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Intervista Frozen Crown (Federico Mondelli)

Di Luca Montini - 21 Ottobre 2024 - 10:00
Intervista Frozen Crown (Federico Mondelli)

In occasione della release del nuovo album dei Frozen Crown per Napalm RecordsWar Hearts” il 18 ottobre 2024, abbiamo intervistato il chitarrista e mastermind Federico Mondelli.

Bentornati Frozen Crown sulle pagine di Truemetal.it! Il 18 ottobre esce il vostro quinto album “War Hearts” in appena sette anni di attività, il primo su Napalm Records. Come state trascorrendo questi giorni in attesa della release?

Li stiamo trascorrendo viaggiando attraverso l’Europa per il nostro tour di supporto ai Kamelot. È la prima volta che ci capita di lavorare sui due fronti promozionali (quello live e quello social) contemporaneamente ed è molto faticoso, ma al tempo stesso anche molto divertente.

Come avete vissuto il passaggio alla Napalm Records?

Davvero molto positivamente. Il gruppo di lavoro che ci segue attualmente è numerosissimo e composto da professionisti giovani, competenti e molto precisi. È molto facile confrontarsi quando si parla lo stesso linguaggio e quando si condividono gli stessi obiettivi. Abbiamo sempre fatto fatica ad adattarci ai ritmi lavorativi tradizionali, siamo sempre stati estremamente veloci e sempre pronti a cambiare strategia da un momento all’altro (importantissimo nell’epoca dei social network in cui gli algoritmi sono in costante evoluzione), e adesso ci sembra di aver trovato un team con la nostra stessa attitudine.

Raccontaci la genesi del nuovo album “War Hearts”, quando sono nate le prime idee e come è avvenuto il processo di scrittura, registrazione e produzione?

Le prime idee sono nate già alla fine delle registrazioni di “Call Of The North”, nell’inverno del 2022. Ogni volta che un album è completo, iniziamo ad immaginarne il capitolo successivo, anche solo a grandi linee.
La scrittura delle canzoni di ognuno dei nostri album avviene in parallelo: non esiste nel nostro processo creativo quella fase in cui ci si ritrova a dover buttare giù dei riempitivi per completare la tracklist. L’album viene concepito nella sua interezza fin dal principio, e ciascuna delle tracce viene inizialmente abbozzata e dotata di un titolo, e salvo modifiche dell’ultimo minuto, occupa già la posizione definitiva nella tracklist. Una volta scritto il ritornello, il riff principale / introduttivo e un’idea di strofa, considero la canzone chiusa. Gli arrangiamenti di chitarra, le lead e le ritmiche, i bridge, il testo completo, le variazioni e in generale tutti i dettagli vengono aggiunti in una seconda fase, in cui insieme a Giada (voce) e Niso (batteria) mi dedico al completamento delle canzoni.
Solo a questo punto il nostro bassista Francesco scrive e registra le sue parti, mentre gli assoli di chitarra, scritti e registrati da Alessia, Fabiola e me, sono lo step finale.
Voci e batterie sono registrate da Andrea Fusini, il nostro produttore fin dal disco di esordio, che si occupa poi anche di mix e master.

Come è evoluto il vostro songwriting da “The Fallen King” ad oggi? In cosa vi ritenete maggiormente cresciuti?

Tanto per cominciare, “The Fallen King” non aveva ancora un’identità ben definita, dal momento che era poco più che una compilation di canzoni molto diverse tra loro. Dal power di “Fail No More” e “The Shieldmaiden” al symphonic minimalista di “Across The Sea” e “To Infinity”, ai pezzi prettamente heavy metal come “Kings”, fino ad arrivare a canzoni categorizzabili come death metal melodico (“Netherstorm” e “Queen Of Blades”). Nei dischi successivi abbiamo mantenuto un po’ tutti questi elementi, cercando però di mostrarli tutti insieme all’interno della stessa canzone, piuttosto che separatamente, in canzoni molto diverse tra loro. Ne è risultato un sound più compatto e riconoscibile, che è andato via via ad asciugarsi e a diventare ciò che ora può essere ascoltato in “War Hearts” nella sua forma finale: il Frozen Crown sound, esplicitato attraverso canzoni decisamente più corte, più essenziali e più “inquadrate” che in passato.

La prima, evidente novità del nuovo lavoro è l’ingresso in lineup di Alessia Lanzone, giovanissimo talento classe 2006, che porta la formazione a ben tre chitarre con sezioni soliste. Come mai avete deciso di ampliare la lineup? Come vi siete conosciuti?

