Intervista Ghost (Tobias Forge)
E’ ormai più di un decennio che gli svedesi Ghost sono comparsi sulle scene conquistandosi una schiera sempre più grande di fan, sia tra il pubblico che tra i colleghi. Come ci ha raccontato lo stesso Tobias Forge, infatti, sono stati proprio dei colleghi, i Metallica, che con i loro interesse nei Ghost hanno aiutato a lanciare la band.
Poco prima del fantastico concerto di Milano (qui il nostro report e le nostre foto), abbiamo incontrato il carismatico leader della band per parlare del nuovo album, “Impera“, e non solo.
Intervista a cura di Davide Sciaky
You can read the interview in English here.
Ciao Tobias, come stai?
Bene, bene, sono felice di essere in tour.
Era l’ora, due anni di pausa sono un sacco di tempo.
Sì, per noi ogni giorno in cui suoniamo un concerto è come una vittoria perché la situazione è ancora molto incerta. In particolare qui in Europa è molto incerto, tutto, è evidente che chi viene al concerto è felice di essere qui, ma non è semplice convincere la gente a venire.
La gente è molto… dipende da dove sei, più ti allontani dalla guerra meglio è, e almeno questa è la mia sensazione. Quindi in Inghilterra è tutto tranquillo, in Olanda tutto tranquillo, in Francia tutto tranquillo, poi arrivi nel centro Europa e la gente è più cauta, sai, immagino che la gente che sta più vicina alla guerra sia un po’ più pragmatica nei confronti di tutto.
Avete recentemente pubblicato il vostro nuovo album, “Impera”, che parla dell’ascesa e della caduta degli imperi, e in un’altra intervista hai detto che è un tema che ti è stato ispirato da un libro che hai letto nel 2013, “The Rule of Empire”. Queste tempistiche non sono certamente comuni a tante band, avere in mente un tema quasi dieci anni prima che l’album in questione sia pubblicato. Hai semplicemente tenuto da parte l’idea per qualche non ben definito uso futuro, o avevi un piano molto preciso, “Questo sarà il prossimo album, questo sarà quello dopo, questo tema va bene per fra tre album”?
No, quello che faccio può modificarsi a seconda delle circostanze. Ci sono idee, ho molte idee per il futuro che so di non poter realizzare perché, ogni volta che ho delle idee, si tratta sempre di qualcosa di più complesso, più grande e più ambizioso rispetto al passato.
All’epoca sapevo solo, e stiamo parlando di ancora prima di “Meliora” [2015], ma penso che stessi già lavorando a quel disco all’epoca, quindi sapevo già cosa sarebbe diventato “Meliora”, avevo un concept per quello, e poi avevo l’idea per un disco sulla peste, all’epoca era solo “il disco sulla peste”, ma quello aveva un tema portante distinto sul piccolo essere umano soggetto dell’ira divina nella forma di una distruzione totale, la minaccia di questa distruzione, una cosa molto biblica, se vogliamo.
Questo è successo nel 2013: ero in tour, a Seattle, in una libreria vicina al locale dove dovevamo suonare e vidi questo titolo “The Rule of Empires”, e quello mi diede l’idea. Comprai il libro ma non lo lessi all’epoca, l’idea del concept non mi venne dalla lettura del libro ma semplicemente vedendo il titolo. Sapendo che volevo realizzare questo disco sulla peste – il piccolo essere umano contro l’ira divina – parlare di imperi sarebbe stato molto diverso perché con gli imperi si parla di una distruzione più strutturale, più una questione di crollo del sistema, sarebbe stato un disco sulle componenti del sistema che crollano.
Questo mi è sembrato un tema completamente diverso: il disco della peste era su una singola persona, l’altro più su dei meccanismi. Diciamo che sono questi i temi.
Penso che tu abbia dimostrato ormai tante volte negli anni, e questo album non è un’eccezione, il tuo talento per scrivere canzoni memorabili che rimangono fisse in testa, quindi penso che una canzone che spicca in “Impera” è una che va proprio nella direzione opposta, “Twenties”. Una canzone senza dubbio particolare, e ho sentito qualcuno dire, “Con questa canzone Tobias dimostra che oggi può fare un po’ il cazzo che vuole”. Sei d’accordo con questa affermazione, pensi di essere arrivato al punto di avere la libertà di allontanarti da quelle che potremmo definire le classiche caratteristiche di una canzone dei Ghost?
Sì e no.
