Death

Intervista Hideous Divinity (Enrico Schettino, Enrico Di Lorenzo)

Di Marco Donè - 9 Settembre 2022 - 10:00
Intervista Hideous Divinity (Enrico Schettino, Enrico Di Lorenzo)

Durante il Summer Metal 2022, festival che si è tenuto il 5-6-7 agosto, a Lonca di Codroipo, in provincia di Udine (qui il nostro report), abbiamo avuto il piacere di incontrare gli Hideous Divinity e scambiare quattro chiacchiere con Enrico Schettino ed Enrico Di Lorenzo, rispettivamente chitarrista e cantante della formazione capitolina. E c’è poco da fare: le interviste face to face sono magiche, ti permettono di interagire con l’artista in modo diretto, di entrare nella sua dimensione. Ti danno la possibilità di vivere e toccare con mano il suo mondo, le sue visioni. E così, l’intervista si è presto trasformata in una chiacchierata tra appassionati di musica, toccando tantissimi aspetti legati agli Hideous Divinity, e non solo. È come se ci fossimo trovati al bancone di un bar e, tra una birra e l’altra, avessimo iniziato a parlare di musica. Una delle esperienze più belle che mi sia mai capitato di fare e che ha reso questa intervista imperdibile.

Non rimane che augurarvi buona lettura!

 

Intervista a cura di Marco Donè

 

Ciao Enrico e ciao Enrico, sono Marco, di Truemetal.it. È un piacere avervi ospiti sulle nostre pagine, come state?

Enrico Di Lorenzo – Ciao, Marco, siamo nel backstage, in attesa di salire su un palco e suonare: meglio di così non potrebbe andare. Tu?

Anche qui tutto bene, grazie! Inizierei con il parlare subito di “Simulacrum”, il vostro ultimo album, uscito a novembre 2019, poco prima dell’esplosione della pandemia di Covid-19. Le date live che state portando avanti in questo periodo possono essere definite come date di supporto all’album? Se sì: che sensazione provate nel promuovere ora un disco uscito quasi tre anni fa?

Enrico Schettino – Dunque: in questa grande sfortuna che ha investito tutti quanti, noi possiamo dire di essere stati tra i più fortunati, in quanto siamo stati tra i pochi a riuscire a ultimare un tour, nel 2020. Siamo andati in America con Vader e Abysmal Dawn. Siamo tornati il 1 marzo 2020 e nove giorno dopo eravamo in lockdown. Da questo punto di vista siamo stati dei privilegiati: quello è stato un tour di un mese, negli Stati Uniti, il secondo in America dopo quello che avevamo fatto nel 2019 con Aborted, Cryptosy e Benighted. Dopo il tour con Vader a Abysmal Dawn c’è stato un lungo sonno, durante il quale abbiamo registrato un EP, “LV-426”, che ci ha tenuto un pochino occupati in questo lunga, lunga pausa. Appena esplosa la pandemia noi avevamo un ulteriore tour in Europa, che non visitiamo con un tour completo dal 2018. Questo tour prevedeva i Terrorizer e noi come supporting act. Era previsto per aprile e maggio e non vedevamo l’ora di fare queste date. Chiaramente siamo passati dal dover dire: «Gli Hideous Divinity non potranno prendervi parte perché si trovano in un paese isolato, a causa del covid», al momento in cui è arrivata la pandemia e ci ha chiusi tutti quanti. Vista la situazione non c’era nemmeno la necessità di annunciare che annullavamo la nostra presenza al tour: è il mondo che si è annullato. Noi restavamo spettatori, a osservare cosa sarebbe successo. Le canzoni di “Simulacrum” sono quindi state suonate più negli Stati Uniti che in Europa. Le sentiamo ancora nuove. Per un gruppo come noi, però, far passare così tanto tempo tra un full length e l’altro – un album che andremo a registrare sicuramente l’anno prossimo – è un bel po’ di tempo. In questo periodo di blocco forzato abbiamo realizzato “LV-426” – di cui, dal vivo, proponiamo sempre due canzoni – e durante le prove, in quarantena, abbiamo avuto il tempo di suonare tutte le tracce di “Simulacrum”. Abbiamo anche preso in considerazione la possibilità di proporre tutto l’album dal vivo, ma poi abbiamo portato solo un paio di canzoni. È strano: “Simulacrum”, il nostro primo disco per Century Media, è un lavoro che per noi inizia a essere vecchio, è vero. Sai, le canzoni di “Simulacrum” le abbiamo suonate così tante volte, spesso solo per noi, come spettatori, che questa cosa… sì, insomma, se non facevamo l’EP “LV-426” uscivamo pazzi. È stato un qualcosa di molto egoistico. Lo abbiamo fatto per noi. Poi è piaciuto e ne siamo molto contenti.

L’official video di ‘Actaeon’, canzone presente su “Simulacrum”

Con “Simulacrum”, inoltre, avete siglato un prestigiosissimo contratto con Century Media Records. Com’è nato questo importante deal e che emozioni avete provato?

