Intervista Kiss (1987)
Intervista da parte di Piergiorgio “PG” Brunelli ai Kiss nella persona di Gene Simmons, tratta dalla rivista H/M numero 28, anno 1987, quando in ogni casa americana c’era già un videoregistratore…
Buona lettura.
Steven Rich
Gli anni passano ma i Kiss no. Mentre esce il nuovo album ascoltiamo Gene Simmons, il leggendario leader della band, raggiunto da H/M in terra d’Albione per un incontro esclusivo.
Londra – Avevano promesso una visita promozionale in estate e l’hanno fatto. Dopo 15 anni di carriera desta ancora sorpresa come possano Gene e Paul essere così disponibili a venire nel vecchio continente a promuovere un loro prodotto discografico. Quello dei Kiss è ormai un network organizzatissimo che coordina impeccabilmente le molteplici attività della band. Lo stile di vita di Gene Simmons, in particolare contiene tutti i crismi del business serio e redditizio, dove nulla si fa per nulla ed il guadagno è l’obiettivo finale. I Kiss sono sempre stati una delle macchine da soldi più efficienti degli States nell’ambito rock, usufruendo di un navigato senso degli affari che li porta ad esplorare sempre spazi fertili che rinvigoriscono il flusso normale anche nei momenti di magra. L’immagine che i Kiss vestivano fino a 5 anni fa scatenava la fantasia del fan che sentiva la necessità, soprattutto se di giovane età, di acquistare tutto quello che racchiudesse i volti dipinti di uno o tutti i membri della band. Nacquero così i gadgets, i giocattoli, i fumetti a loro ispirati.
Da lì, probabilmente ebbe inizio l’idea di estendersi nell’ambito cinematografico (Phantom of the park) ed una impostazione produttiva all’interno del management che è rimasta anche dopo il cambio d’immagine e di pubblico. I Kiss sono venuti a Londra per fare interviste, ma, soprattutto per divertirsi. Il business era nella promozione dell’album e nell’incontro con i rappresentanti della Polygram, il divertimento era invece la vista e la partecipazione al festival di Donington (come ospiti finali di Bon Jovi) e la ricerca scientifica effettuata su alcuni esemplari di ragazze locali con cui Paul ha speso tutto il tempo dedicato all’intervista da Gene. Non potendo interferire in questioni di scienza così importanti (anatomia comparata???) abbiamo cercato di scoprire cosa si cela all’interno del ventunesimo album dei Kiss.
Candy Rock
Gene Simmons — Spero che sia il migliore, credo che lo sia. C’è voluto più tempo a scriverlo perché abbiamo scritto molto. Su 50 canzoni composte, 12 sono state incise ed 11 utilizzate. “Are You Always This Hot” non l’abbiamo inclusa nell’album. Non è stata neanche finita, forse non era adatta, non lo so. II tempo impiegato è stato dovuto alla quantità del materiale, non a lungaggini nostre. Noi scriviamo in fretta, ma volevamo anche aspettare Ron Nevison alla produzione, perché volevamo lavorare con lui. C’è voluto un po’ a mettere a mettere insieme i pezzi, ma i risultati sono di mio gradimento.
Gene Simmons
Hai mai pensato di produrre un album dei Kiss?
G.S. — E’ un’idea interessante, ma mi turba il fatto di non avere una prospettiva di visuale giusta. La cosa più difficile da fare è mettere in pratica quello che si predica. Intendo: è più chiara la vista a chi ti guarda piuttosto che quando si guarda a sé stessi. Ci sono troppe interferenze che ti condizionano e se guardi troppo da vicino in uno specchio la tua visuale è molto limitata. La prospettiva è importante e non credo che riuscirei ad averla se lavorassi su un nostro album. Con le altre bands è facile per me.
Come scegli queste bands?
G.S. — Sono loro che mi avvicinano.
Cosa ottieni?
G.S. — Soddisfazione, creatività. Si fa qualcosa per ottenere un risultato, come una persona che vuole scalare una montagna per arrivare in cima, si cerca di arrivare ad un traguardo.
