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Intervista Paul Chain Group (Thomas Hand Chaste)

Di Stefano Ricetti - 10 Dicembre 2020 - 0:00
Intervista Paul Chain Group (Thomas Hand Chaste)

In occasione dell’uscita in doppio vinile de L’Isola Che Non C’è (qui la recensione), da parte del Paul Chain Group, ho scambiato un po’ di parole con Thomas Hand Chaste, batterista di quella formazione ma soprattutto drummer dei Death SS nei primi anni Ottanta, sia nel periodo con Steve Sylvester in formazione che in quello con il solo Paul Chain.

Buona lettura.

Steven Rich

 

 

Qual è l’origine del tuo nome di battaglia, Thomas Hand Chaste? 

Thomas Hand Chaste – Ciao Steven e ciao a tutti, come certo saprai i nomi dei componenti dei Death SS non erano altro che la traduzione “libera” in inglese dei vari nomi e cognomi. Il primo batterista, se ricordo bene, si chiamava Tommaso Castaldi, da lì nacque Tommy Chaste. I successivi mantennero quel nome, quando entrai nel gruppo volli diversificarlo un po’ per renderlo più personale aggiunsi,“Hand”, che è una contrazione di Andrea e non ha nulla che fare con la corretta traduzione (mano), mentre al posto di Tommy utilizzai il più altisonante Thomas. Un dettaglio: nella prima incisione ufficiale, quella del pezzo “Terror” poi finito nella compilation Gathered, viene erroneamente riportato Tommy Chaste mentre ero io alla batteria, Thomas Hand Chaste.

 

Veniamo ora all’ultima realizzazione Minotauro Records, L’Isola Che Non C’è, cosa ricordi di quella notte? 

Magari mi ricordassi tutto! Quando si era in giro eravamo dediti a qualche piccolo eccesso! Era un gran bel periodo, almeno per noi tre (io, Paul Chain e Claud Galley), in pratica eravamo in sala prove quattro o cinque volte alla settimana tra Paul Chain Group e Death SS in più qualche sabato o domenica lo passavamo assieme. Avevamo acquistato un ottimo feeling. Quella sera fu un bel concerto e anche le “preparazioni” non furono da meno, non siamo mai stati uno di quei gruppi che si davano appuntamento alla sera nel locale per suonare: per noi il “concerto” cominciava già al pomeriggio con i preparativi per la serata e le infinite discussioni “filosofiche” sulla musica, la vita e soprattutto la morte, quest’ultimo argomento riguardava prevalentemente me e Catena. Di quei brani, sebbene Chain cantasse in fonetico, ho ancora delle bozze di testi che non sono altro che i pensieri e le considerazioni che facevamo. Esistevano anche cose scritte a quattro mani, come ad esempio il primo testo di “Chains of Death”. Tornando alla serata posso dire che il posto era attraente, alternativo, nei primi anni ’80 di locali di quel tipo non ce n’erano tanti e quelli che esistevano avevano un sapore “magico”. Fra il pubblico molti conoscevano Paul Chain e la “brutta fama” dei Death SS e si aspettavano i soliti paramenti funebri sul palco. Noi invece ne eravamo privi, forse c’era il teschio utilizzato solitamente da Paul ma non ci giurerei. Il resto della gente ignorava chi fossimo e ci guardava con una certa diffidenza ma una volta iniziato il concerto ci fu un bel coinvolgimento da parte di tutti.  Paolo aveva un certo ascendente sul pubblico, le sue divagazioni tra tastiera e chitarra creavano il giusto alone mistico. Quella sera conobbi Gilas e Sanctis Ghoram. Gilas conosceva già Paolo e Claudio e si era portato dietro Ghoram, al secolo Piero Gori, cantante di un gruppo post/beat abbastanza conosciuto in zona negli anni ’60: I Vulcani. A fine concerto ci fu una gran festa e l’organizzatore, Franco Fattori, ci consegnò la cassetta della nostra performance. Non escludo che proprio quella rappresentasse il compenso della serata. Oggi, fortunatamente, dopo trentotto anni, è stata data alle stampe. Tornando ai festeggiamenti… ti basti sapere che per tornare a Pesaro da Rimini, che dista più o meno 30 km, ci mettemmo tre ore… ma che risate!

