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Intervista Lacuna Coil (Cristina Scabbia, Andrea Ferro)

Di Davide Sciaky - 10 Febbraio 2025 - 11:30
Intervista Lacuna Coil (Cristina Scabbia, Andrea Ferro)

In occasione dell’imminente uscita di “Sleepless Empire“, decimo album dei Lacuna Coil in uscita questo venerdì 14 febbraio, siamo stati ospitati qualche giorno fa negli uffici della Sony Music per incontrare i cantanti della band, Cristina Scabbia e Andrea Ferro. Con noi i colleghi di Metal Hammer, SpazioRock, Loudd, Metallus e Loud And Proud!, con i quali abbiamo partecipato ad una “tavola rotonda” per parlare del nuovo disco e non solo. Di seguito trovate quindi l’intera conversazione con tutte le domande poste da noi e dagli altri partecipanti al confronto.

Domande per TrueMetal a cura di Davide Sciaky

Allora, ho ascoltato un po’ questo disco negli scorsi giorni e la prima cosa che mi è saltata all’orecchio è che ci sono tante intro molto atmosferiche che personalmente non mi aspettavo. Come mai questa scelta? È stata una cosa organica nello sviluppo di ogni canzone? È stato qualcosa che cercavate specificamente?

[Cristina Scabbia] Non è che abbiamo cercato nulla. Di solito quando componiamo tendiamo a raccogliere tutte le idee da una parte e dall’altra, perché solitamente Marco, il nostro bassista, si occupa della musica e noi ci occupiamo invece delle linee vocali e poi dei testi. E poi mettiamo insieme tutte le idee nel calderone e selezioniamo quello che ci piace, quello che non ci piace e quello che può suonare bene nell’insieme, anche per rendere una dinamicità così del disco. Gli intro lunghi secondo noi sono molto cinematografici, che è una cosa che ci piace fare mentre scriviamo. Ci piace pensare a un disco, perché noi pensiamo al disco, non alle canzoni singole. Adesso va questa cosa di rilasciare i singoli separati tra di loro. Ci piace l’idea di un disco unico. E secondo noi un intro lungo ti trascina all’interno di una canzone in maniera diversa. Non è una cosa voluta, però è accaduto così. Non tutte le canzoni poi hanno…

[Andrea Ferro] No, non tutte, però forse anche inconsciamente. Il primo pezzo a cui abbiamo lavorato anche prima di andare a registrare il disco era stato “Never Dawn”, perché era stata usata per il gioco Zombicide: White Death. Allora serviva, mi ricordo, anche un intro più lungo per quel pezzo, perché doveva essere usato per dei trailer e cose così. Marco ha provato a farlo più stile cinematografico, come i trailer dei film. All’inizio abbiamo detto, “Magari dovremmo fare due versioni, una con l’intro e una senza, o con un intro più breve, più diretta”. Invece poi abbiamo detto, “Ma no, al fine proviamo a metterla così”. E invece è piaciuto proprio perché era un intro lungo, che è una cosa anomala, perché ormai invece si tende a tagliare tutto quello che una volta era lo standard. È piaciuta, quindi alla fine magari anche inconsciamente ne abbiamo messi senza preoccuparci se poi fossero una cosa che era un po’ vecchio stile o cosa, perché alla fine abbiamo pensato più a fare il disco come veniva. Quello che stava bene nel disco l’abbiamo messo, perché se stai troppo a pensare poi la formula ormai non esiste neanche più, no? Cioè anche una volta il singolo doveva avere il ritornello che arriva prima di… dopo un minuto. Ma alla fine nel metal chi se ne frega, cioè…

[CS] Anzi, una volta le canzoni erano molto più lunghe… E abbiamo cominciato a stupirci quando le canzoni si sono accorciate, perché magari alcuni pezzi erano forse troppo lunghi, è meglio arrivare subito alla strofa. Ogni tanto è bello anche invertire l’ordine.

Io vorrei andare un po’ più sul concept: parlate in particolare del rapporto tra uomo e tecnologia di base, e penso che sia un tema assolutamente attuale, anche vedendo cosa sta succedendo negli Stati Uniti, questa corsa verso quasi un post-umanesimo di queste idee folli di Musk che vuole creare un’umanità che sia un ibrido tra tecnologia e uomo, quindi sono tematiche veramente molto presenti nella società attuale. Quindi vorrei sapere un po’ come vi collocate all’interno di tutta questa discussione, anche perché tra questi estremismi in realtà c’è di mezzo poi la popolazione, la gente comune che in realtà ha questa tendenza quasi più, da un certo punto di vista, all’analogico, no? Un po’ questa retromania, anche se pensiamo alla musica. Il vinile, il merchandising, tutte queste cose che hanno assunto un ruolo sempre più centrale poi nel rapporto tra i fan e gli artisti. Volevo capire in questa riflessione dove vi collocate voi, cosa sperate in realtà per il futuro, come possono andare le cose.

[CS] Quello che hai detto tu è interessante proprio questo… questo cercare di ritrovare quello che c’era prima, le radici di quello che sta succedendo oggi. La riflessione non era di critica, perché noi ci troviamo proprio al 100% dentro la generazione digitale. Noi stessi facciamo largo uso dei social media, ci avvaliamo ormai da anni della tecnologia. La nostra riflessione è venuta dal fatto che noi abbiamo veramente iniziato in tempi analogici in cui si registravano dischi su nastri in cui non si poteva ritoccare nulla di un disco, sia nella musica che nell’artwork, fino ad un presente in cui molte canzoni vengono generate dall’intelligenza artificiale in cui tutto è digitalizzato. Quindi per noi era più un’idea che permeava proprio tutto il disco senza diventarne un concept per analizzare come siamo arrivati ad oggi, in tutti questi anni insieme, come abbiamo attraversato i vari periodi, come abbiamo passato le correnti cercando di capire che cosa succedeva, non dico adattandoci perché per noi non è neanche stato uno sforzo, siamo sempre stati estremamente curiosi di scoprire che cosa succedeva attorno a noi anche in generi diversi, in mondi diversi, per poi cercare di inglobare tutto nella nostra musica. Quindi in linea di massima secondo noi la tecnologia è meravigliosa, è bello avvalersene per facilitare magari dei compiti, tra virgolette, superficiali per risparmiare del tempo. Per delle cose che prima facevi magari attraverso ricerche su libri e libri, magari adesso ti viene più facile ricercare un vocabolo che può essere un’alternativa ad un altro perché in quel momento non ti viene in mente, o semplicemente cercare dei voli più comodi per viaggiare dall’altra parte del mondo. Però siamo contro la tecnologia quando cerca di rubare la creatività umana perché molto spesso purtroppo succede questo, l’intelligenza artificiale attinge dalla creatività umana per creare un mischione che dovrebbe ricreare qualcosa di nuovo. Su quello insomma non siamo molto d’accordo.

[AF] Diciamo che è l’uso della tecnologia, il problema non è mai la tecnologia ma è sempre l’uso che ne fai, con il nucleare puoi produrre energia o puoi distruggere una città. Quindi se è un tool, la tecnologia per espandere le tue possibilità, ben venga. Se invece deve essere una cosa per abbreviare i tuoi tempi o risparmiare quattro soldi da non dare a un disegnatore o da non dare a un artista per scrivere una cosa, allora è un modo che poi comunque non paga nemmeno perché alla fine quello che vedi generato dall’intelligenza artificiale si vede che è generato dall’intelligenza artificiale. Anche perché molto spesso le cose creative nascono dagli errori degli esseri umani. Anche noi quando facciamo una canzone, trovi una cosa, ti viene una nota strana che magari è a metà tra il giusto e sbagliato, però in realtà sta benissimo su quella parte ed è quello che rende la canzone unica o rende il disegno unico. Sbagli, vai in una direzione che non pensavi e poi invece ti trovi a fare tutt’altro che è una cosa che è una figata. Però questo l’intelligenza artificiale non lo fa perché teoricamente non sbaglia, quindi viene a mancare proprio il fattore umano che rende speciale una cosa, almeno al momento, ma magari un domani sarà talmente perfetto…

[CS] Sì, al momento serve comunque l’intervento umano, anche semplicemente per impostare delle cose, devi comunque dare dei comandi a un’intelligenza artificiale che cerca di creare altro.

[AF] E un pochino, tornando alla domanda iniziale, il concetto del disco è partito, che poi non è mai un concept album, nel senso che non è che noi scriviamo una storia unica che si sviluppa in tutto il disco, ma è un tema che dà una visione di partenza.

Sì, è vero, ho usato erroneamente il termine “concept album”.

[CS] No, no, però è vero, a volte è difficile anche per noi descriverlo, perché a volte non sai neanche come nasce una canzone, perché hai usato determinate parole o perché ti è fuori uscito quel riff.

