Intervista Manowar (1987)
INTERVISTA MANOWAR 1987
Intervista ai Manowar tratta dalla rivista Metal Shock numero 4 del luglio 1987 a opera di Beppe Riva, completa delle foto originali, della prefazione e della discografia commentata in coda.
Buona lettura.
Steven Rich.
ODI BARBARE
di Beppe Riva
foto P.Cossali/H.Clausel/F.Nosotti
Manowar, The Heavy Metal Dream! Quattro ragazzi di New York, dal Bronx a Syracuse, ugualmente animati da un’attitudine quasi mistica nei confronti della musica, che avvicinandosi al palco si trasformano in un unico superuomo, un campione muscolare aizzato dalle feroci incitazioni di ‘Battle Hymns’: KILL! KILL! KILL!! Manowar on stage significa il requiem per ogni altro contendente, la materializzazione del mitico ‘Dark Avenger’ vichingo espulso dall’Inferno e assetato di vendetta… La trasposizione scenica si identifica nelle figure dei musicisti, concentrati, perfetti in ogni moto dinamico dei propri strumenti, ma senza sacrificare l’animalità istintiva che guida la loro selvaggia azione: un manipolo di barbari del metallo che idealmente rappresentano la lotta contro gli artifici dello show-business, l’anelito totale verso la vittoria senza compromessi (proprio la conclusione del testo sacro, ‘Battle Hymns’), che ha come unico scopo la sottomissione cosciente dell’audience, degli animi rapiti dal True Metal!
Manowar, per chi non se ne fosse ancora accorto, è una band senza eguali, animata da un fervore ed una dedizione assoluta alla sua causa, che è quella di un heavy metal rock non sempre di facile lettura, comunque forte, macho, senza alcun timore di apparire per quello che è. Del concetto epico, dell’enfasi sinfonica e classicheggiante che sta alla base delle loro più importanti invenzioni musicali, vi ho già detto molto in passato, e ormai tutti i più devoti fan dei Manowar sanno che non c’è stato nulla di più MAESTOSO, di più fedele ‘rappresentazione dell’eroe’ in trent’anni di storia del Rock’n’Roll. Ma quello che ulteriormente distingue i Manowar dalle pur gloriose truppe della nostra musica favorita, è l’attitudine appassionata, una sorta di amore supremo verso la loro attività, e il credo serioso, spinto ai limiti della religiosità, che trasfigura il loro ruolo in una missione… Una missione per imporre la musica a cui sono votati con incrollabile fede, che non assume mai l’aspetto di una farsa, di un gioco. I Manowar non fingono nulla, neppure per un attimo.
Il campo di battaglia, l’animus pugnandi, l’esaltazione della forza bruta e virile, sono concetti abbastanza obsoleti se non sono sfumati in una sorta di alone arcano e soprannaturale, come la dimensione mitica del film ‘Excalibur’. Allora anche visioni da tregenda possono trasformarsi in poesia, ed è quanto i Manowar hanno realizzato in ‘Valhalla’, ‘Mountains’, e tanti altri masterpiece. Un personaggio geniale, un autentico visionario come Orson Welles l’aveva capito: immaginate un maestro del cinema, un intellettuale, che si trova di fronte alla proposta di prestare la sua leggendaria ‘Voce’ a un racconto di morte e distruzione illustrato da una sconosciuta rock-band… Barbarie, Heavy Metal: sottocultura per i più, non per lui, che rimane impressionato dalle liriche di ‘Dark Avenger’, offrendosi anche per un insperato follow-up, ‘Defender ‘, naturalmente. Sono convinto che Welles aveva colto la risolutezza, lo spessore artistico dei riottosi personaggi di New York e le due perle della loro collaborazione destinate all’Arca della Gloria come esemplari unici nel loro genere: la forza interiore sprigionata dalla band è degna del raffronto con la solenne, profonda recitazione di Orson.
