliorare, sia dal punto di vista dello stile che per aggiungere qualche parte, ma non mi permetto di stravolgere il lavoro degli altri. O meglio, quello può capitare giusto per qualche recensione, se, nello spazio delle 1.100 battute a disposizione, qualcosa davvero non funziona o se la deadline è molto vicina e non c’è tempo per rifarla da capo. Quando questo capita, avviso sempre il collaboratore che ci sono state delle grosse modifiche, ma aggiungo: “alla fine del pezzo c’è la tua firma e a nessuno piace firmare cose orribili, vero?”. A volte, per articoli importanti, faccio come quel regista che, oltre a dirigere gli attori, ha scritto anche la sceneggiatura e quindi, sulla struttura dell’articolo finito, integro e aggiungo delle parti, se finisce che ci lavori sopra davvero troppo, ben oltre un editing, vabbè, allora aggiungo anche la mia firma. Delle volte è anche capitato che abbia inserito degli errori o dei refusi… è una vecchia stora, anzi scusa, storia (questa la capiamo in pochi…)! Tanto per ribadire che qui si respira un’aria decisamente democratica, noi abbiamo una chat redazionale aperta a tutti i collaboratori dove io mi rivolgo a tutti quando c’è qualche proposta, la espongo a tutti, incondizionatamente, poi ognuno risponde secondo le sue disponibilità ed è chiamato a controbattere con delle sue ulteriori proposte.
Approfondiamo. Che ruolo hanno per te nel tuo lavoro, empatia e cordialità? Preferisci essere reputato come un “capo” inflessibile e pure un po’ stronzo (ops, pardon!) o come una figura autorevole ma assolutamente benevola e disposta a venire incontro alle esigenze dei suoi collaboratori? In anni di esperienza, quale delle due versioni pensi faccia rendere di più una redazione?
Uhmm… modestia parte, credo di essere una persona con cui si vada facilmente d’accordo, leggera, dotata di una grandissima ironia e soprattutto di autoironia. Non sopporto la maleducazione e l’aggressività e non mi comporto in questo modo, addirittura degli ex collaboratori mi hanno sempre rimproverato di essere fin troppo gentile con della gente che si meriterebbe solo di essere mandato a fanculo. Per me empatia e cordialità sono alla base. Non ho mai esercitato la figura del capo, pensa che, ricollegandomi alla domanda di prima, se un pezzo non va, se una recensione, diciamolo, fa schifo, all’autore non dico “Rifalla!” ma gli spiego perché non funziona, cerco di dargli delle dritte giornalistiche in modo che scriverà bene non solo quella, ma anche le 100 recensioni che seguiranno. In redazione si litiga (raramente, a essere onesti), ma in realtà è come la band che litiga in studio per rendere quel brano ancora migliore. Non ho mai cacciato via nessuno dalla redazione, se non persone che mi hanno mancato di rispetto in qualità di essere umano (non certo di caporedattore del cazzo, che non conta niente) o gente “pericolosa” per la buona reputazione delle mie rivisto… oppure dei veri e propri pazzi. Soprattutto nei primi anni 2000, quando, grazie e per colpa dei social, è esplosa la febbre di voler comunicare a tutti i costi, il bisogno disperato di esporsi, lasciare un segno, dire la propria, siamo stati un magnete per gente estremamente disturbata. In ogni caso, una litigata del genere “Questo pezzo è una schifezza! Devi fare come dico io!” qui non c’è MAI stata.
Da quello che ricordo, non hai mai stimato particolarmente il “giornalismo” musicale che anima le webzine presenti sul web, considerandolo un po’ dozzinale e meno qualificato rispetto a quello della carta stampata. Con il tempo hai avuto modo di ricrederti, o sei sempre di quella opinione?