[AF] Però diciamo che è partito appunto, come diceva lei, da un’osservazione della società, soprattutto ovviamente abbiamo notato tanto dopo la pandemia anche, perché ovviamente con la pandemia molta gente si è spostata nel mondo virtuale, perché non potevi fare nient’altro, quindi Twitch, tutte quelle cose. E poi dopo, finita la pandemia, gente magari come noi che ha vissuto sia nel mondo pre-internet che nel mondo post-internet ha comunque continuato ad avere un bilanciamento tra quello che puoi mettere nei social media e quello che non è il caso di mettere. Ha un po’ di senso di equilibrio tra le due cose. Invece molti giovani soprattutto non hanno la capacità di distinguere questa cosa perché sono cresciuti in un mondo che è da sempre virtuale, prevalentemente. Quindi questa osservazione ci ha fatto partire con questa idea di questo impero gigante, quindi potentissimo, con tanta offerta, streaming service, YouTube, film da tutte le parti, serie TV da tutte le parti, giochi. Però dall’altra parte invece anche il fatto che queste persone sembrano anche degli zombie che sono sempre attaccati a questo telefono. Che quindi non dormono mai perché sei sempre collegato 24 ore su 24 online e a volte lo facciamo anche noi. Quindi è un’osservazione in quel senso, non è una critica perché anche noi lo facciamo, non magari tanto come altre persone.

Sì, è proprio uno stato delle cose.

[CS] Sì, quella sensazione del dover produrre continuamente, del fatto di non dormire mai viene da quello, il fatto che devi sempre essere comunque presente per non scomparire perché sembra che se non fai vedere quello che fai tu non esisti.

[AF] Questa era l’osservazione più o meno generale e poi da lì siamo partiti, invece poi ogni canzone c’ha un po’ la sua storia.

Io vi chiedo una cosa un po’ più generale. Per noi che siamo della zona, comunque qua a Milano, siete un po’ la band della porta accanto, perché comunque capita di incontrarvi, è capitato Cristina di vederti bere una birra nello stesso pub, no? Poi in realtà voi partite per un tour mondiale, siete famosissimi, quindi come convivono Cristina e Andrea della porta accanto, tra virgolette, insieme a Cristina e Andrea che partono per il tour?

[CS] [Ride] Sono esattamente le stesse persone, non penso che ci sia una divisione, cioè secondo me la trasformazione avviene nel momento in cui sali sul palco perché ti immergi completamente nello show, nelle canzoni, nella tua musica, però giù da un palco non c’è bisogno di prolungare lo show, non abbiamo mai sentito di dover far vedere che eravamo delle rock star. E a quanto pare è una cosa abbastanza rara, perché ogni volta che abbiamo a che fare con qualcuno, anche lavorativamente, magari non nel mondo della musica, ci dicono, “Cavolo, ma siete alla mano!”… cosa dovremmo fare? Per noi è sempre stato assolutamente normale.

[AF] Sì, e poi forse da un lato il fatto che in Italia il Metal sia prevalentemente un genere underground, che noi magari siamo uno dei pochi gruppi che ogni tanto è un po’ uscito nel mainstream, tra virgolette, per alcune cose, quando abbiamo fatto “Enjoy the Silence”, quando lei ha fatto The Voice, rimani lì e poi ogni tanto esci fuori. Questa cosa magari… da un certo punto di vista è anche bello che a casa tua sei anche più tranquillo, perché magari se fossi sempre con qualcuno che ti vuole fare una foto, potrebbe essere anche non così bello nella vita di tutti i giorni, anche se capita che ti riconoscono così, però non è una cosa che non puoi uscire di casa e c’hai i paparazzi, quindi magari il fatto di essere comunque non così conosciuti in Italia non è nemmeno così negativo a lungo termine.

[CS] Anche perché poi interpretare una parte sempre e comunque deve essere una cosa super stressante, cioè noi ci sentiamo super tranquilli perché siamo esattamente come ci vedi, quindi non dobbiamo mantenere il contegno costante, e secondo me è una bellissima libertà che abbiamo.

Se pensiamo a tutta la vostra carriera dal vostro esordio fino ai giorni nostri, l’album attuale è sicuramente un album molto maturo, e parlo sia a livello compositivo sia a livello musicale in questo senso. Qual è stata la vostra sensazione in questo senso e con quale spirito poi vi siete approcciati alla composizione in questa situazione?

[CS] Per quest’album ci sono diverse cose curiose che l’hanno orientato nella direzione che ha preso. La prima è che era il primo disco dopo praticamente cinque anni dal precedente, e in mezzo c’è stata una pandemia e quello ha cambiato ovviamente un sacco di cose, e quindi già lì l’approccio era diverso perché ci trovavamo dopo tanti anni a riscrivere dei pezzi nuovi. E l’altra componente particolare è che noi abbiamo riscritto un disco di vent’anni prima, quindi abbiamo rianalizzato quello che avevamo fatto vent’anni prima per fare una nuova versione di un disco classico [Comalies XX N.D.R.], un classico dei Lacuna Coil. Questo ci ha portato a ritrovarci, riascoltare i pezzi vecchi, ricantare le stesse linee vocali, perché ci siamo trovati io, Andrea e Maki in montagna da lui, abbiamo ricantato tutto il disco. Alcune canzoni quasi le avevamo, non dico dimenticate, ma non erano sui nostri radar da parecchio tempo. E anche Maki si è ritrovato a rifare delle parti basandosi su un disco che esisteva già. E non lo facevamo né per cambiare…

[AF] Per fare una parentesi, il disco era registrato in analogico, quindi su bobine, e quindi non avevamo nessun file digitale separato delle tracce solo di tastiera, solo di chitarra, solo di… Quindi Marco si è dovuto riascoltare tutto e reinventare un po’ come facevano le tastiere, come facevano… ha dovuto proprio rielaborare tutto il disco perché non c’erano tracce digitali separate da poter dire, ok questa è la parte, no? E quindi l’ha riscritto, cioè tra virgolette riascoltandolo l’ha riscritto tutto.

[CS] Però non l’abbiamo riscritto perché non ci piacesse l’originale, tanto che poi quando l’abbiamo fatto uscire abbiamo incluso anche la versione originale. Ma volevamo semplicemente dargli un abito nuovo e vedere, immaginare come avrebbe potuto essere Comalies scritto nel 2022. E quello secondo me ha riportato inconsciamente delle vecchie vibe nel disco nuovo, senza che nemmeno ce ne accorgessimo. È una cosa che ci hanno fatto notare in tanti, noi non ce ne eravamo nemmeno accorti, però abbiamo detto effettivamente il fatto di aver iniziato a buttare le basi di un disco nuovo nel momento in cui stavamo scrivendo Comalies, perché quello è il momento in cui abbiamo iniziato a raccogliere le prime idee, poi dopo ci siamo fermati per fare il disco, però secondo me anche quello è stato un momento importante che ha un po’ caratterizzato l’album.

[AF] È stato anche un po’ dura ripartire dopo il Covid. Il Covid non ci ha dato nessuna ispirazione. Proprio ci ha appiattito a livello creativo, perché noi eravamo abituati a fare il disco, poi il ciclo di tour, quindi vai in tour, conosci altre band, ascolti altre cose nuove, girando il mondo, mangi cibi nuovi, conosci nuovi punti di vista e quello ti dà molta ispirazione. Quando torni poi fai una sorta di riepilogo di tutto quello che hai fatto e ti viene un nuovo stimolo per ripartire. Invece non avendo fatto questo ciclo, perché è interrotto dal Covid, è stata dura trovare un focus per dire “Adesso ripartiamo con un disco nuovo”. Perché noi poi all’inizio cerchiamo sempre più o meno un titolo che non per forza sarà quello definitivo, ma che ti dà una strada e un’immagine anche, un’immagine visiva proprio. Soprattutto Marco per iniziare a scrivere ha bisogno di vedere il disco in un’immagine e da lì poi parte. Ovviamente magari ha già dei riff, degli arpeggi, delle parti, delle tastiere, anche noi abbiamo delle frasi, delle idee raccolte prima, però poi per mettere insieme nel disco c’è bisogno di questo focus per qualche motivo, è il modo in cui lavoriamo. E quindi è stata dura trovare quel focus lì, cioè ci abbiamo messo tanto, tanto tempo e poi pian piano è iniziato a girare bene, è iniziato a lavorare.

Direi che il risultato merita quindi…

[AF] [Ride] Sì, però devo dire che forse è stato il disco più difficile per trovare la quadratura più che altro, non tanto per scrivere una canzone che non è quello il problema, ma avere una direzione, una visione di come sarà il disco, che per noi è importante. Anche per poi immaginare come sarà dal vivo, come sarà la musica. La scenografia, noi lavoriamo già proiettando tutto il più possibile, no? Anche con Roberto Toderico che è stato il ragazzo che ha creato l’artwork, ci sentivamo, ci siamo sentiti per mesi perché noi volevamo un disegno per ogni canzone.

