Intervista Royal Air Force/R.A.F. (Mario Riso)
Royal Air Force, meglio conosciuti come R.A.F: uno dei gruppi che più mancava nel roster delle mie interviste relative al metallo italiano degli anni Ottanta. Ebbene, dopo aver letteralmente consumato la loro discografia negli eighties, sinceramente non avevo trovato nessun contatto ai giorni nostri quindi, mestamente, avevo accantonato l’idea.
Grazie al classico colpo di c..o, in occasione dell’intervista a Pino Scotto, in modo assolutamente casuale mi sono imbattuto in Mario Riso, drummer della band lombarda che, come potete immaginare, non mi sono lasciato sfuggire e, qui di seguito, potete leggere l’esito della nostra chiacchierata.
Si parla di HM italiano (ovviamente), di Africa, di Jovanotti, di Manowar (con una chicca assoluta!) ma soprattutto il mio interlocutore risponde senza ipocrisia a tutte le domande provocatorie legate al presunto tradimento della fede metallica operato dai Nostri parecchi anni fa.
Andate fino in fondo e buona lettura.
Steven Rich.
Mario, prima di tutto come, quando e perché si sciolsero i R.A.F.
Noi siamo stati, (veramente al di là dei Vanadium che avevi trattato approfonditamente nell’intervista a Pino Scotto) l’unica band che è stata apprezzata e conosciuta, grazie ai grandi eventi ai quali avevamo partecipato, da tutti i ragazzi italiani. Ci siamo trovati, soprattutto a cavallo fra il 1988 e il 1989, a essere il gruppo più popolare in Italia nel settore, vincendo tutti i referendum (ricordo quello di H/M e di Metal Shock) e quindi in quell’occasione ci siamo resi conto di avere realizzato quel piccolo/grande sogno di fare dell’heavy metal in Italia (cioè nella terra dei cachi e dei mandolini) riuscendo a far parlare di noi il music business di allora… Dopo aver raggiunto determinati obiettivi, per farla breve, ci siamo resi conto che eravamo i numeri uno del NIENTE.
Tutti i sacrifici che avevamo fatto e costruito non portavano ad altro che a quintali di pacche sulle spalle da parte degli amici. In preda alla volontà di far cambiare le cose, abbiamo provato a sconfinare in altri mondi con delle collaborazioni. Quella più famosa è quella con Jovanotti, in un’Italia non pronta per l’heavy metal, figurati per collaborazioni di quel tipo! Ci siamo quindi disamorati un po’ dell’ambiente, proprio perché noi eravamo fiduciosi che il sistema sarebbe cambiato… ma così non fu. Da allora a oggi ritengo comunque che non abbia fatto particolari progressi. I dischi realizzati in Italia non erano competitivi e suonavano male per via delle produzioni scadenti.
Se proponi un album di HM italiano allo stesso prezzo degli altri artisti internazionali hai perso in partenza. La realtà dei tecnici e dei fonici italiani era da terzo mondo per quanto atteneva l’heavy metal. Cambiammo in quel periodo la nostra visione della musica: cercavamo nuovi stimoli e quindi accantonammo il progetto R.A.F. per dare inizio a quello che in seguito è diventata la “mia“ nuova band: Movida.
Nella foto: Mario Riso (left) & Steven Rich (right) il giorno dell’intervista
Adesso, per favore spiega come nacquero i R.A.F., anche se in realtà tu sei entrato nella formazione solamente dopo l’omonimo Royal Air Force.
Io sono entrato nella band nel 1985. Il fondatore era il chitarrista Brugnoli – che poi si è perso per strada – insieme a Battaglion e Marco Signorini, dopo la classica conoscenza attraverso il liceo. Io sono subentrato ad Alberto Ponti semplicemente perché Alberto non faceva più parte del progetto futuro dei RAF. Infatti, dopo aver firmato come prima band italiana in assoluto con una etichetta straniera (la Axe Killer), ci venne proposto di fare il salto di qualità e trasferirci in America. L’idea era quella di arrivare in Italia come prodotto di importazione. L’equazione è sempre quella: se arrivi da oltre frontiera sei un grande mentre se parti dall’Italia sei uno sfigato, oggi come vent’anni fa!
Dove nacque il nome Royal Air Force?