 

Thomas Hand Chaste, 1983

 

Com’è nata l’idea di ripulire qual nastro e farlo diventare un doppio Lp?

L’idea è stata di Marco Melzi della Minotauro e devo dire che ci ha visto bene, come del resto in passato, perché in quel concerto ci sono pezzi fondamentali per la crescita artistica di Paul Chain e modestamente anche per la mia. Sono composizioni non standard, almeno se riferite al repertorio Death SS. Il Trio, come lo chiamavamo noi, è da vedersi come un’esigenza artistica di Catena per esplorare strade diverse andando oltre a quelle già intraprese, e per di più farlo  contemporaneamente, caratteristica che porterà sempre con sé e che mi vede totalmente concorde.

Da subito  stabilimmo una linea musicale molto sperimentale e aperta a qualsiasi influenza: ci mettemmo a provare di brutto e i risultati non tardarono a venire. Nel giro di pochi mesi avevamo già un repertorio di pezzi composti e arrangiati  e questo ci permise di esibirci sotto il nome Paul Chain Group. Marco mi ha chiesto di lavorarci sopra e per me è stato un divertimento: la registrazione chiaramente era un po’ datata ed essendo in cassetta stereo mi ha fornito pochi margini di intervento nel rivedere il suono e soprattutto i volumi dei singoli strumenti. Comunque mi sembra di aver fatto un ottimo editing e tutto sommato è un buon risultato. Con Melzi ci eravamo risentiti dopo tanto tempo in occasione della pubblicazione da parte della Minotauro dell’album uscito nel 2017,

“Welcome” fatto con Alexander Scardavian. Chiudo la risposta raccontandoti un aneddoto: tempo fa via Skype mi sono sentito con Catena e gli accennai di questa uscita discografica, lui non si occupa più delle vecchie cose come tutti sanno ma un commento gli è sfuggito “ Il Trio è una delle più belle cose che abbiamo fatto” .

L’Isola Che Non C’è: un locale di Rimini che non c’è più e che è durato un paio di anni…

Si trovava proprio al centro, “era un club dove si ritrovavano studenti universitari, darkettoni, metallari, punk, rockabilly”, così lo ricorda Andrea Fattori, il fratello di Franco. Io ci passai davanti tempo dopo e ci vidi un ristorante, al momento non ho idea di cosa vi sia fra quelle mura.

 

Il concerto venne per l’appunto organizzato da Franco Fattori, mancato un paio di anni fa. Che ricordo hai di lui?

Sinceramente con Franco non ho avuto una gran frequentazione, lo conoscevo di fama e lo vedevo allo Slego, il locale dove lavorava come dj e dove mi esibii nei primi anni ’90. Operava anche all’Aleph, un altro mitico locale, dove aveva fatto debuttare i Death SS, come raccontato con dovizia di particolari da Steve Sylvester.

 

Paul Chain

 

Quanto è durato il Paul Chain Group?

All’incirca sino allo split di Steve Sylvester con i Death SS, quindi fra la fine del 1982 e l’inizio del 1983. Nel momento in cui alla voce subentrò Sanctis Ghoram abbandonammo il Paul Chain Group e ci dedicammo ai Death SS nella loro seconda versione: c’era molto da lavorare, sia sull’affiatamento che sui nuovi pezzi da comporre e fu un periodo molto proficuo. Come “P.C.G.” ci esibimmo un’altra volta a Pesaro, si trattava di una festa/rassegna di gruppi organizzata in una sera d’estate. In quel periodo avevamo in animo di pubblicare “Evil Metal” e il Trio andò un po’ nel dimenticatoio. Penso che una delle ultime “schegge” di quel gruppo sia il pezzo “Schizophrenik”, poi finito su “Evil Metal”, anche se non era nei programmi. Accadde che durante le registrazioni di “Chains of Death” e “Inquisitor” ci fu un momento di pausa, credo che Paolo fosse andato fuori da qualche parte, mentre io e Galley mandammo in play il nastro per registrare un riff con un ritornello che avevamo in testa da tempo e che usavamo per provare i suoni. Venne bene alla prima “botta”, quando Paolo tornò glielo facemmo sentire, si convinse subito e lo finimmo lì in studio. Chain ci  ha messo la chitarra, la voce in fonetico e quegli splendidi effetti fatti in tempo reale con un eco a nastro, credo Roland, una bomba!

