Intervista Paul Chain Official Fan Club (Fulvio Zagato)
Intervista a Fulvio Zagato, dal 1988 mastermind del Paul Chain Official Fan Club e ancora oggi attivo nel proporre il verbo dell’artista pesarese, personaggio di culto non solo a livello italiano.
Buona lettura,
Steven Rich
Nella foto: Marco Melzi della Minotauro Records (a sinistra), il sottoscritto e Fulvio Zagato del Paul Chain Official Fan Club (a destra)
Fulvio, come hai conosciuto Paul Chain? Cosa ti ha portato a interessarti di lui?
Musicalmente l’ho conosciuto nel 1983, con la pubblicazione di Black and Violet su HM Eruption: mi colpì profondamente l’originalità del suono, quell’incedere funereo che evocava paesaggi desolatamente bui e suggestioni gotico-medievali, condotto dalla voce malsana e magistrale di Sanctis Ghoram e dalla chitarra straordinariamente ispirata di Chain; senza dimenticare l’impareggiabile supporto ritmico di Claud Galley e Thomas Hand Chaste. Fu “amore al primo ascolto”, anche perché avevo già una particolare predisposizione per tutto ciò che fosse oscuro e decadente, non a caso ascoltavo tanto i Black Sabbath e i Mercyful Fate quanto Cure e Christian Death; fondamentalmente infatti i miei interessi musicali sono sempre stati vasti e senza preclusioni. Dopo questa fascinazione istantanea acquistai Detaching from Satan e scrissi una lettera a Paul, vergandola con inchiostro nero su foglio rigorosamente tinto di viola: nonostante le apparenze si trattava però di una missiva piuttosto moderata e sobria – ho avuto molti idoli musicali, ma non ho mai idolatrato nessuno – nella quale lodavo la sua musica e chiedevo notizie circa i suoi trascorsi nei Death SS. Personalmente conobbi Paul soltanto nel 1988, quando prese avvio il Fan Club, e fu quasi “commovente” in seguito riconoscere la mia lettera tra molte altre, in uno scatolone in cui custodiva tutta la corrispondenza. A lui faceva piacere ricevere lettere dai fan, ma non rispondeva mai a nessuno perché non gradiva il rapporto epistolare…
Com’è nato il fan club?
Sostanzialmente un po’ per caso, e neanche per mia iniziativa… all’inizio del 1988 conobbi infatti Fabrice Francese, bassista torinese già noto nell’ambiente (ex Jester Beast, Hurtful Witch e Chris Holder Band, ma lo ritroveremo anche su Alkahest). Fabrice, oltre che essere un bravo musicista, era anche molto intraprendente e aperto mentalmente, non guardava solo al proprio orticello come purtroppo succedeva spesso nella scena metal italiana del periodo, ma cercava nuovi sbocchi, collaborazioni… Venendo al dunque, aveva sentito parlare di Paul Chain e della sua vita artistica intensa e “incondizionata” e decise di andare a conoscerlo personalmente (con mia discreta invidia). Quell’incontro gli fece, non so come, balenare l’idea del Fan Club, che di ritorno a Torino espose a me e Paolo Esposito, suo amico e anch’egli bassista dell’hinterland torinese, che mi affiancò poi fino al 1990 circa. Devo dire che sulle prime rimasi un po’ perplesso, la parola Fan Club associata a Paul Chain mi suonava quasi come un ossimoro, come il diavolo e l’acqua santa (tanto per rimanere in tema)… soprattutto, poi, mi suonava strano che lui stesso ne avesse accettato l’idea! Tuttavia, valutando e analizzando meglio la proposta, si delineò ciò che il Fan Club avrebbe poi concretamente rappresentato negli anni a seguire: “…un serio e tangibile punto di contatto tra Paul Chain e il suo pubblico, lontano da sensazionalismi gratuiti e sterili fanatismi”. Sostanzialmente, quindi, si trattava di un organo informativo che affrontava il più oggettivamente e approfonditamente possibile l’artista pesarese e il suo “bizzarro” universo musicale. Alla fine Fabrice, fedele al suo spirito altruista, aveva aiutato più gli altri che se stesso, inoltre di lì a breve si trasferì in Inghilterra e successivamente a New York, dove risiede ancora oggi. Il Fan Club nacque ufficialmente nel novembre 1988 e negli undici anni successivi pubblicò e distribuì tre fanzine, la musicassetta The story of Death SS 1977-1984 vol. 2 (contenente ulteriori inediti che non trovarono spazio sul primo volume pubblicato dalla Minotauro) e quattro musicassette con registrazioni live di Paul Chain, che verranno ristampate prossimamente su CD grazie alla Minotauro Records. Nel 1993, inoltre, avviai il progetto Evoluzioni, bollettino periodico di notizie varie destinato a colmare il ‘‘vuoto’’ informativo esistente tra una fanzine e l’altra; era pubblicato sia in versione italiana che inglese, e veniva inviato gratuitamente agli addetti ai lavori e in abbonamento a chiunque ne facesse richiesta (dal 1993 al 1999 vennero pubblicati tredici numeri, più alcuni allegati).
