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Intervista Rockets (Fabrice Quagliotti)

Di Stefano Ricetti - 21 Ottobre 2023 - 8:06
Intervista Rockets (Fabrice Quagliotti)

I francesi Rockets sul finire degli anni Settanta e gli inizi degli anni Ottanta ottennero un incredibile successo nel nostro Paese, poi la situazione precipitò successivamente all’uscita di un album imposto dalla casa discografica e di loro si persero le tracce per qualche anno. Il gruppo, saldamente in mano al tastierista Fabrice Quagliotti, l’unico della formazione classica rimasto, non ha mai cessato di esistere, continuando a pubblicare dischi ed esibirsi dal vivo. I loro inizi furono caratterizzati da una robusta componente hard rock, esplicitata nel loro album dal vivo “Live” del 1980, ove si può apprezzare, ancora oggi, quanto la chitarra di Alain Maratrat suonasse dura e fottutamente “scartavetrata”. Di questo e molto altro si è parlato con Fabrice Quagliotti nel resoconto della chiacchierata vis-à-vis che segue, realizzata presso il Druso di Ranica (BG), sabato 14 ottobre 2023 e che ha visto coinvolti anche il chitarrista Gianluca Martino e il cantante Fabri Kiarelli.

Buona lettura

Steven Rich                

 

 

Concordi con me sul fatto che agli inizi al vostro interno vi era una forte connotazione hard rock?

Fabrice Quagliotti – più che hard rock direi blues rock, perché, nonostante provenissimo tutti noi da mondi diversi, un qualcosa di fondo ci legava: Christian Le Bartz ascoltava i Doors, Alain Maratrat era un fan sfegatato dei Led Zeppelin, io ero legato a Genesis, Led Zeppelin e Deep Purple. Sicuramente la base rock nei Rockets c’era e tuttora è molto presente, i nostri suoni dal vivo sono sicuramente molto rock, frammisti alle sonorità elettroniche, ovviamente.

 

Ed è infatti il motivo per il quale i Rockets possono presenziare su Truemetal, Fabrice. Seconda domanda: come e da chi nacque l’idea del vostro trucco argentato?

É stata un’idea di Claude Lemoine, il nostro primo produttore, un personaggio decisamente geniale, già si era inventato, in Francia, i Pappoes, tutti colorati di verde con delle parrucche enormi, poi se ne è venuto fuori con questa idea di cinque musicisti rasati e argentati.

 

Fabrice Quagliotti, 1981

 

Avete mai incontrato e conosciuto i Kratfwerk? 

Mai! Anche perché non c’entravamo nulla, con loro. I Kraftwerk sono un gruppo di elettronica pura, che amo molto, noi facevamo cose diverse.

Ok, Fabrice, ma quando uscì il loro 45, “Robot”, l’immagine fra le due band poteva in qualche modo accostarsi.

Mah, sono punti di vista. Noi li abbiam sempre considerati “marziali”, con un look tipicamente tedesco, anche nell’abbinamento dei colori, insomma, una situazione molto distante dalla nostra…

Agli inizi e nel periodo di maggior successo veniste definiti un po’ superficiali e poco impegnati da una certa critica musicale. Vi dava fastidio la cosa?

No, anche perché i giornalisti imbecilli fanno parte del pacchetto, li prendevamo e li consideravamo tali. Non si può giudicare superficiale una band per il solo fatto del trucco, penso ai Kiss, ai New York Dolls, allo stesso Bowie in un determinato periodo… Le abbiamo sempre considerate le tipiche critiche di gente frustrata che avrebbe voluto suonare ma non ce l’ha mai fatta.

 

 Rockets, line-up 2023

 

π 3,14 fu un disco deludente, quantomeno per me… Concordi? Cosa non ha funzionato in quel periodo in seno alla band?

Non è stato un disco deludente, è stato il disco della discordia. É quello che ha decretato la fine della carriera dei Rockets argentati. Noi avevamo un album bell’è pronto, il famoso Ghost Album, intitolato Alienation, che poi è uscito nel 2021. La casa discografica, per motivi che non abbiamo mai capito, lo bocciò e ci indirizzò verso π 3,14. A quel punto, contrariati, ci siamo semplicemente rifiutati di suonarlo, non c’è una mia nota né una di Maratrat su quel disco, L’Her è stato quasi obbligato a cantare su dei brani non nostri, tra l’altro sono tutti dei plagi vergognosi di brani di altri. Ti basti sapere che io non lo considero un disco dei Rockets.