[CS] Tra l’altro un disegno reale, ha disegnato tutto, ogni canzone ha avuto un’illustrazione, inchiostro su carta, poi ovviamente ci si è avvalsi dalla tecnologia magari per sistemare, fare i neri più neri, ma erano disegni veri.

[AF] E lo sentivamo tutti i giorni anche lui, cioè anche se in realtà magari le canzoni avevamo solo il titolo. E quindi è difficile dargli un’ispirazione, no? Perché, di cosa parla la canzone? C’è solo il titolo, c’è questa musica con dei cantati che non hanno nessun significato. Quindi dargli anche a lui le informazioni è stato un processo lungo, però alla fine è molto bello. Secondo me è venuto molto compatto nell’insieme.

Io parto con una cosa che mi piace quanto la musica, che sono i videogiochi.

[CS] Anche a me! [ride]

E per fortuna siamo team PlayStation entrambi, quindi…

[CS] Meno male [ride]

E appunto per questo mi aggancio. Allora, non so se avete notato, ma voi siete nati ufficialmente, così mi dice Wikipedia, nel 94. E nel 94 usciva la PlayStation 1.

[CS] In realtà nel 95 è arrivata in Italia, nel 94 è uscita in Giappone. Però nel 95 è stata…

[AF] E noi in realtà nel 94… Sì, io e Marco suonavamo, ma eravamo in casa quando non potevamo andare in skate perché pioveva, con la bacinella, il nostro amico che suonava sulla bacinella, io che canticchiavo e Marco che strimpellava la chitarra. Quindi sì, abbiamo iniziato a suonare.

[CS] Però ci siamo conosciuti nel 93.

[AF] Sì, sì. No, noi ci conoscevamo già, però era, diciamo che come gruppo vero e proprio abbiamo iniziato a lavorare nel 96, 97.

[CS] Il primo promo è del 96, ma il promo conteneva due canzoni.

Quindi vi volevo chiedere, come è nata questa partnership, visto che siete ambasciatori ufficiali, e come la vivete?

[CS] No, sono io che sono “Playmaker”. Non la band, ma diciamo che siamo un po’ tutti simpatizzati.

E comunque sei tu l’immagine della band, quindi poi la gente va a cercare chi è Cristina Scabbia. Chiedevo se ha portato anche dei benefici il fatto che sei un riferimento italiano nel mondo dei videogiochi, visto che poi avete fatto anche una canzone.

[CS] Ma noi siamo, guarda, noi siamo nerd da sempre. I primi ricordi della PlayStation, oltre al fatto di giocarci a casa, sono legati anche alla prima registrazione che facemmo a Dortmund in Germania, perché noi registravamo ad Hagen, che era una mezz’oretta, meno di una mezz’oretta da Dortmund, però pernottavamo sempre nell’ufficio della Century Media, non proprio nell’ufficio, ma era un palazzo, un palazzo in cui avevano creato delle stanze, quindi avevamo questa stanza piccolissima con tre letti a castello, in cui c’era un tavolo, due sedie…

[AF] Dormivamo in sei in una stanza [ride].

[CS] Una tv a tubo catodico, e noi partivamo…

[AF] Appartamento è un parolone, eh [ride] c’era un cesso, una cucina in comune…

[CS] Sì, c’era la cucina in comune, c’era un altro ragazzo che viveva in un’altra stanza che lavorava in Century Media e si svegliava, andava giù, e noi facevamo lo stesso a rubare il cAFfè e i CD. E noi partivamo da Milano, proprio come i classici immigrati, ci portavamo il vino da casa, la conserva di pomodoro…

[AF] La pasta, il salame…

[CS] E ci portavamo anche la PlayStation. Ricordo tornei di Tekken in cui la band ha rischiato di dividersi fin dall’inizio… Portavamo le prime versioni dei giochi da tavolo, magari ridisegnate, perché magari non potevamo portare…

[AF] Tekken era il nostro gioco, litigavamo proprio di brutto.

[CS] Sì, sì, ci uccidevamo.

[AF] Poi abbiamo chiamato anche una canzone di Comalies come una mossa di Tekken, che è “Tight Rope”.

[CS] Un EP l’abbiamo chiamato Halflife… Cioè ci sono comunque tanti riferimenti al mondo dei videogiochi. E comunque il mondo dei videogiochi e il mondo Metal sono sempre stati molto molto connessi, perché tante colonne sonore di videogiochi sono di fatto Metal, vedi Doom, ma ci sono anche altre colonne sonore… Altre soundtrack che comunque sono di fatto Metal. In Metal: Hellsinger, Call of Duty… Cioè ce ne sono tantissimi di esempi, solo che tanti ragazzi della nuova generazione non lo sanno. E magari dicono, “Ah, figa la canzone di Doom”, però non sanno che… non riescono ad accostarlo al Metal. Magari ti dicono, “A me il Metal non piace”, però poi ti dicono, “Bella la soundtrack di Doom”. Sicuramente ci ha aiutati in tempi più recenti anche ad allargare un pochino il nostro parco fan, perché magari persone non vicine al Metal, ma vicine al mondo nerd, al mondo dei videogiochi, hanno scoperto i Lacuna Coil. Andiamo spessissimo a fiere, abbiamo suonato a Lucca Comics.

Quindi benefici effettivi li avete visti?

[CS] Sì, benefici effettivi sì, da un mondo che seguiamo comunque con amore, cioè un mondo del quale ci sentiamo comunque parte.

[AF] Sì, siamo stati anche a San Diego Comic Con quando abbiamo fatto la collaborazione per cui abbiamo fatto “Never Dawn”, la canzone con il gioco Zombicide: White Death. Per spiegare perché noi siamo finiti dentro il gioco avevano fatto un fumetto in cui c’era la storia in cui noi venivamo rapiti da questa nebbia che ci trasportava nel mondo fantasy del gioco e poi da lì i nostri strumenti si trasformavano in armi. C’era tipo un’ascia, una chitarra che era un’ascia, una mazza, eccetera. E quindi quello a San Diego lo abbiamo distribuito e firmavamo le copie per la gente proprio allo stand del gioco.

[CS] Ci hanno anche fatto le miniature.

[AF] Abbiamo anche le miniature nostre che sono un’edizione speciale del gioco, sono tutte delle miniature.

Anch’io faccio una domanda leggermente laterale, nel senso che ho trovato, confermatemi o correggetemi, molta correlazione tra i temi che affrontate, quindi di questa voglia di disconnessione, di rallentare, e il tipo di artwork e di immagini che avete voluto dare all’album. Mi piace molto, nel vostro lavoro, anche come riuscite a chiudere il cerchio appunto, musicalmente parlando, la comunicazione, l’arte visiva. Quindi la mia domanda è, c’è correlazione tra questa scelta di una tecnica slegata completamente da, non solo l’intelligenza artificiale, ma anche tutto quello che è la tecnologia, e quindi la scelta di illustrare alla vecchia, tra virgolette, l’album?

[CS] Sicuramente volevamo un lavoro fatto da un umano. Ci sono sempre piaciuti gli artwork originali. Abbiamo un po’ di, almeno parlo per me, di antipatia nei confronti dell’intelligenza artificiale, intesa come creazione artistica, rubando idee di altri. Però siamo anche consapevoli che comunque la tecnologia serve, ce ne avvaliamo tutti ed è giusto anche, ed è giusto anche farne uso. Ci piaceva molto l’idea di fare questo disco con molto materiale made in Italy, e Roberto lo conoscevamo già da tempo, volevamo già collaborare, ma il fatto di vedere dei disegni ispirati dalla nostra musica, disegnati da mano umana su carta, è stato emozionante, perché tra l’altro Roberto ha donato ad ognuno di noi metà dei disegni che ha fatto, ha detto, “La prossima volta ve ne darò un’altra”, ma ha donato ad ognuno di noi magari la canzone che era più significativa in qualche modo. Il fatto di avere un artwork ispirato da una canzone che tu hai scritto, umanamente, è comunque emozionante, è un modo di trasmettersi delle sensazioni in modo diverso, lui comunica con il disegno e noi invece comunichiamo con musica e parole.