Gli strali che si ostinano ad affliggere il gigante Manowar sono quelli relativi all’arroganza, alla megalomania dei membri del gruppo… Personalmente stimo gli ambiziosi, quando i mezzi che li sorreggono sono all’altezza delle aspirazioni, ed è certamente il caso dei Manowar. Perché confondersi con la mediocrità, quando si è consapevoli di esserne al di sopra? Inoltre la tesi dell’ostilità verso gli altri gruppi (che mi è servita da pungolo polemico nel corso dell’intervista) è confutabile. Il gruppo riconosce i meriti altrui, ha universalmente sottolineato la disponibilità di Lemmy e dei Motorhead, i soli disposti in tempi recenti ad accettarli come supporter di un tour. Ed i Manowar subiscono un ostracismo da parte degli act ‘maggiori’ fin dalla prima tournée U.S.A. dell’82, quando furono estromessi dalle date live con Ted Nugent e Pat Travers perché troppo validi. I Manowar sotterrano in concerto la maggioranza dei gruppi, nessuno si azzarda ad ingaggiarli come gruppo-spalla (sembra che l’ultimo ‘gran rifiuto’ sia dovuto ai Motley Crue) e la ragione quale sarebbe … la presunzione? Traete voi stessi le conclusioni.
Nei confronti del pubblico l’atteggiamento dei Manowar è sempre stato altrettanto chiaro. In una delle prime interviste rilasciate si leggeva: ‘Non siamo delle star egoiste che salgono on stage per gratificare sé stessi, aspettando l’adulazione dell’audience, senza alcuna voglia d’impegnarsi sui propri strumenti. Siamo giovani, ansiosi di farci conoscere, sentiamo il fuoco bruciare dentro di noi..’: il furore sacro dell’heavy metal. Ed è esattamente ciò che i Manowar hanno dimostrato nell’unica e storica data italiana dell’ultimo tour europeo. Questa è l’H.M. band che ogni rock-fan può riconoscere per le sue impressionanti capacità, per il magistrale equilibrio fra suono di grande impatto e virtuosismi strumentali dovuti ad una tecnica superiore. Impossibile non trasalire di fronte all’acuto siderale di Eric Adams in ‘Valhalla’, ai pirotecnici assoli di basso di Joey DeMaio, che in sofferta simbiosi con il suo strumento dimostra come si può essere il più veloce bassista del mondo senza cedere in feeling ed in espressività. Ross è il più feroce dei guitar-hero, e i suoi furenti raid solistici si riflettono nei lineamenti tesi del volto, dipinto da un’estasi selvaggia, mentre il drumming di Scott Columbus si conferma, a beneficio degli scettici, l’ideale complemento ritmico di questa band di stelle ultra-loud, con la sua impareggiabile ‘force de frappe’ ed i colpi affondati per il massimo effetto-heavy.
Nell’intervista precedente al concerto, Manowar e in particolare il leader Joey DeMaio si sono confermati uomini degni del massimo rispetto, difendendo l’integrità delle loro scelte artistiche con un fervore passionale e schietto che non è sbagliato ricollegare alle loro origini italiane. Quest’intensità tutta latina, probabilmente fraintesa dalla più fredda indole inglese o da quella americana, alquanto superficiale, è forse alla base delle molte vicissitudini sofferte dalla band di New York. Probabilmente il loro Epic Metal non si piegherà mai fino a trasformarsi in un hit da classifica, ma l’orgoglio dei Manowar continuerà a essere lo stesso dei loro più fedeli seguaci…
INIZIO INTERVISTA
Da ‘Sign Of The Hammer’ (ottobre ’84) a ‘Fighting The World’ (febbraio ‘87): un’assenza troppo lunga dal mercato discografico per non essere giustificata…
Joey DeMaio: ‘Tutto è iniziato dai contrasti con la Ten Records, una label assolutamente incapace di promuovere una heavy metal band. Volevano interferire nelle nostre scelte musicali, non accettavano il nostro look, pretendevano di spersonalizzarci, e i Manowar non accettano di essere trasformati in una band ‘qualsiasi’. Così la Ten Records ha rescisso il nostro contratto. Ci siamo messi alla ricerca di una casa discografica che rispettasse la nostra identità, senza cercare di snaturarci, abbiamo scritto nuovi brani e ci siamo esibiti dal vivo solo un paio di volte a New York, oltre alla tournée tedesca dell’anno scorso con Motorhead ed Exciter. Infine abbiamo concluso con la Atco, che ci ha concesso un’autonomia assoluta per la registrazione del nuovo Lp, senza nemmeno imporci un produttore’.
Ma come spieghi il fatto che nessuna band abbia avuto rapporti tanto difficoltosi con le case discografiche come i Manowar?