 

Cosa è accaduto dopo lo scioglimento successivo ad Atomic?

Insieme con Claude Lemoine decidemmo di cambiare la voce del gruppo in quanto l’accento non era accettabile per il mercato legato alla lingua inlgese, intendo quello britannico e quello americano, prevalentemente. Virammo quindi su Sal Solo, artista che corrispondeva ai nostri requisiti, il cantante dei Classix Noveaux. In quel momento abbiamo deciso di abbandonare anche il look argentato. Sempre rasati, con abbigliamento futuristico, ma al naturale. I disegni dei nostri capi provenivano da un lavoro di Victor Togliani, l’autore della copertina dei Visitors. Da lì iniziò un capitolo nuovo nella carriera dei Rockets.

 

Fabrice Quagliotti, fine anni Settanta 

 

Un tuo commento, uno per uno, per i vostri seguenti album:

 

1976 – Rockets: un ibrido

 

1978 – On The Road Again: la vera partenza dei Rockets

 

1979 – Plasteroid: the best!

 

1980 – “Live”: qui spendo qualche parola in più. E’ un bel disco, grondante energia, ma bisognava pubblicare un doppio, così come è uscito è senza dubbio possente ma irrimediabilmente monco.  

 

1980 – Galaxy: fenomenale!

 

1981 – π 3,14: une merde! (in francese)

 

1982 – Atomic: interessante, su quel disco ci siamo riappropriati delle nostre sonorità     

 

Fabrice Quagliotti, 2023

 

Se ti cito ANASTASIS e UNIVERSAL BAND cosa ti sovviene?  

Anastasis non lo considero di certo il più bel brano strumentale dei Rockets, in quanto troppo ripetitivo anche se debbo ammettere che possiede un suo fascino indiscusso. Universal Band è una bella canzone con una marcata vena rockettara.

 

Quali sono i pezzi che più ti piace suonare dal vivo e perché?  

Al primo posto pongo la strumentale Venus Rhapsody, di molto superiore alla sopraccitata Anastasis. Mi sono innamorato di quel brano, per me incarna l’essenza dei Rockets. A seguire, nelle mie preferenze, Back To Your Planet, perché lo considero un classico e Sci-Fi Boogie per la sua carica molto rock, non a caso dal vivo la facciamo con due chitarre, oltre a Gianluca Martino si aggiunge anche Fabri Kiarelli. Poi Future Woman, Lost In the Rhythm, (tratta da Kaos), Space Rock, la cover di Billy Idol Rebel Yell e due brani dall’ultimo album: Jammin’ e Riders Of The Storm, cover dei Doors, da noi completamente rivisitata.

 

Quali sono stati pezzi che vi hanno definitivamente aperto le porte del successo in Italia?

Uno solo: Future Woman! Ma gli artefici del nostro successo permangono due soggetti che hanno creduto in noi. E mi riferisco a Maurizio Salvadori della Trident e Maurizio Cannici della CGD, che ci hanno notato in Francia in occasione di alcuni nostri concerti e poi hanno investito sui Rockets. Puoi avere dei pezzi bellissimi e porti al meglio su di un palco ma se nessuno ti dà fiducia tutto si disperde e non si arriva a nulla di concreto.

 

Rockets, “Live”, 1980

 

Sei rimasto in contatto con gli altri della classic killer line-up?  

Sono in perenne contatto con Alain Maratrat, siamo amici da una vita, stessa cosa per Alain Groetzinger, con Christian no, non ho rapporti da un bel po’ e con Gerard penso che ci siamo sentiti sei anni fa circa, l’ultima volta.

 

Cosa fanno oggi?

