Power Progressive

Intervista Myrath (Kevin Codfert)

Di Davide Sciaky - 4 Marzo 2024 - 9:00
Intervista Myrath (Kevin Codfert)

Intervista a cura di Davide Sciaky

You can read the interview in English here.

Ciao, come stai?

Tutto bene.

Benvenuto su TrueMetal. La prima cosa che vorrei chiederti oggi riguarda il tuo ruolo nella band. Hai lavorato a lungo con i Myrath, ma recentemente sei entrato a far parte della band come membro ufficiale. Mi chiedevo se, per questo motivo, hai iniziato a essere più coinvolto nel songwriting della band o se, magari per via del tuo ruolo di produttore, sei sempre stato coinvolto allo stesso modo. Il cambiamento del tuo ruolo ha cambiato anche il modo in cui sei coinvolto nella band?

Fondamentalmente non è cambiato nulla. Lavoro con la band da 15 anni ormai. Produco, compongo, suono il piano nei dischi. Quindi, sì, voglio dire, due anni fa Zaher, il cantante, mi ha detto: “Kevin, sei una persona un po’ timida e stai facendo tutto questo lavoro, componendo le canzoni e facendo un sacco di cose per la band. Ci manchi sul palco e vorremmo che almeno suonassi le tue parti di piano [ride]. Perché preferiamo avere te sul palco piuttosto che qualcun altro”. Quindi, sì, voglio dire, non è cambiato nulla per quanto riguarda il processo. Solo il fatto che io sia sul palco è stato un po’ diverso. E sono molto contento perché il primo tour che ho fatto con la band è stato in America Latina, e mi ricordavo com’era stare sul palco con dei veri musicisti. Voglio dire, ho lavorato con la mia band precedente, gli Adagio – era una band francese che oggi non esiste più – e ho fatto molti concerti con gli Adagio, ma avevo smesso di suonare sul palco. Quindi, in sostanza, la differenza principale tra adesso e prima è che condivido le emozioni sul palco con la band, ma dal punto di vista logistico o della struttura di come facciamo le cose non è cambiato nulla.

Hai detto che hai registrato anche il pianoforte come in passato. Eravate tu ed Elias a registrare o eri solo tu a fare tutto?

Dipende. Per quanto riguarda il pianoforte – quando parlo di pianoforte intendo il suono del pianoforte, le parti di pianoforte – fondamentalmente sono stato io per tutti gli album. Elias si occupava degli arrangiamenti arabeggianti.

A proposito di lui, un paio di anni fa è stato annunciato che non avrebbe più fatto parte della band. E in quell’annuncio, lo stavo leggendo proprio qualche minuto fa, ho visto che tu non eri menzionato. Quindi mi chiedevo: ti hanno chiesto di unirti alla band in un secondo momento? O è avvenuto in contemporanea, come se ti avessero chiesto di sostituire Elias?

Sì, è stato in contemporanea. Quello che è successo è che io avevo una visione diversa del futuro della band e ho iniziato a entrare in conflitto con Elias, non in senso negativo, ma semplicemente non avevamo la stessa visione. Per me, per continuare con la band, la condizione era non lavorare più con Elias. Abbiamo discusso insieme e ho detto molto onestamente alla band e a Elias che non mi sentivo a mio agio a fare un nuovo album con lui. E’ andata così e, forse un giorno dopo, Zaher mi ha chiamato e mi ha detto: “Abbiamo discusso e vogliamo averti sul palco con noi. Per favore, Kevin, non vogliamo assumere un nuovo tastierista.
Suoniamo insieme”.

Ho intervistato Zaher per entrambi gli ultimi due album, Legacy e Shehili, ed entrambe le volte gli ho fatto una domanda, quindi mi tocca farla anche a te con l’uscita di questo nuovo album. Entrambe le volte mi ha detto che la band aveva trovato la ricetta perfetta, il suono perfetto per il gruppo. Prima con Legacy e poi con Shehili, mi ha ripetuto che avevate trovato una nuova ricetta che in quel momento rappresentava al meglio quello che era la band. Pensi che la ricetta sia stata aggiornata? Pensi che oggi vi siate evoluti e abbiate un nuovo sound, che è il migliore per chi sono i Myrath oggi?

Sì, credo che qualche anno fa, se fossi stato al posto di Zaher, ti avrei detto esattamente la stessa cosa. Ma da musicista, quando cresci, ti rendi conto che non ha senso dire queste cose. Perché nei Myrath cerchiamo di non intellettualizzare quando componiamo. E naturalmente, quando c’è eccitazione intorno a un’uscita, si tende a dire che questo è il miglior album di sempre.

Ma non ti dirò che questo è il nostro album migliore. 