Paul Stanley sta registrando un altro solo album…
G.S. — Anch’io, nel tempo dovuto, cioè il prossimo anno.
Con tutti gli impegni troverai il tempo?
G.S. — Si trova il tempo per fare tutto, è una questione di pianificazione. Se non hai mogli, cani, case di cui occuparti e puoi distribuire il lavoro. In questo hotel posso mangiare, ma non devo sparecchiare e pulire i piatti, così posso usare il tempo in un altro modo. Quando, ad esempio, produco un album, ho un ingegnere che mixa i suoni, così quando entro nello studio mi posso concentrare sulla produzione e non devo sedere a mixare per due settimane. Quando non siamo in tournée o in studio, scriviamo canzoni, ma non si può scrivere per 24 ore. È allora che produco e faccio altre cose.
Si punta molto sul tuo ruolo di attore, dicendo che ti stai allontanando dalla musica.
G.S. — La maggioranza della gente ha sogni piccoli, io mi rifiuto di vivere secondo le loro limitazioni. La maggior parte della gente non riesce neanche ad immaginare di avere una carriera artistica. Se vivessi come loro non sarei mai arrivato fino a qui. lo voglio raggiungere di più e metto su la mia casa discografica e lo sto facendo. Per altra gente è inconcepibile, ma va bene così perché lasceranno stare i miei sogni. Non mi interessa che capiscano: quando devi andare via da casa non importa che i tuoi genitori ti capiscano o meno, perché è tempo di andare. Tutto si evolve attorno ai Kiss, ma i Kiss non sono la sola cosa, ci sono donne, libri, buon cibo, films, cose creative. Mi piacerebbe imparare un paio di lingue, mi piacerebbe dipingere, scrivere una sceneggiatura. Perché non si deve cercare di fare più cose possibili, prima che ti mettano sotto terra? Che noia essere conosciuti solo per aver fatto il miglior pop corn del mondo, bisogna saper fare anche altre cose. Non mi interessa quello che pensa la gente. Di notte vai a letto con te stesso, non con gli altri, a meno che non sia una bella ragazza. L’ultimo pensiero prima di addormentarmi è se la giornata è stata positiva. Non riesco a pensare a null’altro di peggiore di non essere soddisfatti di se stessi.
Che cosa sono i Kiss?
G.S. — Un candito per le orecchie. Ha un buon sapore. E divertente per la gente e se ti mette un sorriso sulle labbra e ti fa dimenticare il traffico della strada od il litigio con la ragazza, allora è qualcosa di positivo.
La casa discografica rappresenta il lato serio della tua carriera?
G.S. – Tutto quello che faccio per divertimento è anche affari, perché altrimenti sarebbe una perdita di denaro. La casa discografica è un modo per restituire qualcosa di quello che ho. Qualcuno una volta mi ha dato la possibilità di registrare un album ed io voglio dare indietro quella opportunità ad alcune nuove bands.
I King Kobra non sono una band nuova.
G.S. — La maggioranza dei membri lo sono. Non ci sono regole per la scelta della band, basta che mi piaccia. È che il futuro del rock’n’roll sono le nuove bands. È da lì che arriveranno le nuove stars ed è di quello che la gente vorrà parlare. Anche se cerco gente con dell’esperienza, firmo contratti con bands giovani: i giovani sono affamati di successo. La maggioranza delle bands che registrano non vanno oltre il primo album (Quiet Riot, Peter Frampton), morendo quasi subito. I campioni sono quelli che corrono la lunga distanza, non sono i più veloci, non provano ad esserlo, ma continuano sulla strada. Quello che vince la corsa è colui che non rinuncia mai. Il KO arriva per i campioni di questo tipo al decimo round, non al primo.
Voi siete al quindicesimo.
G.S. — Sì, e siamo ancora qui. Ci sono stati altri gruppi, i Quiet Riot hanno venduto 5 milioni di copie del primo album e poi arrivederci. Hanno un nuovo album in arrivo: buona fortuna. lo non voglio essere una stella cadente. Quello che mi piace è andare per i tempi lunghi e studiati, è molto più eccitante.