Entrasti nei Death SS nel 1981, avanti tu, Thomas…

Entrai nei Death SS grazie al P.C.G. Paul Chain e Claud Galley cercavano un batterista per il loro  progetto parallelo e una sera un amico comune, Fabrizio Urbinati, ci fece incontrare. Se mi permetti apro una parentesi e rendo omaggio a Fabrizio, grande strumentista. Con Fabrizio c’eravamo conosciuti nel ‘73 in quanto facevamo parte di un gruppo, il “38° Parallelo” e suonavamo nelle balere. Ai tempi ancora esistevano le balere, io alla batteria e lui alla tastiere. Era già un buon tastierista ed era iscritto al conservatorio Rossini a pianoforte e come 2° strumento aveva optato per le percussioni. Bene, me lo sono ritrovato alla batteria qualche anno dopo con il suo gruppo, i Genius… era diventato un fior fiore di batterista, sicuramente il migliore della zona e in più, dal vivo, sempre suonando la batteria, con la mano sinistra era sulle tastiere quando la musica lo richiedeva sia in accompagnamento che in assolo e ci dava dentro superbamente con entrambi gli strumenti! Roba mai vista! Era stato anche lui per un periodo uno dei Tommy Chaste dei Death SS. Tornando all’incontro, ci presentò e fissammo una prova che facemmo pochi giorni dopo. Finito il provino venni reclutato nel Trio ma, cosa che non mi aspettavo di certo,  Paolo mi propose di entrare nei Death SS. Mi mostrarono cosa facevano anche se francamente già conoscevo di fama il gruppo, me lo aveva descritto un mio amico di San Marino con dovizia di particolari.  Cominciarono con il proiettare le diapositive della band fatte nei vari concerti, mi mostrarono i trucchi e le scenografie, poi le varie “reliquie” ma devo dire che quello che mi convinse di più non fu la musica che suonavano ma la loro determinazione! Accettai al volo! In definitiva sono stato l’ultimo batterista, il Tommy/Thomas di quella formazione. Giunsi in un periodo fortunato in quanto era in atto il coinvolgimento del gruppo nella compilation “Gathered” e si prospettavano altre pubblicazioni. La partecipazione su Gathered fu fortemente voluta da Beppe Riva, credo con il parere contrario di tutti, in quanto si trattava di una rassegna di gruppi post punk e new wave dove francamente noi musicalmente eravamo un po’ fuori luogo, in ogni caso serviva una registrazione. Vista la mia esperienza nel giro delle orchestre conoscevo una sala di registrazione a Riccione dove facevo dei provini con un chitarrista,  fissai un appuntamento per due ore o poco più e ci fiondammo a registrare. Incidemmo “Terror” e “Murder Angels”. Le altre canzoni, sempre con Steve Sylvester alla voce che poi finirono su “The

Story of Death SS” della Minotauro furono invece registrate nell’entroterra riminese, sempre da un mio conoscente che aveva appena allestito una sala. Ho vissuto l’inizio discografico del gruppo, una bella fortuna!

 

Death SS

 

Mentre suonavi e componevi per il Paul Chain Group eri anche nei Death SS. Qual era l’atteggiamento di Steve Sylvester nei confronti di voi tre?

Francamente, per quello che ricordo, non ci fu nessun attrito. Penso che Steve avesse già ben chiaro cosa voleva fare e il suo genere non era certo quello del P.C.G.