Enrico Di Lorenzo – Possiamo dire che avevamo già uno zampino nella Century Media perché il nostro bassista, Stefano Franceschini, suona negli Aborted. Oggi non è con noi perché è impegnato con loro. Oltre a questo, però, in Century Media c’era più di qualcuno che ci apprezzava. E così, quando è scaduto il contratto con la Unique Leader Records, abbiamo iniziato ad annusarci a vicenda. Ci sono state anche altre belle etichette che ci hanno cercato, di cui alcune molto grosse, con cui avevamo iniziato a parlare. La Century Media, però, è arrivata con un’offerta che non si poteva rifiutare, e infatti non l’abbiamo rifiutata [risate, n.d.a.]. Emozioni… eh, tante! Sai, per me, almeno, la Century Media era il nome dell’etichetta che leggevo dietro ai dischi che mi piacevano tanto. Vedere uscire la notizia che gli Hideous Divinity avevano siglato un contratto con Century Media è stato un qualcosa di importante. Tanto importante che in quel giorno, credo, sia avvenuto l’ultimo blackout completo di Facebook e Instagram. E così la notizia che noi aspettavamo tanto è sì uscita, ma nessuno lo sapeva. È uscita proprio in sordina. C’era gente che mi chiedeva: «Leggo che siete sotto Century Media, ma che è successo?», «Mah, noi in realtà avremmo fatto un super annuncio…» ma niente, aveva chiuso casa Zuckerberg [risate, n.d.a.]. Al di là di come sia andato l’annuncio, siamo molto fieri da una parte, e contenti dall’altra: è un nome grosso, che può aiutare e dare tanto. Poi, sai, questa cosa si è portata appresso anche alcune piccolezze tutte italiane – e qui mi scatta un po’ la vena polemica – perché come è stato annunciato il nostro contratto con Century Media, anche se pochi lo sapevano, quei pochi hanno subito risposto: «Ah, e allora adesso si ammorbidiscono». Non lo so… ascoltatevi “Simulacrum” ed “LV-426” e diteci se ci siamo ammorbiditi. Io direi di no. Però, vabbè, ognuno…

Lo avete già citato entrambi… Lo scorso anno avete pubblicato un EP di tre pezzi, intitolato “LV-426”. Un titolo enigmatico…

Enrico Schettino – Eh, se conosci Alien… [risate, n.d.a.]

Vi andrebbe di spiegarcelo?

Enrico Schettino – Avevamo in mente di fare un concept che fosse collegato ad Alien, ma non semplicemente al mostro del franchising. Ti confesso che da piccolo sono sempre stato un gran fifone, però c’erano dei film come Predator, Alien e Aliens – soprattutto il secondo – il cui fascino, la bellezza di quei film andava oltre la paura che mi facevano. Ho pensato che se avessimo dovuto fare un concept, buttandoci su una cosa talmente ampia, strautilizzata, che fa parte dell’immaginario collettivo del metallaro come poche altre cose, allora doveva essere una storia ben focalizzata. Abbiamo quindi deciso di buttarci sul secondo capitolo della saga di Alien. LV-426 è il pianeta in cui avviene l’assalto degli Alien, all’interno della colonia mineraria. L’intera storia viene vista dagli occhi di una bambina, Newt, che sopravvive da sola all’assedio dei mostri, fino all’arrivo di Ripley e dei Marines. Partendo da questa tematica, di per sé molto cinematografica, ci siamo subito messi alla ricerca di significati un po’ più profondi e personali. Se fai un concept, il concept non può parlare dei mostri. Se vuoi fare le cose in una certa maniera, prova a dargli uno spessore, a renderlo simile a una storia. Qual è la storia, quindi? Eh, è quello che vede Newt, come la bambina ha vissuto il confronto con i mostri. Sono allora iniziate a fioccare una serie di analogie e parallelismi. Abbiamo pensato che questo disco è stato scritto a cavallo delle prime due ondate della pandemia, di come buona parte della popolazione mondiale abbia dovuto affrontare i propri mostri: depressione, solitudine, instabilità economica… Tu magari dici: «Ma che razza di volo pindarico è?». Probabilmente lo è, però ci è piaciuto vederla in questa maniera. Ci sono mostri che esistono, nonostante quello che ti dicono i tuoi genitori. In questa storia, quindi, c’è anche la perdita dell’innocenza, il fatto che la bambina realizzi che i mostri esistono, eccome. Successivamente allo sviluppo di questo concept ho letto “IT”, di Stephen King. È un libro fantastico, il preferito di Enrico, e all’interno di quel libro ho trovato ulteriori analogie con questa storia, vale a dire la forza dei bambini di affrontare dei mostri, davanti ai quali gli adulti, per una questione di senso di cognizione generale, diventerebbero pazzi. I bambini, invece, trovano la forza di affrontare delle situazioni che molto spesso sono completamente disarmanti. Tutto questo ha creato una sorta di concept narrativo… diciamo che gli Hideous Divinity hanno progressivamente integrato un concept più letterario a quello che è il concept di base, legato a un mostro, a un film. Abbiamo agito in questo modo per dare spessore, non volevamo fare una cosa tanto per fare, per stampare un paio di magliette con la grafica, con il rischio che passasse il messaggio “C’è l’Alien, la devi comprare”. No, ci siamo detti: «Facciamo qualcosa di diverso oltre alla grafica con l’Alien». Ci è piaciuto. È stata un’atmosfera rilassante. Registrare un EP ti mette meno pressione addosso, fai le cose con più calma. E poi… siamo andati a registrare a gennaio 2021: è stato come ricrearsi un mondo fittizio, fingendo che il mondo fosse tornato alla normalità: non lo era, però.

Enrico Di Lorenzo – Anche perché siamo entrati tutti in studio brandendo il certificato di negatività, roba da set di film porno [risate, n.d.a.]. Diciamo che ci eravamo ricreati una normalità, un po’ come il rifugio, la cameretta di Newt. Ci siamo creati una realtà sicura e confortevole, ma intorno regnava il delirio più totale.

