Intervista Obituary (Donald Tardy)
You can read this interview in English on the 2nd page
Pochi momenti prima del concerto di Stoccolma degli Obituary, uno degli ultimi del tour europeo, abbiamo incontrato Donald Tardy, batterista e co-fondatore della leggendaria band di Tampa.
Insieme abbiamo parlato dell’ultimo album, dell’attuale line-up della band, della scena Death e di molto altro.
Intervista a cura di Davide Sciaky
Ciao Donald, come stai?
Molto bene amico, siamo alla fine del tour.
Già, com’è andato?
Oh, è stato fantastico.
Abbiamo suonato ventuno show finora, quindi ne mancano solo tre o quattro; è stato un tour lungo ma gli show sono stati incredibili.
Il vostro ultimo album, “Obituary”, è a detta di molti il vostro miglior disco da tempo, forse addirittura al livello dei vostri classici. Sei d’accordo con quest’affermazione?
Sì, sono davvero, davvero orgoglioso di questo nuovo disco, tutta la band lo è.
Sai, le band sono sempre contente del loro nuovo album, ma a volte non è il giusto momento e, anche se pensi di aver scritto un gran album, a volte viene poco considerato, non colpisce tutti come dovrebbe.
Ma questo sembra avere un gran songwriting, grandi canzoni, gran tempismo e l’etichetta ha fatto un gran lavoro per promuoverlo e assicurarsi che raggiungesse tutti, oltre ad averci davvero aiutato a dare il massimo dal punto di vista creativo.
Pensi che l’ultima line-up della band vi abbia aiutato a trovare la stabilità necessaria a permettervi di raggiungere un livello qualitativo tanto alto?
Sì, voglio dire, non c’è alcun dubbio che avere Terry e Ken nella band…loro sono gli ultimi pezzi del puzzle e ora siamo una band davvero solida.
Siamo ottimi amici, siamo tutti sulla stessa lunghezza d’onda nel senso che siamo tutti professionisti, la prendiamo sul serio quando si tratta della band e dei concerti, ma non la prendiamo troppo sul serio dato che alla fine quello che facciamo è intrattenimento.
Sappiamo che quando la gente viene ad un concerto di solito arriva dal lavoro ed è pronta a divertirsi, quindi non siamo quel tipo di persone, lo sanno tutti, che hanno bisogno di indossare giacca di pelle, pantaloni di pelle, stivali di pelle o di usare facepainting, non siamo quel tipo di band, lasciamo che sia la musica a parlare e siamo estremamente contenti della nuova musica, e la line-up è estremamente solida in questo momento.
Questo è il vostro secondo album con Terry Butler e Kenny Andrews, pensi che abbiate lavorato meglio come band quando avete registrato il disco, dopo aver passato un po’ di anni insieme, o è stato uguale a quando avete registrato l’ultimo album?
Penso che ci sia una fase di apprendimento con la band e tutti, sai, con “Inked in Blood” era il primo album con Ken e Terry, quindi lo sviluppo dell’alchimia tra di noi, il tempo che abbiamo passato in studio insieme, la performance insieme, era ancora questa fase ti apprendimento.
Ora con il nuovo album ci siamo decisamente divertiti in studio, ci siamo assicurati di essere rilassati e di buon umore perché, non so quanti lo sanno, ma l’attitudine e lo stato mentale in cui si trova un musicista è importante quasi quanto l’essersi esercitati con le nuove canzoni.
Puoi esserti preparato per un anno, ma se entri in studio quel giorno con le cose sbagliate per la testa, di cattivo umore, probabilmente non suonerai nel modo in cui vorresti; noi siamo una band vecchia, faccio quello che faccio da tanto tempo, quindi mi sono assicurato che Ken se ne rendesse conto prima di suonare le sue parti, letteralmente amico, che realizzasse quanto siamo fortunati, quanto questo sia fottutamente divertente, e lui l’ha davvero capito, quindi ci siamo divertiti a registrare e in parte questo è dovuto alla nostra amicizia.