 

ALAIN MARATRAT (chitarra) – insegna musica e ne scrive ancora, è rimasto nell’ambiente

 

CHRISTIAN LE BARTZ (voce) – ha una piccola azienda che si occupa di import export di mangime per animali

 

GERARD L’HER (basso, voce) – non fa nulla, è completamente fuori da ogni situazione legata alla musica

 

ALAIN GROETZINGER (batteria) – scrive ancora dei brani, totalmente anticommerciali, poi gestisce dei blog di animalisti, lui è un animalista convinto

 

Rockets dal vivo durante “Space Rock”, 2023

 

Sei l’unico Rockets rimasto in tutte le formazioni dal 1977 in poi. Sei stupito di riscontrare oggi di quanti fan avete ancora in Italia?

Si, lo ammetto. É davvero una bella storia, la nostra, perché abbiamo vissuto un gran bel periodo ma poi ci siamo fermati per parecchi anni e lo zoccolo duro dei nostri fan ci è sempre rimasto fedele. Non capita a molte band questa situazione, è facile essere dimenticati

 

All’epoca utilizzavate tantissime cose a corollario del vostro concerto, ad esempio il cubo di vetro… Hai qualche aneddoto da raccontare su qualche situazione ridicola accaduta per vie del malfunzionamento di uno di quegli accessori?  

Si! A Padova, prima di un nostro concerto ebbi un mega incidente stradale e la mia macchina rimase distrutta. Arrivai in tempo ma ricoperto di sangue, avevo subito dei tagli anche alla testa ma dopo un’ora ero sul palco, benché frastornato. In quel periodo utilizzavamo due cupole: una per la batteria e una per le tastiere. All’interno c’erano 700 watt di spie e un cubone enorme della Lombardi, una cosa allucinante in termini di potenza espressa! Quando le cupole sono aperte la cosa è gestibile e sopportabile, in caso contrario un po’ meno. Quella sera partì l’intro ma la cupola non si aprì, la cosa durò più di due minuti, mi sembrava di impazzire là dentro, ero tutto scombussolato, fra il mal di testa per via dell’incidente e i volumi assordanti carichi di eco che si sviluppavano all’interno. Poi fortunatamente intervennero i roadie e con l’apposita manovella riuscirono finalmente ad aprire quella maledetta cupola. Si incantò una volta soltanto nella storia, proprio quando versavo nelle condizioni fisiche peggiori!

 

Gianluca Martino, chitarra, 2023

 

Per quanto riguarda invece la vernice verde fosforescente con la quale innaffiavate le prime file ai concerti, ricordi qualcosa di divertente’  

Si, eravamo in concerto al teatro di Catania e la cosa strana era rappresentata dal fatto di avere in primissima fila un signore distinto con i baffetti e la sua signora agghindati come se dovessero andare a un gran galà: pochette, cravatta, doppio petto e così via. Eseguimmo il primo brano e, una volta finito, l’applauso partì solo dopo che questo signore fece un cenno e lui stesso si mise ad applaudire. Il quel momento realizzammo che si trattava della persona di “riferimento” della zona… Dopo qualche altro pezzo, come da copione, Christian spezzò i tubi contenenti la vernice fosforescente e annaffiò le prime file, in particolare quel signore distinto, che in un attimo divenne totalmente verde in faccia. Le Bartz probabilmente manco se ne accorse, dal tanto era coinvolto, ma io ebbi un attimo di timore non potendo prevedere la sua reazione. Gelo anche in sala. Con estrema nonchalance quel personaggio si asciugò accuratamente il viso estraendo un fazzoletto lindo e, una volta finito, fece di nuovo partire l’applauso, al quale si unì tutto il pubblico, a sua volta evidentemente stupito da quel comportamento.        

 

Cosa pensi dell’heavy metal?  

Come tutte le cose, quando fatto bene mi piace molto, anche se non mi ritengo un grande conoscitore della materia. A parte i Judas Priest i miei ascolti abituali vertono su band hard rock: Led Zeppelin, Scorpions e Deep Purple.

 

Rosaire Riccobono, basso, 2023 

 

 Se ti nomino Trust e Sortilége?

Nessun particolare ricordo serbo di loro, mi spiace. A quei tempi ascoltavo Christian Vander, un esponente del Progressive francese.

 

Ti è mai stato chiesto di far parte di un’altra band?