Davvero un bel concept, per un EP che possiamo dire vi ha tenuto “vivi” in un periodo complicato per tutti, dovuto alla pandemia. Nell’EP, però, ci sono tre pezzi: due inediti e una cover dei Coheed and Cambria, una scelta un po’ strana per un gruppo come il vostro…

Enrico Schettino – Lo sai perché? Su questo punto ho fatto una ricerca, vi ho speso molto tempo. Ho cercato un gruppo – di un certo livello e non una band splatter-gore qualsiasi – che avesse portato avanti una tematica legata ad Alien, ripresa da quel franchising: non l’ho trovata. Mi aspettavo di imbattermi in gruppi famosi, ma invece niente. E poi mi son capitati tra le mani i Coheed and Cambria, che non conoscevo. Mi sono andato a sentire il pezzo e mi son detto: «Oddio, è una bella canzone» – io sono un fan dei Mars Volta e mi hanno ricordato loro – ma ho pensato: «Qua ficcarci una cosa in stile nostro… come si fa?». Io sono fissato con le cover rifatte secondo il nostro stile, che sono presenti in quasi tutte le nostre release. E allora mi è venuto in mente di prendere questa canzone e riadattarla come avrebbe fatto un altro gruppo, che io adoro ed è vicino a noi, come sonorità. Ho pensato, insomma, a come suonerebbe questa canzone se venisse rifatta dagli Ulcerate: come la reinterpreterebbero? Che tipo di arrangiamenti, di dissonanze sceglierebbero? Così mi son detto: «Vediamo come gli Hideous Divinity cantano gli Ulcerate, che cantano i Coheed and Cambria. Vediamo che salta fuori». Ero un po’ preoccupato, l’etichetta era un po’ perplessa, ci chiedeva se fossimo sicuri di fare ‘sta cosa. Poi abbiamo mandato la demo – adesso si lavora con le demo – e abbiamo detto che sarebbe stata una versione molto personale. Chi vorrà cercare la genesi di questa canzone farà le sue ricerche e quando la troverà ne resterà sorpreso. Ci saranno i fan che si faranno rodere il chiccherone, come si dice a Roma, e i fan che saranno sorpresi. La verità è che non molti avevano capito che quello era un pezzo dei Coheed and Cambria.

Enrico Di Lorenzo – Loro lo hanno capito e gli è piaciuta.

Enrico Schettino – I fan dei Coheed and Cambria sono rimasti piacevolmente sorpresi, mi aspettavo più reazioni negative, del tipo: «Ma che vi siete messi in testa», e questo mi ha molto rinvigorito nei confronti della reazione di pancia del pubblico metal: sono stati disposti a sentire. Dentro ci sono cose che non so se ripeteremo. C’è il bravissimo Tommy Bonnevialle, polistrumentista e pianista, lui è famoso… vatti a vedere le sue cover dei Deathspell Omega fatte al pianoforte, è una cosa ipnotizzante. Per questa canzone a Tonny ho detto: «Ti do un intervallo di accordi e mi immagino questo duetto: Tommy al piano e Giulio al blast. Vediamo che esce fuori». Lui era il tipo di persona già disposta a un esperimento del genere, e ha funzionato. A me piace tantissimo quell’intermezzo, dà a tutta la canzone un sapore, quel tipo di sapore là, quel tipo di musica che mi ha tenuto compagnia durante la pandemia, quel death metal dissonante che secondo me sta mostrando il futuro alla musica di adesso. Ci sono dei gruppi nel 2021 e 2022 che riescono a darti qualcosa di nuovo. È un po’ un tributo a loro. E poi… poveri Coheed and Cambria. Chissà se l’hanno mai…

Enrico Di Lorenzo – Certo! L’hanno ascoltata, gli è piaciuta e l’hanno pure condivisa su tutti i loro social.

Enrico Schettino – Lo apprendo ora. Sai com’è: non parliamo tra noi [risate, n.d.a.].

 

Il visualizer video di ‘Delirium Trigger’, canzone presente su “LV-426”

È solo una mia impressione o “LV-426” presenta dei tratti più cupi nelle vostre composizioni? È una naturale evoluzione o è un aspetto uscito a seguito delle esperienze vissute durante la pandemia?

Enrico Schettino – Sicuramente è stato qualcosa di voluto. Ripeto: un EP ti mette meno peso sulle spalle. Non dico che ci è venuto il braccetto con “Simulacrum”, però “Simulacrum” ha una produzione estremamente potente, che noi volevamo, per essere sicuri di partire con il piede giusto con la grande etichetta. Abbiamo preso “Adveniens” e l’abbiamo reso ancora più poderoso, mentre con “LV-426” abbiamo provato qualcosa di nuovo, cercando di prendere un po’ di distanza da quel muro ultra compresso che la nostra musica stava diventando, anche perché è quello che vedo attorno a me. Gli Hideous Divinity sono sempre stati una sorta di specchio della musica e alla fine abbiamo sempre rispecchiato ciò che ci circonda, perché prima di tutto siamo dei fan. Quando venne scritto “Cobra Verde”, ascoltavo soprattutto i Defeated Sanity, i Wormed… i Behemoth avevano appena compiuto la loro rivoluzione con “The Satanist”. “Adveniens” sublima ancora di più quello stato. Quando abbiamo scritto “LV-426” abbiamo iniziato a guardarci attorno e abbiamo visto che… anche il pubblico, da questi suoni ultra compressi, ultra triggerati prende un po’ le distanze. C’è del nuovo che avanza, e quel nuovo torna a essere un po’ più oscuro, ma anche organico. È qualcosa di più ampio respiro.