E’ stato ideato da Brugnoli, anche per via del nostro look iniziale fatto di mimetiche. Il nome RAF era facile da ricordare: il logo era fantastico, ancora oggi, anche se sono passati vent’anni.
Che fine hanno fatto gli altri RAF?
Battaglion lo vedo spesso: ha partecipato al mio ultimo progetto e inoltre faceva parte dei Movida, con i quali abbiamo realizzato due album. Marco Signorini mi arriva voce che continui a cantare, che si trovi spesso nelle sale prova qui di Milano, anche se a livello amatoriale ma con grande intensità e che continua a divertirsi. Sono contento per lui, anche perché pensavo che dopo lo scioglimento dei RAF sarebbe stato il primo a mollare definitivamente la musica. Renzo Sgroi, il bassista, ha fatto famiglia, si è sposato ed ha un figlio che penso che ormai sia già grande. Non penso suoni ancora, quantomeno se lo fa lo fa a livello amatoriale.
A proposito di cantanti italiani…
Beh, Morby non si discute, è a livello internazionale. Mi piaceva anche parecchio il singer dei Crying Steel Luca Bonzagni: un cantante di heavy metal puro. Questi due per qualità. Per quanto a attiene le canzoni e la timbrica adoravo gli Steel Crown di Yako De Bonis, purtroppo scomparso. Erano una formazione veramente valida, così come trovai di livello mondiale l’album Due degli Elektradrive: di classe, con belle canzoni e suonato alla grande. Aggiungo anche quel fenomeno di GL Perotti degli Extrema.
Foste una delle prime band a firmare per una label straniera (Axe Killer), come ci riusciste?
Semplicemente mandando loro il demo del mini-Lp. Con tutta onestà si intuiva che c’era del talento: i pezzi erano molto melodici e non si capiva assolutamente che il cantante fosse Italiano. Una timbrica bella, grandissima capacità a livello di estensione… tutto questo ha fatto intendere a quelli della Axe Killer che era un progetto valido. Poi i soliti problemi: non si aveva esperienza, questi ti mandano in studio, ti fanno anticipare i soldi per il master dicendo che poi te li ridaranno… poi quando nella realtà ci sono di mezzo migliaia di chilometri risulta difficile risalire a tutto, quindi avvocati, legali etc. etc. Quindi ovviamente il rapporto durò solo per quel mini-Lp e ci si è svincolati per fare un contratto discografico qui in Italia
Pensieri, ricordi, aneddoti riguardo i vostri tre ellepi
R.A.F. (1985)
Più o meno ti ho già detto sopra: canzoni belle, molto apprezzabile in tutto. Talento da vendere ma tanta ingenuità nell‘esecuzione.
Fasten Your Seat Belts (1988)
Esordio vero, il primo album, tanta inesperienza, tanta energia, tanta voglia di fare. Provavamo veramente parecchio… non so le altre band: noi provavamo cinque volte alla settimana facendo almeno quattro ore, solo per fare la scaletta dei brani. Non facevamo cover, preparavamo anche le movenze, simulavamo in tutto e per tutto il concerto. Riguardo gli aneddoti, io volevo usare le mia batteria, appena comprata, ma il produttore non me lo permise e usammo la D-drum. Non avevamo ancora la capacità di dire: qua ci vuole più basso, là è alta la chitarra etc. etc. Ognuno pensava a se stesso. A distanza di tempo, con la giusta capacità critica, credo fosse un bel disco, con grandi canzoni ma realizzato malissimo. Non era assolutamente competitivo come suoni, anche se, essendo il mio primo, lo considero come un figlio!
Nella foto: RAF – Leading The Riot (1989)
Leading The Riot (1989)
Tutta un’altra cosa. L’apice dei RAF, con Gene Allen come produttore arrivato fresco fresco da L.A. Ricordo come fosse straordinario vedere al lavoro un professionista. Aneddoti su Leading ne ho a tonnellate: Joey Di Maio è venuto di persona in sala, per propormi di entrare nei Manowar al posto del fuoriuscito Scott Columbus, accompagnato da Massimo Levantini, uno dei soci della Barley Arts, così come lo stesso Allen voleva portarmi in America suonare con i Lizzy Borden. Quando Leading è arrivato in America, mi è arrivato un fax, mandato da Wendy Dio (la moglie di Ronnie) dove mi faceva le congratulazioni e mi invitò negli Usa per suonare con i Dio.