[AF] Infatti Marco e noi ci siamo fatto quasi più riunioni con lui per l’art che con tra di noi per la musica, perché comunque ovviamente non è facile neanche far capire quello che vuoi, o dargli solo un testo e lui deve capire quello che intendiamo, ovviamente poi ognuno lo interpreta a modo suo, quindi siamo stati in contatto con lui tantissimo anche solo per l’artwork, e alla fine secondo me ha azzeccato tutto. Ovviamente anche lui non gli abbiamo dato le nostre opinioni, ma ci siamo trovati molto bene a lavorare così, ed è bello vedere anche l’interpretazione di un’altra persona della tua creazione. Quello è molto bello perché ovviamente è qualcosa che tu non faresti così, ma è bellissimo vederlo interpretato da un’altra persona: è un po’ come quando il fan viene e ti dice perché quella canzone è stata importantissima per lui, in realtà il testo non parla di quello che dice lui. Però è proprio bello che la musica la crei, la metti lì e poi ognuno la usa a modo suo. Tu la puoi usare per andare in palestra, la puoi usare perché sei triste, la puoi usare perché sei allegro. Cioè alla fine non è detto perché io ho scritto una canzone per un certo motivo, tu la devi interpretare per forza come dico io. Infatti quando ci chiedono di spiegare i testi è sempre la parte un po’ più brutta, perché non è detto quello che ha motivato a me a scrivere quelle parole, poi tu lo interpreti allo stesso modo, e poi tu ci rimani male perché…

[CS] Sì, è molto meccanico fare la descrizione della canzone, come faccio a dirti che questo riff è venuto in mente mentre stavo facendo questo?

[AF] Anche perché noi partiamo da una sensazione o un’esperienza personale e poi la scriviamo in maniera più aperta, più poetica, ovviamente in modo che poi ognuno ci possa anche ricavare quello che vuole dalla canzone.

Dicevate prima che Marco si occupa più del lato musicale e voi del lato vocale, in questo album abbiamo due ospiti alla voce che, se non sbaglio, sono anche la prima volta che avete degli ospiti alla voce. Avete già avuto altri ospiti, ma mai che cantassero, quindi com’è stata questa collaborazione, questa novità, e come vi siete rapportati con questi musicisti? Gli avete dato indicazioni molto strette, gli avete lasciato completa libertà…?

[CS] No, le parti erano già state scritte da noi, sia nel caso della collaborazione con Randy Blythe dei Lamb of God, e di Ash Costello dei New Years Day. Sono state diverse le modalità di contatto, perché Randy è un amico di vecchia data, quindi eravamo in contatto, non dico quotidiano, però insomma molto spesso ci sentiamo, ci parliamo.

[AF] Abbiamo la chat delle stronzate [ride].

[CS] Perché noi odiamo il cilantro [coriandolo], lui lo adora, allora giochiamo su questa cosa, ci mandiamo tutti i meme sul cilantro. Però ovviamente avevamo quest’idea di averlo su un pezzo che secondo noi era adatto per la sua voce, volevamo vedere come suonava. Effettivamente non avevamo mai pensato ad altri ospiti, forse perché già siamo in due a cantare, non avevamo mai pensato a questa eventualità. Invece a questo giro abbiamo detto, “Ok, facciamolo, però in una maniera che abbia senso”, non perché bisogna fare i featuring perché siamo nel 2024 (quando abbiamo scritto il disco). E quindi abbiamo mandato un messaggio, consapevoli anche che avremmo potuto ricevere un rifiuto, perché al di là dell’amicizia, al di là del desiderio di un artista di collaborare o no, ci sono anche delle altre cose che magari possono impedire la collaborazione. Può essere la label che decide di non farti collaborare, tempistiche, magari non hai voglia tu, magari non ti piace il progetto, anche se un amico dice preferirei non farlo, ma lo fai comunicare magari alla casa discografica. Invece ha risposto subito, ha detto “Madonna, non vedevo l’ora di collaborare con voi, era ora!”, con i miei fratelli, gli amici, eccetera eccetera, e quindi gli abbiamo consegnato la canzone, le basi, la parte che avrebbe dovuto cantare, e ha fatto un lavoro della madonna! Perché era perfetto per il pezzo, si è gasato tantissimo, si è divertito, ha portato la carica di Randy, e si sente, ha aggiunto, secondo me, ha aggiunto una bella botta.

[AF] Ha messo anche dei piccoli arrangiamenti suoi che non c’erano nella versione originale, in alcune parti, in alcune piccole parti, sia lui che Ash hanno fatto questo.

[CS] E invece Ash non l’avevamo mai incontrata prima, ci siamo scritte più volte, ci seguivamo un po’ tutti sui social, con commenti, alle foto, messaggi, “Speriamo di incontrarci presto”, ma non succedeva mai, e abbiamo pensato a lei anche perché ha una voce come stile simile alla mia, e quindi considerando anche altri amici che abbiamo nel business musicale, molte donne avevano una voce che non era proprio adatta a quel pezzo che era abbastanza ritmato, non adatto, insomma, ad alcune cantanti alle quali avevamo pensato. Poi abbiamo pensato a lei e abbiamo detto “Cavolo, ma lei è perfetta nel nostro genere, proviamo a chiederglielo”. Anche lì abbiamo mandato un messaggio, le ho scritto su Instagram, “Guarda avremo piacere di averti sul nostro disco”, lei è impazzita. Ha detto, “Cavolo assolutamente sì, vi adoro”, e anche lei ha accettato volentieri, e poi abbiamo avuto l’occasione di fare il pezzo insieme durante il tour che abbiamo fatto in America. Quella è stata la prima volta che ci siamo incontrati di persona, tanto è vero che la prima data non abbiamo fatto il pezzo, perché non l’avevamo mai provato prima, quindi il primo giorno del tour è stato dedicato praticamente a provare il pezzo [ride].

[AF] Il primo giorno è sempre peggiore per fare qualunque cosa, perché arrivi, c’è ritardo, devi settare tutto, montare tutto, non funziona qualcosa, devi riprovare tutto.

[CS] Devi riprovare tutto, e in quell’occasione abbiamo provato anche la canzone. Per fortuna abbiamo fatto un paio di prove ed andava bene.

[AF] Sì, sì, poi infatti tante volte quando pensi “Mi piacerebbe mettere quella persona, perché è mio amico, perché ha una bella voce”, però poi devi avere anche la canzone dove ha senso mettere quella cantante lì, o quel cantante lì, perché magari lui ha una voce bellissima ma non c’entra niente nella canzone che hai fatto. Quindi devi trovare la persona giusta, disponibile al momento giusto, da mettere nella canzone giusta.

A proposito del tour, qualche spoilerino a livello di produzione? Su cosa state lavorando?

[AF] Allora, adesso stiamo lavorando al tour Sud America, Centro America, Nord America, quindi tutti ci chiedono, “Ma per il tour europeo cosa porterete?”, Non lo sappiamo [ride].

[CS] È ancora presto, è ancora presto per pensarci.

[AF] È già tanto che siamo usciti a chiudere le date in tempo. Quindi ci penseremo, ma poi il tour è anche una cosa che si sviluppa un po’ man mano che fai i tour, no? Nel senso che magari in questo tour, adesso abbiamo fatto un tour in UK qualche mese fa, e abbiamo portato dei video, dei visual, fatti apposta da degli artisti italiani, eccetera, eccetera. E li abbiamo proiettati. Era la prima volta che usavamo i visual, non li abbiamo mai usati, no? Quindi magari puoi pensare di riproporli, però magari, tipo in Sud America, è complicato perché lì voli ogni giorno, quindi non hai il tour bus, non hai un camion in cui ti puoi portare la roba, ma devi usare un po’ quello che trovi nei posti, no? E quindi non puoi usare i visual, o li puoi usare solo se loro già hanno uno schermo nel locale.

[CS] Anche nel tour nord americano non vale la pena perché comunque avremo un set, anche a livello proprio di tempistiche, ridotto prima di altre due band, quindi non ha molto senso… non hai lo spazio adatto, è un po’ un casino.

[AF] Sì, non avresti il tempo di montare. Quindi proveremo delle cose che poi nel tour europeo magari hai più tempo di sviluppare bene, no? Sicuramente vorremmo incorporare… oltre ovviamente alla setlist, ci saranno delle canzoni nuove, dei classici dei Lacuna Coil, più qualche canzone vecchia magari ripescata. E poi, vabbè, abbigliamento, ovviamente nuovo per ogni tour, la scenografia più o meno sapete cos’è. E poi se riusciremo, ci piacerebbe incorporare qualche visual anche nel tour europeo, magari diverso da quelli che abbiamo usato in UK, però ovviamente anche lì dobbiamo vedere un attimo in base alle venue e tutto, però sicuramente ci saranno delle sorprese.

Per “Gravity” avete fatto un video, com’è stato registrarlo?

[CS] Aiuto!  [Ride] Madonna, ho avuto mal di schiena per due settimane!

E poi, visto che trattate di resilienza nel messaggio, cosa consiglieresti a una band che sta iniziando invece adesso?

[CS] Partiamo dalla domanda difficile, cosa consiglieremmo. Ci risulta molto difficile dare dei consigli, perché quando abbiamo iniziato noi le cose erano completamente diverse. Adesso è proprio un altro mondo, quindi anche dare i consigli basandoci sulla nostra esperienza di tanti anni fa è inutile. Sicuramente consigliamo di cercare di essere sé stessi e cercare di offrire qualcosa di nuovo, perché è difficile trovare una propria identità, anche noi ci abbiamo messo un po’ per trovare la nostra, quindi ci rendiamo conto che è una cosa che richiede tempo, però allo stesso tempo è molto più pericoloso cercare di proporre qualcosa che fanno tutti, perché si rischia di andare nel calderone e di non uscire. Quindi magari cercare proprio di capire la propria identità e rischiare anche un po’ a uscire fuori dal coro, perché di solito sulla lunga distanza paga questa cosa.