Attenzione a non fare riferimento a delle affermazioni che potrei aver fatto, che ne so, 15 anni fa, perché in 15 anni le cose sono cambiate, molto e in meglio! In passato infatti la mia esperienza di lettore web era quella che descrivi tu: generalmente il pezzo che stavo leggendo era frutto di un ragazzino alle prime armi, che conosceva ben poco di quello che stava scrivendo e lo pubblicava senza il minimo intervento redazionale, che potesse migliore al massimo la ripetizione di un aggettivo. Comunque oggi leggo delle cose ottime sul web, soprattutto leggo delle ottime interviste, quelle cha la carta stampata non sembra più in grado di avere, forse perché l’intervistatore del web pare essere più dentro la materia e conoscere meglio quell’artista rispetto al mestierante della rivista. Ogni tanto mi segno anche i nomi che mi colpiscono con il loro stile, perché, quando c’è uno stile, diciamolo, gran parte del lavoro è fatto. Ho appena scoperto un certo Burrocacao (anche se lui scrive per una realtà già molto più nota): ha uno stile ironico, coinvolgente, si vede che si diverte, è superfluido, mi ricordo un po’ un Fuzz dei giorni nostri. Tornando alla tua domanda: ho sempre imputato alla web, italiano o meno che sia, il fatto di essere… schiavo del web, ovvero di dover sottostare a delle regole di spazi, tempi, di stile e struttura che per noi sarebbero irreali, folli, ma che evidentemente, i fatti ce lo dimostrano, sul web funzionano. Il vero problema è che, dovendo seguire LE regole e LE tempistiche che sono valide per tutto il web, quello che si perde è la spontaneità e forse anche in piacere e la capacità dell’analisi… soprattutto quando devi forzatamente parlare domattina del nuovo disco dei Metallica perché è uscito oggi pomeriggio. O almeno, ripeto, io non ci riuscire! Inoltre un nemico del web è quella dannosa omogeneità, perché le maledette regole di spazi e tempi, di urgenza e sintesi rendono molto difficile costruirsi un profilo personale, definito, una unicità. Capisco che le mie parole potranno risultare paradossali a chi ha come fonte primaria di informazione il web, ma io viaggio ad altri ritmi, ad altri spazi, da noi le regole sono fatte per essere violate, perché dobbiamo inventarci un lavoro che sia sempre nuovo e sempre diverso. Un esempio stupido: su una rivista ogni articolo ha un impaginato e una grafica diverse (o almeno sulle nostre), sul web non può esserlo mai. Io comunque ritengo che nel breve futuro chi fa comunicazione sulla rete dovrà cominciare a ingranare la retromarcia, ovvero: dare di meno, ma di meglio.
Nonostante tutto, spesso promuovi le tue nuove idee proprio grazie all’appoggio di alcuni siti web. Fai semplicemente di necessità virtù e il fine giustifica i mezzi? O magari riconosci in qualche modo che la cassa di risonanza del web è ormai divenuta maggiore e molto più accessibile di quella tradizionale?
Ma guarda che io non sono mai stato uno che ha visto nel web il nemico! Ad esempio, quando mi dicono: “Eh certo, le riviste sono in crisi perché tutti leggono sul web” io non la prendo certo come un’offesa o una sconfitta, anche perché la ritengo un’affermazione non del tutto corretta. È una chiave di lettura con migliaia di variabili. Non ho bisogno di fare un’analisi di mercato per saperlo, ma anche il mio lettore DOC oggi è uno che sul web ci va molto e spesso, utilizza il web come fonte di informazione quotidiana, come posso fare io stesso, però legge la mia rivista quando cerca un altro tipo di informazione: una cosa non esclude affatto l’altra. Questo infatti è il motivo per cui io anche noi stiamo costruendo un website (lo dico da tempo, qualcuno mi prende in giro, ma la cosa divertente è che è vero! Lo stiamo arricchendo man mano di contenuti, perché credo non ci sia niente di più triste che lanciare un website e vedere che il primo giorno ci sono due pagine funzionanti e tutto il resto work in progress). Pur presentando il nostro modo di fare informazione e parlando di cose in linea con le mie riviste, il nostro website sarà un’alternativa alla carta stampata: stessi obiettivi ma modi diversi. Io ho davvero voglia di andare online, anche perchè, sia chiaro, ci sono decine di nomi, articoli, proposte o rubriche fisse che oggi non posso pubblicare, visto che i nostri numeri eXtra! si sono trasformati in magazine molto ricchi, non voglio dire monografici, ma che presentano argomenti con temi comuni. Sarà un website da leggere, racconterà storie e probabilmente si rivolgerà a chi già ci conosce, perché, grazie a Dio, non ci saranno news o argomenti legati alla immediata attualità, al “è successo ieri!”. Saremo su www.sayyespublishing.com ma ci potrete arrivare anche digitando classixmagazine.com o classixmetalmagazine.com o rrazorr.com
Nel dettaglio, che differenza principale noti tra il giornalismo musicale dai tuoi esordi in cui era solo cartaceo, con quello dei giorni nostri con l’avvento delle webzine?