Poi nel ‘91 sono andato davvero in America e ci sono stato circa un anno: ho suonato, suonato, suonato. Ma quella è un’altra storia… Gene Allen mi faceva provare anche dieci ore al giorno, poi alle otto del mattino del giorno dopo arrivava dicendo: cambia la stesura qua, modifica là, qui non va bene etc. etc.. Lui durante la notte risentiva i pezzi e pensava al giorno dopo (pazzesco). Una volta non esisteva il taglia e cuci: erano tutti dei take unici: partivi, e via fino alla fine. Suonavi un’emozione unica per tutta la canzone. Tra l’altro Gene Allen mi imponeva delle cose per allora assurde: mi faceva svuotare la cassa: “fuori stracci e cuscini” e io mi dicevo: ma così il suono fa schifo (questo non capisce un c..o!!!). Poi andavo di là in regia e sentivo un suono spaventosamente bello: aveva sempre ragione lui!
Come chitarre avevamo le Ibanez: lui diceva “che m…a!”, le smontava… le modificava, inoltre pretendeva testate Marshall mentre ai tempi era consuetudine utilizzare multieffetti che a noi sembravano fantastici. Era un dittatore, in fase di mix il prodotto aveva un suono molto asciutto, dopo le nostre rimostranze ci disse: se volete il mio nome sul disco è così, altrimenti me ne torno a casa. Quando successivamente lo abbiamo accompagnato all’aeroporto, siamo tornati indietro, abbiamo affittato lo studio ancora per una settimana e ce lo siamo rimixati noi! La cosa pazzesca è che aveva ragione lui: quel master suona ancora attuale oggi nel 2005! Gene era anni luce avanti e noi non siamo stati in grado di capirlo!
Come mai non hai accettato la proposta di Di Maio?
Mah, io in quegli anni l’America ce l’avevo già in Italia: lavorando con Lorenzo (Jovanotti), guadagnavo bene, facevo trasmissioni, promozioni etc. etc. Poi fondamentalmente sono sempre stato un romantico: il fatto di lasciare la mia band, che vivevo come un’unità familiare sarebbe stato straziante. Senza contare poi la mia famiglia vera… comunque confesso che non ho fatto molta fatica a rinunciare.
Hai mai pensato di pubblicare la discografia dei Raf su Cd?
Purtroppo il contratto discografico che avevamo era con la Metal Master che è poi fallita… quindi risulta di difficile fattibilità. Certo che, pensandoci bene, per i primi due la resa sarebbe discutibile. Il problema è che sono mixati male: c’è la batteria altissima, le chitarre piccole, problemi di frequenza e così via. Le canzoni meriterebbero anche… ma la produzione no!
Quali sono stati i gruppi che ti hanno influenzato musicalmente agli inizi?
Iron Maiden, Motorhead, Led Zeppelin, Saxon, Riot, Angel Witch, Msg, Rush… sono nato nel ’67 quindi quando ero giovane ascoltavo quelle band. I principali comunque Saxon, Iron, Zep e Motorhead.
Una domanda che faccio spesso ai musicisti, in base al ruolo che ricoprono, è quella di dare un giudizio su alcuni colleghi…
Pete Gill(Saxon/Motorhead)
Non eccelleva per tecnica ma era assolutamente perfetto per quello che suonava… un po’ come Clive Burr nei Maiden: pur non essendo una cima aveva un gusto incredibile, suonava dei riff di batteria che sono rimasti nella storia (mi viene in mente Running Free). Onestamente a livello tecnico apprezzavo di più John Bonham, Neil Peart e Stewart Copeland, anche se quest’ultimo non suonava HM!
Jorg Michael (Running Wild, Stratovarius, Saxon)
Tecnicamente superiore a Pete Gill anche se tutti hanno questa caratteristica nell’HM: sono madrelingua di quello che stanno suonando, cioè la persona giusta nella band giusta. Di turnisti forti c’era Tommy Aldridge (Ozzy, Whitesnake) che oltre a essere un batterista di una band era anche un virtuoso. Poi Vinnie Appice… e mi fermo qua perchè altrimenti non finiremmo più!