Enrico Di Lorenzo – Diciamo che con un EP ti puoi permettere alcuni esperimenti che, non importa che genere fai, ormai tutti si cagano sotto a fare. È un disco che suona più piano e con una room – la distanza tra colpi piano e colpi forte – maggiore. È un qualcosa che sulla carta vogliono tutti, ma che nessuno ha né la posizione né il coraggio di fare, perché hai paura che l’etichetta te lo rimandi indietro, perché te lo rimandano indietro i siti, le radio… Non dico nulla di nuovo se parlo della loudness war e al fatto che i dischi, ormai, suonino sempre più forte e sempre più schiacciati.

Enrico Schettino – Loudness war a cui abbiamo voluto partecipare, visto che menavamo più degli altri. Mi ricordo che con Saul, in studio, era un: «Il master deve essere più alto, senti questo quanto è alto».

Enrico Di Lorenzo – E avendo vinto questa infame battaglia, siamo tornati con “LV-426”. Ci siamo posti un limite di giorni, ci siamo posti un limite ristrettissimo di budget proprio per vedere cosa si riusciva a fare in una forma più grezza, più semplice, meno pulita e meno costruita. Siamo molto contenti del risultato ottenuto. Avremmo avuto le palle di farlo con un disco? Eh, ci vorrebbe tanta ipocrisia a rispondere con un sì, secco. Diciamo che un EP ti aiuta molto a provare esperimenti che altrimenti non avresti il coraggio di fare. E come risultato è uscito qualcosa di molto depressivo, che rende molto bene ciò di cui ti parlava Enrico poco fa e che, forse, per un’ora di disco sarebbe stato troppo. Se lo fai per venticinque minuti, però, è qualcosa che riesci a goderti. È il solco su cui ci muoveremo? Chi lo sa… è da vedere quando arriverà l’idea, il momento e cosa ci dirà la testa in quell’istante. Sicuramente qualche strascico lo lascerà. Vedremo.

Una domanda per Enrico Schettino: abbiamo imparato a conoscerti con gli Hour of Penance, il gruppo con cui ti sei imposto a livello internazionale. A seguito della tua uscita dalla band hai fondato gli Hideous Divinity e sei riuscito nel non facile compito di importi anche con questa nuova formazione. La domanda è: che soddisfazione ti dà tutto questo e qual è il segreto di Enrico Schettino?

Enrico Di Lorenzo – È arrivato Dave Grohl [risate, n.d.a.].

Enrico Schettino – Sono soddisfatto di quello che abbiamo realizzato con gli Hideous Divinity. Il tempo ce lo siamo preso, senza dubbio. Appartengo a una generazione più vecchia, gente che era abituata a fare uno o due demo, poi si parlava del disco. Questo sicuramente è stato soppiantato nel corso degli anni. Sia chiaro, però: non voglio dire che noi, che facciamo parte dei più anziani, sapevamo tutto e quelli di adesso non sanno niente. Sono contento di quello che abbiamo ottenuto: abbiamo scritto e rilasciato quattro dischi e un EP, siamo andati in tour negli Stati Uniti, in Europa, ma soprattutto ogni disco uscito a nome Hideous Divinity è stato l’evoluzione di quello venuto prima. Sai, e qui forse c’è anche un po’ di arroganza che parla, mi ha sempre dato molta paura l’idea di suonare sempre lo stesso disco. Poi ho la percezione che se guardi un oggetto ventiquattro ore al giorno, per una settimana, ne ricevi un’impressione diversa da chi lo guarda per pochi secondi, così magari ti fai anche dei film, delle cose che non esistono. Però c’è un’evoluzione in quello che abbiamo fatto: siamo contenti e io sono soddisfatto. Riguardo al segreto… realmente – e questa non è finta modestia – non saprei da dove cominciare. Io sono uno a cui piace parlare male, sopratutto degli altri, piuttosto che parlare bene di sé stesso. Non lo farò in questa sede. Alla fine, però, il segreto è un dato di fatto: ho provato varie volte a lasciare questa musica ma non ci sono mai riuscito. Torno sempre a questa musica. Ho lasciato gli Hour of Penance, sono andato a vivere in Norvegia e là sono nati i primi demo degli Hideous Divinity. Mi sarei aspettato di cambiare vita radicalmente, che a un certo punto questa cosa se ne sarebbe andata. E invece siamo qui, nel 2022, in questo backstage, sopra c’è un palco di un Open Air, a Udine, e tutte le azioni della mia vita mi hanno portato qui. Comincio a essere in pace con tutto questo e spero che lo siano anche quelli attorno a me. Questa musica ti sceglie. Poi, a un certo punto, c’è chi decide di lasciar perdere, chi ha la spina dorsale di riconoscere che quello che sta facendo non è più all’altezza e smette di farlo, che non ha più la stessa passione. Io acquisto significato solo quando scrivo questa musica e quando sto su un palco, a suonarla. E ancora ci chiamano per farlo. Di conseguenza sono, siamo dei privilegiati. È passione, ci vuole passione.

 

Enrico Schettino in azione sul palco

E adesso una domanda all’altro Enrico, Di Lorenzo: andrei a toccare la tua specializzazione, che è audiologia e foniatria. La mia domanda è: questa specializzazione ti ha dato qualche aiuto nella tua professione di cantante?