Che ricordi hai del primo incontro vis-a-vis con Paul Chain?
Coincidono con i “preliminari” del Fan Club: nel luglio del 1988 io e Paolo Esposito, dopo esserci confrontati con Marco Melzi della Minotauro Records e (telefonicamente) con Paul, e dopo averne prospettato le basi strutturali e operative, ci recammo a Pesaro per conoscerlo personalmente e per discutere concretamente i dettagli dell’iniziativa. Ricordo la discreta emozione nel suonare il campanello di casa, e la sua figura fare capolino in cima alla lunga scalinata dell’ingresso. Paul e Laura Christ ci misero immediatamente a nostro agio, trattandoci con gentilezza e simpatia; parlammo del Fan Club e di tante altre cose e Paul ci omaggiò addirittura di qualche “schitarrata”, suonando il suo leggendario strumento a forma di croce. Fu sicuramente una bella giornata, e poi ci facemmo anche molte risate perché Paul, a dispetto delle apparenze, era tendenzialmente una persona estremamente cordiale e spiritosa. All’epoca, inoltre, aveva anche smesso di fumare e di bere (molto), imprimendo così un definitivo corso “salutista” alla sua vita.
Paul Chain all’interno dello “Studio” di Villa Almerici, 1990
Indi sei stato nella famosa villa di Pesaro nella quel viveva Paul… che ricordi hai di quelle esperienze?
Chain ha vissuto al primo piano di villa Almerici fino al 2011, di conseguenza mi ospitava lì ogni volta che gli facevo visita. E’ un bellissimo e rinomato edificio del ‘700 dalle ampie volte, e la parte abitata da Paul aveva un lungo corridoio d’ingresso e varie stanze; quella che accoglieva il suo “studio” aveva le pareti tappezzate per 3/4 da poster, locandine, volantini, cartoline… e poi le copertine della sua discografia. Da un lato invece trovavano posto la sua collezione di dischi e un mobile basso, in cui custodiva l’archivio fotografico personale e vari attrezzi, pezzi di ricambio e quant’altro gli fosse utile per riparare e/o modificare i suoi strumenti. Un piccolo laboratorio, insomma. Impossibile poi dimenticare Mefisto, il gatto mummificato che “riposava” in una custodia di chitarra sul pavimento dell’ingresso, e il mangianastri che Paul teneva in bagno e accendeva a tutto volume quando vi soggiornava…
Tornando al fan club, è ancora attivo?