Dan Beehler (Exciter)
Niente di particolare: due casse e urlava, però giusto così: grande energia e soprattutto tanto di cappello visto che cantava anche…
Scott Travis (Judas Priest)
Qui stiamo entrando in un livello diverso: questo è un batterista che vedo più verso la generazione del 2000 rispetto a quella degli anni ottanta: ultratecnico!
Ritengo che la partecipazione dei R.A.F. a una delle prime edizioni del Monsters of Rock, (più precisamente nel 1988) fu una specie di fulmine a ciel sereno… ricordo infatti che in quel periodo erano i Vanadium il gruppo sicuramente più rappresentativo del panorama nazionale e, se non erro, era la prima volta in assoluto che una band nostrana poteva partecipare a un evento di tale portata. Vuoi spiegare qualche retroscena? Non vi sentivate in qualche modo degli usurpatori?
Innanzitutto gran rispetto per i Vanadium, sono stati veramente i primi! Noi abbiamo avuto la fortuna di lavorare duramente per tre anni (dall’85 all’88) e di essere notati, passando dalla festa della salsiccia di paese a concerti più importanti. Questo sia a livello di band che di singoli strumentisti: io ero già sponsor della Sonor, per intenderci facevo già dei seminari, nell’87 feci un contratto mondiale per la Tama e per la Zildjan tanto che ero l’unico batterista italiano internazionale. Ho delle pagine su Zildjan Time piuttosto che pubblicità con Steve Gadd, Dave Weckl, Peter Erskine, Vinnie Colaiuta e… Mario Riso.
In questo senso non eravamo degli usurpatori: usurpatore è colui che si appropria di un qualcosa in maniera forzata. Noi abbiamo lavorato duramente facendo il nostro percorso, dopodiché siamo stati notati da un management che piano piano è diventato il più importante in Italia, che era la Barley Arts. Il concerto veniva organizzato da loro e in realtà il fatto di parteciparvi è stato per noi un motivo di forte discussione perché l’HM italiano non era mai stato preso in considerazione. La data del MOR non era assolutamente da interpretare come una garanzia di successo, era in realtà da vedere come una possibilità di chiuderti definitivamente una carriera. Noi, da giovani italiani quali eravamo, avevamo solo da perdere: tutti i metallari dell’arena erano lì per i Kiss, gli Iron, gli Helloween e gli Anthrax quindi chiunque avesse suonato prima di questi avrebbe avuto la possibilità di essere bersagliato.
Cosa che non accade a noi ma ai Kings of the Sun, che presero il posto di Malmsteen all’ultimo momento e suonarono appena dopo di noi. Li hanno murati vivi: gli hanno tirato l’impossibile… da li abbiamo capito che noi eravamo stati veramente grandi. E’ stata un’occasione e ce la siamo giocata veramente bene! Due giorni dopo il MOR ci siamo presentati come supporter dei Metallica per il tour di And Justice For All, anche lì è stato un grandissimo rischio: dopotutto noi eravamo una band di HM stile americano, lontana dal thrash dei four horsemen. Non era facile… io facevo addirittura il solo di batteria all’interno del nostro concerto, con tale Lars dietro la schiena che mi osservava !!! così come il solo del nostro chitarrista era controllato dallo spettro di Kirk Hammet dietro le quinte… abbiamo dimostrato di avere le palle e ne siamo usciti a testa alta!
Dopo il Monsters of Rock probabilmente foste la band italiana con più visibilità: i pezzi di sicuro non vi mancavano, dal vivo eravate assolutamente all’altezza della situazione ma mancò quel qualcosa per fare il salto definitivo… secondo te come mai?
Già l’ho detto prima, non esisteva la scena… eravamo già i numeri uno ma eravamo sempre lì…
So che stai portando avanti un progetto musicale, al quale partecipano anche i Fire Trails, a scopo umanitario per l’Africa. Parlane.
Con molto piacere! Da qualche tempo sono diventato ambasciatore per Amref (ho avuto anche la fortuna di essere nominato socio onorario) e sto provando a dare il mio contributo umanitario occupandomi della costruzione di pozzi d’acqua in Kenya.