Hai mai pensato che non ce l’avreste fatta?
G.S. — No, ero sicuro. Devi essere convinto di te stesso. Anche quando le vendite dei dischi erano basse all’inizio degli anni ottanta, suonavamo in certi paesi davanti a stadi pieni (Brasile).
In quel periodo uscì un album: “Unmasked”…
G.S. — Oh, lo odiavo. … che mi diede l’impressione di un tentativo di togliersi il trucco per paura di aggravare la crisi di vendite.
G.S. — No, lo abbiamo semplicemente chiamato così perché la storia conduttrice parlava di un tale che cercava sempre di beccarci senza trucco, cosa che tutti un po’ cercavano di fare.
Tornando all’album, vi siete avvolsi dell’aiuto di Desmond Child. Quali ingredienti ha aggiunto alla ricetta originale?
G.S. — Desmond Child ha quello che farebbe uno chef. È un collaboratore, è come se sapesse usare le spezie giuste per rendere i tutto più saporito nel giusto modo. Dà al cibo, o in questo caso al disco, il gusto fresco che necessita. Non voglio che a noi accada quello che accadde agli Who o agli Stones, quando a fine carriera (non siamo a fine carriera noi) il materiale aveva un suono stanco, perché per me non hanno usufruito di collaboratori esterni. Non c’erano più canzoni importanti. È difficile, perché più il tempo passa, più è dura non ripetersi e scrivere belle canzoni. Quando sei abituato a suonare in un certo modo, è difficile cambiare. È facile copiare se stessi, ed un collaboratore evita che ciò accada.
Mi chiedo se sarebbe successo senza di lui e quale impulso possono dare i contatti con le bands che Gene ha prodotto.
G.S. — Quando incontri altre persone ed altre idee sei sempre influenzato, anche solo guardando. Nei confini di chitarra, basso e batteria, suonando heavy c’è un limite alla creatività. Per questo è difficile. Il gruppo che mi ha dato di più sono stati gli E.Z.O. che sono freschi, nuovi, non cercano di essere Van Halen, o AC/DC, o Judas Priest. lo sento qualche pezzettino qua e là, ma sono freschi, soprattutto gli assoli.
II vostro video “Exposed” mi sembrava avesse l’intenzione di colmare un gap di tempo in cui non c’erano uscite discografiche in vista. Il buco è stato colmato negli States ma non in Europa. Come mai?
G.S. — Era fatto per tenere contenti i fans ed ha venduto oltre un milione di copie. Sono certo che sia stato un errore non farlo uscire ancora in Europa, ma non si possono controllare cose come la distribuzione di un video. Noi abbiamo controllato tutto quello che entra in un prodotto Kiss ma, a meno che non si possieda la catena distributrice, è impossibile controllarla. È la stessa cosa con i films che escono in Europa molto tempo dopo, forse in Europa i video non sono tanto popolari quanto in USA. Oggi ogni casa americana ha un video registratore, in Europa non siete ancora arrivati a tanto.
“Exposed”era piuttosto divertente. Era una parodia di voi stessi?
G.S. — Si, di tutto. La Polygram Videos voleva fare una semplice compilation di videos. Ci siamo opposti perché la trovavo un’idea noiosa e li abbiamo costretti a giocare un po’ con la telecamera. Ci sono state alcune idee iniziali, come quella della mia stanza con le ragazze appese al muro, mentre il resto era improvvisato.
C’era molto materiale d’annata in fatto di filmati live.
G.S. – Si, tante ragazze che hanno perso i loro vestiti e non so cos’è successo. Forse li abbiamo tolti noi, faceva così caldo. C’era una ragazza con due tette stupende ed ha perso il costume un paio di volte e non da sola.
No Reunion
Si è sentito parlare nel campo di Ace Frehley, della possibilità di un concerto di riunione della formazione originale con tanto di make-up.