La mia risposta può essere solamente quella di chi ha vissuto certe esperienze, perché ovviamente non conosco la vita nella redazione di una webzine (o al limite, lo conosco di riflesso, secondo quello che mi raccontano i miei attuali collaboratori che scrivono anche sulla rete). Però non prendere le mie parole come quelle di un vecchio romantico che ricorda i bei tempi andati, ma di uno che certe cose le ha vissute sulla sua pelle e che comunque è ancora qui oggi e quindi può confrontarle. Io ovviamente ho iniziato in un tempo cui c’era “la vita” di redazione e quella formazione è stata fondamentale. Oggi, e non solo nel cosiddetto giornalismo musicale, è un tipo di esperienza che è quasi impossibile vivere. Penso a quell’esercito di “fornitori di contenuti” che lavorano anche per realtà importanti del web con contrattini ridicoli. È un mestiere in cui non c’è più un luogo fisico, uno scambio umano, una riunione redazionale in cui ci si guardi in faccia e non attraverso lo schermo. Ovviamente anche ai miei tempi i collaboratori erano sparsi per tutta Italia, ma organizzavamo riunioni di redazione che erano un evento importante a cui partecipare, i collaboratori romani passavano regolarmente in redazione come si poteva passare a un bar, era un momento di scambio, discussione, progettazione. La mia era anche un’epoca in cui moltissimi artisti, dai big oggi inimmaginabili ai nomi molto minori, venivano a fare i promo-day sia a Roma che Milano, quelli erano fonte di ulteriori “mescolamenti” con chi faceva il tuo stesso lavoro. Non dico che con quelli di HM, di Thunder, di Flash o i romani di Metal Hammer la sera ci vedevamo tutti al Roxy bar come le star, però, c’era un clima frizzante e creativo che si sentiva, pulsava, lo potevi toccare. All’epoca devo anche dire che non c’era spazio per il dilettantismo: se volevi scrivere, dovevi sapere farlo e bene, dovevi conoscere tutto della tua materia, non un po’ di questo e di quello, non “so tutto sugli Iron Maiden” (e mej cojoni!). Dovevi avere anche un po’ di umiltà nel fare i lavoracci che toccavano al ragazzo di bottega. Insomma, dovevi avere delle qualità, difficilmente ricevevi lezioni o c’era la possibilità di far crescere il talento ancora grezzo: guardavi e imparavi, e in fretta. Si cresceva non solo come giornalista (uso questa parola, ma ricordiamoci che in questo ambiente di veri giornalisti ce ne sono pochi e di gente che ha vissuto di questo lavoro pochissima), ma come esseri umani. Come vedi ti sto illustrando una realtà ben differente e più vivace (potrei anche aggiungere più divertente e professionale) rispetto al Gen Z di provincia che nella sua stanzetta scrive la recensione dei Trick Track e pensa di far tremare il mondo o che si esalta per una querelle scaturita da tre commenti sui social. Tornando alle cose serie, credo che in pochi abbiano fatto quest’analisi, ovvero che non c’è quasi mai stato un momento in cui riviste tradizionali e i website si siano potuti guardare in faccia, affrontarsi, confrontarsi restando sullo stesso piano e, se mai questo momento c’è stato, è stato brevissimo. Il sorgere e affermarsi dei website musicali in Italia infatti è stato contemporaneo al tramonto sia dell’industria musicale che di quello editoriale. Mentre fattori sociali stavano facendo crescere l’utilizzo del web, fattori economici stavano facendo crollare il music business e la tradizionale rivista cartacea. Insomma, sono due mondi che non hanno mai potuto convivere insieme sullo stesso livello.
Pensi ci sarà mai una sintesi tra le due realtà? O pensi che semplicemente il web, prima o poi, fagociterà tutto?
Il divario fra le due realtà è impossibile da colmare. E secondo me sarà positivo se entrambe le fazioni si allontaneranno e distingueranno sempre di più. È sempre una questione di identità. Il website X ritengo sia obbligato a cercarla questa identità, per la sua stessa sopravvivenza. Le riviste devono ritrovarla e devono smettere di scimmiottare il web, con il folle tentativo di parlare di tutto, mettere dentro tutto, che in realtà diventa un tutto e niente. Il limite enorme delle riviste, soprattutto quelle metal oriented (limite che tra l’altro appare evidentissimo a tutti, tranne che a chi le fa) è di essere da decenni uguali a se stesse: lo stesso tipo di argomenti, lo stesso tipo di stile, le stesse interviste, gli stessi orrendi luoghi comuni del platter, del combo, della “fede”, della vergine di ferro e delle zucche di Amburgo, queste stronzate colossali che hanno perso completamente il loro senso per quante volte sono state ripetute, per come si sono trascinate fino alla noia. Ma adesso purtroppo è ancora peggio, perché il mercato obbliga le riviste rock e metal al caso estremo di ripetizione: mettere in copertina le stesse facce che c’erano 30 anni fa. Non voglio fare la parte di quello che ha capito tutto o che era sempre un passo avanti, altrimenti oggi avrei un impero editoriale pari a quelli di Berlusconi, Murdoch o del tipo della serie tv ‘Succession’, ma essermi tirato fuori in tempi non sospetti da questo gioco francamente mi fa stare fottutamente bene e in pace con me stesso. Nei prossimi anni il web fagociterà tutto, ovunque, fino a un momento di inevitabile saturazione. Stiamo vivendo un periodo di transizione pericoloso e confuso. Non credo sia questo il momento per poter fare delle analisi precise su come si evolverà l’Intelligenza Artificiale o come saranno le nostre vite in futuro, perché stiamo attraversando un guado pericoloso, la corrente è forte, la confusione estrema, credo che la possibilità di giudicare verrà in un secondo momento. Oggi viviamo anni terribili, violenti, buii, dove non ti è permesso chiedere una pausa e dove per i giovani la spersonalizzazione causata dalla dipendenza dal social risulterà pericolosissima, sta bruciando il loro tempo e allontanandoli dalla vita reale. Deve passare la nottata e dopo forse ragioneremo meglio.