Enrico Di Lorenzo – Sì, non ci giro neanche attorno. Sì. Sì, e basta. Un percorso strano, il mio, perché nasco prima cantante. Sai, in famiglia ho un medico: mio padre è un medico di base, i tanto bistrattati medici di base, che invece si accollano tutta la sanità, soprattutto in questo periodaccio. Siccome suonavo e cantavo ‘ste cose immonde, quando a diciannove anni ho finito il liceo, ho ben pensato di iscrivermi a medicina. Mio padre è stato uno dei pochi a dirmi: «Ma che fai, lascia stare, ti rovini la vita», perché… neanche i miei si aspettavano la facessi! E sono stato anche bravo, l’ho fatta bene, e quando mi sono laureato – un bel medico da centodieci e lode – mi sono reso conto che non avevo smesso di suonare. Mi aspettavo, come Enrico, che con l’avanzare dell’età finisse quella che chiamano “la fase”. È finita la fase del vestiario, ma non la voglia di fare musica, così ho sempre continuato a suonare. In quel periodo, poi, fortunatamente ho scoperto l’esistenza di audiologia e foniatria. E la domanda che tutti si staranno facendo in questo momento, leggendo l’intervista – e che anche mio padre, medico, mi fece – è: «Che cazzo è audiologia e foniatria?». È un’ultra specializzazione di otorino laringoiatria, di neurologia, anche se in Italia è quasi completamente incanalata nel mondo ORL. Siamo la controparte funzionale degli otorini e la controparte comunicativa dei neurologi. Ci occupiamo della fisiologia e comunicazione umana, sia a livello di voce, che di udito. Quindi siamo degli otorini ultra specificati su voce e udito. E c’è una sottobranca, la foniatria artistica, che pratico io. Quindi, già più di dieci anni fa, ormai, quando ho avuto gli strumenti in mano per trovare la risposta a: «Come fai a cantare così, senza farti male?», ho iniziato a infilarmi dei tubi nel naso e in gola per vedere come effettivamente si facevano growl e scream. Analizzato me, ho acchiappato tutti gli amici miei, quelli che non si potevano portare alle feste dei colleghi di università, e li ho portati in facoltà. Ho infilato loro i tubi e ho iniziato a vedere come growlavano. In questo modo ho fatto la prima descrizione scientifica del growl e dello scream. Da lì sono passato a studiare le specifiche femminili, a utilizzare attrezzature sempre più particolari, dedicandomi allo studio della fisiologia del canto estremo e del canto sovraglottico in generale. Tutto questo mi ha aiutato tanto, perché ho avuto modo di studiare un’infinità di cantanti, nei loro aspetti positivi e in quelli negativi, ma soprattutto ho potuto fare la distinzione tra quegli approcci relativamente sani, da quelli, invece, che portano un danno all’apparato vocale. La fortuna del nostro genere, di un genere così giovane, è che si è strutturato sui cantanti sopravvissuti. Quando parliamo di growl e scream quali sono i nomi che ti vengono in mente? Glenn Benton, David Vincent, George Fisher… quei cantanti che hanno iniziato a cantare quando tutti gli aiutini digitali che ci sono adesso non c’erano: o cantavi bene o ti facevi male. Quelli che sono sopravvissuti sono quelli che cantavano bene, e che per noi sono diventati belli. Il nostro è ancora un genere dove se canti sano, canti anche bello, e questo è un grosso aiuto. Non ultimo, essendo il mio lavoro tutto incentrato sul canto, sui cantanti e via dicendo, quando i miei pazienti vedono che manco un mese, perché sono in tour in America, si galvanizzano. Non è come uno che va dall’urologo: se gli manca un mese l’urologo se ne trova un altro. Qui, invece, dicono: «Il mio foniatra addirittura è cantante. Canta cose incantabili, e le canta per un mese. Mio dio, deve essere bravissimo!». Io non dico niente per far capire loro che non è vero, che non sono bravissimo. Loro ci credono e continuano a venire. Ecco, la vita può essere bella, insomma [risate, n.d.a.].

Enrico Schettino – Quando siamo stati in tour con i Cannibal Corpse, nel 2016, George Fisher raccontava di come imparò a cantare. Diceva che aveva imparato a cantare perché il suo gruppo preferito erano i Death, e Chuck Swchuldiner era il suo mito. Non sapendo suonare, passava i pomeriggi nella soffitta di casa sua, faceva air guitar con un pezzo di legno in mano, e cantava. Lui si allenava a cantare, volendo imitare Chuck Schuldiner, senza usare le mani, in alcuna maniera… George Fisher rappresenta forse il massimo modello di quelli che, puramente con l’istinto e la passione, sono riusciti a creare la voce. Per quanto mi riguarda, poi, a puro titolo personale, la sua rimane la migliore voce in assoluto, nella storia.

Enrico Di Lorenzo – Ha fatto una grandissima ricerca personale. E pensa: io ho fatto qualcosa che tutto il mondo metal vorrebbe fare: ho manipolato il collo di Fisher mentre growlava… È un genio quell’uomo! Lui riesce a gonfiare i muscoli deputati al movimento della testa, senza agire sui muscoli relativi al movimento della laringe, su cui lui riesce a rimanere morbido. Questo è ciò che gli permette di avere quella voce gigantesca. Mette in pratica tutto quello che io predico.

Ma… Praticamente: il cantare bene e il cantare male, o meglio, il non farsi male… È proprio questo il segreto?