Molti dei pezzi contenuti Nell’Isola Che Non C’è sono poi finiti nei vari dischi di Paul Chain successivi…

Vado a memoria: “Emarginante Viaggio” su Violet art of Improvisation;

“Funebre scala”, “Nero e bianco”, “Power”, “La strada bianca”, “Wheel of fortune” e “Incerto futuro” sono finite nelle “Relative Tapes”, delle cassette numerate che poi furono ripubblicate su Cd. Fanno parte sempre del periodo P.C.G. altri brani che non sono presenti nei due Lp L’Isola Che Non C’è”: “Tetri Teschi in Luce Viola” pubblicata in Violet art Of

Improvisation, “Yellow Acid” in vinile 7 pollici e “Nuclear Reactor” sempre sulle Relative Tapes.

 

Steve Sylvester

 

Nella tua militanza nei Death SS nei hai viste e vissute di ogni… Racconta qualche aneddoto particolare.

Di aneddoti, diciamo, “puliti” ne ho raccontati in diverse occasioni: nel libro di Steve “Il Negromante del Rock” c’è l’episodio in cui rimasi in panne con la macchina e dovetti andare, truccato da uomo lupo, a bussare alle case in cerca di aiuto. Avevamo appena fatto il servizio fotografico e il mio trucco non si voleva staccare!

Un altro fatto divertente accadde quando fummo investiti dal dirompente entusiasmo dell’organizzatore del concerto dello Story Teller che ci voleva far suonare all’aperto con gli amplificatori rivolti verso l’alto… per arrivare ad altri universi!?! E noi zitti! Ah,ah,ah!

Bella anche la situazione che si generò quando arrivammo a Milano come invitati per il programma “Mister Fantasy”: venimmo bloccati all’entrata con mitra e pistole alla mano dalla squadra della Polizia che piantonava la Rai… non dovevamo certo avere un bell’aspetto… Ah,ah,ah! Sempre in quell’occasione i responsabili del programma  ci vietarono di esporre le croci ma non fecero caso al teschio di Paolo, quei dilettanti!

Un’altra volta, all’uscita dell’autostrada di Verona facemmo salire sul furgone due ragazzi che venivano da Roma per… andare al concerto dei Death SS! Non ti dico che faccia fecero.

Questo è quanto mi sento di raccontare. Preferisco non andare oltre, pur non essendoci reati commessi, tirerei in ballo altre persone e non mi sembra corretto.

 

 

Racconta tutto quello che ti ricordi del concerto di Soliera del 5 giugno 1987.

A Soliera fu organizzato il funerale dei Death SS! Almeno queste erano le intenzioni di Paul Chain e per certi versi può anche essere vero ma è altrettanto vero che Soliera sancisce la “resurrezione” di Steve

Sylvester e la nascita dei Death SS attuali. Detto questo aggiungo che quando mi giunse l’invito per quell’evento mi ero già staccato dal gruppo da diversi mesi e mi ero proprio rotto causa divergenze con Paolo.

Comunque accettai, era un po’ che non suonavo in quei contesti e ne avevo proprio voglia. Come al solito, partimmo con calma e già nel primo pomeriggio facemmo un sound check che durò fino a tardi, in pratica un pre concerto. La serata andò benissimo, presentammo un lungo repertorio inframezzato da un momento ove Marco Melzi di Minotauro presentò il vinile di “The Story of Death SS”. Fu proprio un bello show, ne rimasi soddisfatto, ero divertito ma anche triste. Il bello arrivò a concerto finito, quando si sparse la voce che Steve Sylvester era lì, quella notte, e aveva lasciato un messaggio vergato col sangue su di un lenzuolo bianco che recitava: “Death SS significa in morte di Steve Sylvester, ma Steve Sylvester è ancora vivo!”. A onor del vero io non vidi quel lenzuolo, eravamo andati a mangiare qualche cosa, ma ci vennero a riferire così. Incredibile!

 

Thomas Hand Chaste

 

Una tua definizione di:

Steve Sylvester: Costruttore (questa definizione non ha accezione né positiva né negativa)

Paul Chain: Demolitore (questa definizione non ha accezione né positiva né negativa)

Claud Galley: Un ottimo bassista

 

 

Cosa pensi dei Death SS di oggi e del Paul Cat di oggi?

Premessa: riporto il frutto di una elaborazione su come ho vissuto io le cose, non vuole essere un giudizio assoluto e i diretti interessati possono anche non essere d’accordo.