Il tuo modo di essere un giornalista musicale, si è modificato col passare degli anni adattandosi agli eventi, o è sempre rimasto fedele a sé stesso?
Il mio modo di essere giornalista, di fare riviste e soprattutto il mio stile sono cambiati, tanto e in meglio, ma solo perché ho più esperienza, più tecnica e ho l’esigenza di fare le cose in maniera diversa (non migliori, diverse, anche se ovviamente alziamo sempre l’asticella, soprattutto nelle nostre produzioni più recenti). Ovviamente in questi 34 anni di giornalismo musicale sono accadute un miliardo di cose nella mia vita privata, ma in realtà ho ancora una mentalità molto adolescenziale, il che non vuol dire che “sono rimasto un ragazzino dentro”, che è proprio la roba che dicono i vecchi, ma noto che ragiono sempre nello stesso modo… Se è un bene o un male lo devo ancora capire! Grazie a Dio non ho mai avuto la paranoia di DOVERE restare fedele a me stesso, per poi scoprire di aver vissuto tutta la vita in un triangolino di 1 m², che è quello che ho visto accadere a tanta gente che è cresciuta “dentro” alla musica insieme a me, ma che ha deciso di restare fedele a una patetica serie di regole, diciamolo, da metallaro, che nella vita di tutti i giorni non servono un cazzo! Ovviamente oggi non scrivo e non voglio neanche scrivere come ai tempi, non so, di Metal Shock o Psycho!, lì usava tante ironia, raccontavo storie, inventavo situazioni e personaggi bizzarri in cui poi, magari solamente alla fine, infilavo la recensione del disco o l’intervista. Oggi sono più “serio”, mi sono sbizzarrito tanto in quegli anni con quello stile, avevo anche il tempo che mi permetteva di divertirmi in quel modo, ma adesso amo raccontare “le grandi e piccole storie del grande e piccolo rock”, appunto raccontare, affabulare, ricreare situazioni, momenti, profumi, emozioni, mi piace fare una prosa rock. Sorry, basta limitarsi alla parte musicale, basta gare a chi conosce più batteristi, oggi non me ne frega più niente di dover citare tutte le band da cantina in cui è transitato un bassista prima di entrare in quel gruppo. C’è uno spazio apposito per quello e qualcuno non può farne a meno, ma io oggi amo raccontare, portare il mio lettore nella cantina che puzza di palle sudate e birra stantia del gruppo della NWOBHM o inserire la storia di una band o di un genere davvero nella storia, nel momento culturale e sociale che si stava dipanando mente quegli eventi accadevano, costruire una cornice intorno ai fatti e rendere la cornice parte vibrante del tutto. Non voglio più vendere soltanto dati, nomi, anni di pubblicazioni, produttori, ex questo ex quello guarda quanto ci capisco… queste cose le sappiamo e chi ci legge sa che le sappiamo, ma io voglio vendere emozioni!
Secondo te le recensioni dei dischi ed i relativi voti dati a questi, sono utili e servono ancora? O sono roba vecchia che tanto non guarda più nessuno?