Una delle prime cose che si può notare dell’album è il titolo e la cover, molto semplicistica, soprattutto se la confrontiamo con quelle molto esplicite degli album vecchi. Come mai queste scelte?
Non è stata una decisione difficile, non è che stavamo aspettando 30 anni e 10 album per pubblicare un album omonimo.
Sapevamo di volere qualcosa di classico, quindi quando abbiamo visto l’artwork sapevamo che non era così importante studiare i testi di John per trovare il titolo perfetto per l’album, non
ne abbiamo fatto una gran storia, ci siamo detti, “Sapete cosa? Le canzoni sono fantastiche, la copertina è una bomba, è così classica, così semplice”, quindi ci siamo guardati l’un l’altro e abbiamo detto, “Sapete cosa? Perché un titolo? Perché qualcosa con…cinque parole che deve essere lungo e significativo?”.
Gli Obituary sono in giro da un sacco di tempo, ci siamo detti, “Sapete cosa? La maggior parte delle band lo fanno con il loro primo album, un album omonimo…perché non farlo con questo? Perché non il decimo?”, e quindi abbiamo detto, “’Fanculo, non ha bisogno di un titolo!”.
Non ne aveva bisogno ed eravamo tutti della stessa idea.
Il vostro album precedente, “Inked in Blood” è stato finanziato usando Kickstarter per il crowdfunding e poi distribuito dalla Relapse Records; avete seguito un processo simile anche questa volta?
No, “Inked in Blood” ed il crowdfunding erano qualcosa che…era una novità, 4-5 anni fa non sapevo neanche cosa fosse Kickstarter, il crowdfunding era molto nuovo per il, per il mondo penso, magari qualcuno l’aveva studiato ma era sicuramente qualcosa di nuovo per noi, quindi abbiamo fatto i nostri compiti, abbiamo visto come funzionava e abbiamo messo degli obiettivi realistici su quello che potevamo fare per i fan.
Molta gente non ha osservato bene quello che abbiamo fatto e ha cominciato a dire, “Avete elemosinato i soldi ma poi siete andati con un’etichetta”, ma in realtà tutti coloro che hanno fatto parte della campagna su Kickstarter hanno ottenuto qualcosa, chi un bel poster, se questo è quello che volevano, chi voleva una maglietta ha avuto la maglietta, chi voleva una bacchetta della batteria autografata ha avuto quella, quindi tutti hanno ricevuto qualcosa e il nostro obiettivo era di raccogliere soldi e vedere, “Abbiamo davvero bisogno di un’etichetta? Possiamo mettere in piedi un album da soli?”.
Ma quando cominci a vedere tutto il lavoro delle compagnie di distribuzione ed il motore che permette agli album di raggiungere tutto il mondo con successo, con efficacia, abbiamo capito subito che avevamo abbastanza per pagare la copertina, la registrazione, la masterizzazione, la stampa degli album, ma poi abbiamo dovuto metterci in contatto con la Relapse Records per distribuirlo e farlo arrivare nei negozi di dischi.
Quindi, è stato un processo divertente, ma è anche stato un incubo per la band per quanto riguarda fisicamente…avevamo 908 persone [che hanno partecipato alla campagna], mi sembra, e all’inizio ci siamo detti, “Oh, è fantastico! È fantastico!”, ma poi ci siamo guardati e abbiamo realizzato, “Oh mio Dio, dobbiamo mettere insieme 900 pacchi!”.
E non era un semplice, CD, etichetta [fischio], CD, etichetta [fischio], era, “Ok, Bob dal Texas vuole una maglietta taglia medium, un poster autografato, una bacchetta”, e devi assicurarti che tutto sia fatto bene, quindi è stato assolutamente un incubo per noi, ma un’esperienza figa, ci siamo fatti il culo e penso che i fan che sono stati parte di questa cosa si siano goduti il processo che c’è stato dietro e quello che hanno ricevuto.
Per il nuovo album sapevamo che la Relapse fa un ottimo lavoro, sono una piccola etichetta ma andiamo d’accordo alla grande con loro, e sono super-creativi ed efficienti.
