Intervista If I Die Today (Marco)
Oggi incontriamo Marco, frontman dei torinesi If I Die Today, una delle band più longeve sul territorio italiano, giunti al loro quarto album in studio e con un’evoluzione stilistica che pochi nel nostro panorama musicale possono vantare di avere.
Intervista a cura di Jennifer “Jenny” Carminati
Domande iniziali di rito: come mai vi chiamate If I Die Today? Come e quando vi siete conosciuti e avete deciso di fondare questa band?
L’idea che sta alle spalle del nome della nostra band è una sorta di “vivi ogni giorno come se fosse l’ultimo”, come se morissi oggi. Il nome nasconde proprio lo spirito della band che è cambiata, evoluta, modificata, ha rischiato di sciogliersi più volte, ma alla fine è sopravvissuta.
Io, che sono rimasto l’unico membro della formazione originaria degli IIDT, Morgan e Andrea, rispettivamente voce, chitarra e basso, ci conosciamo sin dai tempi del liceo e siamo tutti e tre originari della provincia di Cuneo. Marco (batteria) è invece nella Band da circa due anni e mezzo, è torinese puro e conosceva Andrea in quanto suonavano insieme in una band metalcore chiamata Indignity.
Personalmente, vi conosco sin dagli esordi e mi ha piacevolmente stupito la vostra evoluzione sia musicale che come band, che ha mantenuto radici ben salde nel post-hardcore, ma rivedendolo in maniera del tutto personale pescando anche da sonorità prettamente metal.
Come definireste il vostro sound oggi ad un lettore di TrueMetal.it, che magari non vi conosce ancora?
Caspita, domanda difficilissima. Non saprei dirti. Noi, solitamente, ci definiamo come post hardcore, ma quello che facciamo prende spunto dal punk, dal metal e dall’hardcore. In realtà non ci piacciono molto le definizioni, tant’è che nelle nostre pagine social non abbiamo scritto un genere, ma una frase che ci identifica: “siamo solamente 4 amici che cercano di suonare il più forte possibile”.
Quali sono le band che vi hanno ispirato maggiormente nella vostra crescita e dimmi un po’ di più sulla produzione del vostro quarto album The Abyss in Silence uscito lo scorso anno.
Ce ne sono un bel po’, dagli onnipresenti Converge, agli Everytime i Die degli ultimi dischi, ai Dillinger Escape Plan, ai Cursed … io, ad esempio, in quel periodo ascoltavo un sacco di Black Metal.
Ho letto molti testi delle vostre canzoni e ho trovato, correggimi se sbaglio, un forte senso di intolleranza generale, verso tutto e tutti. C’è molta rabbia, violenza, disprezzo verso una qualsivoglia religione, molto disagio interiore nelle vostre parole. Vuoi spiegarci meglio cosa vi spinge a scrivere in questo senso?
In verità sia Cursed che The Abyss In Silence sono due concept album. Il primo riprende alcuni personaggi “maledetti” della letteratura o della storia e li fa parlare, parlare dalla loro parte. In mezzo c’è anche Gesù, visto proprio come agnello sacrificale di tutto il teatrino religioso così come Lucifero che giustifica il suo ruolo di alter ego negativo, ma come portatore di luce e verità, positivo. Ma c’è anche Elysabeth Bathory, Faustus, Vincent Price ecc ecc.
The Abyss In Silence è un concept basato sulle 5 fasi della perdita. I testi li ho scritti nel periodo immediatamente dopo la morte di mio padre e immediatamente prima della morte di mia madre.
Come vedi non abbiamo argomenti che parlano direttamente di violenza o intolleranza, ma sono argomenti che portano alla violenza e all’intolleranza e ne parliamo, più che con rabbia, con trasposizione. Quando trasponiamo dal vivo siamo completamente dentro i nostri pezzi e agiamo di conseguenza. E’ come se fossimo in una sorta di trance, in cui tutto sparisce e ci sono solo i pezzi che dobbiamo suonare e le emozioni che dobbiamo trasferire a chi è li sotto il palco.