Sin dall’epoca di “Infestissumam” sento di avere la libertà di poter mettere quasi qualunque cosa io voglia in un disco. Ma nel fare ciò c’è anche una certa ansia perché hai sempre paura di… non vuoi perdere il ritmo, non vuoi fare un brutto disco, non vuoi rovinare tutto quello per cui hai lavorato finora.
A volte avere tutta questa libertà è sia una benedizione che una maledizione perché significa che, ogni volta che sto scrivendo un disco, volendo potrei mettere qualcosa che suona inusuale. Mentre se sei negli AC/DC il tuo lavoro è semplicemente di scrivere altre dieci canzoni con gli stessi bpm, sostanzialmente. So che non è proprio così, amo gli AC/DC, ma è per dire che la loro musica segue una formula più definita, hanno un modo di fare musica che suona esattamente AC/DC e la gente la accetta così. Nei cinque dischi dei Ghost invece ci sono così tanti elementi, ci sono così tante cose diverse che è un po’ meno chiaro esattamente come muoverci, e a volte questo può confondere persino me.
Ma non sono confuso da una canzone come “Twenties” che per me è come… la cosa di cui la gente non si rende conto, anche nel caso di canzoni più strane come quella, è che io scrivo in maniera molto spontanea, intuitiva.
Sapevo semplicemente di volere una canzone che facesse così [batte il ritmo della canzone] volevo questo, volevo una chitarra un po’ stile Slayer [imita il suono di una chitarra distorta e veloce] e volevo avere una botta e risposta. Questa è un’idea che ho avuto per molto tempo, e quindi si trattava solo di concretizzarla. Una volta che ho cominciato a lavorarci è diventato chiaro che, “Okay, questa non sarà una canzone melodica, sarà più un pezzo live”, perché penso che dal vivo suonerà ancora meglio che sul disco. Questa è una cosa non comune per un brano dei Ghost, ma nei miei momenti di debolezza mentre lavoravo al disco mi dicevo, “E’ ciò che “Mummy Dust” è stata per “Meliora”, questa sarà un po’ la “Mummy Dust” di questo disco”, quindi penso che vada bene.
Ma poi mi ti dici, “Non pensare troppo, agisci e basta!”, ma quando lavori a lungo su una cosa ci sono momenti in cui pensi… [ride]
Ovviamente, non è una jam, passa molto tempo tra quando scrivi, registri e pubblichi una canzone, quindi hai tempo di dubitare di te stesso.
Esattamente.
Penso che una cosa molto interessante su di te e sui Ghost sia che, nonostante il tuo passato con le band estreme con cui hai suonato, e nonostante il generale disprezzo che c’è nel Metal nei confronti del mainstream, mainstream è spesso considerato quasi un insulto, tu non ti sei fatto problemi a lavorare con diversi produttori che vengono da un ambiente decisamente più mainstream, gente che ha lavorato con Madonna, Lady Gaga e Avicii, tra gli altri. Queste collaborazioni sono state una tua idea o ti sono state suggerite da qualcuno? E hai mai avuto timore che i tuoi fan potessero reagire male davanti a queste collaborazioni, ti è mai passato per la testa che queste scelte potessero avere un effetto negativo sul pubblico?
Passato per la testa, sì. Timore? Non penso che mi avrebbero apprezzato di più se non avessi fatto queste collaborazioni.
Molta gente la perdi nel momento in cui… se fai un disco, nel momento in cui fai qualunque cosa per far avanzare la tua carriera perderai fan.
Guarda, io vengo da un background estremamente Metal, sono cresciuto in quell’ambiente, so cosa voglia dire essere un emarginato in un gruppetto, ascoltare roba che non ascolta nessun altro, e quindi ogni sorta di elemento esterno che si avvicina al nostro gruppo ci sembra una minaccia, un’offesa, e come reazione la allontaniamo.
Non ho nessun problema a capire questo modo di pensare, ma per come la vedo io, e per come ho impostato questa band fin dall’inizio 12 anni fa, non posso dar retta a quello che la gente dice di me dal proprio divano, perché c’è chi mi ha criticato fin dal nostro primo show, e continuano a criticarmi, e l’unica reazione che posso avere è, “Be’, più parlate di noi meglio è”.
Quindi non è un mio problema.
Riguardo l’altra domanda che hai fatto, da dove sono nate queste collaborazioni: inizialmente, quello che è successo con i primi due dischi è stato che – con l’eccezione di una canzone dove Martin [Persner] è arrivato con l’embrione di una canzone e io ho scritto i testi, e ho scritto degli elementi per farla diventare una vera canzone che suonasse come i Ghost – a parte quello ho scritto interamente io i primi due dischi.