Aaaarghhh, le recensioni! La nuova mania! Tutti vogliono fare recensioni! Ci sono più recensioni che dischi! E di sicuro ci sono più recensori che acquirenti di dischi. Per allacciarsi alla domanda su come scelgo i collaboratori, spesso certa gente mi scriveva dicendo: “vorrei collaborare con qualche recensione…”, ovvero, fra le righe: di storia del rock/metal non so un emerito cazzo ma voglio far vedere quanto sono bravo e “quantocecapisc”, per dirla alla Giovanni All’Heavy. Gente che vuole far tremare il mondo con le sue 20 righette a base di ‘act della Carolina del Sud’ e ‘riffarama’. Poi 20 righette non sono mai, perché questi ti propongono recensioni sul gruppo svizzero che ha registrato in mezzo alle merde di vacca di 84.620 battute. Ricordo quel tizio ex Metal Shock, uno che dovunque passava faceva ridere (ho visto ridere anche il marciapiede al suo passaggio) e mi dice, testuale: “dai, ogni tanto ti potrei scrivere due o tre recensioncine, quando mi va…”. Il vaffanculo sta ancora echeggiando dalle parti del quartiere Prenestino! Cosa ho detto prima? La frenesia delle recensioni sono lo specchio del disperato bisogno di dire qualcosa, di mettersi su un piedistallo alto 3 cm e scorreggiare al mondo il proprio pensiero su un disco che tanto nessuno comprerà e tre persone ascolteranno per qualche minuto online. Quando servono le recensioni? Quando sono scritte da chi ormai è in linea diretta con un lettore che ormai conosce il suo stile, i suoi gusti, si è fidato di lui, condivide una certa visione musicale, soltanto qualche nome “fidato” può oggi essere un recensore. E per diventare un “fidato” ce ne vuole di gavetta! Noi abbiamo fatto una rivista soltanto di recensioni, Wantlist, sia cartacea che digitale (la copia cartacea viene venduta sul nostro webStore e va in omaggio agli abbonati, quella digitale è distribuita alla nostra mailing-list, a cui ci si può iscrivere con una mail a sayyespublishing@gmail.com) perché crediamo che, dopo tanti tanti anni, la nostra critica sia seria, affidabile e veritiera. Anche se non tutte le penne della nostra rivista sono famose, celebrate o fari nella notte, quanto scriviamo è dettato da esperienza, equilibrio e attenzione. Qualcuno potrebbe anche dirmi che Wantlist non serve a niente ed è carta sprecata, ma almeno è un punto fisso in una marea di parole che volano in maniera spropositata su qualunque disco esca al mondo. Questa diffusione totale delle recensioni ha anche impoverito la critica, che è diventata veloce, pedante, buonista, anzi, la critica, nel senso del dire anche quello che non va, mi pare che oggi sia letteralmente sparita dalla penna dei recensori. Mi potrai anche dire che le nostre recensioni sono brevi e non possono essere approfondite, essendo costrette in spazi determinati, ma infatti è proprio questa la sfida che io propongo a chi si presenta da noi venendo dai website: fino a oggi non avevi limiti di spazio, potevi scrivere 15.000 battute per un disco, ora prova a vedere se sai confrontarti con uno spazio di 1.100.
Cosa rispondi a chi ti accusò di essere un “falso metallaro” quando facesti uscire PSYCHO?
Eh certo, non ci ho dormito la notte, quasi quasi andavo in terapia!!! RI-DI-CO-LI!!!! Dove sono oggi tutti questi VERI metallari? Io sono ancora qui e in tutti questi anni so di aver fatto, scritto, lavorato, faticato, prodotto, costruito e lasciato in eredità, NEI FATTI, molto più per il metallo, VERO o falso che sia, di tanti chiacchieroni trincerati dietro il verbo del VERO metallo. Gente che oggi probabilmente l’unico metallo che conosce è quando spinge il carrello al supermercato. La critica ovviamente è figlia di quella mentalità ottusa, tristamente ignorante, autodistruttiva e piena di paura dell’ignoto che ha caratterizzato tanti adepti del sacro metallo e che ha contribuito ad ammazzare letteralmente la musica. Santo Dio, io non voglio essere “coerente” (COERENZA è la parola che in certi anni nelle riviste ricorreva di più!!), io voglio evolvermi, fare, non blaterare. Mi rendo conto che sto di “difendendomi” da un’accusa che non è reale, ma si basa sul fatto che, chi la portava avanti, Psycho! non lo conosceva affatto e si limitava al solito commentino superficiale! Accanto ad articoli e copertine a Linkin Park, Korn, Deftones e tante realtà del nu metal (che a me piace e piaceva, sia chiaro), c’era un florilegio di copertine a Stratovarius, Helloween, Hammerfall, che praticamente fummo i primi a promuovere ampiamente, da lì in poi dedicammo enorme spazio a tutto il nuovo power metal. Ma dai ragazzi, quale rivista di VERO metal, italiana o europea, negli anni ’90 non ha messo in copertina Nirvana o Soundgarden? Facciamo lo sforzo di ricordare cosa era il mercato dell’epoca: ricco, importante, con una concorrenza spietata, strapieno di lettori… in Italia c’erano 6 o 7 riviste mensili, potevi ignorare l’attualità? Con Psycho!, ecco che si ripete il leit-motiv di tutta questa intervista, scegliemmo comunque una strada diversa. Che senso aveva arrivare per ultimi, fare un’ennesima rivista che si affiancava alle tante pubblicazioni ben sedimentate e proporre la stessa ricetta? È assolutamente antifuzziano! Ti posso citare le prime copertine con cui Psycho! esordì e divenne da subito un enorme successo (a riprova che la gente aveva bisogno di novità): Type O Negative, Pantera e Dream Theater, spesso con interviste esclusive realizzate direttamente in America. Non mi pare che qui ci sia VERO o falso metallo, ma solo un’ampia varietà di nomi e di generi. Io ho l’età dei vostri papà e, davanti a concetti come VERO metallaro, francamente mi preoccupo per la sanità mentale di certa gente. Poi ripeto, io sono ancora qui e sono riuscito a fare di questo mio essere metallaro (VERO? falso?) una professione e un piacere che mi ha accompagnato per tutta la vita, quindi le borchie e le corna al cielo le ho trasformate in una cosa ben tangibile. Resta l’indiscutibile fatto che Psycho!, con mia enorme sorpresa, continui a ricevere splendidi attestati di stima sia da ex lettori come da artisti che oggi sono diventati molto famosi nell’area del rock o della musica italiana, persone insospettabili, che mi dicono di aver costruito la loro cultura musicale grazie all’ampio spettro di suggerimenti che gli forniva Psycho!. Comunque… dura la vita dei VERI metallari: una volta il nemico era solo il nu metal, adesso c’è anche il postcore, il post metal, il metalcore, il blackened death metal, il symphonic metal, l’extreme progressive metal, il blackgaze, il djent…. il djent!!!!