Vi ho visto di recente come opener agli Helmet e mi siete piaciuti tantissimo. Avete un’energia e attitudine invidiabile per molti. Quanto è importante per voi la dimensione live in cui siete decisamente a vostro agio e ben rappresentate la vostra attitudine?
Il live è tutto. Noi scriviamo dischi e canzoni solamente per poi portarli live. Non siamo una di quelle “band da studio” che registrano quintali di dischi per poi non suonare quasi mai. La dimensione live è la nostra dimensione preferita.
Negli anni avete fatto centinaia di concerti e condiviso i palchi con moltissime band; c’è una data che ricordate con maggior piacere e se sì, come mai.
Negli anni ci sarebbero un sacco di aneddoti, ma uno di quelli che più ci portiamo dentro con orgoglio è nella data con i Dillinger Escape Plan dove, a fine della nostra performance, Ben Weinman venne a dirci che spaccavamo i culi. Un’altra data che rimarrà sempre nei nostri cuori, oltre al Venezia Hardcore di quest’anno o La Festa di Radio Onda D’Urto, sarà sempre l’Infest dell’anno scorso al Magnolia.
Riconducendomi alla domanda precedente, come riuscite a coniugare un’intensa attività live con la vostra vita personale? Immagino avrete tutti dei lavori, una famiglia. Ti va di parlarcene un po’?
La risposta si riassume in due parole fondamentali: sacrificio e bestemmie. Si, abbiamo tutti una vita, dei lavori al di fuori dell’ambiente musicale. Ma ogni volta che ci mettiamo sulla strada dopo aver caricato il furgone, svuotando la sala prove, stanchi dopo la settimana lavorativa, siamo felici. Di passare del tempo tra amici, di conoscere persone nuove, di ascoltare nuove band, di supportare altre band, di suonare, di abbracciare persone. Alla fine è tutta una questione di condivisione e di supporto. E noi non possiamo che esserne più felici.
Come vedete il futuro dei If I Die Today: avete già scritto nuovo materiale o vi state concentrando ancora sulla promozione del vostro ultimo album in studio di cui ci avete parlato pocanzi.
Stiamo scrivendo nuovi pezzi che vorremo registrare nel 2024, ci sono già un po’ di date in festival per il prossimo anno che non vediamo l’ora di fare, vorremo espandere il nostro percorso di nuovo un po’ all’estero. Vedremo cosa ci porterà il futuro.
Come considerate la scena metal underground italiana e come vi rapportate con gli altri gruppi tricolore.
La scena metal/hardcore è cambiata. Finalmente c’è stato un ricambio generazionale di gente che suona, condivide, supporta veramente. Ogni posto in cui vai c’è un collettivo, un gruppo di persone, amici che organizzano concerti, che supportano. Sicuramente molto di questo cambiamento lo dobbiamo ai ragazzi del Venezia Hardcore che hanno illuminato la strada a un bel po’ di persone. Noi ci sentiamo, finalmente, dentro una “Scena” composta da gente che non ha invidia o stronzate da machi tipo “ io spacco di più” e/o “ trattami con rispetto perché io sono pinco pallino”. Oggi siamo tutti sulla stessa barca a cercare di tenere su qualcosa che quegli atteggiamenti avevano distrutto. Se penso a realtà come Cagliari Harcore, Till Death di Roma, Motorcity Produzioni e Another Wasted Night qui a Torino, I ragazzi dell’Interzone di Reggio Calabria o i ragazzi delle case occupate di Taranto (tra cui il mito assoluto Gigio dei Sud Disorder) e potrei citartene altri. Il periodo post covid ha risvegliato uno spirito di aggregazione che prima un po’ era andato a perdersi. Spero solo che questa condizioni perduri.
Se hai qualcosa da aggiungere prima di concludere questa intervista, questo è il momento giusto, a voi la parola.
Amici, andate ai concerti, comprate il merch delle band indipendenti, supportate, muovetevi, divertitevi.
Grazie TrueMetal, grazie Jenny per l’opportunità e lo spazio.