‘Penso che dipenda dal fatto che Manowar è una band davvero unica e particolare, non etichettabile in uno stile stereotipato, e musicalmente molto potente. Se si sceglie di percorrere senza compromessi la via che abbiamo intrapreso, sarà sempre difficile non incontrare ostacoli, preservare la nostra originalità. E’ molto più semplice adeguarci alla massa, alle leggi del business, ma noi crediamo fermamente in ciò che facciamo, non vogliamo confonderci con la mediocrità che c’è in giro. Come puoi facilmente immaginare, in ogni lavoro esiste chi è compiacente nei confronti del principale, riuscendo così a far carriera, mentre altri che rifiutano un atteggiamento del genere non lo fanno. Noi possiamo essere paragonati a questi ultimi’.
Anche nei confronti delle altre band siete comunque ispirati da un forte senso di antagonismo. Non vi crea problemi constatare d’esservi fatti molti nemici?
‘Il vero problema è quello di trovare qualcuno in grado di competere con noi. Molti gruppi si rifiutano di considerare Manowar come support band per i loro tour: credi che si preoccuperebbero tanto se fossimo degli inetti e il pubblico fosse indifferente nei nostri confronti? La verità è che sempre, nella storia, i grandi personaggi hanno avuto molti nemici. Chi ebbe più nemici di Cesare? Se domini il mondo avrai molta gente accanto a te ma altrettanti oppositori. Questo fa parte del corso della vita: il bene si accompagna sempre al male, non puoi disgiungerli.’
Quindi il titolo del vostro nuovo LP, ‘Fighting The World’, può essere interpretato come il simbolo della vostra storia, del lifestyle Manowar…
‘Sì, certamente. Noi, Manowar, affrontiamo ogni giorno una nuova sfida, anche nei nostri stessi confronti, per dare il meglio facendo ottimi, non solo buoni show, per convincere la gente e chi come te crede in noi del valore e del significato della band, di ciò che rappresenta. Non siamo quattro ragazzi presuntuosi che si fanno pubblicità dicendo che c’è in circolazione troppo pessimo metal. Siamo qui ogni giorno per dimostrare con i fatti quello che affermiamo. Quindi è una lotta senza fine…’
Quale ritieni che sia il vertice espressivo di ‘Fighting The World?’
‘E’ difficile deciderlo, poiché tutti i brani, sebbene con differenti feeling, ci fanno provare sensazioni forti. Probabilmente il pezzo che offre a tutti noi la possibilità di esprimerci al massimo è ‘Black Wind, Fire And Steel’, dove il basso e la chitarra sono davvero terrificanti, la voce è protagonista di continue evoluzioni ed il drumming sembra un metronomo impazzito. Comunque l’LP è un buon campionario di track’.
A proposito, non pensi che ci sia sulla prima facciata una concentrazione di brani più immediati rispetto alla produzione media dei Manowar? Mi riferisco alla title-track, a ‘Blow Your Speakers’ e a ‘Carry On’…
‘Non direi, queste song non sono più ‘commerciali’ di ‘Metal Daze’, ‘Warlord ‘, ‘Animals ‘, ‘All Men Play On Ten’ e di altri pezzi dei precedenti album. L’ispirazione non è differente da quella che ci ha animato in passato. Ci sono in ‘FTW’ brani più complessi ed altri più contratti, alcuni sono veloci ed altri più cadenzati, taluni si possono cantare in coro perché più hard o rock’n’roll. C’è insomma la varietà stilistica che ci ha sempre caratterizzato.’
Personalmente però ritengo che i brani della seconda side (‘Defender’, ‘Holy war’, ‘Black Wind, Fire And Steel’) siano più fedeli allo spirito dei Manowar, con il suo alone epico e visionario, sostenuto da un’azione strumentale molto tecnica…
‘Infatti quei pezzi rappresentano molto bene quello che noi significhiamo per molta gente, ma per tanti altri song come ‘Fighting…’ hanno lo stesso valore: non tutti hanno la medesima predisposizione nei confronti della musica e provano gli stessi sentimenti. Gli headbanger vanno ai concerti per divertirsi, per bere e urlare ‘Heavy Metal!’. Quando noi seguiamo ‘Metal Daze’ e brani del genere quel pubblico le canta in coro con noi e si fa maggiormente coinvolgere. Altre track, più difficili, attirano l’attenzione di persone come te che amano ascoltarle anche in silenzio, apprezzandone gli spunti più originali. Noi cerchiamo di comporre materiale che soddisfi ogni nostro fan: tutto il pubblico dei Manowar è devoto, ha seguito le nostre vicissitudini e merita rispetto. Sempre, anche nei prossimi album, conserveremo questa formula che alterna brani lunghi e brevi, epici ed anthemici.’