Quando è arrivato il momento di lavorare a “Meliora”, avevo già delle canzoni completamente pronte “He Is”, “Majesty”, “Spirit”, c’erano alcune canzoni già pronte su demo che potevano essere già ascoltate. Klas [Åhlund], a cui era stato chiesto di lavorare come produttore per quel disco, disse, “Voglio solo sapere prima di accettare il lavoro, hai già scritto tutto? È già tutto pronto?” e io risposi, “No, voglio dire, normalmente io scrivo delle idee: ho un’idea qui e una lì, e se le suono insieme sentirai solo due segmenti. Nella mia testa so che queste diventeranno una canzone ma, ovviamente, se tiro fuori queste idee e tu sei lì con me, sei costruttivo, sei il produttore e hai deciso che insieme partoriremo questo disco, ovviamente possiamo fare qualcosa insieme”.
Quello è stato qualcosa di nuovo per me, perché da sempre tutte le persone che hanno lavorato con me in qualunque band mi hanno dato del dittatore e dicevano che non ascoltavo nessuno. Questo succedeva perché non ero, sai… e come una ragazza che va a ballare: semplicemente perché non ti vuole baciare non vuol dire che è una stronza. Non vuol dire che è una strega, non vuol dire che è cattiva. Magari vuole baciare qualcun altro, mi spiace!
Ma questa è la cosa quando scrivi musica, semplicemente perché siamo nella stessa sala prove, perché siamo nella stessa band, non vuol dire che sono obbligato ad ascoltare le tue idee. Sì, posso ascoltarle, posso essere carino, ma non devo per forza accettare quelle idee e questo non vuol dire che io sia… succede in qualunque band.
Quindi, mi è sempre stato detto che ero un dittatore e ormai l’avevo accettato come un fatto finché non ho incontrato Klas, perché lui mi ha dimostrato che posso lavorare benissimo con altre persone, fintanto che queste portano al tavolo delle vere idee, delle vere critiche, e ci provano davvero. Klas diceva sempre cose tipo, “Penso che questa parte e questa parte siano davvero buone, ma quell’altra cosa che hai detto per me non funziona. Puoi fare qualcosa di meglio? Fai qualcosa che mi faccia sorridere”, e questo mi spingeva a scrivere meglio.
Una volta finito “Meliora” ero cresciuto come songwriter, sono migliorato davvero tanto. A quel punto sentivo che, con “Prequelle”, volevo provare a lavorare con altre persone che non dovessero necessariamente lavorare con me su un album intero, e volevo vedere se questa cosa potesse funzionare. Il tutto è nato in quel modo.
Per farti un paragone con le arti marziali, è come se tu fossi stato allenato dallo stesso sensei per anni, e anni, e anni in shobukan karate e, improvvisamente, quando sei al terzo dan ti dici, “Voglio provare ju-jitsu, voglio provare Kyokushinkai, voglio imparare delle nuove tecniche e diventare un lottatore migliore”. Quando combatti sempre con le stesse persone del dojo, che sono tutte state allenate dalla stessa persona, sai, hai bisogno di imparare nuove cose.
Per questo ho cominciato a lavorare con persone diverse, per mettermi alla prova e poter diventare un songwriter più consapevole.
Questo è quello che mi piace, e se non piace a chi è a casa sul divano, beh, va bene, mi spiace [ride].
È quello che è, questo non mi fa amare di meno i Necrophagia.
I vostri costumi e la vostra immagine sono da sempre una parte importante dei Ghost. Giusto qualche giorno fa guardavo un vecchio video di un live dei Repugnant e pensavo a quanto sia cambiato da allora che suonavi in una maglietta senza maniche con la chitarra in spalla ad oggi che hai ingombranti costumi, maschere, a volte pure uno scettro. Ti manca la libertà che avevi nelle tue vecchie band di poter sostanzialmente saltare sul palco vestito come sei ora, e pensi che i Ghost possano arrivare ad un periodo senza maschere, come hanno avuto i Kiss, o comunque una versione della band più semplificata?
No, non succederà.
Cambieremo andando avanti, ci sono degli aspetti che potranno… non direi che verranno semplificati, perché penso che una grossa parte dei Ghost sia il lato teatrale, e questo è una cosa che esalta anche me.
So che non saremmo arrivati dove siamo se fosse solo per l’aspetto di spettacolo, hai bisogno di canzoni valide, ma le due cose funzionano insieme.
E non penso che uno stile tipo i Pearl Jam sia qualcosa che il nostro pubblico apprezzerebbe, non sarebbe la stessa cosa con un grosso palco vuoto con solo la batteria. Non vorrei mai provare una cosa del genere, non mi piacerebbe.