[AF] Sì, la cosa che manca sempre, praticamente tutti i giorni c’è qualche gruppo che mi scrive, italiano o straniero, per chiedermi consigli, e io ovviamente ascolto magari anche i loro pezzi, il problema non è mai la bravura, ci sono tantissimi musicisti bravissimi, cantanti bravi, non è mai un problema di bravura… cioè a volte sì [ride], ma molto spesso non è la bravura, non è il talento che gli manca, non è la capacità di suonare o di scrivere una canzone. Molto spesso il problema principale, che è la cosa più difficile da sviluppare, è l’identità della band. Cioè quando tu ti siedi davanti e dici, “Questo è il mio CD”, ok, io ti dico, “Qual è il messaggio della tua band, qual è il cliché, perché suonate?”. E nessuno sa mai dirti perché… Perché? Perché vuoi fare una carriera? Cioè non hai un motivo, perché io dovrei interessarmi alla tua band, no? Perché tu mi comunichi qualcosa di diverso, che sia qualunque cosa, io voglio fare una band che parla solo di cibo, va bene, hai il tuo cliché che è la band che parla di cibo, vestiti da cuochi, per dire, no? Magari non è interessante, ma è una cosa unica, che ti distingue dagli altri. Invece la maggior parte delle band ti farà sentire delle cose generiche, fatte bene, ma che non hanno un pubblico, perché non interessa a nessuno una cosa generica, o l’imitazione proprio pari pari del gruppo straniero, no? Mi ricordo tante volte mi dicevano, anche Century Media dicevano, guarda noi abbiamo un Pantera per ogni paese, abbiamo il Pantera belga, il Pantera olandese, il Pantera italiano, e non ci facciamo niente, perché i Pantera già ci sono, sono enormi, sono texani, cattivi, grossi, drogati, e tu arrivi da Bergamo, e vuoi fare il Pantera… non hai la credibilità per fare quella roba lì, non sei i Pantera, e quindi tu stai soltanto a riproporre una cosa, fatta magari benissimo, altrettanto bene che i Pantera, ma che non ha nessun interesse. E questa è una cosa che non capiscono molti gruppi. Cioè ti portano dei prodotti fatti bene, ma che non hanno nessun interesse, perché non c’è niente di particolare, no? Cioè tu puoi fare un genere che esiste, e quello è ovvio, perché inventarti un genere lo fanno ben pochi, ben pochi lo possono fare, però lo devi fare in maniera più personale possibile. E questo è il messaggio, è quello di cercare… noi prima di fare il nostro demo di due canzoni nel ‘96, abbiamo comunque lavorato in sala prove un anno su quelle due canzoni, prima di riuscire, perché a noi piaceva il Death Metal tecnico, ci piaceva il Doom, i Type O Negative, i Paradise Lost, quindi mescolare tutto, e infatti i nostri demo erano la macedonia di tutta questa roba qua, canzoni da sei minuti con un sacco di riff.

[CS] In due minuti era un album praticamente, potevi estrapolarne… [ride]

[AF] Era un prodotto fatto molto bene, per l’epoca, anche molto personale ma anche molto immaturo, ovviamente, perché eravamo dei ragazzi giovani che provavano a scrivere senza esperienza di songwriting, quindi quello che però ci ha distinto, il fatto che abbiamo comunque trovato una strada nostra. Anche perché la discografia all’epoca te lo permetteva di più, cioè se io faccio il primo disco che assomiglia un po’ ai miei gruppi preferiti, il secondo lo personalizzo un po’ di più, di solito una volta era il famoso terzo disco quello che o diventavi conosciuto o sparivi, infatti il nostro terzo disco era Comalies che ha fatto successo, fiù [ride]. Ed è, secondo me, il primo disco dei Lacuna Coil vero dove c’è un’unità e uno stile più personale. Dove non dici “Sono uguali ai Paradise Lost”, “Sono uguali a…”, è un disco che ha una sua personalità, poi nel tempo l’abbiamo anche ampliata, però quello che manca adesso forse è questo tempo di crescere. Ovviamente adesso è tutto molto veloce e quindi non c’è questo tempo per una band di crescere, quindi in partenza dico, cercare subito di lavorare soprattutto sulla personalità della band, soprattutto i cantanti che sono molto spesso avanti rispetto ad altre cose, se parti già col cantante che è uguale, bravissimo, ma uguale a tutti gli altri cantanti è già… piuttosto meglio uno meno bravo ma che non è uguale a tutti gli altri cantanti. Se tu vedi le voci più riconoscibili del Metal non sono i cantanti più bravi, sono i James Hetfield, Ozzy Osbourne, che non sono i migliori cantanti, non sono i Ronnie James Dio, però alla fine sono i cantanti che tutti si ricordano, Lemmy, cioè non sono cantanti incredibili, bravi, però ognuna di queste voci la riconosci immediatamente quando la senti.

[CS] E invece il video di Gravity? No, il video di Gravity è stata un’esperienza, noi per i nostri video dobbiamo quasi sempre soffrire in qualche modo, rischiamo di affogare, e questo era il momento aria, e quindi Martina, la regista del video, ha pensato che noi dovessimo giustamente, come la gravità, fluttuare in qualche modo. Solo che per farlo dovevamo essere sospesi nel vuoto: c’erano delle scene di caduta, come si fanno le scene di caduta? Si fanno a testa in giù, con le gambe in alto, la testa in giù, con due sparafoglie in faccia per 3-4 ore [ride]. E così è stato, quindi insomma, sono stati giorni di lividi.

[AF] Sì, il giorno dopo avevamo lividi ovunque, abbiamo fatto una giornata io e lei solo per le parti del cantato, un giorno abbiamo fatto tutta la band, e un giorno solo io e lei per le parti del cantato, e siamo stati appesi proprio per 4-5 ore di seguito, e lì il giorno dopo avevamo veramente tutti i segni neri qua, qua, il video più doloroso di sempre.

[CS] Perché bisognava indossare un corsetto tattico, super costoso, che ovviamente era iper sicuro, ma per essere sicuro doveva essere non stretto, di più, perché non ti doveva neanche permettere di respirare, perché se riesci a respirare ti lascia spazio che può farti in qualche modo cambiare la posizione. Io oltre a quello avevo un altro vestito col corpetto, perché non era abbastanza, e la posizione, gli strappi delle cose che dovevamo fare, è stato abbastanza sofferto però devo dire che alla fine il risultato, il risultato ci ha fatto capire che ne è valsa proprio la pena.

[AF] Sì, tra l’altro abbiamo girato un altro video, che uscirà presto, per la canzone “I Wish You Were Dead”.

[CS] Non abbiamo sofferto, però abbiamo fatto delle cose che non abbiamo fatto prima, quindi ci è voluto un po’ di tempo per altre cose.

[AF] Sì, anche quello è stato impegnativo per altri motivi.

Nella vostra evoluzione come band, l’equilibrio tra le vostre voci è andato chiaramente maturando. Trovo che negli ultimi tre album si sia assodato un equilibrio molto forte, una sinergia estremamente importante per il vostro sound, per quello che producete, perché rende perfettamente l’idea di un amalgama insieme a tutta la parte musicale. Cosa potete dire in questo senso?

[CS] La fortuna di avere due voci è che possiamo veramente toccare ogni angolo dello spettro musicale. A livello vocale possiamo permetterci di fare un po’ tutto, no? Perché c’è la parte più melodica, più armoniosa, con note più alte, più basse, e la potenza del growl. Quindi abbiamo due approcci differenti, due modi anche di scrivere sia le linee vocali che i testi, che poi confrontiamo, per il risultato della canzone. Quella è una cosa bella che ci sia la fortuna di avere lo stesso gusto musicale applicato ai Lacuna Coil, che non ci siano discussioni del tipo, “Ma questo lo volevo cantare io, questo invece lo dovresti cantare tu”. Perché avendo proprio due tipologie di voci diverse ci viene molto naturale capire dove è meglio mettere la sua voce, dove è meglio mettere la mia.