Come mai non vi siete affidati ad un producer di grido, come quell’Eddie Kramer che vi ha assistito nella registrazione dell’ultimo demo-tape, e che ha ottenuto eccellenti risultati con Anthrax e Pretty Maids?
‘Noi stessi abbiamo voluto produrre ‘Fighting The World’ perché non avevamo bisogno di alcun supervisore che intervenisse nelle nostre scelte musicali, rischiando di alterare la potenza del suono dei Manowar. Per noi è meglio fare ciò che sentiamo veramente, nella mente e nel cuore.’
L’esito è stato effettivamente eclatante…
‘Il suono di questo LP è senz’altro il migliore mai ottenuto dai Manowar. Il sistema di registrazione adottato è quello digitale e l’impatto della strumentazione è risultato estremamente forte, frastornante.’
Siete stati colpiti dalla morte di Orson Welles, il leggendario attore-regista che è stato anche il vostro ‘narratore’ in ‘Dark Avenger’ e ‘Defender’?
‘Siamo rimasti scossi molto profondamente. Ci è capitato raramente che qualcuno si facesse avanti per darci una mano senza chiedere nulla in cambio. Orson si è comportato da vero amico nei nostri confronti gli piacque subito l’aspetto ‘visionario’ della nostra musica e la sua voce era il complemento ideale per i brani che abbiamo registrato insieme. Siamo stati davvero fortunati nel conoscerlo, è stato un grande uomo ed un grande personaggio: abbiamo voluto rielaborare ‘Defender’, la cui incisione originale era stata affrettata, proprio per offrire a lui un sincero tributo, nel momento del nostro ritorno alle scene.’
Ross, cosa ne pensi dell’esplosione dei nuovi guitar-hero, come MacAlpine, Vinnie Moore, Chastain? Non ti interesserebbe fare un disco tutto concentrato sul tuo axe-work?
Ross The Boss – C’è oggi abbondanza di validi chitarristi; alcuni mi piacciono, come Yngwie Malmsteen, altri secondo me cercano troppo d’imitare lo stile di caposcuola come Eddie Van Halen. Forse un giorno realizzerò qualcosa di simile a un lavoro di sola chitarra, ma non ho fatto alcun progetto perché oggi sono troppo interessato ai Manowar per preoccuparmi d’altro…
C’è chi dice che il tuo sogno sia di comporre una piéce classica…
Ross – Noi tutti ascoltiamo musica classica più di ogni altra cosa. Ho sempre sostenuto che il vero Heavy Metal è la trasposizione attuale del feeling di autori come Wagner, Bach, Beethoven.
Joey: – Paganini è il mio favorito. Vorrei davvero visitare Genova, la città dove nacque, mi dispiace non avere il tempo per andarci, ora che siamo finalmente venuti in Italia.
Certamente — e mi rivolgo ancora a Ross — le tue precedenti esperienze con i Dictators e gli Shakin’ Street non avrebbero fatto sospettare le influenze classiche poi rivelate dai Manowar…
Ross – A differenza di quanto si dice in malafede, io non rinnego nulla del mio passato, anche se non c’è paragone con l’intensità dei Manowar. I dischi incisi con quei gruppi mi piacciono ancora, e non li respingo affatto.
Qual è invece il background di Eric Adams, che molti giudicano la miglior voce dell’heavy metal?
Eric – Ho iniziato a cantare giovanissimo, avevo una band chiamata The Kids che riscosse un notevole successo in Spagna quando ero solo undicenne. Apparimmo persino in televisione sul canale nazionale. Poi non è successo più nulla di particolarmente importante fino a quando ho conosciuto Joey e Ross: Manowar è la band che ho sognato tutta la vita. Il segreto della mia estensione vocale? Tanto esercizio, un vero e proprio, costante ‘allenamento’…
Ammettiamo di essere in prossimità del giorno dell’Apocalisse: vi è consentito di salvare una sola band, oltre alla vostra. Per chi optereste?
Joey – Sceglierei certamente gli originali Black Sabbath, che mi piacerebbe proprio rivedere insieme. Penso siano stati ‘the ultimate H.M. band’. La loro maniera di proporsi al pubblico era la più onesta: senza effetti speciali, senza trucchi. Loro erano effettivamente ciò che mostravano d’essere, e la gente li amava per questo. Semplicemente investivano l’audience con vera heavy music. I Manowar seguono lo stesso concetto: non abbiamo bisogno di mascherarci dietro a trovate spettacolari, le lasciamo volentieri a chi è costretto a nascondere la sua mancanza di talento. Il nostro è un puro heavy metal show.