Si, dei musicisti singolarmente famosi volevano ingaggiarmi in una loro nuova band, capitò dopo il grande successo raggiunto con i Rockets, ma rifiutai categoricamente, non ero per nulla interessato. Di una cosa mi pento, però: non avere fatto delle produzioni, all’epoca.

 

Eugenio Mori, batteria, 2023

 

Qual è la cosa più strana che ti è stata richiesta dai fan?

A parte i vari autografi sul seno delle ragazze direi di no… Oddio, ci sarebbero anche le varie mutandine ricevute dalle fan, ma è una cosa usuale per un po’ tutte le band.

 

Uscirà una vostra biografia un giorno?

Ne è uscita una che porta la firma di Alain Groetzinger, intitolata Il Sogno Di Metallo (La Rêve de Métal, in Francia), ma ritengo che per avere un lavoro completo sui Rockets bisognerebbe raccogliere le singole biografie dei vari componenti e poi metterle insieme. Questo perché ognuno di noi aveva la propria visione delle cose. Io stavo per scrivere la mia, poi è scoppiata la pandemia e mi sono dedicato ai miei album da solista, seguiti da quelli dei Rockets e quindi non ho avuto più la possibilità per lavorarci sopra. Comunque sarà un qualcosa di divertente, non sarà una biografia classica con annotate tutte le date e cose del genere, la gente che la leggerà sorriderà ad ogni capitolo e abbraccerà tutto il mio percorso, dalla nascita a oggi. Devo solo trovare il tempo e un giornalista in grado di mettere insieme il tutto in maniera armonica, anche perché il mio italiano non è eccezionale, ah,ah,ah!

 

Perché diventaste più famosi in Italia che in Francia?

Nul n’est prophète en son pays!

In Francia eravamo partiti bene, molto bene, poi l’interesse è scemato ma non ne abbiamo mai individuato i motivi certi. A livello di singoli sia Future Woman che On The Road Again avevano sfondato; Galactica, stranamente, no. Abbiamo fatto molte apparizioni in TV, moltissimi concerti ma probabilmente per il mercato e il pubblico francese eravamo troppo avanti.

 

Fabri Kiarelli, voce, 2023

 

Ti ricordi che qualcuno in Italia vi aveva etichettati come dei fascisti? Anche per via di certi atteggiamenti sul palco di Le Bartz. Come reagiste all’epoca?

öh, alla grande! Reagimmo indossando dei coperchi in testa per ripararci dai bulloni che ci tiravano durante un nostro show al Palalido. Chiaro che ci rimanemmo male, perché noi non eravamo né fascisti né nazisti ma allora quelli che giravano rasati o erano skinhead o gente che faceva il militare in qualche corpo speciale. Il calvo non era contemplato, allora, era totalmente fuori moda, non come oggi… Noi poi in borghese giravamo con i pantaloni di pelle nera aderenti e gli stivaletti da cowboy a punta, con un paio di grossi cani al guinzaglio, dei pastori tedeschi, chiaro che l’associazione ai nazi veniva facile, ragionando superficialmente…

 

Quando hai iniziato con i Rockets ti saresti mai immaginato di arrivare sino a oggi ancora con loro?

No, assolutamente. Quando iniziai il mio cammino nel mondo della musica venni posto di fronte a due scelte: suonare con il mio amico bassista Rosaire Riccobono nei club Mediterranee in Francia, strapagato, con la prospettiva poi di esibirci anche ai caraibi per tre mesi filati oppure unirmi ai Rockets, che in quel momento erano pressoché degli sconosciuti. Ero giovane ma non esitai: mi unii a loro. Ci credevo e mi stuzzicava l’idea.  Il resto è storia.

 

Quale la maggiore soddisfazione con i Rockets e quale la maggiore delusione.

La soddisfazione: il numero di fan che abbiamo raggiunto e il numero di dischi che abbiamo venduto. La delusione riguarda invece la mancanza di un seguito vero in determinati Paesi. Abbiamo riscosso successo in Italia, Francia, Germania, Russia (ancora adesso, tra l’altro!) ma in altri poco o nulla. Un vero peccato. Ci è mancato qualcosa, evidentemente.

 

Non hai mai ricevuto qualche tipo di lamentela o pretesa da parte degli altri ex Rockets piuttosto che qualche richiesta di indennizzo o corresponsione di royalties dal momento che sei l’unico che ha portato avanti la band? 