[AF] Forse un pochino dell’evoluzione c’è stata un po’ perché la direzione musicale è diventata anche un po’ più, tra virgolette, estrema, e quindi già da Delirium c’è stato comunque un certo indurimento del sound, delle parti anche strumentali, quindi si prestava di più a fare una voce potente, una voce growl, un po’ anche perché abbiamo comunque due range di voci diversi. Quindi a volte in passato abbiamo fatto un po’ fatica perché magari delle parti che erano perfette per lei, se io dovevo cantare sulla strofa prima di lei, erano troppo alte per me, o in una tonalità scomoda. Quindi anche quella è una cosa che abbiamo dovuto un po’ imparare col tempo. Ovviamente avendo due range diversi o tendi a favorire uno o tendi a favorire l’altro e uno dei due si deve in qualche modo sacrificare. Invece con le parti più potenti, più ritmiche, c’è molto meno questo problema perché ha meno problemi di tonalità. Quindi anche quello ci ha portato nel tempo a sviluppare questa cosa. Però in generale è più il fatto che la musica sia andata un po’ in direzione estrema. Non solo per noi in realtà, l’abbiamo notato anche intorno a noi, nel senso che mi sembra che in generale se si guarda quello che è successo nel Metal adesso, tolte le cose classiche, c’è un certo indurimento del sound, cioè non spaventa più così tanto la doppia casa o la voce growl o il riffone. La musica è andata un po’, come forse la società, è andata in una direzione un po’ più estrema. E quindi ci siamo trovati…

[CS] Anche lo stesso growl da parte di una donna.

[AF] Esatto. Gruppi come Jinjer o Spiritbox sono andati in quelle direzioni.

[CS] Ognuno fa quello che vuole.

[AF] È strano se non fai quello ormai. Però in realtà noi ci siamo arrivati… un po’ abbiamo anche recuperato cose, perché io il growl lo facevo già nel demo se si va a vedere, quindi non è che è una roba che è nuova per noi, però in realtà per un periodo non l’abbiamo usato così tanto.

La mia domanda riguarda invece la città di Milano: in circa 15-20 anni da quando giro per Milano ho visto un’evoluzione in peggio dal punto di vista della musica live e anche un po’ di quello che è il mondo della musica in generale, anche e soprattutto dopo la pandemia, come la chiusura di Buscemi e di Mariposa. Voi da musicisti e soprattutto come cittadini di Milano, come avete vissuto l’evoluzione da metà anni 90 ad oggi?

[CS] Male [ride]. Male, male, perché hanno chiuso tantissimi locali, soprattutto di media capienza, quindi anche le band che stavano uscendo non avevano la possibilità di suonare perché o c’erano i bar con quattro persone oppure si parlava di forum, perché comunque anche l’Alcatraz insomma è abbastanza grande. Poi hanno chiuso Rolling Stone, è stata una sconfitta un po’ per tutti perché è brutto vedere quando non viene dato il giusto spazio alla musica.

[AF] C’è stato un cambio culturale anche forse nel modo in cui la musica viene fruita. Però adesso secondo me abbiamo attraversato una fase totalmente negativa in cui si è passati da tutti i locali a zero locali. Poi secondo me piano piano in realtà si sta un po’ ravvivando la cosa, non ce ne sono magari tanti come allora, ma c’è il Legend, c’è il Fabrique, c’è l’Alcatraz, cioè piano piano delle realtà hanno preso un po’ piede, poi in realtà un po’ più underground anche, però è vero che è proprio cambiato il modo di fluire. Io mi ricordo una volta andavo al sabato sera al Laboratorio Anarchico in Via dei Amicis e con 5.000 lire ci prendevi la birra e vedevi gruppi Metal, Hardcore così, che non avevi mai sentito nominare, però per noi era, andavamo là e sapevamo che c’erano dei gruppi che suonavano, pagavamo l’ingresso e andava bene così. Poi se ci piacevano compravamo il CD e la maglietta, se no amen, non ti era piaciuto, basta. Cioè c’erano tanti posti così più o meno autogestiti, ma non solo autogestiti, però c’era anche…

Il vecchio Leoncavallo.

[AF] Il vecchio Leoncavallo, ci ho visto i Biohazard, gruppi anche non prettamente da centro sociale, però comunque che c’era più apertura in questo senso, non dovevi andare a vedere per forza la cover band. Io cover band non sono mai andato a vederle, non perché abbia niente contro di loro, ognuno fa quello che vuole, però a me non interessava e non sono mai andato a vederle, sono sempre andavo a vedere gruppi originali, poi che piacessero meno era un altro discorso. Però questa cosa ormai non esiste quasi più, cioè ormai si è tutto spostato su o fai lo show o… anche i gruppettini che vedi hanno già comunque i banner, le luci, che sono cose inutili, perché tanto alla fine se poi non hai niente da dire, lo puoi incartare bene come vuoi, ma è sempre una cosa che non interessa, capito? Torniamo al discorso di prima, no? È meglio lavorare su fare un live che spacca, che per qualche motivo tira in mezzo la gente, piuttosto che stare lì a fare tutto che sembra perfetto ma alla fine è piatto, non è interessante.

[CS] E i negozi di dischi, anche quello, sono lo specchio dei tempi, purtroppo. Non ci sono più perché la gente non compra dischi ed è tutto digitalizzato. Anche se devo dire che all’estero ci sono molti negozi di dischi, magari che vendono vinili, cassette, adesso sono ritornate le cassette, noi abbiamo fatto un set con cassette di tutti i dischi che abbiamo fatto ed è andato benissimo, quindi comunque c’è anche quella parte del collezionismo che è ancora molto viva. Qua in Italia meno, però qualche negoziettino si trova, però non è più in larga scala come prima. Si formavano le file per aspettare di comprare l’album il giorno dell’uscita.

[AF] Però diciamo che quella è un po’ una conseguenza, secondo me ancora più che con i locali, del digitale. Nel senso che ormai la gente compra i biglietti su internet, i CD se li compra li compra su internet, e quindi i negozi sono diventati dei musei per collezionisti, dove dai trovare i vinili vecchi o i vinili nuovi, ma non c’è più il significato di prima che aspettavi il sabato per andare a comprare. Mi ricordo da ragazzini ci compravamo un vinile in due, poi uno si faceva la cassetta.

[CS] Facevi la copia!

[AF] Però ogni sabato ci andavamo a comprare un vinile.

[CS] Era anche il modo di scoprire musica nuova.

[AF] Però non esisteva internet, quindi ovviamente sono tempi diversi e non puoi tornare indietro, nel senso non si tornerà mai più al CD come formato principale di vendita della musica. Per fortuna il Metal ha ancora una grossa parte di formato fisico, noi di fisico vendiamo ancora parecchia roba, parliamo di decine di migliaia di dischi comunque, tra vinili, edizioni speciali ovviamente, cose più da collezionismo, però comunque si vende ancora tanto. Anche ai concerti per esempio vendiamo sempre magari 20, 30 CD, che pensi, “Chi è che compra CD ad un concerto?”. E invece a ogni concerto, magari firmati, però li vendi sempre. Quindi il Metal è uno dei pochi generi dove ancora il formato fisico ha un significato. Spesso anche la stessa Sony di tanti artisti non stampa nemmeno il formato fisico perché non c’è interesse ovviamente di comprare magari un disco trap su vinile, che non è proprio il suo formato diciamo.

Nel Metal abbiamo la fortuna di essere tutti collezionisti.

[AF] Anche se a casa ho un lettore in realtà non lo uso mai neanche io, però quando poi sono in tour con un gruppo magari mi vado a comprare il CD, me lo faccio firmare dal gruppo, me lo tengo di ricordo in ogni caso anche se poi non lo ascolto da CD.

Un po’ come il merch.

[AF] Esatto, anche il merch è un’altra cosa che per fortuna nel Metal funziona tanto.

Questo album è stato definito un po’ una colonna sonora cantata, nel senso che se fosse senza voci aveva tutti i numeri per essere una colonna sonora. Ho trovato molto evocativo l’uso del latino in determinati pezzi. Visto anche l’attenzione e la cura che avete nel realizzare i video, quanto vi solletica il mondo, diciamo del cinema, visto che vi piace anche lavorare su side project come potrebbe essere il gioco in scatola. Lavorate tanto su cose di contorno alla musica, se e quanto potrebbe stuzzicarvi un giorno l’idea in qualche modo di avvicinarvi ancora di più al visivo, al cinema.

[CS] Ci piacerebbe sicuramente scrivere qualcosa per un film, che può anche piacerci e stimolarci. Attori non credo proprio, nel senso che comunque…

[AF] Film muto. O porno [ride].

[CS] Ah, è una bella sbatta fare gli attori, cioè noi lo vediamo quando ci capita di fare i video e veramente gli attori hanno tutto il mio rispetto, dagli orari, dalle ore di trucco, da quello che devono fare di continuo, dalle scene ripetute all’infinito, quindi hanno veramente tutto il mio rispetto e non mi azzarderei mai a dire “Sì, voglio provare a fare l’attrice”, perché comunque anche lì c’è un lavoro grosso dietro. Però sicuramente ci divertiamo un casino a fare i video, nonostante le varie sofferenze dei vari momenti.

Che poi nei video in soldoni recitate.

[AF] Però non c’è la parte del dialogo che è la più difficile.