P.S. Si si, lo so che è un rispondendo a un website chiamato TRUEmetal!!! Ahah!
Quale è l’editoriale di cui vai più fiero e perché?
Guarda, io non ricordo nemmeno cosa ho mangiato ieri sera a cena! Mi è impossibile ricordare un editoriale da portare nella tomba o che abbia fatto scalpore… scalpore, vabbè, non siamo ridicoli. L’editoriale è sempre l’ultima cosa, fatta 10 minuti prima di portare il giornale in tipografia, c’è così tanto lavoro che non ho letteralmente il tempo per appuntarmi il tema che farà tremare le fondamenta del rock italiano. La faccenda dell’editoriale “esplose” (dai, esageriamo!) ai tempi di Klaus Byron (accenno solo questo, non è qui il caso di parlare di lui e l’ho già fatto altrove, anche sulla nostra pagina Facebook). Anche lui non aveva il tempo materiale per scrivere sulla sua rivista, a volte si concedeva qualche rara recensione, ma soprattutto si sfogava con l’editoriale. Quando veniva a Roma gli dicevo: “Klaus, ma con chi cazzo ce l’hai?”, perché tra le righe lanciava frecciatine, rispondeva ad accuse che francamente non c’erano, si difendeva o attaccava “nemici” immaginari… secondo me esagerava un po’, ma era casa sua e faceva come voleva. In effetti i suoi editoriali facevano parlare, erano oggetto di discussione, scherno, risposte, anche perché… essendo a volte poco chiari, molti si sentivano chiamati in causa. Questo ti fa pensare quanto siano differenti i tempi. Cose sarebbero stati oggi i suoi editoriali? Un normalissimo post su Facebook che, nel giro di qualche commento e di un paio di giorni, verrebbe dimenticato per passare ad altro. Eppure guarda l’importanza di quella che è stata la carta stampata dell’epoca: ancora si parla dell’editoriale del Klaus, di certa posta dei lettori, di certi articoli del Fuzz, di Kakka Metal… La grande forza che ha reso “celebre” la mia e soprattutto la precedente generazione di giornalisti rock, non sta tanto nell’incredibile talento e nelle infinite conoscenze, siamo onesti, ma nel fatto che eravamo “intoccabili”. Potevamo scrivere letteralmente quello che volevamo, perché era quasi impossibile vedere una replica o ricevere una critica feroce o aprire un contenzioso. Anche se arrivavano, sottoforma di lettere alla redazione, eravamo noi stessi a decidere se pubblicarle o meno, bel lusso! Insomma, c’era la nostra parola e basta, mancava quel livellamento spietatamente democratico di oggi, in cui immediatamente si può mettere tutto in discussione, distruggere tutto, dove tutti hanno torto e io ho sempre ragione e in cui verità e colossali bugie hanno lo stesso peso.
Quali sono stati i tre numeri, indipendentemente dal titolo della rivista, dei quali vai più fiero della pubblicazione?
Anche qui ribadisco quanto detto prima: non sono assolutamente, mentalmente in grado di fare classifiche o preferenze. Poi sarebbe il solito giochino di scegliere il figlio prediletto: ogni numero è frutto non solo di lavoro e fatica, ma è uno spaccato di vita, mio e della redazione, contiene dentro momenti personali importanti, difficili, gioiosi, tutti sono serviti. Per un breve periodo, mi pare su Psycho!, sotto al tamburino abbiamo messo uno slogan rubato all’etichetta hc Victory: another victory! Perché a volte uscire era una vittoria, anzi, sembrava quasi un miracolo! Posso dirti una cosa importante? Sono assolutamente fiero, e lo è anche tutta la redazione, del lavoro che stiamo facendo proprio in questo momento, anzi, ti dico serenamente che le riviste che abbiamo fatto negli ultimi due anni, quelle che hanno aggiunto alla testata il suffisso eXtra!, hanno aumentato le pagine, il formato e l’approfondimento di certi articoli, siano davvero le cose MIGLIORI che abbia realizzato! Credo siano finalmente la summa perfetta delle mie capacità giornalistiche e delle mie conoscenze musicali. Ho curato e scritto personalmente non solo degli articoli ma delle ampie, ampissime introduzioni (per pezzi sul southern rock, pomp rock, NWOBHM, australian rock) in cui, come accennato prima, l’aspetto sociale e storico, l’analisi di un momento sociologico o di un fenomeno culturale corre parallelo alla descrizione musicale, diventa lo scenario in cui introdurre il determinato gruppo o la recensione di un certo disco. È una visione ricca, vivida, fluida, dove c’è poco spazio per sterili nozionismi ma c’è finalmente un’analisi, un racconto, parallelismi e chiavi di lettura, insomma, in una parola: giornalismo.