Quale sentenza allora sul sensibile orientamento dell’H.M. verso le forme speed-thrash?
Joey – E’ una buona cosa vedere tanti giovani musicisti che rifuggono i soliti schemi, suonano con tanta potenza e convinzione. Penso si tratti di un’attitudine onesta. Mi piacciono le punte di diamante del Thrash: Anthrax, Metallica, Slayer…
Ma non dovevano essere i Manowar a denigrare tutto e tutti? Lasciamo ai poveri di spirito queste futili conclusioni…
DISCOGRAFIA LP
MANOWAR
BATTLE HYMS (1982-LIBERTY): La carriera dei Manowar parte sotto i migliori auspici, con un contratto per la EMI Americana e il management Aucoin di fama-Kiss. La produzione del debut album suona ai giorni nostri piuttosto datata, ma il disco include cavalli di battaglia ‘1ive’ come ‘Metal Daze’ e ‘Manowar’; oltre agli indimenticabili classici ‘Dark Avenger’ (starring Orson Welles) e ‘Battle Hymns’, a mio avviso ‘il più epico brano della storia del R’n’R’… La tecnica e il feeling del nuovo astro Joey DeMaio si illustrano nella riedizione del ‘Guglielmo Tell’ e Ross semina il panico coni suoi assoli incendiari.
INTO GLORY RIDE (1993-MUSIC FOR NATIONS): La EMI ha ‘bruciato’ i Manowar per problemi finanziari, e la band vede troncata la sua ascesa, attende un nuovo contratto (Megaforce /MFN) e se la prende con il mondo intero. Manowar sono assetati di vendetta, e si sente, poiché ‘Into Glory Ride’ è il loro album più feroce… Scott Columbus (che sostituisce il più ‘leggero’ Donnie Hamzik) si presenta con il suo drumming roccioso in ‘Warlord’, e brani come ‘Secret Of Steel’ e ‘Valhalla’ sono autentici monumenti al rock epico, dalla grandeur sinfonica, alternando lirismo e furore. Grande protagonista è Eric Adams, che possiede le intonazioni vocali più impressionanti del momento (e non solo…).
HAIL TO ENGLAND (1984-MUSIC FOR NATIONS): ‘HTE’ esce nel febbraio ’84 a pochi mesi di distanza dalla ‘Glory Ride’, così i soliti detrattori insinuano si tratti di materiale di risulta. Invece Metal Forces lo giudica a tutt’oggi il miglior LP dei Manowar. In realtà il disco regge alla pari il confronto con il mostruoso predecessore, ripristinando il tipico warrior-rock dei Manowar in ‘Kill With Power’, rivolgendosi al dark metal nel classico ‘Bridge Of Death’ e ottenendo effetti corali sontuosi nella title track.
SIGN OF THE HAMMER (1984-TEN RECORDS): ‘Sign’ chiude il primo ciclo della saga dei Manowar, siglato da grande musica e grandi contrasti con le label. Anche la Ten Rec. durerà lo spazio di un solo LP. E’ probabilmente l’album più maturo e versatile, con qualche riserva sulla produzione. C’è tutto l’eroismo dei fighters dell’HM in ‘Thor’ e nella title track, c’è la vena più carnale in ‘Animals’ e quella più immaginifica in ‘Mountains’, mentre ‘Guyana’ è un capolavoro d’imprevedibilità, calato in atmosfere voodoo.
FIGHTING THE WORLD (1987-ATCO): Il nuovo start alla marcia dei Manowar non è il loro miglior LP a livello compositivo, ma è certo quello che possiede il suono più potente: the heaviest metal ever recorded! Registrato con sistema digitale e prodotto dagli stessi Manowar è reperibile anche su compact disc, dove la deflagrazione degli strumenti è assoluta: in particolare Columbus trasferisce su vinile il più dirompente drum-sound dai tempi di ‘Creatures Of The Night’ dei Kiss (già scritto, ma vero). Titoli da ascoltare in priorità: ‘Defender’ (per la prima volta su LP), ‘Holy War’, ‘Black Wind, Fire And Steel’.
BEPPE RIVA
Articolo a cura di Stefano “Steven Rich” Ricetti