Intervista Haken (Ross Jennings)
Intervista a cura di Davide Sciaky
Ciao Ross, come stai?
Considerata la situazione, io sto bene, grazie.
Giusto, come sta procedendo con la quarantena in Inghilterra [N.D.R. l’intervista è stata fatta ad inizio maggio]?
Penso che abbiamo il maggior numero di morti in Europa, almeno questo è quello che dicono i giornali, e la risposta a questa situazione per molti è “Non vediamo l’ora di poter uscire di nuovo”, è un po’ stupido per me [ride].
Ma in fin dei conti chi può sapere cosa sta succedendo davvero, tutti continuano con le proprie vite in quarantena, cercando di stare al sicuro… aspetteremo ulteriori istruzioni, ma mi sembra un po’ strano parlare di uscire di nuovo, di finire la quarantena, quando abbiamo un numero di morti così alto, lo trovo assurdo.
Ovviamente la prima domanda che ti devo fare è sul titolo del nuovo album, “Virus”, una coincidenza davvero sfortunata…
[Ridacchia]
… Quando è iniziato tutto questo casino con il coronavirus avete pensato di cambiare titolo?
Sì, puoi immaginare le discussioni che abbiamo avuto, eravamo in tour con Devin Townsend negli Stati Uniti quando le cose hanno cominciato a farsi serie.
Abbiamo visto all’orizzonte la situazione svilupparsi in Cina, ma non ci saremmo mai aspettati di annunciare l’album in mezzo ad una pandemia globale.
È davvero strano: cogliamo l’ironia della cosa, mettiamola così, ma la coincidenza di tutto quanto è davvero incredibile.
L’etichetta ci ha contattati quasi all’ultimo e ci ha detto, “Guardate, non c’è un modo giusto o sbagliato di comportarsi, se volete cambiare il titolo possiamo farlo; se volete possiamo ritardare l’uscita del disco e cambiare il titolo, potrebbe costarci dei soldi ma si può fare”, ma noi abbiamo deciso di non farlo, pensiamo che tra qualche anno, col senno di poi, la gente sarà in grado di separare l’arte dalla vita reale [ride].
È un caso sfortunato ma è quello che è, avevamo il titolo in mente già da qualche anno e quindi abbiamo deciso di mantenere la nostra integrità artistica.
Hai nominato il tour con Devin, mi chiedevo se avete composto musica durante il tour o se avevate già scritto tutto prima di partire in tour.
Molto era già stato abbozzato, ma abbiamo trovato quest’opportunità durante il tour europeo di… sai, eravamo tutti insieme e c’erano dei buchi nella musica, così abbiamo usato quel tempo per lavorare al disco e migliorarlo, e quello che è successo è che abbiamo finito per buttare via qualche canzone e scriverne altre da zero.
È stato un periodo molto creativo e i miei ricordi più belli della scrittura di questo album risalgono a quando eravamo su quel tour bus, nello studio improvvisato nel retro del bus dopo ogni show, ma anche durante il giorno quando avevamo del tempo libero, abbiamo usato tutto il nostro tempo libero per rendere “Virus” il disco migliore possibile.
Quindi, sì, gran parte di questo disco è stata scritta durante il tour europeo.
Il processo di songwriting è sempre lo stesso, vi trovate sempre tutti insieme per lavorare alle canzoni, o a seconda del disco avete lavorato in modi diversi? E, in particolare rispetto a “Vector”, è cambiato qualcosa nel modo in cui avete scritto “Virus”?
Un po’ è effettivamente cambiato da album ad album.
Quello che è successo negli ultimi anni è che alcuni hanno scritto da soli, poi ci sono state condivisioni di file, collaborazioni tra due o tre persone, e poi i pezzi vengono ultimati alla fine.
In questa occasione è cominciata subito così, da quell’opportunità di lavorare tutti insieme mentre eravamo in tour, questo è stato qualcosa di molto diverso da quanto è successo con “Vector”, e anche con gli album precedenti.
Penso che questo abbia davvero fatto bene all’album, sicuramente è più veloce arrivare a delle decisioni e mettere insieme le canzoni sul momento è molto bello, per quanto mi riguarda questo è il modo in cui una band dovrebbe lavorare.