Ti dirò che abbiamo cambiato il processo di composizione, quindi è diverso. Voglio dire, la differenza principale, la differenza davvero, davvero primaria tra questo album e gli altri è dovuta a COVID. Per gli album precedenti, il processo era: ho un’idea, la mando via e-mail a Zaher, 24 ore dopo lui mi risponde con un’idea. E facevamo avanti e indietro, un processo molto digitale e molto noioso. Ma per questo album, e per via di COVID… sai, eravamo in tour in Europa, e l’ultimo concerto del tour prima del COVID era a Lipsia, una piccola città in Germania. All’improvviso il confine si è chiuso. Quindi, in quanto cittadino francese, sono riuscito a tornare a casa rapidamente, in 24 ore. Ero nella mia piccola città, nella mia piccola casa. Ma sfortunatamente per i tre membri tunisini, il governo tunisino non ha organizzato dei voli per i riportarli a casa e sono rimasti bloccati lì. Ho detto loro: “Ok, ragazzi, venite a casa mia, troveremo una soluzione”. E invece non abbiamo trovato una soluzione prima di sei mesi. Così sono rimasti bloccati con me nella mia casetta, con mia moglie e il mio cane. Un incubo, perché immaginate sei persone in una casa minuscola, sì, è stato molto, molto difficile.
Ma ho colto l’opportunità di comporre con loro perché, voglio dire, molte band normali potrebbero dirvi che il processo normale per una band è avere tutti in un’unica stanza a comporre. Ma in realtà, per i Myrath, è stata la prima volta che ho potuto svegliarmi e avere un cantante davanti a me e dirgli: “Puoi provare questo?”. Io e il mio pianoforte, sai, “Puoi provare questo? Ok, proviamo una cosa diversa bla, bla, bla”. In questo modo abbiamo potuto provare 10 volte più cose. Naturalmente abbiamo buttato via l’80% del materiale perché abbiamo composto troppo. Ma questo per dirvi che il processo è stato fluido ed è stato un processo regolare di composizione. Così, quando questo processo è cambiato, è cambiata anche la musica, perché quando tutti i membri della band sono nella stessa stanza, non c’è bisogno di molto in termini di arrangiamenti. Immaginati che per gli album precedenti, ad esempio quando ho composto Believer, ero da solo nella mia stanza. Elias è venuto ad aiutarmi, ma per la maggior parte ero da solo con la mia chitarra. Io non suono bene perché non sono un chitarrista quindi ho cercato di mettere sempre più livelli di arrangiamento con le miei VST. E alla fine ti ritrovi con un arrangiamento enorme perché cerchi di coprire le tue lacune. Mentre quello che avevo per questo album era un vero chitarrista, un vero bassista e un vero cantante con me. E quando tutti lavorano insieme, ti dici: “Sì, non passerò 20 ore a cercare di ricostruire le emozioni con il mio computer”. Perché tutto è già lì, sai, e forse è per questo che in questo album ci sono un po’ meno arrangiamenti. Perché, dal mio punto di vista e da quello della band, non era necessario.

In generale l’album ha anche meno elementi orientali folkloristici rispetto al passato. Avete mai discusso di questo all’interno della band? Perché, voglio dire, era un elemento piuttosto importante e distintivo del suono della band. Vi siete mai detti: “Ok, ragazzi, magari cerchiamo di aggiungere qualcosa in più”, oppure “E’ bello così com’è, non ne abbiamo più bisogno di altro”?

No, no, no. Forse nel prossimo album ne inseriremo di più. Forse di meno.Voglio dire, non abbiamo discusso perché eravamo tutti insieme nella stessa stanza. Quindi se senti che una cosa è naturale e la provi e piace a tutti, non ti poni il problema. Ma la seconda ragione per cui c’è un po’ meno… in realtà, non c’è molto meno arrangiamento. È solo una questione di una gestione diversa dei volumi nell’arrangiamento. E questo è qualcosa che viene da Jacob Hansen, il produttore con cui lavoro. Mi ha detto: “Kevin, ok, mi porti 80 strati di tracce per ogni canzone, ma devi sapere che l’orecchio umano medio non può gestire milioni di note. E vorrei provare a fare qualcosa di diverso per questo album”. E io gli ho detto: “Sì, perché no? Proviamo”. Mi ha detto: “Proviamo a fare una cosa: il punto è che per ogni parte dobbiamo trovare un argomento principale. E questo argomento principale può essere il cantante, ovviamente, e in quel punto il focus sarà sul cantante. E quando è la chitarra, è la chitarra. Quando si tratta di violino, si tratta di violino. Ma cerchiamo di non mettere troppe informazioni in un punto solo perché per le orecchie normali sarà molto più facile capire cosa succede. Naturalmente, i fan dei primi album con un sacco di roba ti diranno che non c’è abbastanza arrangiamento. Così non ci piace, bla, bla, bla. Ma credimi, per – non per il mainstream, perché non mi piace questo termine – ma per i fan del Metal in generale, sarà molto più facile capire cosa stai cercando di fare. E gli ho detto: “Sì, mi piace sperimentare, se funziona, funziona. Se non funziona, non funziona. Ma non morirò se è sbagliato. Voglio dire, le cose nuove accadranno grazie alla sperimentazione e non bisogna avere paura di provare. Quindi, sì, alla fine abbiamo ottenuto qualcosa di più minimalista grazie a Jacob.