Dal punto di vista personale a volte mi manca, perché tutto quello che facciamo con i Ghost è così complicato, tutto, non possiamo fare niente come una band normale. Dato che viviamo in tanti posti diversi, anche solo portare tutti quanti nella stessa parte di mondo per poter suonare una sola nota insieme, con i costumi addosso, parliamo facilmente di una spesa di anche 100.000€. Quello è il costo di partenza solo per portare tutti nello stesso posto. È tutto così complicato, è un buon problema da avere, ma dico solo che essendo una persona che ama la musica in generale, sicuramente mi piacerebbe in qualche momento della mia vita poter essere nuovamente non il cantante, non il frontman di una band super teatrale. Mi piacerebbe suonare la batteria, o il basso, o la chitarra in una semplice band Punk e semplicemente andare a suonare così, sarebbe un bel cambiamento.
Ma questo è quello che faccio, questo è quello che voglio fare, e tra tutti i miei progetti, tutte le band in cui ho mai suonato, questa è di gran lunga quella con cui mi sono divertito di più, e quella in cui mi sento più libero e privo di regole.
Quando avevo 20 anni avrei sinceramente voluto che i Repugnant diventassero una band grossa. Io non volevo che i Repugnant diventassero un piccolo gruppo underground. Abbiamo goduto di una sorta di piccolo successo postumo, ora siamo come una band di culto.
Ma non è quello che volevo.
Io volevo firmare con la Roadrunner. Volevo pubblicare dischi. Volevo andare in tour. Volevo suonare di supporto agli Slayer. Volevo essere in una grande band.
Se avessi avuto l’occasione, in quel momento, avrei fatto tutte queste cose e i Repugnant sarebbero diventati una cosa diversa. Mi è impossibile dire cosa sarebbero diventati, ma quello era sicuramente il mio desiderio. La cosa è che nel ’98, ’99 eravamo così lontani dall’interesse del pubblico, facevamo qualcosa di così antiquato che nessuno si voleva avvicinare a noi.
I Ghost sono riusciti a crearsi una fanbase molto solida, molto rapidamente, e da lì avete avuto sempre più successo e siete passati a suonare in posti sempre più grandi. Mi ricordo la prima volta che siete venuti in Italia, nel 2013, già si vedevano in giro persone con i vostri tatuaggi e pensavo, “Wow, sono in giro da appena tre anni e c’è gente già così appassionata!”. Ti ricordi un momento specifico in cui ti sei reso conto di quello che stavate diventando, in cui ha capito che la band stava davvero decollando?
Ci sono stati diversi momenti del genere nel primo anno.
Un momento importante è stato quando Fenriz ha scritto di noi. Un momento importante è stato quando Duff Mckagan ha scritto qualcosa su ESPN News, o su un sito del genere, dove aveva una rubrica. Uno dei momenti più sconvolgenti è stato quando i Metallica dovevano suonare in Svezia, noi non c’eravamo, suonavamo al Roskilde festival in Danimarca e dovevamo tornare a casa. Era uno show enorme e in Svezia lo avrebbero trasmesso in TV. Appena prima del concerto James Hetfield fece un’intervista in diretta alla TV, sulla televisione svedese, e addosso aveva una maglietta dei Ghost. Penso che quello è stato il momento in cui in Svezia siamo passati dall’essere una band relativamente sconosciuta, ad una band che la gente, almeno chi si interessava di musica, quantomeno aveva sentito.
Direi che è grazie a James Hetfield e Lars, grazie a cose che Phil Anselmo ha fatto, Duff McKagan, ovviamente Fenriz, e alcuni altri personaggi del genere, sono loro quelli che ci hanno davvero fatto spiccare il volo.
E nel tempo ho avuto modo di conoscerli e sono stati dei veri e propri mentori, il che è incredibile perché una delle cose che mi ha spinto a voler suonare dal vivo erano band come gli Iron Maiden e i Metallica. Sedermi a leggere le liste dei posti in cui avevano suonato, tipo in “Live After Death” ci sono tutti i programmi, le liste di concerti, e poter conoscere personalmente Steve Harris, andare in tour con loro, imparare… tante band mi hanno insegnato a distanza semplicemente ispirandomi, e poter imparare da loro in prima persona, questo è qualcosa di incredibile.
Se potessi parlare con il me stesso di 11 anni [ride].
Non ci crederebbe mai!
No, è assurdo!
Ma pure il me stesso di 21 anni sarebbe scioccato.
“Tra 10 anni James Hetfield indosserà magliette della tua band”, è qualcosa di incredibile.
Sì, esatto, esatto!