Il Fan Club cessò di esistere ufficialmente nel 2004, ma già a partire dal 1997 la sua attività subì un forte rallentamento, Paul era sempre meno coinvolto e collaborativo e i nostri rapporti divennero conseguentemente anche un po’ tesi, pertanto non aveva più senso trascinare il progetto senza disporre di notizie pubblicabili e/o iniziative concrete. Nel 2003, inoltre, proclamò ufficialmente la morte “fisica” e artistica del suo personaggio, eliminando quindi qualsiasi presupposto per un eventuale proseguimento del progetto. Insorse in me una certa delusione e soprattutto il rammarico (mio malgrado) di non aver fatto abbastanza, anche se è giusto sottolineare che la distanza Torino-Pesaro non facilitava i contatti e lo scambio di idee/materiale. Sono comunque estremamente orgoglioso di quello che ho fatto, sia nella forma che nella sostanza. Attualmente ci sono tuttavia alcune novità: io e la Minotauro stiamo lavorando ad un sito di prossima pubblicazione dedicato proprio al Fan Club (paulchainfanclub.com), che raccoglierà notizie, informazioni, curiosità e materiale di repertorio riguardante l’intera carriera di Paul Chain, dal 1977 al 2003; una sorta di memoria storica, di archivio permanente dedicato alla sua figura artistica e, di riflesso, a tutte le persone che hanno collaborato con lui nel corso degli anni. Diciamo che è un modo concreto e funzionale per fissare nel tempo e nella memoria non solo l’operato del Fan Club, ma anche e soprattutto un percorso artistico e musicale che merita di essere salvaguardato. Da un certo punto di vista, quindi, è il naturale e logico completamento dell’intento originario, sfrondato da inutili e obsolete sovrastrutture come, per esempio, la figura del “socio”, del tesseramento e di qualsiasi ostacolo alla libera partecipazione e consultazione. Inutile specificare, per quanto detto poco sopra, che Paul Chain è totalmente estraneo all’iniziativa.
Fanzine
Che memorabilia possiedi?
Suonerà strano, ma non molte, anche perché non sono mai stato un fan morbosamente feticista e compulsivamente completista. Ovviamente possiedo tutta la discografia originale, così come le prime ristampe. Tra i pezzi più importanti c’è sicuramente il 7’’ Evil Metal, che Paul mi regalò nel corso del nostro primo incontro, poi un test pressing autografato di Opera 4th, alcune interviste registrate su nastro che gli feci per altrettante fanzine internazionali (che poi sbobinai e feci tradurre in inglese), alcune locandine originali dei Death SS dei primi anni ‘80, molte foto (per la maggior parte ancora inedite) che gli scattai durante i concerti ma anche in situazioni di normale quotidianità…
Ti risulta vi sia ancora molto interesse intorno alla figura di Paul Chain?
Sicuramente è un artista che continua ad esercitare il suo fascino anche oltre confine, e le licenze di stampa rilasciate dalla Minotauro alla Svart (Finlandia), High Roller (Germania) e Buried by Time and Dust (USA) non fanno che confermarlo. Per quanto riguarda specificatamente la Minotauro, ti posso dire che le vendite continuano a premiare il periodo più oscuro e “maledetto” di Detaching from Satan, così come quello più “mainstream” di Alkahest.
Paul Chain live, 1989
A livello di gusti personali qual sono i dischi di Paul Chain e Violet Theatre che ti piacciono di più?
Mah, è difficile operare una scelta, specialmente riguardo al periodo del Violet Theatre… Detaching è certamente imprescindibile, In the Darkness un altro capolavoro, il Picture Disc contiene The Evil the Sorrow e Way to Pain, che già da sole lo rendono imperdibile… Opera 4th poi… che dire? Come Paul Chain (intendo del periodo 1987-1997) sicuramente Violet Art of Improvisation, Life and Death e Opera Decima.
In che rapporto sei con Steve Sylvester?
Nessuno, lo incontrai alcune volte durante il periodo di “riappacificazione” con Paul (1993-1997), in seguito lo contattai saltuariamente al telefono per la stesura di alcuni numeri di Evoluzioni, e quando loro due troncarono nuovamente e definitivamente le relazioni non lo sentii più.
Una tua definizione di Steve Sylvester…
Una persona estremamente ambiziosa e tenace, con spiccate doti imprenditoriali.
Una tua definizione di Paul Chain…
Una persona estremamente volubile e contraddittoria, con spiccate doti artistiche.
Secondo te le due figure avrebbero potuto convivere per qualche anno in più all’interno della line-up dei Death SS?
Bisognerebbe chiederlo a chi visse insieme a loro quel periodo… stando alle cronache si direbbe di no…
In che cosa consiste, secondo te, la “magia” di due artisti come Chain e Sylvester?