G.S. — Non mi interessa, l’unico a trarne vantaggio sarebbe lui e poi quello è passato e non intendo rinvangarlo. Ne sono orgoglioso, ma l’abbiamo già fatto. È come un trucco di magia, dopo un po’ diventa noioso. Non voglio fare uno show di vecchie canzoni.
Potessi invertire le situazioni, credi che il make-up funzionerebbe oggi?
G.S. — No, non credo. Non so cosa farebbe una band fresca con il make-up addosso. Erano tempi diversi. Ci siamo tolti il make-up con la stessa naturalezza con cui l’avevamo messo. Senza grossi annunci e problemi. Funziona se è una cosa vera. Ognuno ha la sua opinione a riguardo. Lo togliemmo dopo aver suonato il più grosso concerto della nostra carriera in Brasile a Rio. Quattro volte lo stadio di Wembley. Dopo quello show sapevamo che era giunto il tempo di cambiare e che doveva uscire una nuova farfalla dal bozzolo. Per sopravvivere bisogna cambiare, è una legge di natura.
Credi che chi è stato nei Kiss abbia sentito lo magia della band di cui parla Paul in “Exposed”?
G.S. — Si, ecco perché Ace parla di riunione. Pur essendo nella band mi rendo conto quando esco a lavorare con altra gente, il significato che i Kiss hanno: sono più di una semplice rock’n’roll band. Quando entro nella stanza di un fan Kiss è come entrare in un tempio. Per lui sono qualcosa in cui credere che lo fa andare avanti. Quando poi lavoro con altri gruppi, sento spesso gente dire che se non fosse per i Kiss non sarebbero nei rock. Anche Andy Taylor ha detto che deve tutto a noi e che ci aveva visto nel 1975 e da allora aveva deciso di entrare in una band. Gli ho chiesto perché i Duran Duran e lui mi ha detto che gli ci è voluto un po’ di tempo per vederci chiaro.
Sul fronte del cinema quali sono i tuoi progetti?
G.S. — “Wanted Dead Or Alive” non è ancora uscito in Europa, ma è nei cinema americani da tempo. Redgar Howard (“Blade Runner”, “Hitch Hiker”, “Lady Hawk”) fa la parte del poliziotto, mentre io sono un terrorista arabo con tanti soldi e tante donne.
Ti piace fare la parte del cattivo?
G.S. — Si, ma ora voglio fare parti buone. Non so perché sono sempre il cattivo, ma ci vuole quello che fa le parti sporche. Sono nato cattivo, credo. C’è un altro film, “Never Too Young To Die”. In “Trick Or Treat”, un film che non mi è piaciuto, inizialmente dovevo fare la parte del rocker, poi ho preferito il dj perché lancia un messaggio molto importante. La frase che dice il mio personaggio “Il rock è musica e non va presa troppo seriamente”, è la ragione per cui scelsi il film.
Ad un certo punto della vostra carriera suonavate per soggetti di dieci anni . Come mai?
G.S. — Successe per caso. Noi eravamo una band normale (o quasi, ndr) con un’audience tra i 18 e i 25 anni, poi i giocattoli, i souvenirs, i flippers con noi sopra, hanno abbassato l’età drasticamente. Loro avevano degli eroi, non dei musicisti. Un nostro concerto per loro era come se il circo venisse in città e questo allontanò i vecchi fans. Alcuni pensavano che si trattasse di una band per ragazzini e se ne andarono per un po’. Ora sono tornati. Noi non facemmo nulla per cambiare direzione. Rimanemmo noi stessi. Se noi eravamo il primo gruppo sentito da orecchie vergini, era buono perché dopo di allora si sarebbero solo aspettati il meglio, perché noi eravamo il meglio nel nostro genere. Era divertente e chiunque va allo show lo fa per divertirsi. Questo è ciò che conta, l’età non importa. Dai 10 ai 50 anni mi vanno tutti bene, anche se preferisco le donne.
Piergiorgio “PG” Brunelli
Articolo a cura di Stefano “Steven Rich” Ricetti