Quale la maggiore tua soddisfazione nel campo editoriale e quale la maggiore delusione?
Ovviamente ci sono stati anni D’ORO per questo business, direi tra metà ’90 e primi anni del nuovo millennio. Quella è stata la golden age per la stampa di settore, paradossalmente un periodo in cui il metal soffriva rispetto ad altri generi. Giravano soldi, le riviste si vendevano e tanto, la stampa aveva prezzi oserei dire popolari (infatti ci fu un boom di riviste negli ’80), si veniva coccolati dalle case discografiche e si viaggiava tantissimo per incontrare le star. Potevi esaudire molti dei tuoi desideri musicali (mi raccomando, solo musicali…), insomma, un piccolo numero di giornalisti ha fatto le rockstar, ma ogni rockstar intelligente, quando resta sola e si guarda allo specchio, si dirà: “Bello, ma… quanto durerà?”. Ecco perché ti conveniva cogliere l’attimo. Mi sono goduto ogni esperienza, compresa quella televisiva, restando con i piedi per terra, eravamo in fin dei conti dei giornalistucoli e tutto sarebbe potuto finire domani o avrebbero potuto chiamare qualcun altro al posto tuo. Ovviamente da queste esperienze ho cercato, giornalisticamente parlando, di dare il meglio. Probabilmente qualcuno si ricorda ancora di certi miei report in giro per il mondo, fra il diario di viaggio di lusso e lo scatafascio imminente. Ho avuto modo di dare grossa esposizione a dei gruppi che davvero valevano, Lacuna Coil su tutti, colti proprio nei loro primissimi, ingenui esordi. Poi vabbè… clientelismi, mazzette, favoritismi, soldi sottobanco, favori sessuali… quante ne ho sentite di queste cazzate! Certo, era un business importante, ma da qui a ottenere la bustarella pur di mettere in copertina i Trick Track, beh francamente ce ne passa! Quante cazzate che ho letto all’epoca, quante cazzate… e quanti cazzoni c’hanno creduto. All’epoca una cosa tirava l’altra e nei primissimi 2000 ho avuto anche un’esperienza televisiva importante, ero uno degli autori e conduttori di un programma musicale su Rai2. Viaggiavo gratis in aereo, le ditte di abbigliamento mi regalavano i vestiti per metterli in trasmissione, la gente mi fermava di strada per gli autografi, insomma il pacchetto completo, ma ho visto pure tutta la negatività e falsità che stanno dietro a quel tipo di esperienze al top. Ho capito perché il chitarrista, che ne so, dei Guns N’Roses se ne va all’apice successo e dell’adulazione. Io stesso (a un livello infinitamente più basso, sia chiaro!!!) volevo mollare in quel periodo in cui facevo tutte quelle cose apparentemente fighissime. E infatti, chiusa la parentesi, sono tornato felicemente al giornalismo musicale. Immediatamente dopo la tv è partito :Ritual:, poi Classix, quindi Classix Metal. Ho capito che quello era un mondo bellissimo, ma il mio era un pianeta diverso. La delusione sicuramente è stato il pressappochismo, la confusione, i ritardi, la poca professionalità e il caos degli editori dopo la esperienza con la Magic Press e Coniglio, soprattutto con quei pagliacci della FunFactory (qui aggiungi anche promesse vane, bugie, personaggi loschi, ladrocini, assegni a vuoto, perdita del magazzino arretrati etc). Avrei dovuto subito investire personalmente, aprire la mia casa editrice, ma all’epoca non me la sentivo e forse non ne ero neanche capace. Alcuni editori di passaggio in pochi mesi sono stati capaci di distruggere quanto era stato fatto in anni e anni di attività. I nostri prodotti erano sempre di altissima qualità, ma la gestione logistica fu terribile, autolesionismo puro, infatti ci sono zone d’Italia in cui alcuni numeri di Psycho!, :Ritual: o Classix non sono mai arrivati!
Cambieresti qualche scelta del tuo passato?