Enrico di Lorenzo – È uno dei segreti. Forse il più importante. Riuscire a distinguere quello che è il risultato finale da quello che effettivamente fai. Nei miei seminari spiego sempre che il cantante estremo è un po’ come un prestigiatore: nel cappello c’è sempre stato il coniglio, ma non te lo faccio vedere. Oppure: mi trafiggo con la spada, ma non mi sono realmente trafitto. A te, però, sembra sia così. Quando sul palco rotoli, grugnisci, fai tutto quel macello, in realtà lo potresti anche fare fermo, composto ma verrebbe meno lo spettacolo e verrebbe meno anche il gioco di prestigio. Chi conosce il mio lavoro sa quello che dico sempre: quello che vedi come sforzo fisico non è, e non deve corrispondere, a uno sforzo fisico. Però io te lo do lo stesso, perché fa parte della magia che mi stai chiedendo. Devo farti venire la paura che mi stia facendo male, altrimenti manca quel brividino. Non mi sto facendo male, però. Se mi facessi male non starei sul palco, tornerei a casa a studiare. E, forse questo è l’altro segreto, non andare in over playing ma giocare sempre qualche passettino indietro a quelle che sono le tue effettive capacità. Evitare l’approccio alla Holly e Banji, insomma: la laringe è una. Quando l’hai rotta, io te la riparo, però non ritorna come nuova. Meglio prevenire.

Come la vecchia pubblicità della Mentadent: prevenire è meglio che curare… [risate, n.d.a.]. E questo per quanto riguarda la voce, ma i musicisti hanno anche un altro problema, che si chiama acufene. Io sono un “fortunato” portatore di acufene. Esiste…

Enrico Di Lorenzo – [Estrae dalla tasca qualcosa, apre la mano ed esibisce un paio di tappi per le orecchie, n.d.a.] Questa, con l’approccio Mentadent, è importante: la prevenzione. L’acufene che cos’è: una serie di suoni, o meglio, di percezioni di suoni prodotti dall’orecchio interno, che avviene nel momento in cui la fila di cellule dell’udito di controllo non inibisce più la fila di cellule della percezione. Quindi, non essendo più inibita a sufficienza, la fila delle cellule della percezione manda un segnale di base, quasi continuo. Di solito, le zone dell’organo dell’udito più soggette al danno, acustico e metabolico, sono quelle delle frequenze acute. Questo è il motivo per cui tipicamente l’acufene è un fischio acuto. Cosa possiamo fare per prevenirlo? Ridurre l’impatto del suono, sia acuto, che nel tempo. Indossare quindi i tappi ai concerti, in discoteca, evitare di avere delle assunzioni di suono eccessivo. Questa, a volte, è una lotta contro i mulini a vento, in quanto è meno divertente. Le pressioni sonore a cui ci sottoponiamo quando suoniamo, quando cantiamo, quando andiamo a un concerto, però, di solito sono sopra ai livelli della soglia di sicurezza. Meglio quindi investire in un paio di tappi di qualità, che non ti vadano a rovinare l’equalizzazione del suono ma che vadano semplicemente ad abbassare il volume. Oppure, come fanno in alcuni paesi più intelligenti sotto questo punto di vista, costringere i locali ad abbassare i volumi. Ma perché i volumi sono sempre più alti? Perché ha anche una funzione di disinibizione: di solito ti senti un po’ più frastornato e questo per i locali si traduce in maggiori consumazioni al bar, motivo per cui i bpm in discoteca vanno sempre ad aumentare, così come i decibel. Ti donano quasi una sensazione di ebbrezza, insomma. Quando eravamo in tour con i Cannibal Corpse, loro si lamentavano che in Svizzera i volumi erano bassissimi. In Svizzera. Là hai un fonometro gigante attaccato al muro e la leggenda vuole che se passi la soglia parte direttamente la multa. Non so se questa cosa sia vera, ma io stavo in braccio a dio: suoni a basso volume! E fino a qui abbiamo parlato della prevenzione dell’acufene. Per la cura non ci sono grosse cose da fare, purtroppo. Per chiunque soffra di acufene, la prima cosa da fare è una visita audiologica, per escludere che ci siano altri problemi. Molti acufeni sono dovuti a danni acustici, ma ci sono acufeni dovuti a tumori, benigni o maligni, oppure disturbi metabolici, disturbi vascolari, tutte cose che vanno escluse. Escluso quello, ci sono vari approcci. L’approccio che forse funziona meglio è far in modo di sentire bene l’ambiente esterno, perché se i suoni che vengono da fuori sono a livello buono, riescono a mascherare il suono interno, prodotto dall’acufene. Quando l’udito esterno è buono ma l’acufene comunque lo senti, ci sono vari approcci terapeutici: con la colina, che è una sorta di neurotrasmettitore, oppure con i venotrofici per il microcircolo dell’orecchio, che in molti casi danno dei buoni risultati, in altri non ne danno nessuno. Tanto che una delle terapie dell’acufene è psicologica, ovvero scenderci a patti: accettare che senti il fischio lontano – per alcuni molto vicino, purtroppo – e smettere di pensarci. Qual è quello giusto? Sicuramente chi troverà la cura per l’acufene si beccherà il nobel per la medicina e, probabilmente, anche quello per la pace, perché nulla mi toglie dalla testa che alcuni politici esaltati, che sganciano bombe a destra e a manca, hanno semplicemente un bruttissimo acufene, e un’impotenza erettile [risate, n.d.a.].

Enrico Di Lorenzo

Ho apprezzato tantissimo! E ti ringrazio per i consigli. Ritornando agli Hideous Divinity: dopo le date estive – avete un bel agosto, pieno di festival – sarete protagonisti di un nuovo tour americano, questa volta con Batushka e Hate. Quante date farete? Ci sarà mai la possibilità di avere un tour simile in Europa?