Alessia è stata una nostra fan da diversi anni. Era letteralmente una ragazzina quando ci scriveva su Instagram e ci inviava video in cui provava a riprodurre i nostri pezzi, e fin da allora siamo rimasti colpiti dal suo incredibile (e precoce) talento. Inoltre abbiamo avuto anche la possibilità di conoscerla dal vivo, dal momento che vive a una manciata di chilometri da noi.
Quando nel Marzo del 2023 siamo partiti per il tour di “Call Of The North” e abbiamo iniziato a suonare l’album dal vivo, ci siamo ritrovati a dover gestire in sede live delle canzoni composte da 16 tracce di chitarra, e a poterne (per forza di cose) riprodurre solo due. Eseguendo gran parte delle lead e armonizzandole per la quasi totalità dei pezzi, Fabiola ed io ci siamo resi conto che la corposità delle ritmiche presenti sull’album era del tutto assente in sede live, e abbiamo dovuto quindi trovare dei compromessi, sacrificando svariati riff o evitando di armonizzare diverse lead.
Fonici e collaboratori ci hanno subito consigliato di seguire il trend del momento e arricchire il suono live con delle sequenze, includendo letteralmente delle intere tracce di chitarra alle sporadiche parti di tastiera che già utilizziamo come backing track. Questa soluzione, come quella di inserire voci aggiuntive in base, ci ha sempre fatto inorridire, di conseguenza abbiamo optato per l’inclusione di una terza chitarra, e la scelta è ricaduta direttamente su Alessia, senza bisogno di audizioni o riflessioni di sorta.

Come di consueto i temi trattati spaziano dal fantasy delle band metal nordeuropee, alla letteratura e al cinema. Da dove avete tratto ispirazione per le liriche?

Mentre Giada è decisamente ispirata da George R. R. Martin e in particolar modo da Tolkien, io sono più legato all’immaginario Sword & Sorcery di Robert E. Howard, nonché alla tradizione “fantasy” italiana, soprattutto legata a Basile (Lo Cunto De Li Cunti) e alle favole e ai racconti tradizionali, ma anche alle grottesche e tragicomiche opere cinematografiche (e televisive) come Brancaleone e Storie dell’Anno Mille.
Non ci sono elfi, orchi o nani nelle nostre canzoni, e “la superstizione e la spada” (cit.) si avvicinano al nostro immaginario molto più che magie e incantesimi.
C’è spazio per le eccezioni, ovviamente, come nel caso di “Edge Of Reality”, esplicitamente ispirata alla saga di Highlander.

“Bloodlines” è ispirato dal celebre gioco da tavolo, nonché videogioco “Vampiri: The Masquerade”. Puoi raccontarci qualcosa in più? Chi tra voi è più nerd?

Innanzitutto nessuno di noi si definisce “nerd”. È un termine abusato che indica tutto e niente, soprattutto dal momento che al giorno d’oggi è molto raro trovare qualcuno che non sia appassionato di serie TV, di cinema o di fumetti, o che non ami almeno un videogame in particolare. Io, Niso, Francesco e Giada in particolare siamo degli avidi lettori, con gusti molto diversi, che spaziano dalla saggistica ai romanzi, dai manga ai fumetti della Marvel a quelli italiani. Dal punto di vista videoludico, probabilmente io sono il più appassionato, e Warcraft e Diablo (ma in generale un po’ tutto l’immaginario della Blizzard) sono stati fortissime fonti di ispirazione nella creazione dei Frozen Crown. “Bloodlines” è non solo ispirata a Vampires: Bloodlines come dici, videogame decisamente imperfetto ma al tempo stesso estremamente sottovalutato, ma anche al capolavoro videoludico Legacy Of Kain: Soul Reaver, e al film del 1987 “Lost Boys” (motivo dietro il sound ottantiano dei synth del pezzo).

All’ultimo posto della tracklist troviamo il pezzo più lungo “Ice Dragon”, un brano epico e avvincente, una suite in crescendo, stile Rhapsody. Come è nato?

“Ice Dragon” è nata da lunghe conversazioni avute con un nostro fan e amico, che oggi purtroppo non è più con noi, e per questo motivo è dedicata a lui. Parla di demoni interiori e di crescita personale (citando anche Thomas Harris e il suo “Red Dragon”). Il “drago di ghiaccio” è un’immagine che rappresenta metaforicamente lo stadio finale di una metamorfosi, iniziata già (a livello lirico) in “Blood On The Snow”, la canzone finale del nostro terzo album “Winterbane”.

Chi ha realizzato l’artwork e come l’avete ideato? Credo di aver letto da qualche parte che è opera di tua, ma non vorrei sbagliare!

Si, sono io il disegnatore in questione. Mi sono occupato delle grafiche, delle copertine (e in generale della direzione artistica, videoclip compresi) della band fin dall’inizio.
I Frozen Crown sono stati letteralmente la mia occasione di concretizzare tutti i miei sogni e di rendere un lavoro tutte le mie passioni (la musica è solo una di queste). Spesso (anzi, direi sempre) i nostri album nascono da miei bozzetti e idee disegnate su carta, e la copertina (o almeno la bozza della stessa) è spesso il punto di partenza.