Sì, in passato si è trattato di singole persone che hanno scritto le canzoni, o di collaborazioni fatte tramite internet, diciamo [ride] quindi è un’esperienza un po’ diversa.
Leggevo che il concept di “Virus” è ambientato sullo stesso sfondo di “Vector”, ma vent’anni dopo, giusto?
Sì, volevamo connettere questi due album, “Virus” fa decisamente il paio con “Vector”.
Chiunque conosca i nostri lavori precedenti conoscerà la canzone ‘Cockroach King’ e l’idea per questi due album, “Vector” e “Virus”, era di esplorare quella canzone, quel personaggio e le metafore toccate in quella canzone in maniera più elaborata nell’arco dei due dischi.
Ci siamo molto divertiti nel farlo, “Vector” è stata una sorta di “origin story”, pensando al mondo dei supereroi in un certo senso [ride] questa idea da Universo Marvel si è integrata nel mondo degli Haken.
Non è necessariamente un supereroe, parliamo più che altro di un personaggio squilibrato mentalmente che, come la gente scoprirà seguendo la storia, porterà molto male nel mondo, poi ci sono anche altri discorsi che coinvolgono la politica e altro.
Quindi è stata l’occasione per discutere di temi reali, ma anche di creare una storia di finzione ispirata a film di fantascienza anni ’80 come “La Mosca”, ad esempio, da cui abbiamo preso in prestito l’idea di metamorfosi.
C’è molta carne al fuoco, per noi è più della musica, ci piace creare diversi livelli con significati e citazioni.
Pensi che continuerete ad approfondire il personaggio del Cockroach King nei prossimi album?
Penso che questa sarà la fine.
È stato divertente fare questa cosa e creare una sorta di doppio concept album su di una canzone che inizialmente è nata come uno scherzo, ma è stato bello poterla trasformare in un doppio concept album serio.
L’album è sicuramente molto complesso dal punto di vista musicale ma, soprattutto dopo quello che mi hai detto ora, mi pare parecchio complesso anche dal punto di vista dei testi tra metafore e diversi livelli di lettura. Diresti che questo è il vostro album più ambizioso ad oggi?
Sì, sicuramente è stato ambizioso creare questa storia nell’arco di due album, mantenendo il segreto con i fan che si sentivano “derubati” di ulteriore musica su “Vector”.
Speriamo che si accenda una lampadina con questo album e che vedano il grande disegno che abbiamo progettato per i due album.
Quindi sì, è stato un progetto molto ambizioso, e anche musicalmente ci sono delle parti davvero tecniche, quasi impossibili da suonare [ride] e ovviamente mi riferisco a canzoni come ‘Nil by Mouth’ [da “Vector”] e ‘Messiah Complex’ dal nuovo disco, un pezzo davvero intricato di musica Metal.
Sarà una vera sfida portare sul palco questa musica, ma non vediamo l’ora di affrontare questa sfida.
Mi piace molto la copertina dell’album, molto minimale ma anche collegata al tema del virus, ovviamente. Come avete lavorato, avete lasciato carta bianca all’artista che l’ha disegnata o l’avete seguito più da vicino?
No, siamo stati parte integrate del processo e abbiamo comunicato molto con l’artista, era molto importante collegare la copertina con la musica e con il concept.
Blacklake è una compagnia olandese che è stata coinvolta con tutti i nostri lavori, abbiamo iniziato a lavorare loro per “The Mountain”, ma solo all’epoca di “Affinity” abbiamo cominciato a realizzare che queste immagini più semplici erano diventate quasi identificative e ci piaceva molto, ci piace quando guardi un simbolo o un logo e capisci immediatamente a cosa si riferisce.
Era sicuramente così con “Affinity” e volevamo continuare in quel modo, quindi questa nostra intenzione si è tradotta nelle copertine degli ultimi due album, volevamo mantenere una certa continuità stilistica.
Le macchie di Rorschach, la copertina di “Vector”, è un’immagine che colpisce, ma la cosa è che non rappresenta un’immagine sola, dipende da chi la guarda, e questo per me è una figata, c’è una forte connessione con la nostra musica.