Enrico Di Lorenzo – Mi pare duri poco meno di un mese, saranno circa venticinque date, insomma. Questo per noi è il quarto tour consecutivo in America, fa un po’ ridere se ci pensi: noi ci abbiamo provato in tutti i modi a fare un tour in Europa, ma il covid ha detto no. In questo periodo, anche dal punto di vista politico è più facile fare un tour negli Stati Uniti, piuttosto che in Europa. Negli Stati Uniti, sebbene vi siano tanti stati, c’è un governo centralizzato e in qualche modo è come se tu avessi a che fare con un solo stato, in termini di pandemia. Al di là dei problemi oggettivi… non mi fraintenda nessuno: non posso essere un negazionista, sono un dottore: il problema c’è, è serio, serissimo. La gestione del problema, però, diventa, a volte, essa stessa un problema, perché gli stati prendono delle decisioni non solo in base a quanto effettivamente e scientificamente sia valido, ma anche in base a cosa porta più voti. Per un americano organizzare un tour in Europa vuol dire vedersela con le norme di tutti gli stati in cui si troverà a passare. È un macello organizzativo. Negli Stati Uniti è più facile: te la vedi con le norme degli Stati Uniti e del Canada, per le date che farai in Canada. È di più facile organizzazione. Non ultimo, i visti americani: quelli lavorativi costano un occhio della testa. O vai a suonare come facevano i gruppi italiani dieci anni fa, che ci andavano con i visti turistici… ma sarebbe come andare a suonare sperando che nessuno si accorga che stai suonando – e allora che cazzo ci sei andato a fare, mi vien da dire –. Noi, invece, ci andiamo con la speranza che più gente possibile se ne accorga, e quindi ci andiamo con i visti lavorativi, che non dico quanto costano sennò mi prendono per un pallonaro [risate, n.d.a.]. Una volta che ce l’hai, insomma, lo spremi al massimo, per rientrare dei costi del visto. Abbiamo fatto un tour, e allora se ne fa un altro. Quello che ci apprestiamo a fare è davvero forte, è un bel pacchetto, particolare, e non vediamo l’ora di partire. Sarebbe bello vederlo in Europa, anche se vale quello che ho appena detto: organizzare un evento del genere, in Europa, ti espone a più problemi. Problemi che a volte le persone non considerano. Ti porto un esempio: quando i portali hanno diffuso la notizia che gli Aborted avevano annullato il tour, ho letto dei commenti che dicevano: «Ah, potevano aspettare un altro po’ e vedere come si sarebbe evoluta la situazione». Ma se chi va ai concerti sapesse quanto costa, di anticipo, fare un tour del genere, ci penserebbe due volte a dire una cosa simile. Mi spiego meglio: un tour che chiude con quindicimila euro di attivo vuol dire che, come spesa iniziale, ha dovuto sobbarcarsi un anticipo di cinquantamila euro. Poi: se ti va bene al posto di quindicimila chiudi con trentamila di attivo, ma i soldi, all’inizio, vanno messi. E se hai paura che una volta messo l’anticipo salti tutto… non è che ti ritornano i soldi, figuriamoci. Affitti un tourbus, se poi non fai il tour, non è che la compagnia ti dice: «Poverini, eccovi i soldi indietro». È un’imprenditoria ad altissimo rischio, che facciamo per quello che ti ha detto Enrico prima: siamo refrattari all’esperienza e continuiamo a fare questa assurdità! Noi, e tutti quelli che fanno questa vita. Poi, però, ti scontri con la realtà. Perciò: si farà in Europa? Io spero tanto di sì, lo vorrei tantissimo, perché è un bel pacchetto, un bel tour, e non vedo l’ora di tornare a suonare in Europa.

E quando arriverà il successore di “Simulacrum”? Avete già qualcosa in cantiere?

Enrico Schettino – Sì, lo sto sottoponendo a loro. Il gruppo è diventato una serie di individualità molto orgogliose della propria identità musicale, e lo dico con accezione positiva. Di conseguenza, ogni volta che mi ritrovo a far sentire loro delle demo, devono avere una qualità di un CD, altrimenti le prime impressioni ne sono già condizionate. Ho della musica pronta, ci dovrò lavorare presto. A livello di scrittura e arrangiamento sono una persona molto lenta. Lo so, può essere molto frustrante quando sei quello che aspetta che esca nuova musica, però ho fiducia. Nel senso che quello che uscirà dovrà essere per forza il meglio dei due mondi, di “Simulacrum” e “LV-426”, perché noi crediamo realmente nell’evoluzione. Crediamo che un disco debba essere portatore di quello che c’è di nuovo e di bello, che noi andiamo a cercare nella musica. Nel tour americano, ad esempio, siamo venuti a contatto con dei gruppi che hanno suonato con noi, a Dallas: io li ho definiti strabilianti. I Wake – canadesi – sono stati il gruppo di apertura. Hanno suonato davanti a poca gente, ma sai… hai presente quando sei al merch stand, ti stai facendo i cavoli tuoi, all’una e mezza del pomeriggio, e a un certo punto tutti si fermano e dicono: «Ma questo gruppo… Aspetta un attimo».

Enrico Di Lorenzo – [Si rivolge a Enrico Schettino, n.d.a.] Hai visto in classifica billboard come si sono subito piazzati?

Enrico Schettino – Sono usciti per Metalblade.

Enrico Di Lorenzo – Ragazzi, andatevi ad ascoltare i Wake!

Non possiamo che riportare questo consiglio ai lettori di Truemetal.it, allora!