No, mai, anche perché io ho acquistato l’intero catalogo, i master, e i diritti anche di immagine necessari per potermi muovere liberamente utilizzando il nome del gruppo. Potevano farlo anche gli altri ma nessuno si è mosso quindi nessuno ha avuto alcunché da ridire. Tieni presente, poi, che con Alain Maratrat e Alain Groetzinger sono sempre in contatto, a loro fa piacere che i Rockets siano ancora in giro e spesso ci confrontiamo sulle varie cose, anche se non fanno più parte della band. Di Gerard L’Her ti ho già riferito prima, non ci sentiamo da più di sei anni mentre con Christian saranno anche trenta dall’ultima volta, anche se sottolineo che non v’è stato nessun screzio, con loro.

 

Rockets, Time Machine, 2023

 

Prossime mosse, Fabrice?

É uscito da pochissimo il nostro nuovo album, Time Machine, precisamente lo scorso 6 ottobre e saremo in promozione sino a fine anno, poi stiamo organizzando le date dal vivo per il 2024. I vari aggiornamenti si trovano sulla nostra pagina Facebook ufficiale o sul sito.

 

Chiudi l’intervista come vuoi, spazio a disposizione (la risposta di Fabrice Quagliotti nell’immagine sotto,  autografata).

 

 

Gianluca Martino (chitarra) e Fabri Kiarelli (voce, chitarra) sono nei Rockets rispettivamente dal 2003 e da quest’anno. Entrambi hanno avuto trascorsi nel mondo dell’heavy metal, parte proprio da lì la nostra chiacchierata.

Il resto della formazione si completa, oltre ovviamente a Fabrice Quagliotti alle tastiere, con Rosaire Riccobono al basso, sin dal 1985 ed Eugenio Mori, alla batteria dal 2005.

 

Fabri Kiarelli e Gianluca Martino, Rockets, Live @ Druso (BG), 14 ottobre 2023

 

Fabri Kiarelli: a dieci anni ero già metallaro, lo divenni “a botte” di Black Sabbath, Judas Priest, Riot. Militai in qualche band poi negli anni Novanta mi unii a Pino Scotto subito dopo il Monsters Of Rock di Reggio Emilia del 1992, suonavo la chitarra all’epoca. Sono diventato cantante successivamente. In un determinato momento “rischiai” addirittura di far parte dei Death SS quando Al Priest accusò qualche tentennamento riguardo il fatto di continuare e meno con loro. Poi ci ripensò e la cosa finì lì. Luca Ballabio degli Screamin’ Demons suona tuttora con me, nella band hard’N’heavy che abbiamo, i Mister No. Come Fist, anche se siamo sempre noi, abbiamo pubblicato due album per l’etichetta tedesca Avenue of Allies, distribuita da Frontiers. Poi ho collaborato con Red Crotalo dei Revenge, Franco Nipoti dei Crying Steel, Joe Vescovi dei Knife Edge e ho fatto parte della line-up della reunion dei Trip, come cantante/chitarrista.

Gianluca Martino: ho iniziato a suonare la chitarra classica a nove anni, poi mi sono dedicato al pallone per ritornarci a sedici anni, con quella elettrica, appassionandomi di heavy metal: Iron Maiden, Judas Priest, Ozzy Osbourne, Accept, Scorpions, insieme alle band storiche dell’hard rock, ossia Deep Purple e Led Zeppelin. Poi come chitarrista, per sopravvivere in Italia bisogna diventare un po’ poliedrici, quindi ho sviluppato attitudine anche per il pop, il funk, l’R&B, il Blues, in modo che a seconda degli ingaggi potessi essere versatile. Il mio rapporto con l’heavy metal è quindi stato più da fruitore, da ascoltatore, che non da interprete. Il bagaglio di esperienza accumulato all’interno di vari generi musicali è stato fondamentale per decretate la mia entrata nei Rockets, band nella quale coesistono tantissime sonorità di tutti i generi, per cui per un chitarrista è importante possedere un linguaggio musicale completo e del rock a 360°. Abbiamo dei brani come Rocketsland e Don’t Stop che sono pezzi veramente cattivi, altri che hanno delle sfumature alla Pink Floyd, su Kaos vi sono dei brani acustici, eseguiti sia con la chitarra acustica che la chitarra classica, per cui le sfaccettature sonore sono variegate e il mio background, sia a livello di studio che di ascoltatore, è servito parecchio.