[CS] Però ovviamente sono comunque sessioni ridotte, nel senso che comunque non ci metti i mesi che servono per fare un film, non ti devi sottoporre a settimane di trucco. Però sicuramente ci piacerebbe scrivere una vera e propria colonna sonora. Maki compone tenendo sempre la tv accesa, sia che siano documentari, gameplay, film, gli piace avere proprio un riferimento visivo sul quale scrivere per farsi ispirare.

Però a livello di scrittura non vi piacerebbe provare a creare qualcosa, non a livello musicale, ma a livello proprio di storia.

[CS] Sì, tantissimo. Un po’ forse il primo esperimento è stato “Never Dawn”, perché noi comunque di fatto abbiamo scritto una piccola colonna sonora per delle immagini che erano già presenti e per un gioco che aveva già una sua lore. Quindi anche per noi è stato più facile trovare anche le frasi descrittive che riportassero alla storia del gioco e Maki aveva il trailer già pronto senza musica, quindi poteva comunque farsi ispirare dalle immagini. Poi lui è un amante dei giochi da tavolo, sapeva esattamente in che direzione andare ed è stata una bellissima esperienza perché anche noi abbiamo detto, cavolo, che bello comunque scrivere quando sai già esattamente di che cosa stai parlando.

[AF] Sì, è più facile scrivere quando hai già un argomento, ovviamente. Noi invece cantando, magari a volte facendo i demo delle canzoni, hai delle frasi belle che ti piacciono, le metti lì nel ritornello, poi dopo le devi dare un significato, ovviamente. Cioè a volte quella frase l’hai messa perché ti piace tanto, però non ha per forza già tutto il significato chiaro del messaggio della canzone, quindi da lì devi poi cesellare e arrivarci a costruirlo e dargli un senso vero, no? E quello è il lavoro più difficile.

[CS] Oppure è un testo che magari suona male perché alcune parole non hanno il suono che tu vorresti, allora ti ritrovi, “Ok, come possiamo dirlo in maniera che suoni come…”.

[AF] Quello è il lavoro peggiore in assoluto.

[CS] Sì, perché pensiamo, forse un’altra cosa diversa che abbiamo noi da altre band, è che noi consideriamo le nostre voci come se fossero due strumenti da aggiungere, non scrivendo un testo prima e poi incastrarlo nella composizione. E quindi anche le parole devono avere un determinato suono che ci piace ed è un lavoro doppio, perché comunque trovare delle frasi che abbiano quel tot di sillabe, che abbiano il finale della parola che magari ha quella vocale che è una A piuttosto che è una I richiede un pochino più di tempo, che ci prendiamo supervolentieri, ma abbiamo un processo lavorativo un po’ strano da quel punto di vista.

[AF] Comunque diciamo che noi in generale non è che siamo partiti con la musica dicendo che un giorno diventeremo il gruppo più famoso, bla bla bla. Noi siamo partiti con la musica perché era una delle passioni che avevamo, però alla fine il cinema o i giochi… Era comunque tutte le nostre passioni, noi siamo cresciuti poi negli anni 80, quindi film horror, tutte quelle cose erano proprio sono la DNA, erano i fumetti, le graphic novel, l’arte visiva in generale. Quindi non abbiamo mai… poi la musica è capitato che è la cosa che è andata meglio, anche quella a cui ci siamo dedicati di più forse… e quindi è andata così, però non è che siamo partiti dicendo “Un giorno faremo…”, no, anche se tante volte ce lo chiedono. Invece tante volte vediamo anche dei gruppi giovani che partono tutti ultradeterminati, “Un giorno diventeremo così”, ma invece noi non siamo partiti pensando che un giorno diventeremo niente. Noi siamo partiti dicendo, “A noi piace il Metal”, noi vivevamo quello, eravamo al pub Metal con gli orecchini, con il chiodo, cioè eravamo… vivevamo quella roba lì, eravamo quello che ascoltavamo

[CS] Era il nostro stile di vita.

[AF] Ed è diventato un lavoro, una passione, un lavoro, però non abbiamo mai pensato che… anche perché arrivando da Milano non è che c’è tutta questa storia di grandi gruppi Heavy Metal con la storia di una carriera decennale, ventennale in giro per il mondo.

Leggevo giusto ieri un’intervista a un’artista inglese che diceva, anzi più che intervista era praticamente un articolo che rispondeva alla domanda, “Cosa provo a cantare davanti a 10.000 cellulari?” E la cosa principale era, capisco, perché mi trovo anch’io dall’altra parte e voglio portarmi a casa un ricordp, però davanti a tutti quei cellulari c’è un po’ di ansia, toglie spontaneità, perché mi rendo conto che nel momento in cui vengo in ripresa, anche senza farlo apposta, tiro dentro la pancia, inclino la testa per evitare il doppio mento, tutta una serie di accorgimenti che…

[Ridono]

[CS] La posa.

Esatto. E leggendo questo, anche poi pensando al fatto che oggi sarei venuto qua, mi sono subito ricordato il vostro concerto qualche anno fa al Fabrique, quando sei scesa a un certo punto in mezzo al pubblico, e io non ti vedevo perché c’erano tutti sti cellulari.

[AF] Dovevi guardare attraverso i cellulari che avevi davanti.

Infatti è proprio quello che ho fatto. Volevo chiedervi se questa è una sensazione che capita anche a voi di provare e se, dato che ultimamente ha fatto notizia il fatto che i Ghost adesso, come altri gruppi hanno fatto in passato, hanno annunciato un concerto col divieto di cellulari, se pensate che sia una cosa che si diffonderà, o che a voi piacerebbe implementare.

[CS] Sì, la censura è sempre brutta, però è veramente brutto vedere qualcuno che guarda l’intero concerto tenendo tutto il tempo il telefono in mano. Non mi disturba se vedo magari all’inizio dello show, perché ovviamente, come dicevi prima, ognuno si vuole portare a casa un ricordo, qualche piccolo momento, magari la tua canzone preferita, dici “Ok, me la porto a casa perché io ero lì in quel momento”.  Però veramente, dar fastidio anche a quelli che sono dietro, perché molte volte proprio blocchi la visuale ed è fastidiosissimo. Sono andata al concerto dei Wardruna in teatro, un’atmosfera della Madonna, e quello seduto davanti a me, col cellulare costantemente, ogni canzone, tutte le canzoni. Volevo mandarlo affanculo, perché ho detto, ma che cazzo sei venuto a fare, cioè te lo guardavi online, tanto ci sono altri video. Mi è venuto veramente, ho detto, ma come puoi avere il desiderio di guardarti uno show così, invece di viverti proprio l’emozione. Quindi, forza Ghost grandi! [Ride]

[AF] Diciamo che è un po’ difficile da applicare, magari con i Ghost, con un’organizzazione molto grossa, o i Tool ho sentito che l’hanno fatto. Però in una realtà più da club è un po’ più difficile.

[CS] Una volta quando vedevano una videocamera nel pubblico, la security arrivava e te la spaccava. Adesso il problema è che col cellulare è più difficile perché è un telefono, ma negli anni passati proprio c’era la security che ti placcava immediatamente e vedevano una lucina. Ma anche gli altri del pubblico che li indicavano, e quelli della sicurezza correvano a prendergli la telecamera.

Pure Axl Rose una volta si è buttato nel pubblico per spaccarlo a qualcuno.

[AF] Sì, diciamo che secondo me è sempre una questione di buonsenso, no? Se tu filmi il tuo pezzo preferito perché te lo vuoi tenere, riguardare, va bene, ma filmare dieci canzoni non ha senso perché poi tanto non te li riguarderai mai tutti quei video. C’è il cellulare pieno di video che per non guardare mai.

[CS] Chi era? Danzig che ha calciato il telefono?

[AF] L’ho visto quando abbiamo suonato a Las Vegas un paio di anni fa al Sick New World. Il giorno prima c’era Danzig in teatro che faceva i pezzi di Elvis.

[CS] Nel nostro hotel.

[AF] Siamo andati a vederlo e hanno detto mille volte, la voce in teatro, “non filmate il concerto”.

[CS] Era uno show speciale, era uno show one of a kind.

[AF] Poi lui è fissato contro la tecnologia, contro i microonde [ride]. Allora, c’era uno, primo pezzo, proprio si è alzato, è andato davanti al palco col cellulare, Denzig che ha fatto così [mima di prendere la rincorsa e calcia l’aria], calcio, ha fatto volare via il telefono subito, appena è iniziato il concerto [ride].

[CS] Ha fatto subito capire chi fosse [ride]. Però sì, è brutto. Dov’è che abbiamo suonato ultimamente che non abbiamo visto telefoni? C’era la gente che si divertiva, ora non mi ricordo dove ma ho detto, “Ma che bello!”, c’erano pochissimi telefoni. C’erano veramente pochi, pochi, pochi, pochi, pochi telefoni ed è stato bellissimo.