Quando penso ai Frozen Crown oltre alla musica epica e potente mi viene in mente sempre una grande cura anche per gli aspetti di comunicazione e promozione, a partire dai social, dai videoclip su Youtube al lavoro sui vostri canali, sempre molto autoironico, in cui traspare la positività con cui affrontate le vostre attività e la voglia di scherzare con i fan. Qual è la vostra filosofia nella comunicazione?

La nostra filosofia è molto semplice: sii te stesso, e fai di tutto per mostrare ciò che sei veramente. Essere genuini e autentici è fondamentale, e non solo perché alla lunga è troppo faticoso fingere (ride), ma anche perché in questo mondo di apparenza i fan tendono a premiare alla lunga la spontaneità e la sincerità. Siamo un gruppo di appassionati di musica che scrivono e suonano ciò che amano, niente di più, niente di meno. Non è però semplice mostrare ciò che si è davvero, e occorre maestria nell’usare i social network anche a questo scopo. Se sei un bravo musicista e una brava persona, ma non lo comunichi a nessuno, nessuno potrà mai saperlo.

Rispetto ai videoclip, sempre molto curati sin dalle vostre prime uscite, se la memoria non mi inganna ricordo di aver sentito/letto in passato che sostenevi la tesi per la quale in un video bisogna mostrare tutto subito, per catturare l’attenzione del pubblico… è ancora vero? 

Si, tutto vero. Un video con introduzioni lunghe, scene di contesto, comparse ecc può essere assolutamente funzionale alla musica e coerente con la visione artistica di una band, ma non funzionerebbe mai, al giorno d’oggi, come veicolo promozionale per un disco. La nostra fortuna è che, di base, siamo amanti dell’essenziale e del minimalismo, e siamo fan noi stessi di quei videoclip che mostrano la band suonare senza orpelli ulteriori di sorta. Per cui posso dirti che, calcolati o meno, i nostri video non sarebbero molto diversi da così a prescindere.

Restando su “War Hearts”, dove avete registrato il video e come si sono svolte le registrazioni?

“War Hearts” è stato girato, nell’arco di una sola mattina, al castello di Avigliana, in Piemonte. Non c’è molto da dire sulle registrazioni se non che appunto avevano l’obiettivo, come sempre, di catturare i membri della band intenti a suonare, nella maniera più semplice e meno costruita possibile, in uno scenario reale (non ricostruito in studio).

Avete in cantiere nuovi singoli da rilasciare su Youtube?

Si, certamente! Siamo molto legati al formato video per presentare un singolo e l’intento è quello di rilasciarne il più possibile.

Sempre in tema social: tempo fa ho visto un video in cui con Sheena e Alessia vi cimentate con i vostri riff preferiti, con band anche molto lontane tra loro. Quali sono i gruppi che vi ispirano maggiormente?

Children Of Bodom, In Flames, Dark Tranquillity, Borknagar e molte alter band svedesi e norvegesi, tendenzialmente legate al black e al death metal. Le nostre influenze power metal sono poche e sporadiche: la nostra cantante Giada è sicuramente la più legata a band come i Blind Guardian, i Kamelot, gli Hammerfall e gli Stratovarius. Per quanto riguarda me, ti direi che i primi Angra e i primi Sonata Arctica hanno decisamente impattato sul nostro songwriting.

Passando all’attività live: avete recentemente suonato per la prima volta negli Stati Uniti, al Prog Power USA. Puoi raccontarci com’è andata e qual è stata la reazione del pubblico?

La reazione del pubblico durante la data (sold out) è stata entusiasta, da quanto abbiamo capito la nostra prima apparizione live negli USA era molto attesa. Il meet and greet dopo il live è durato letteralmente due ore e abbiamo ricevuto tantissimo calore e supporto da centinaia e centinaia di persone.

Nei mesi di ottobre e novembre sarete di nuovo in tour per promuovere il vostro nuovo album, a supporto dei Kamelot e con gli Ad Infinitum e Blackbriar. Puoi darci qualche anticipazione? Al netto del fatto che i Kamelot che non hanno certo bisogno di presentazioni, cosa ne pensi delle band con le quali condividerete il palco?

Non conosciamo molto bene né Ad Infinitum né Blackbriar, ma sono band attive da qualche anno e sarà sicuramente una gran bella esperienza dividere il palco con loro. I Kamelot, come dici, oltre ad essere una delle band preferite di sempre di Giada, sono un punto di riferimento nella scena power internazionale e non vediamo l’ora di vederli in azione sopra e sotto il palco.

Il Nobel per la fisica quest’anno è andato a John Hopfield e Geoffrey Hinton per le ricerche sulle reti neurali che hanno portato allo sviluppo, in questi anni, dell’IA generativa. Cosa ne pensate dell’IA in ambito musicale, ma anche artistico in generale? Penso a band che in questi mesi ci hanno anche realizzato dei videoclip, gli esempi si sprecano. Pensi che l’IA generativa nel nostro ambito sia più una minaccia o un’opportunità?

È un argomento che non ci interessa assolutamente. E questo è tutto quello che ho da dire.

 

Intervista a cura di Luca “Montsteen” Montini