Ovviamente non è sempre colpa del manager, come dice ogni gruppo allo sfascio. Qualche errore l’ho commesso anch’io, soprattutto di valutazione e di fiducia malriposta: mi sono fidato di persone o editori sbagliati a cui ho dato tutta la mia attività in mano, forse perché distratto da troppi impegni. Venivo però da situazioni forse “ubriacanti”. C’è stato un periodo, soprattutto nei primi anni di Psycho!, :Ritual: e Classix, dove ogni mio desiderio era praticamente un ordine, o almeno, l’editore Magic Press aveva le possibilità, l’entusiasmo e la capacità imprenditoriale di realizzarli (allegare i CD, iniziative esterne, gli Psychoparty, le trasferte pagate, il rimborso più o meno regolari ai collaboratori). Diciamo la verità, ero abituato bene, poi, quando le cose hanno cominciato a diventare più difficili, ovviamente per tutto il mercato editoriale e musicale, sono intervenuto in prima persona, assumendomi le responsabilità imprenditoriali, ma avrei dovuto farlo qualche anno prima. Inoltre all’epoca, diciamo verso il 2010, avrei dovuto guardare ancora un po’ più avanti. Ad esempio, immagina cosa avrebbe significato avere un investimento di oltre 10.000 € mensili, ripeto, mensili, per costruire e promuovere un website. Probabilmente sarebbe diventato uno dei più grossi website musicali d’Europa! Ebbene, quella era la cifra che numero dopo numero versavo alla tipografia! Forse, invece di metterala tutta in carta stampata, sarebbe stato interessante vedere che cosa sarebbe accaduto puntando sulla rete. Ma d’altronde, non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca.
Hai mai pensato di smettere o c’è mai stato qualcosa, un evento o una situazione particolare, che ti ha fatto pensare di desistere e dedicarti ad altro?
E allora sganciano la bomba! Io fino ad ora non ho fatto altro che dirti che è oggi abbiamo i nostri Classix e Classix Metal eXtra!, i ClassiXbook , il progetto di Wantlist che ha delle incredibili potenzialità, così come Classix Football, ma allo stesso tempo sto meditando anche, come detto prima, un pre pre pre pensionamento. C’è poco da fare, sono molto stanco, ho avuto qualche problema di salute, mi sento molto provato da tanti anni in prima linea, voglio godermi quello che ho e probabilmente, a causa del mio stesso modo di fare le cose, sono piuttosto isolato, non ho partner o soci a cui dare un po’ del mio carico di responsabilità e lavoro. Inoltre, credo che dai primi mesi del 2024 inizierò anche a dedicarmi a (belle) cose che non avrei MAI immaginato di fare, tipo olio e vino!!!! L’obiettivo è quello di diradare un po’ le produzioni e probabilmente concentrarci più su ogni singolo prodotto. Al momento, anche se le nostre uscite sono dilazionate, abbiamo sempre tre o quattro progetti aperti, in futuro bisognerà cominciare a pensare, realizzare, produrre e promuovere bene, soprattutto questo aspetto, ogni singolo prodotto, per poi passare al successivo. Voglio assolutamente continuare a dar vita a preziosi oggetti editoriali, ma nella più assoluta libertà dalle regole di mercato.
Cosa dobbiamo aspettarci dal “Fuzz” per il futuro? Hai in mente altre trovate? Ti basta quello che stai ottenendo, hai un obiettivo preciso? O non ti poni traguardi specifici, vada come vada?
Come ti ho detto, la nostra libertà sta anche nell’innamorarsi improvvisamente di un progetto che viene a scardinare tutto quello che stavamo facendo, che sposta deadline, congela riviste o libri che erano in già lavorazione e ci impegna in una maniera folle, ad esempio Wantlist freepress! Wantlist è una rivista (che già facevamo da un po’ di tempo) sia in cartaceo che digitale, dedicata esclusivamente alle recensioni, ma un mio vecchio pallino fisso era portare una rivista GRATUITA di musica nei negozi di dischi. È vero, ormai siamo fuori tempo massimo, molti negozi hanno chiuso ma altri hanno coraggiosamente avviato l’attività. Portare una rivista che parli di dischi lì dove i dischi si vendono può essere geniale o folle, può servire a tutto o a niente, può essere rivoluzionario o solo uno grande spreco di tempo e soldi, non lo so, ma io ci voglio provare! La nostra voglia di fare qualcosa di nuovo e di diverso è troppo forte. Supportare i negozi di dischi, mantenere viva la scena, parlare di musica… Fatti, non chiacchiere! Come al solito…
Siamo in fondo. Se vuoi lasciare un tuo pensiero conclusivo sei assolutamente libero di farlo!
Fabio guardiamoci negli occhi, a questo punto, arrivati alla riga n.956, siamo rimasti solamente io e te, chi vuoi che ci stia leggendo ormai? Spegni la luce e andiamocene a casa…