Ho pensato, in occasione del ventennale della mia carriera (1985-2005) – non volendo più avere una band – di fare una cosa contraria a quello che avevo sempre fatto ,chiamare cioè, gli artisti con i quali avevo collaborato chiedendo loro di suonare su di un progetto questa volta “mio“. Ho suonato finora su circa cento dischi e ho fatto un migliaio di concerti e quindi non mi è risultato difficile contattare amici splendidi: dalla Pfm fino ad arrivare ai Negrita, dai Lacuna Coil ai Negramaro, poi le Vibrazioni, Extrema, Shandon, Deasonika… Insomma gli amici di vent’anni di musica, i quali unanimemente mi hanno dato il loro Ok. Ho iniziato quindi a spedire i provini per far capire cosa avevo in testa.
Il progetto conseguentemente è sempre più cresciuto in un clima di adesione totale. Sono partito con la nazionale artisti Tv per un viaggio in Kenya, uno di quelli premio, in un Ventaclub per vedere cosa avevamo costruito con i soldi della beneficenza. Ho visionato questi pozzi e sono stato onestamente colpito dal classico mal d’Africa che mi è servito da input, una volta tornato in Italia, per riflettere attentamente su quale fosse il valore vero della vita. Ho realizzato ancora una volta di essere una persona molto molto fortunata…… Basterebbe dire che ho vissuto sempre senza fare altri lavori nella vita se non il musicista !!!. Dopo avere realizzato tutto questo ,mi è sembrato giusto utilizzare le velleità che meglio ho coltivato negli anni e metterle a disposizione di un progetto che a quel punto non poteva più essere un semplice disco di Mario Riso !!!!
Così nasce Rezophonic: unire insieme tutti questi artisti della scena musicale rock alternativa per costruire qualcosa,che spero possa diventare grande. Molto importante per me è precisare che mi sono autofinanziato in tutto ma, importantissimo, ho trovato l’appoggio di un produttore e grande amico quale Marco Trentacoste, chitarrista dei Deasonika con il quale ho iniziato a registrare il progetto. Ultimati i mix del primo singolo ho deciso che fosse il momento di trovare un’etichetta che supportasse il progetto. Dopo aver parlato un po’ con tutte le discografiche italiane ho trovato un accordo con la Sugar di Caterina Caselli che si innamorata dell’idea, delle finalità e soprattutto delle canzoni, reputandole di altissimo profilo e capendo il significato del contributo dei tantissimi musicisti coinvolti.
Abbiamo girato un videoclip che inizierà a essere in rotazione da gennaio. Compaiono Cristina dei Lacuna Coil, Olly degli Shandon, GL degli Extrema, Marco Cocci dei Malfunk per quanto attiene le vocals, alle chitarre Maus dei Lacuna Coil, Battaglion dei Movida, poi Marco Trentacoste, DJ Aladyn di radio Deejay allo scratch, William Nicastro al basso (fece tournèe con i Movida e con Grignani) oltre che me alla batteria e percussioni.
Questa è la formazione del primo singolo ma tutto il disco sarà una sorpresa perché ogni formazione prevede musicisti diversi: in una canzone ci sarà al basso Saturnino, nell’altra Roberta dei Verdena, Patrick Djivas della Pfm con alla tastiera Morgan, piuttosto che alle voci Francesco delle Vibrazioni, Giuliano dei Negramaro, Max dei Deasonika, L’aura, David dei Karma, le chitarre saranno affidate a Cesare dei Negrita, Brandoni (che suona con Renga), Nikki di radio Deejeay, Stef Burns per non parlare di Emo e Nitto dei Linea 77, Roy Paci, dj Jad degli Articolo 31… per farla breve ci sono 67 artisti che hanno partecipato. Dulcis in fundo…. Il disco ha già raccolto i primi 20 mila euro che verranno girati (da me personalmente) all’Amref, per la costruzione dei primi pozzi d’acqua…
Nella foto: Rezophonic, il disco.
Pensieri e parole riguardo i colleghi della NWOIHM:
Death SS
Avanti coi tempi: sono arrivati troppo presto e secondo me Marylin Manson se li è ascoltati e visti ben bene!
Sabotage
Gruppo molto valido: tecnicamente bravissimi… metal, forti, toscani, degli amici… alla grande!
Strana Officina
Vicini ai Vanadium sia per storia che per responsabilità.. Bud è un grande!