Testimonianze artistiche a parte, sicuramente il loro legame, presunto o reale, oggettivo o romanzato, con l’occulto e il paranormale. La trattazione e la rappresentazione della parte oscura delle cose, soprattutto se perseguita con cognizione di causa, genera inevitabilmente interesse e fascinazione. Durante gli anni di attività del Fan Club ricevetti infatti alcune lettere un po’ “sopra le righe”, da persone che pensavano io fossi il tramite per chissà quali nozioni ed esperienze esoteriche. Credo di averli irrimediabilmente delusi, perché i fini e gli intenti di Paul Chain, e contestualmente miei e del Fan Club, erano tutt’altra cosa.
Alcuni dei volantini pubblicati dal Fan Club
Da quanto tempo è che non lo vedi?
Dal 2010, ma continuiamo a tenerci in contatto telefonico/telematico, seguo con interesse e curiosità ogni sua nuova produzione.
Di cosa si occupa, oggi?
Nel 2003, come accennavo prima, decretò pubblicamente e irrevocabilmente la fine del suo alter-ego, distruggendo addirittura anche dischi, master, registrazioni inedite, strumentazione, fotografie… tutto ciò che appartenesse alla vita artistica precedente. In quel periodo i nostri contatti si erano diradati e quindi appresi la notizia a cose fatte: inutile dire che restai allibito e anche piuttosto irritato, infatti considero tuttora questa sua decisione assurda ed avventata, ma tant’è… Da lì in poi cambiarono inoltre le denominazioni dei suoi progetti musicali e del suo studio di registrazione, avviando così, in un certo senso, una fase di “eremitaggio umano e artistico” che si è espresso fino ad ora attraverso la pubblicazione di circa una quindicina di CD autoprodotti in edizione limitata. Fino al 2009 ha continuato a perseguire le sue sperimentazioni più o meno “rock” e lo studio avanzato di tecniche di registrazione, entrambe marcatamente influenzate da questa sua rinascita spirituale e artistica sempre più rivolta a “energie positive”. Successivamente, invece, ha inaugurato un’interessante progetto di compenetrazione di pittura astratta e musica sperimentale ambient/elettronica a nome Paolo Catena, denominato “Quadrimusicali”.
Volantino Paul Chain Official Fan Club
Una tua definizione dei seguenti album:
Detaching from Satan – E’ universalmente ritenuto un classico del dark metal, ed è quasi impossibile contraddire una simile considerazione… Paul si (ri)presenta al mondo con il suo primo lavoro solista e con rinnovati intenti (che peraltro argomenta chiaramente nel volantino allegato), dopo la chiusura del travagliato capitolo Death SS. Musicalmente è indimenticabile, nonostante sia stato registrato in condizioni proibitive (ricordiamoci cosa significava registrare un disco del genere nel 1984) e nonostante la brevità imposta dal budget limitato. La voce allucinata e spettrale di Paul, il suono personalizzato della sua chitarra, l’incedere cupo e solenne di 17 Day impreziosito dalla voce sepolcrale di Gilas e dai due bellissimi assoli in sequenza… sicuramente tra i migliori della carriera di Chain. Detaching ufficializza inoltre due caratteristiche fondamentali che caratterizzeranno il musicista pesarese negli anni a venire: il cantato fonetico e la consuetudine di avvalersi contemporaneamente della collaborazione di musicisti diversi, scelti in funzione del singolo disco o, addirittura, del singolo brano.
Detaching from Satan, come molti altri album di Paul Chain, è stato recentemente ristampato in versione de luxe dalla Minotauro Records
In the Darkness – Altro capolavoro, a mio parere indiscutibile, generato da un periodo particolarmente difficile dell’artista, che con questo lavoro dimostra concretamente il significato della “continua ed evolutiva ricerca nel dark […] senza alcuna limitazione di generi” cui accennava nel disco precedente: la tristezza decadente e distorta di Welcome to my Hell e Meat, la desolazione infinita proposta dai riverberi elettronici di War, il riff irresistibile di Crazy… La seconda facciata si apre poi con tre brani che dimostrano palesemente come Paul abbia metabolizzato i canoni stilistici sabbathiani, e come sia in grado di maneggiarli e plasmarli abilmente a sua immagine e somiglianza… inutile rimarcare l’interpretazione sibilante e corrotta di Sanctis Ghoram, che aggiunge ulteriore originalità e tensione emotiva. Il brano che chiude e intitola il disco, infine, racchiude in se tutta la disperazione, la perdita della speranza e della fede, il buio opprimente che permea e lega tutti i pezzi dell’album.