Ci siamo messi al lavoro sapendo che loro avrebbero fatto alla grande il loro mestiere, in modo da lasciarci concentrare sullo scrivere un grande album.
Negli anni gli Obituary hanno sempre avuto lo stesso nucleo principale di autori delle canzoni [John per i testi, Donald e Trevor per le musiche]; dopo tanto tempo avete un processo consolidato, o il modo in cui scrivete musica cambia a seconda delle situazioni?
Siamo gente molto semplice, non abbiamo bisogno che sia il giusto momento…iniziare a scrivere musica a mezzanotte quando c’è la luna piena, sai, non siamo quel tipo di persone.
Io e Trevor siamo solo quel tipo di persone che, sai, se ci va di vederci ci apriamo un paio di birre fredde e nell’arco di 15-20 minuti sappiamo se quel giorno succederà qualcosa, quasi immediatamente, quasi nei primi 5-10 minuti abbiamo già un riff, vediamo qualcosa in un pattern di batteria che faccio sentire a Trevor, in qualcosa che mi ha fatto sentire lui ieri, ma non siamo quelle persone che, “Oggi abbiamo passato 6 ore in studio per scrivere una canzone” [ride], sai, se non succede in un’ora e mezza, quando si tratta di scrittura, se non succede in un’ora…non siamo scienziati missilistici, non facciamo operazioni a cuore aperto, scriviamo riff Heavy Metal.
Normalmente ci viene subito quando si tratta di scrivere musica, siamo persone semplici, non ci mettiamo troppa pressione, se non succede oggi domani sarà sempre lì per scrivere un riff.
Il vostro approccio al Death Metal è molto tradizionale e genuino in confronto a quello di molte band più giovani che sono molto tecniche, ma a volte anche un po’ fredde. Cosa pensi della scena Death di oggi? Te ne senti parte o ti sembra qualcosa di alieno?
Sì, è un po’ strano.
Non so come descriverlo, e non voglio passare per uno a cui non piace, apprezzo quello che molte band stanno facendo, capisco che la ruota è già stata inventata e non si può reinventare la ruota, esistono già un milione e più riff, ritmi e canzoni nella storia dell’Heavy Metal e del Rock N’ Roll, quindi capisco che non si può ripetere sempre tutto e rimanere tradizionali, capisco che non tutte le band vogliano essere…semplici, apprezzo quello che fanno ed è folle, blast beat a mille all’ora, è decisamente qualcosa di necessario, esplorare come si può andare avanti, è importante.
Ma, parlando per me e per gli Obituary, ci va bene lasciare ad altre band questi folli tecnicismi, noi andremo avanti a scrivere musica da “uomini delle caverne” [ride], ci va assolutamente bene scrivere la versione Death Metal dei riff à la AC/DC.
Parlando di Metal in generale, voi siete considerati tra i padri del Death Metal; dopo il Death sono nati vari altri generi, Black Metal, Power Metal, Post-Metal…pensi che sia ancora possibile innovare il genere, pensi che qualcuno sarà in grado di creare un genere di Metal completamente nuovo o siamo giunti al capolinea?
Non penso che questo sia il capolinea, magari a volte vuoi sperare che lo sia ma, non so, penso che la gente sia abbastanza folle, i musicisti sono abbastanza strani ed il talento diventa sempre più grande, le capacità sono…10 anni fa se avessi pensato che i batteristi potessero suonare tenendo i tempi che usano oggi ci sarebbe venuto da ridere, ma c’è qualcuno che si spinge sempre oltre, le sfide sono sempre lì, quindi penso che ci sarà qualcosa di nuovo che salterà fuori.
È una cosa buona?
Chi lo sa, vedremo, immagino, ma sai cosa? Lo apprezzo, penso sia figo ed interessante, a volte non è fantastico, ma almeno la gente prova cose nuove, cose diverse, e, di nuovo, gli Obituary si sentono bene nella propria pelle, ci va benissimo la musica che creiamo ed il nostro stile, e sappiamo che i nostri fan lo amano.