Cercare significati nella musica e nei testi è qualcosa che ti dice di più su te stesso che sulle intenzioni dell’artista [ride].
Poi ovviamente abbiamo cercato di mantenere la continuità con “Virus”, ed il punto di partenza con “Virus” era il simbolo di “pericolo biologico”, volevamo fare qualcosa di simile a quello in maniera semplice e ad effetto; alla fine siamo arrivati al batteriofago che comunque ha una forma un po’ simile e quindi ci è sembrato figo connettere le cose in questo modo.
Sia con “Vector” che con “Virus” avete lavorato con Adam “Nolly” Getgood alla produzione, com’è stato lavorare con lui?
Oh, Adam è una leggenda, è un maestro della produzione e ha una grande conoscenza del mestiere.
Io non c’ero per le sessioni di batteria, ma penso che sia stato molto coinvolto anche in quello, nel settaggio della batteria, il posizionamento dei microfoni e tutto, quindi sicuramente il suo contributo è stato importante per quello: credo che la batteria dal punto di vista sonoro, oltre che di abilità a suonarla, sia davvero migliorata di album in album e ne sono molto contento.
Ero presente nella sessione con lui in cui abbiamo fatto il reamping delle chitarre, cercavamo il sound più pesante possibile, e abbiamo sperimentato con tante casse diverse, e anche plugin diversi, ed è stato molto divertente; penso che anche qui il risultato, il suono delle chitarre, sia davvero ottimo.
Il vostro primo album, “Aquarius”, è uscito nel 2010, quindi “Virus” è in certo senso la conclusione del primo decennio degli Haken.
Con molte band classiche si tende a idolatrare il primo periodo, che sia il primo decennio o i primi album; pensi che abbiate raggiunto il vostro apice creativo in questo periodo, o senti di avere ancora altro da dire di nuovo e diverso per il futuro degli Haken?
Sì, mi sento decisamente di avere ancora molto altro da dire, sicuramente vogliamo continuare il nostro processo creativo, ci piace molto quello che facciamo, è la nostra vita.
Capisco quello che dici, c’è gente che ancora considera “Aquarius” il nostro lavoro migliore, è una cosa che sento spesso e che trovo divertente [ride].
Un artista è in continua evoluzione e alla fine si tratta sempre di gusti personali; anch’io ho tante band di cui preferisco i primi lavori, è una cosa comune, ma penso che noi abbiamo ancora molto da dire.
Penso che forse in futuro questa potrà essere vista come la nostra prima fase, il nostro primo periodo, sicuramente penso che ora stiamo scrivendo la parola fine al Cockroach King e ad altri concetti che abbiamo trattato più volte nei nostri album, quindi ora siamo pronti a spostarci su qualcosa di nuovo.
Per concludere l’intervista ti avrei chiesto di un tour a supporto di “Virus”, ma ovviamente la situazione ora è molto incerta e immagino sia difficile pronunciarsi, almeno per il breve termine. C’è qualcosa che potete pianificare già da ora?
Non ne farò segreto, pensiamo che il 2020 sia da escludere per quanto riguarda i concerti, anche se siamo in standby per il tour americano che dovrebbe essere alla fine dell’anno, vedremo cosa succederà, ma onestamente non sono molto convinto che si farà.
Stiamo pensando a febbraio/marzo 2021 per un tour europeo per portare questo disco in un contesto live, speriamo che per quel periodo le cose siano tornate vagamente alla normalità.
La mia preoccupazione principale è che, anche senza più restrizioni, la gente possa essere comunque apprensiva a radunarsi ad eventi del genere nel prossimo futuro.
Penso che quello che sta succedendo con vari artisti che stanno facendo concerti in streaming diventerà sempre più comune, anche quando non ci saranno più restrizioni, ed è qualcosa che penso piacerebbe anche a noi fare, quindi seguiteci che qualcosa potrebbe succedere.
Ovviamente non vediamo l’ora di tornare sul palco, questa è la parte più divertente del nostro lavoro, suonare, vedremo che succederà.