Opera IV – Paul decide di dare maggior spazio alla sua vena più sperimentale ed elettronica, spiazzando pubblico e critica. E’ certamente un disco coraggioso, soprattutto per quel periodo, in cui la contaminazione del metal (nella sua accezione più ampia) era agli albori, e non sempre veniva premiata da vasti consensi: pensiamo solo, tanto per fare un esempio filologicamente e stilisticamente pertinente, ai Celtic Frost di Into the Pandemonium… La prima facciata è infatti occupata da Our Solitude…, una lunga suite elettronica attraversata da loop ed effetti vari, nella quale emergono in lontananza influenze psichedeliche ed echi della scuola sperimentale tedesca. Sul lato B vengono invece proposti tre brani più “rock”, dove si eleva sicuramente Resurrection in Christ, altra vetta compositiva di Paul Chain che per l’occasione sfoggia un’interpretazione vocale insolitamente soave e “angelica”, a testimonianza della ritrovata fede. Qualcuno scrisse che il “vero” Paul Chain era sul secondo lato, invece era l’esatto contrario, come avrebbe in seguito dimostrato lui stesso con Opera Decima, Dies Irae ed Emisphere.
Paul Chain – Life and Death, 1989
Life and Death – Scusa se mi ripeto, ma considero questo un ulteriore capolavoro, in cui Chain porta a compimento quella maturità compositiva ed esecutiva già intravista sulla seconda facciata di Opera 4th. Paul propone il suo personale dark/doom metal in una veste piacevolmente raffinata, con arrangiamenti ariosi e grandi chitarre soliste. Tutta la prima facciata trasmette infatti inedite vibrazioni positive raggiungendo il suo culmine con My Hills, una grande interpretazione hard-blues estremamente solare e ispirata. Se mi consenti l’apparente contraddizione di termini, definirei lo stile di Life and Death più propriamente “doom positivo”, complice anche l’interpretazione vocale di Paul che (come già in Resurrection in Christ) si esprime con linee vocali estremamente suadenti, che ben si adattano alla vena compositiva particolarmente felice dell’album. Sul secondo lato ritorna Sanctis Ghoram in tre brani di più marcata derivazione sabbathiana, e questa rimane purtroppo la sua ultima testimonianza discografica. Un ulteriore plauso lo spenderei inoltre per Paolo Cingolani e i suoi Koala Studios, che ancora una volta consentono a Paul e ai suoi musicisti di esprimersi ad alti livelli qualitativi.
Alkahest – Questo è un disco sicuramente cruciale. Innanzitutto per Paul, professionalmente, è la “prova del fuoco”, la sua affermazione definitiva non solo come musicista ma anche come produttore e tecnico del suono, il manifesto tecnico-filosofico dell’autoproduzione analogica/vintage perseguita dal musicista attraverso il suo studio personale denominato Day Records. C’è poi la partecipazione di Lee Dorrian, che certamente conferisce al lavoro un prestigio e un respiro indubbiamente più internazionali. C’è infine il passaggio alla Flying/Godhead che, oltre a facilitare e caldeggiare la collaborazione tra i due, garantisce una distribuzione mondiale del disco… Paul si trova perciò anche in una situazione di forte pressione, dovuta sia alle grandi aspettative generate dalla stampa, sia alla volontà/necessità di affermare definitivamente e universalmente le proprie potenzialità artistiche e tecniche. Nello specifico ti devo però confessare (e lo dissi già all’epoca) che considero Alkahest un gradino sotto i dischi precedentemente commentati: a livello compositivo infatti lo trovo un po’ troppo legato ai canoni doom dell’epoca e complessivamente troppo “lineare”, nel senso che mancano le divagazioni stilistiche, le sperimentazioni tipiche di Paul. Tra l’altro la partecipazione di Lee Dorrian, pur apprezzabile, non eleva in modo significativo la qualità globale del disco, e la nuova versione di Voyage to hell non regge il confronto con l’originale. Intendiamoci, è un lavoro di assoluto valore, competente e competitivo a livello internazionale, e il Paul Chain produttore/tecnico del suono ne esce indiscutibilmente a testa alta. Semplicemente non lo ritengo il suo lavoro migliore.