 

 

Rockets, 2023

 

Come è nata la possibilità di entrare nei Rockets?

Gianluca Martino – Suonavo con Bruno Durazzi, un batterista che in quel periodo, intorno ai primi anni 2000, lavorava già con Fabrice Quagliotti. A un certo punto, dal nulla, Bruno se ne uscì con la domanda: “Gianlu, ma ti andrebbe di suonare con i Rockets?”.

Puoi immaginarti la mia risposta… Bruno a quel punto prese il telefono e disse a Fabrice: “oh, c’ho qua un chitarrista forte, dai, tiriamolo dentro!”. Fabrice ci convocò a casa suo il giorno successivo, lo conobbi e chiacchierammo tutto il pomeriggio, senza che io suonassi una nota. È stato un incontro conoscitivo a livello umano. Da un momento all’altro mi aspettavo che Fabrice mi dicesse, ok facciamo un provino o qualcosa di simile e invece mi buttò là un “ok, ti prendo!” Fidandosi ciecamente di Bruno dal punto di vista delle referenze tecniche e di background gli interessava solamente capire che tipo di persona fossi. Iniziammo così i primi lavori di produzione e il mio battesimo del fuoco dal vivo fu spettacolare, in una piazza a Como gremita di gente di fronte al lago, con più di cinquemila persone presenti sulla terraferma senza contare quelli che ci guardavano dalle barche.

Quali sono i tuoi dischi preferiti dei Rockets?

Gianluca Martino – Plasteroid e Galaxy, che sono poi quelli che hanno fatto la fortuna della band. Abbiamo avuto l’onore di fare il tour per il quarantesimo di Plasteroid in Russia nel 2019, alcune date che fungevano da anticipo del mega tour estivo, sempre in Russia, con tantissimi concerti già fissati. Poi è arrivato il Covid…

Racconta della tua entrata nella band, Fabri.

Fabri Kiarelli – il merito è da ascrivere alla fidanzata di Gianluca. Nell’estate scorsa ero a suonare per degli amici al mare, in darsena, in veste di chitarrista/cantante. In quel locale c’era anche Gianluca. Nel giro dei musicisti ci eravamo già incrociati, ci si conosceva di vista. A fine concerto mi disse: la vostra performance mi è piaciuta, ho un in mente un qualcosa per te… E la cosa finì lì. Un giorno, per scherzo, su di uno dei mie social scrissi una cosa del tipo “cantante e chitarrista offresi per ingaggi presso feste, matrimoni, eventi”, ma assolutamente per ridermi addosso. Gianluca, leggendolo, mi scrisse in privato: dobbiamo sentirci telefonicamente… lo facemmo e mi disse dei Rockets, che erano alla ricerca di un cantante. Passarono mesi senza che lo sentissi più e poi un giorno, a sorpresa, mi chiamò. Mi presentai da Fabrice Quagliotti che mi fece cantare due pezzi dei Rockets, ma io, ovviamente, ero totalmente impreparato, non mi avevano assolutamente preavvertito della cosa. Il provino non andò male ma nemmeno benissimo, me ne andai via mortificato. Poi però mi preparai a dovere, mandai loro dei pezzi in mp3 e dei miei video alle prese con pezzi dei Rockets e mi concessero una seconda chance, che andò come doveva andare.

Gianluca Martino – con tutto il rispetto per Fabri, di cantanti bravi in giro ce n’era più d’uno, le sue qualità anche in sede live le conoscevamo e sono indiscutibili ma noi eravamo alla ricerca di un qualcosa di più, ossia di un soggetto che fosse in possesso di una pronuncia anglosassone credibile.

Fabri Kiarelli – a quel punto dissi loro che avevo fatto le scuole negli Stati Uniti, e che parlavo l’inglese meglio dell’italiano: il giorno dopo ero il cantante dei Rockets!

 

Stefano “Steven Rich” Ricetti