Mi ha detto che in passato lavorava a distanza e che questa volta siete riusciti a stare tutta nella stessa stanza. Ora che avete provato entrambe le cose, avete una preferenza? Ora che hai provato, in futuro vorresti lavorare solo in un modo o è ancora tutto da decidere?

Cercherò di fare metà e metà, perché la cosa bella di essere soli è che si è soli. E io sono un tipo introverso, quindi più c’è gente con me, più la mia energia si consuma, sai, ma è per colpa mia. È a causa del mio modo di fare le cose. Ma stare da solo ti fa perdere molte opportunità di idee. Quindi cercherò sicuramente di fare una sorta di mix. Voglio dire, non posso permettermi di portare tutta la band a casa per sei mesi perché potrebbe essere molto, molto costoso.

E forse tua moglie non sarebbe molto contenta.

Non sarebbe affatto contenta. Quindi la cosa migliore da fare, credo che lo scenario migliore sarebbe portare Zaher con me. Perché per me il cantante è la cosa più importante nella musica. Proveremo le cose insieme e finiremo il lavoro solo con noi due. Ma ho bisogno di Zaher. Voglio dire, Zaher ha un modo fantastico di dare vita alle emozioni e alle idee, alle idee vocali. Innanzitutto per la sua sensibilità. Lui è molto sensibile. Io non lo sono. Sono un tipo pragmatico e analitico. Non credo nel karma, anche se l’album si chiama Karma. E così porto struttura alla band, ma mi manca, non l’emozione, perché senza emozione non si può comporre. Ma non sono sensibile come Zaher e mi manca questo, sai, e ho bisogno di lui.

Hai detto più volte che componi la musica lavorando con Zaher. C’è qualche altro membro della band che partecipa alla stesura delle canzoni o siete solo voi due?

Tutti sono coinvolti, ma è una questione di proporzioni. Voglio dire, io e Zaher, da qualche album a questa parte, ci occupiamo forse del 60-70% delle canzoni.

Come hai detto, Karma è il nome del nuovo album ed è un po’ sorprendente, forse, o comunque inaspettato, perché tutti gli album precedenti erano legati al lato orientale della band, mentre Karma è un concetto filosofico indiano. Puoi dirmi perché Karma? Qual è il significato di questo nome? Perché avete scelto questo nome?

Quando abbiamo iniziato a lavorare sui testi sapevamo esattamente l’argomento di cui volevamo parlare. E sapete che, soprattutto i tre membri tunisini, da quando sono nati, hanno talvolta sofferto discriminazione, razzismo, cose del genere. Io sono francese, quindi so che la discriminazione e il razzismo esistono, ma non puoi capirli appieno finché non li vedi con i tuoi occhi. E lavorando con la band da 15 anni a questa parte, ho visto davvero cosa sia il razzismo. Ne ho le prove. Ne abbiamo sofferto quando abbiamo suonato in America Latina, dove ogni volo era in ritardo o non potevamo prenderlo perché la band veniva sottoposta ad un interrogatorio ogni volta. Perché ogni volta che mostri il passaporto verde [tunisino] hai dei problemi. Quindi ho capito meglio questo genere di cose. E loro volevano parlarne, parlare anche del cambiamento climatico, dei fallimenti, della depressione. Zaher soffre di depressione da due anni e non è un segreto. Voglio dire, ne parla apertamente. Quindi, dopo tutto questo, dovevamo trovare un’unica parola che lo rappresentasse. Ed è davvero difficile. E poiché Zaher è una persona molto spirituale, mi ha detto: “Sì, per me il nome giusto è Karma”. Voleva usare questo nome già per l’album precedente, ma questa volta era, secondo me, il momento perfetto. E io gli ho detto: “Il collegamento è perfetto con tutti gli argomenti perché… Sì, dobbiamo farlo”. L’ho sentito in questo modo. Ma Karma è legato anche al… Il singolo nome è legato anche al singolo elemento, la mela della copertina. Dovevamo anche trovare qualcosa di più minimalista possibile per rappresentare il testo. E abbiamo avuto l’idea di una mela bella all’esterno e marcia all’interno, che è, ovviamente, un collegamento in generale ai testi delle canzoni.