Paul Chain dal vivo, 1990
Cosa pensi del periodo dei Death SS con Paul Chain e del suo periodo successivo come Violet Theatre/Paul Chain.
I Death SS furono indubbiamente un’esperienza unica, durante la quale i membri storici ebbero anche l’opportunità (mi riferisco in particolare al periodo con Steve) di crescere artisticamente e professionalmente a prescindere dal riscontro pubblico, ponendo le basi di ciò che sarebbe venuto dopo.
Musicalmente hanno prodotto relativamente poco, ma la qualità e l’originalità di quel materiale non si discute. Purtroppo la band non è mai riuscita ad esprimersi ai massimi livelli, sia per carenze strutturali che economiche. Tant’è vero che nel periodo con Sanctis Ghoram molti brani non ebbero mai l’opportunità di essere registrati, restando confinati alla sala prove e alle saltuarie esibizioni live. Se si ascoltano le registrazioni di quei concerti ci si rende conto, però, del valore, della maturità e dell’enorme potenziale che il gruppo aveva raggiunto, ma che non ha mai potuto consolidare e sviluppare adeguatamente. Il passaggio al Violet Theatre è stata una transizione soprattutto formale, che in un certo senso certificava l’abiura di Paul nei confronti di tematiche e “stili di vita” che non gli appartenevano più. Musicalmente infatti non cambiò molto, dal vivo continuarono a proporre gli stessi pezzi, i membri della band rimasero invariati e Chain proseguì il suo percorso di evoluzione musicale, allargando e ufficializzando progressivamente quello spettro sonoro che aveva già iniziato ad esplorare nel 1979 con i suoi progetti personali, collaterali ai Death SS.
Paul Chain alive, 1989
Hai conosciuto di persona Sanctis Ghoram?
Quando conobbi Paul Chain nel 1988, Sanctis Ghoram stava ormai progressivamente allontanandosi dall’ambiente musicale, e infatti a partire dal 1991 uscì definitivamente dalle scene per problemi personali e famigliari… Temo perciò di averlo incontrato personalmente solo una volta nella primavera del 1989, in occasione di una data live nella loro zona; alla fine, però, non ho parlato molto con lui, complice anche un certo timore reverenziale… Sanctis era comunque una persona estremamente cortese e onesta, non a caso tutti quelli che lo hanno conosciuto conservano ottimi ricordi di lui. Era il membro più anziano della band, che contribuì a elevare la coscienza spirituale e “politica” di Paul, Claud e Thomas, senza dimenticare che partecipava attivamente alla composizione dei pezzi; aveva una voce molto espressiva e personale e in concerto, anche senza cerone e catene, era una presenza carismatica e professionale. Ho “adorato” la sua voce da subito, quindi mi è spiaciuto molto che abbia smesso di cantare, così come mi rattrista non aver avuto la possibilità di conoscerlo meglio.
Fulvio, spazio a disposizione per chiudere come meglio ti aggrada l’intervista, grazie.
Ciao Steven, ti ringrazio molto per l’attenzione che mi hai dedicato. Anzi, colgo l’occasione per ringraziare anche tutte le persone che hanno seguito il Fan Club tra il 1988 e il 2003. Terrei infine a precisare che la mia attività non è solo rivolta nostalgicamente al passato artistico di Paul Chain in quanto collaboro stabilmente, e su più fronti, sia con la Minotauro che con i Misantropus e gli Strange Here (progetto musicale di Alexander Scardavian, storico collaboratore di Paul), band con le quali ho un rapporto non solo professionale ma di fraterna amicizia.
Stefano “Steven Rich” Ricetti