I Death SS attuali (penso all’intero ciclo del dopo Chain) hanno alle spalle una lunga e meritata carriera e, per certi versi, stanno continuando alla grande. Non dò giudizi tecnici e non prendo in considerazione cosa a me piaccia o meno. Oltretutto, visto che ci sono dentro, sarebbe scorretto. Tuttavia penso che rispetto ai primi sia venuta meno quell’energia (intesa come entanglement) che univa il duo

Sylvester/Chain e che li ha portati ad un livello “superiore” rispetto ai gruppi del tempo. E non sto parlando solo di musica… sì, la musica era importante ma c’era ben altro! E’ stato incredibile che un gruppo il cui genere musicale veniva definito di “bassa lega” potesse aver fatto breccia su tanti ascoltatori in Italia e anche all’estero in tempi dove esisteva solo il passaparola. Ho ancora le lettere del periodo arrivate da tutta Italia e anche da Francia, Belgio, Polonia, Germania nonché quella di una casa di produzione U.S.A. E’ stato un momento incredibile. Ripreso il nome del gruppo, nel 1987 Steve Sylvester iniziò la sua opera di costruttore che ha portato la sua creatura a livelli internazionali, tassello dopo tassello, che oggi vanta una certa professionalità e un meritato successo. In ogni caso, a mio avviso e purtroppo, ha ricevuto molto meno di quello che ha speso e ha dato per i Death SS, ma è anche vero che la storia non è finita. Sicuramente va elogiato per la sua costanza nel portare avanti il suo progetto, che a mio vedere coincide con la sua esistenza e viceversa.

Paul Chain, Paul Cat, Paolo Catena… personaggio molto contrastante, indubbie qualità artistiche e spiccata musicalità. Poi c’è una punta di autodistruzione e anche questa affermazione non va intesa in senso negativo o positivo! È un dato di fatto, una caratteristica dell’essere/persona di Paul Chain. Lui costruisce un castello e prima di finirlo lo butta giù per farne un altro più in là e anche quando questo sta per essere completato lo tira giù di nuovo e via così all’infinito.

Tanto per citare tre casi di “demolizione”: la separazione da Steve, l’abbandono del nome Death SS e negli anni ’90, il rifiuto di un tour negli Stati Uniti di trenta date con Jello Biafra, che al tempo faceva concerti con addosso la maglietta del Violet Theatre! Questa è la sua caratteristica ma non va demonizzata perché fa parte del suo “pacchetto artistico” e grazie anche a questi forti contrasti ha creato la sua musica, esplorando molteplici generi musicali, e diventando il personaggio che oggi tutti conoscono. Attualmente si dedica al progetto “quadri musicali”, in cui mette assieme musica e arte astratta.

 

 

In tempi recenti, quantomeno se rapportati al periodo Death SS, hai fatto parte di Sancta Sanctorum e hai dato vita ai Witchfield. Quali i tuoi prossimi progetti?

Attualmente sto finendo un lavoro con Felis Catus (Francesco Cucinotta)

con cui ho un buon feeling musicale, ci piacciono atmosfere dark/elettroniche con un tocco di melodia. E’ un progetto  un po’ diverso da quelli fatti da me ultimamente, forse richiama un po’ il mio album “Uno Nessuno Centomila” ma non è cosi sperimentale. Il lavoro è stato fatto a quattro mani e chiaramente ci sono molte influenze della musica di Francesco sia con i Mendes che da solista.

In programma ho il secondo atto dei “When The Sun Comes Down” con

Alexander Scardavian, dopo il nostro debutto “Welcome”, vogliamo ripetere

l’esperienza, ho composto già diversi pezzi su cui lavorare e probabilmente entro il prossimo anno sarà completato. In sostanza cerco di stare sempre attivo e fare più cose possibili. Non si tratta di un esercizio ma proprio di un’esigenza… siamo malati di musica!

Chiudo ringraziando te, Steven, per lo spazio concessomi e tutto lo staff di Truemetal. Thomas Hand Chaste 

Stefano “Steven Rich” Ricetti