[AF] Diciamo che torna tutto al discorso di prima, che la tecnologia non è né buona né cattiva, dipende da come la usi, se la usi con buon senso, generalmente non è un problema, se poi la usi senza senso è ovvio che diventa un problema.

Sì, l’ho vissuto l’anno scorso al concerto di Bob Dylan, ti facevano mettere il cellulare in un sacchettino chiuso a chiave ed è stato quasi straniante, però devo molto bello. No luci, no distrazioni. Che ormai siamo così abituati ad avere sempre il cellulare in mano che a volte ti viene da guardarlo anche se non devi fare niente. Invece, nel momento in cui è bloccato, ti concentri al 100% sulla musica.

[AF] È un po’ il discorso di “Sleepless Empire”, è proprio quello, che sei connesso anche quando non ce n’è bisogno, alla fine con tutta questa disponibilità ti distrai senza motivo, ti perdi a guardare video che alla fine cosa ti è rimasto di tutti questi video che hai visto?

[CS] Poi quante volte li riguardi, sinceramente, cioè, li fai al momento, dici, “Oh che figata!”, poi dopo…

C’è anche questo aspetto del, devo far vedere che ero in quel posto, cioè, non solo me lo guardo a casa, ma anche ti faccio vedere.

[CS] Esatto, se non lo fai vedere non esisti.

[AF] Sì, comunque è una delle problematiche della società moderna, comunque, non solo nei concerti, no? Anche quando sei al ristorante con gli amici, comunque ti viene automatico, se in un attimo non si parla vai subito sul cellulare, ma invece in realtà…

[CS] O momenti di silenzio con tutti col cellulare, ma ci mettiamo dentro anche noi, perché anche noi siamo così, a volte proprio ce ne rendiamo conto.

[AF] Noi in tour avevamo una regola che dovevamo mettere tutti all’inizio della cena, quando avevamo il day off, dovevamo mettere tutti i cellulari uno sopra l’altro, e se qualcuno lo prendeva, pagava per tutti.

[CS] Il primo che prende il telefono, a meno che non ci sia una telefonata, però il primo che prende il telefono paga per tutti.

[AF] No, è durata pochissimo come regola, perché ovviamente…

In Italia siamo tutti esterofili e, stranamente, tutte le band italiane fanno sempre cagare. Vi siete mai chiesti se foste nati in Svezia come sareste considerati? Notate questo odio nei vostri confronti, perché ogni volta che si pubblica qualcosa ci sono sempre una sfilza di commenti negativi.

[CS] Ma io mi gaso tantissimo, cioè io li amo gli haters perché sono i nostri followers più accaniti. Te per quale magazine lavori?

Metallus.

Su Metallus no…

Ogni tanto ho visto che rispondi ai commenti da noi su TrueMetal.

Con TrueMetal io mi diverto un casino, cioè, è proprio il mio pane. No, io mi gaso da morire. Io impazzisco. Impazzisco perché poi li fai impazzire perché non possono tollerare che tu sia lì a leggere… Perché non si aspettano mai che tu dia una risposta, no? Si aspettano sempre di rimanere impuniti, di mettere lì la loro opinione, per fare i fighi al momento, e poi nel momento in cui scrivi o cancellano o ti dicono, “Ah, stavo scherzando”. Ultimamente c’è stata una persona che così mi aveva offeso, no? E sono andata sotto al commento uccidendola con la gentilezza. Perché io non rispondo mai all’offesa con un’altra offesa, che è ancora peggio. Perché se uno ce l’ha su con te, si incazza per il fatto che tu non ti inviperisca. E se invece sei carino e gentile, rimangono spiazzati perché dicono, “Come contrattacco questa cosa qui?”. E poi saltano i “cani”, che sono gli altri fan che distruggono questa persona. Perché secondo me non è giusto: una persona che spreca tempo per andare su un social a parlare male di una persona, di una band, gratuitamente, non deve rimanere impunita. Se scrivi, non mi piace il disco dei Lacuna Coil, non me ne frega niente perché sei liberissimo di amare la nostra musica, di odiarla, non me ne frega niente. Però se tu lasci un messaggio in cui attacchi la persona, inventandoti cazzate, toccando il personale, non avendo neanche idea di quello che hai letto perché non lo leggi, no? Leggono direttamente il nome e vanno contro perché, non lo so, sembra che abbiamo rubato il posto a qualcuno, no? Come se il mondo musicale non avesse spazio per tutti. Di base è veramente il modo o di fare fighi o il fastidio perché una band riuscita a fare qualcosa che tu avresti voluto fare, perché nove volte su dieci hanno una band che suona nello scantinato che non farà mai un cazzo e quindi la colpa è nostra, no? E quindi è dove scaricare la frustrazione. Ma io mi diverto da morire con gli haters.

[AF] Però diciamo che l’hating… sono due discorsi un po’ separati, nel senso che l’Italia è vero che non è mai orgogliosa delle proprie band, vale sempre meno il gruppo italiano del gruppo estero. Un po’ perché in effetti l’Italia non ha mai avuto, come dicevamo prima, band che storicamente hanno fatto una carriera e quindi non si è costruita quella cosa che anche in Italia può essere come in Svezia, come negli altri paesi e avere delle band che fanno la carriera, lo fanno di professione, eccetera. E quindi manca la credibilità della struttura proprio, non solo della band. È un po’ quello. Invece l’hating online c’è un po’ dappertutto alla fine, anche se vai su Blabbermouth o da altre parti, certi gruppi sono sempre massacrati e verranno sempre massacrati. Perché è così che funziona internet. Vale uguale se vai su una pagina di calcio o di qualunque altra cosa. E poi quello che fa ridere è che la maggior parte delle volte che cercano di spiegarti come funzionano le cose, in realtà non hanno la minima idea di come funzionano le cose o di come sono andate veramente.

[CS] No, io mi diverto da matti. Mi diverto da matti perché è anche un segno positivo: nel momento in cui dai fastidio a qualcuno vuol dire che stai facendo qualcosa di buono. Poi sanno tutto gli hater, sanno tutto, cazzo! Ti odiano però sanno quando esce il disco, che canzoni ci sono, cosa hai fatto, cosa hai detto, si vanno vedere tutte le interviste per estrapolare quello che vogliono loro, però sono presentissimi.

[AF] Ma poi c’è da dire che se non c’è una sorta di successo non c’è neanche l’invidia. Se sei un piccolo gruppo underground nessuno ti scrive “Stronzo”.

[CS] C’è stato un tour tanti anni fa, c’era questo ragazzo che continuava a parlare male di noi. Ma male, proprio, “Fan cagare” eccetera. Abbiamo fatto tre date in Italia e a due era in prima fila. Date headliner! E questo scriveva sempre, però la sua intenzione era farsi notare, praticamente. Era farsi notare, perché nel momento in cui comunichi cominciano a diventare tutti più buonini, o rimangono comunque imbarazzati, non sanno come rispondere. Perché non si aspettano che tu sia lì a dire, “Ah ok, ho letto questa cosa, parliamone”.

Volevate mettere i video nel prossimo tour, potete mettere una raccolta di screenshot di commenti di haters.

[AF] Su una canzone, tipo “I Wish You Were Dead”. Potremmo mettere tutte le critiche.

[CS] Come Ronnie Radke. “Pezzo di merda!”, “Che cazzo vuoi?!” Ronnie è proprio…

Screenshotta le foto. Tagga la gente.

[CS] Però il principio è giusto. Cioè, lui forse esagera nel senso che… Però il discorso di base è giusto. Cioè, se uno offende te, perché tu devi stare zitto? Solo perché tu sei un personaggio pubblico e ti devi prendere la merda da uno che non ti conosce e che non conosci. Non è giusto. Non è giusto. Cioè, io intanto rispondo, ti rimetto al tuo posto.

[AF] Ma il solito discorso che in faccia non te lo direbbe mai perché poi in faccia c’è la dimensione vera.

È quello che ha detto Mike Tyson, che internet ha normalizzato il tirare merda alla gente senza prendersi uno schiaffo.

[AF] Esatto. Ma è così. Ma poi è vero anche che… Io mi rendo anche conto che molte persone non si rendono conto della potenza del social media. Quando tu lasci un commento o tu pensi che l’hai scritto sulla pagina dei quattro tuoi amici… invece quella è una cosa che vede, tra virgolette, tutto il mondo. Quindi un commento su un social è molto più forte che un commento detto al pub alla sera con i miei amici. “Ah, lui è lo stronzo, fa cagare”. Non succede niente. Però se lo scrivi e rimane scritto ha una potenza e molte persone non si rendono conto del mezzo che stanno usando, no? Vedo anche mio papà le prime volte che usava internet non si rendeva conto che se scriveva quello che pensava… [ride] Non è come se lo dici al bar. Non è proprio… Politically correct.

[CS] Come quello che aveva messo su Facebook “Cercasi tettona” con sotto il nipote che scriveva, “No nonno, cancella tutto!” [ride].