Dal vostro precedente album avete iniziato a lavorare con la earMUSIC, che è un’etichetta molto più grande di quelle con cui avete lavorato in precedenza. Che impatto ha avuto sui Myrath? Ha avuto un grande impatto sulla band?

Per quanto riguarda l’immagine della band, ha avuto un impatto enorme perché nelle prime due settimane dall’uscita di Shehili siamo finiti sulle copertine di forse sei, sette riviste e non era mai successo prima. Non ti dico che questo fa aumentare automaticamente le vendite, ma psicologicamente, quando sei sulla copertina di una rivista, la gente comincia a dire: “Ok, forse è una band che potrebbe interessarmi. Approfondiamo un po’.”. E questo tipo di mossa è possibile solo grazie ad aziende come earMUSIC. Quindi, sì, ci stanno aiutando molto per quanto riguarda l’immagine.

Ho solo un’ultima domanda: un paio di giorni fa è stato annunciato che tornerete in Italia la prossima estate. Credo sia il primo show che avete annunciato per quest’anno. Verrete a un festival, il che è un bel miglioramento rispetto all’ultima volta che siete venuti in Italia, sei anni fa in un piccolo club. La mia domanda è: come si è evoluto lo spettacolo della band negli ultimi sei anni? E per le persone che sono venute a vedere i Myrath in Italia l’ultima volta, cosa possono aspettarsi da questo spettacolo ora?

Qualcosa di totalmente diverso. Qualche anno fa, dopo molti concerti, eravamo… a volte abbiamo ancora qualche difficoltà, ma ora succede di meno. Ma qualche anno fa, insieme alla band, abbiamo deciso di portare sul palco qualcosa di nuovo perché avevamo la sensazione che avere cinque membri che suonano sul palco non fosse sufficiente al giorno d’oggi. Così abbiamo fatto brainstorming, abbiamo parlato di trucchi di magia, abbiamo parlato di molte cose e abbiamo cercato di capire come fosse possibile creare qualcosa di diverso. Tutto è iniziato con un concerto allo Sweden Rock, la prima volta che abbiamo suonato allo Sweden Rock.
Per prepararci a questo concerto, ho chiamato il mago che si era esibito al mio matrimonio. Gli ho detto: “Potresti aiutarci a fare qualcosa?”. Ho anche trovato un mangiafuoco e gli ho detto: “Non ho idea di cosa fare con te, ma proviamo a fare qualcosa”. Così abbiamo lavorato molto sulla coreografia. E quando tutto era pronto, abbiamo proposto…. È stato buffo, perché prima di salire sul palco, suonavamo nel tendone piccolo del Sweden Rock con solo due persone della crew. E loro mi hanno detto: “Amico, noi ti aiuteremo, ma tu sei pazzo. Voglio dire, non siete pagati quasi per niente e spendete 20.000 euro per la produzione… state buttando via i vostri soldi e questo è stupido. Siete degli sconosciuti. Ti aiuteremo, ma poveri voi”, mi hanno detto. Abbiamo fatto questo spettacolo. C’era l’apparizione magica di Zaher. No, anzi, si trattava di levitazione, l’apparizione che abbiamo fatto dopo, ma era la levitazione, i mangiatori di fuoco, una ballerina e c’era una storia che si sviluppava nell’arco di un’ora. E quello che è successo è che, subito dopo questo concerto, il proprietario dello Sweden Rock ci ha detto che l’headliner del festival aveva appena annullato. Quindi quel giorno avremmo suonato nuovamente ma come headliner.
Wow.
E siamo passati dalla piccola tenda al palco principale. E subito immediatamente finiti al primo posto in Svezia su Spotify nella categoria Metal, in circa tre ore.
Quindi fare un vero show ci ha dato la prova che questo può avere un effetto concreto. Naturalmente, è molto difficile adattare tutto questo in altre situazioni, perché costa un sacco di soldi e non si può fare questo tipo di cose ogni volta. Ma l’effetto collaterale è che i compensi della band sono stati moltiplicati per quattro in un solo anno. E non era mai successo prima. Voglio dire, avevamo il nostro cachet c’era una progressione buona, anche se quasi nulla, a dirla tutta. Poi abbiamo messo un mago sul palco e, boom, è aumentato immediatamente. Quindi, sì, per l’Italia, potete aspettarvi… Voglio dire, dobbiamo ancora fare i conti, e a seconda dell’itinerario e del costo dei voli, ovviamente, non tutto è possibile ogni volta che suoniamo. Ma cercherò di fare il massimo con il budget che abbiamo. Ma di sicuro i fan ascolteranno e vivranno un’esperienza magica sul palco!

In questo articolo