Enrico Schettino – Parliamo di quella nuova wave di musica estrema, che vuole essere atmosferica, senza essere gratuita, senza cercare quei suoni compressi a ogni costo, musica che ti vuole fare un po’ viaggiare. Io sono un grande fan dei Mgla polacchi, perché loro, in un’epoca dove tutto è rivelato, è social, dove bisogna farsi voler bene a ogni costo, sono riusciti a creare una sorta di società segreta, hanno comunicato ai loro fan, che essere un loro fan, voleva dire far parte di qualcosa di segreto, di oscuro, di minaccioso, che altri non avevano. E hanno trionfato. Con della musica grandissima, poi, e con questa… che per me è fondamentale, come nei film, un gruppo dentro al quale non tutto ti viene spiegato, ma c’è questa aura nera che in qualche modo permea su tutto. È questo quello che mi fa scattare, che cerco nella musica, e che a mia volta cerco di integrare in quello che scrivo, anche se poi non so se ci riesco, o meno. Ovviamente non posso mettermi di punto in bianco a fare quel tipo di musica, perché sarebbe una cosa un po’ sfacciata. La difficoltà sta nel ricreare questi elementi nella musica degli Hideous Divinity. Quando uscì “Simulacrum”, una fanzine tedesca riscontrò degli echi dei Sulphur Aeon. I Sulphur Aeon sono una band che adoro, che ho ascoltato tantissimo. Ero contentissimo che alcune cose di “Simulacrum” ricordassero certe sonorità. Poi, tra noi e i Sulphur Aeon ci sono mille differenze e questa è esattamente la gestazione infinita di questi nuovi pezzi. Dobbiamo darci da fare, però, un gruppo come il nostro deve essere in grado di rilasciare musica di qualità senza dovere attendere un’olimpiade tra un disco e l’altro. Però dev’essere fatto bene. Se uscirà uno schifo lo cestineremo. Loro mi ammazzeranno di botte… [risate, n.d.a.]

Enrico Di Lorenzo – Mi soffermerei sul fatto che ha usato l’unità di tempo di “olimpiade”, che è quasi un lustro, ma non lo è del tutto.

Enrico Schettino – Non potevo mettere i mondiali di calcio. Tolto me e il bassista, nessuno tra noi segue il calcio.

Enrico Di Lorenzo – No, no, mi piace. Un anno, un’olimpiade, un lustro…

Enrico Schettino – Poi magari c’è anche l’olimpiade rinviata per covid… [risate, n.d.a.]

Io provo ad anticipare i tempi… Avete sempre avuto delle tematiche molto interessanti nei vostri dischi. Prima, ad esempio, abbiamo parlato di “LV-426” ed è stato chiarissimo questo concetto, così come la cura che mettete nei testi. Per il nuovo album avete già qualcosa in mente? O prima ultimate la musica e poi vi concentrate sui testi?

Enrico Schettino – Abbiamo già qualcosa in mente. Ne abbiamo parlato non molto tempo fa. Posso solo dirti che abbiamo scartato un’idea, però ci siamo trovati quasi subito d’accordo su un’altra, che lascia spazio a mille sub-narrative. E quando si parla di film, mi piace includere come degli easter eggs, dei contenuti legati alla colonna sonora di quella pellicola. Se parlo di un film che mi ha colpito, che è uno dei miei preferiti, è molto difficile che non abbia una colonna sonora che mi abbia fatto vibrare qualcosa dentro. Perciò è bene che vi sia una commistione di queste due cose, a livello di tematiche e di musica: questo è il concept. Oggi tutti fanno dei concept, ma il concept non è solo scrivere dodici testi di dodici canzoni che parlano della stessa cosa. Il concept… adesso non dico cose strampalate, non parlo di opera rock e quindi, di conseguenza, gli Hideous Divinity fanno l’opera metal… no: ci sono concept estremamente brillanti perché presentano dei temi portanti che si ripetono nell’intera durata del disco, in maniera non ovvia. Quella è una bella sfida. Mi piacerebbe fare una cosa del genere, mantenendo un tema portante, che però allo stesso tempo non faccia storcere il naso a un certo pubblico, perché non tutti appartengono al mondo di spotify, dei singoli, di youtube, non tutti ascolteranno il disco in quella maniera. Mi piace pensare che sia così, e il pubblico metal, rispetto ad altre audience, mantiene di più questo tipo di approccio, che può essere definito cento per cento disco. Però, cavolo, è una bella sfida. Su “LV-426” ci sono un sacco di easter eggs. Temevo mi avrebbero portato solo guai, ma alla fine è stata una cosa più subdola, e ha funzionato. Potrei spiegarteli, ma non lo farò [risate, n.d.a.].

Ragazzi, siamo arrivati alla fine di quest’intervista. Vi ringrazio per il tempo che ci avete dedicato e lascio a voi le ultime parole, per un saluto ai nostri lettori.

Enrico Schettino – Grazie per leggere le interviste. Nelle interviste ci stanno anche un sacco di cavoli nostri. Vorrei ringraziare chi le legge perché in qualche modo è interessato a un qualcosa che va oltre alla musica e ai testi, che è già tantissimo. Noi siamo un gruppo tra milioni di altre band e cerchiamo di portare avanti le nostre idee, di generare musica di qualità. Agiamo in questo modo perché non vediamo un’alternativa. Nessuno di noi farebbe questa cosa senza credere realmente di voler fare qualcosa di positivo. E se un’intervista ci fa conoscere un pochino meglio, tra i nostri discorsi un po’ strampalati, le nostre documentazioni umorali, siamo contenti. Speriamo di darvi presto un nuovo disco, sperando che possa creare sempre più scompiglio a chi ci dà dei venduti, a chi dirà che la batteria è troppo finta e via dicendo. Però ci sarà un prossimo disco e vi aspettiamo lì: scaricatelo, rubatelo, basta che vi piaccia.

Enrico Di Lorenzo – Io voglio solamente dire all’università del death metal che siamo davanti a un tavolo pieno di frutta fresca, lì c’è del cùscus, quindi ormai non c’è speranza [risate, n.d.a.].

 

Marco Donè