Per noi non c’è motivo di allontanarci da quello stile, ci sono tante, tante band che stanno già facendo cose diverse quindi a noi va bene continuare per la nostra strada.
Questa può essere una domanda un po’ complicata, ma con gli occhi da spettatore può sembrare incredibile come a volte così tante band talentuose ed influenti vengano da un posto relativamente piccolo, che sia la Bay Area per il Thrash Metal, la Scandinavia per il Black Metal, o nel vostro caso Tampa per il Death Metal.
Dal tuo punto di vista, avendo vissuto la cosa in prima persona, come te lo spieghi?
Puoi immaginare quante volte mi abbiano fatto questa domanda e non c’è una risposta, odio dirlo ma sembra quasi che sia semplicemente una coincidenza, sai, per la maggior parte è stata una coincidenza che Obituary, Deicide, Death, Morbid Angel, abbiano sviluppato le proprie capacità e stili allo stesso tempo ad un livello superiore delle altre band sul pianeta, immagino, ma non è che c’era qualcosa nell’acqua [ride], non è quello che mangiavamo o fumavamo [ride], sai, magari in parte è che quando i Death hanno cominciato a scrivere le loro canzoni così presto, ed erano così belle, magari quello ci ha messo un po’ il pepe al culo e abbiamo realizzato che o ti fai un nome, migliori perché devi migliorare, o rimarrai nella polvere.
Forse c’era della competizione e abbiamo capito quanto fossero bravi i Deicide e quanto fosse malata la musica di Chuck nei Death; gli Obituary sono quel tipo di ragazzi che, non ci interessa che genere suonano le altre band, sappiamo quello che amiamo suonare e abbiamo continuato a fare quello che facevamo, e che eravamo bravi a fare.
Quindi, non lo so, penso che in gran parte sia una pura coincidenza il fatto che molte band della Tampa Bay Area si siano fatte un nome, e che i loro album abbiano ancora oggi un peso nel mondo del Metal.
L’anno prossimo sarà il trentesimo anniversario del vostro debutto, “Slowly we Rot”, avete in programma qualcosa di speciale per celebrarlo? Lo suonerete per intero?
Non so, la band non ne ha ancora parlato, ci stiamo divertendo così tanto in questo momento e siamo così occupati, che è un’ottima cosa, e c’è ancora così tanta richiesta per gli Obituary e una nostra così grande voglia di creare nuova musica e di suonare concerti e di vivere di questo, che non abbiamo ancora discusso del fatto che fra poco sarà il trentesimo anniversario di “Slowly we Rot”, ma c’è tempo per fare quello che suggerisci, suonare l’album per intero.
Non è che non lo faremo, ma semplicemente che non ne abbiamo ancora parlato come band, davvero.
Sono sicuro che individualmente ognuno ci abbia pensato, sarebbe certamente bello per i fan, suonare una bella serata in cui sanno già cosa li aspetta, ma ora ci stiamo divertendo così tanto, amiamo il nuovo album, amiamo il nuovo materiale e sarebbe un peccato suonare degli show senza esprimere noi stesse e quelle canzoni nuove.
Questa era la mia ultima domanda, grazie per la disponibilità, ti lascio l’ultima parola.
La musica è invisibile, ma ci tocca più di qualsiasi altra cosa sulla Terra.
Gli Obituary suonerebbero ancora insieme perché siamo buoni amici e amiamo la musica, ma senza i nostri fan non saremmo dove siamo oggi, non avremmo la possibilità di vedere 25 Paesi ogni anno, e siamo molto fortunati come persone e come band ad avere il seguito che abbiamo, non lo prendiamo alla leggera, diamo il massimo ogni giorno in quanto band professionista per assicurarci che i nostri fan lo capiscano quando veniamo a suonare per loro nella loro città, ci assicuriamo che si divertano quasi quanto noi, perché noi amiamo divertirci sul palco e spero che lo vedano quando suoniamo, li apprezziamo e li ringraziamo.