Bulldozer
Troppo forti, il vero trio thrash dall’immagine molto intensa, soprattutto Alberto (AC Wild), era veramente credibile… uno dei pochi italiani veramente credibili a livello internazionale nell’estremo
Astaroth
Amici incredibili, quando sono andato a vivere in America il primo che ho incontrato è stato Saverio Principini (Shining) e sono stato con lui a lungo… non me li sono goduti in Italia ma negli Usa si!
Vanexa
Li conosco poco, ricordo un solo loro brano…
Parliamo anche delle note dolenti relative ai R.A.F. Foste duramente contestati durante i vostri concerti dopo che alcuni membri della band parteciparono a dei progetti, per così dire, “extrametallari” con personaggi legati a strette logiche commerciali. Per favore racconta come andò la storia con dovizia di particolari e soprattutto le tue impressioni di allora e di oggi a riguardo.
Ti riferisci alle date con i Manowar? Beh… era inevitabile, dai! Noi ci siamo affacciati alla collaborazione con Jovanotti sperando, onestamente, di far parlare dei Raf in ambienti dove non ne avrebbero mai parlato. Noi non eravamo lì a fare la band di Jovanotti, noi facevamo i Raf che suonavano CON Jovanotti, io la batteria e Battaglion la chitarra. L’idea era sostanzialmente questa: noi siamo arrivati in cima al nostro mondo, che però è piccolo così. Da qui non ci si schioda, quindi cerchiamo di conoscere le persone giuste agli alti livelli – promoter, major (ai tempi ancora investivano sui gruppi…), televisioni, etc. etc -. Ci siamo resi subito conto che la nostra era una visione un po’ troppo matura della cosa, in realtà è stata vista come un alto tradimento alla fede metallica. Ricordo che allora ai concerti HM si gridava in coro: “chi non salta Jovanotti è”.
La situazione con Lorenzo – popolarissimo in quel periodo – mi dava visibilità, ritorni economici, cose assolutamente normali per un ragazzo di vent’anni che iniziava a pensare al proprio futuro, ma al di là di questo, ho sempre pensato che lui fosse una persona splendida e quindi vado ed andavo fiero di quella collaborazione. Onestamente, all’atto pratico, avere le spalle voltate da uno che non comprava neanche i nostri dischi non mi ha cambiato la vita. La vita me l’ha cambiata il fatto di lavorare con Jovanotti anche perché di lì a poco Lorenzo assunse un carattere internazionale. Sono contento di avere legato la mia prima parte di carriera come musicista a due progetti al top: Jovanotti era il numero uno nell’ambito della musica più popolare italiana e i Raf nell’ambito HM. Ho vissuto due carriere parallele al vertice di ogni genere: ho firmato contratti mondiali di endorsement grazie alla mia visibilità
Poi Lorenzo è diventato un artista sempre più credibile con i dischi successivi e il tutto ha giovato anche a me…
Avete diviso il palco con giganti come Manowar, Metallica, Helloween, Anthrax, Kiss e Iron Maiden, hai qualche curiosità da raccontare in merito?
Curiosità ne ho tremila…
i Manowar mi chiamavano paisà (per i motivi che ti ho già elencato sopra).
Iron Maiden
Era la prima volta che un gruppo italiano si mischiava ad artisti del genere quindi figurati il nostro stato d’animo… incontrai Dickinson e gli offrii da bere, immaginando il classico inglese ubriacone, invece lui mi disse – quando lavoro non bevo! – quindi quando si parla di professione siamo tutti uguali, ci si tiene per non perdere la voce e poter affrontare a testa alta le altre date, insomma la normalità della vita, cosa che comunqe non mi aspettavo.
Kiss
Adescavano donne e le mettevano sul tour bus in quantità industriale e, da italiano, mi sentivo un po’ saccheggiato, devo essere sincero.
Helloween
C’era ancora Ingo alla batteria, feci delle partite a ping pong con Michael Kiske, mi sembrava di essere in un parco giochi…
Anthrax
Qui ho un siparietto incredibile: due batterie mute montate, io seduto con Eric Carr e Charlie Benante mentre ci scaldavamo prima del concerto, una roba irripetibile…
Attualmente sei a Rock Tv che, a mio modo di vedere, rappresenta oggi in Italia una preziosissima isola felice per quanto attiene l’informazione. Nonostante le più o meno occulte spinte da parte del palazzo per tappare la bocca ai non allineati, voi vi siete da sempre distinti per la piena libertà di pensiero e di a parola all’interno dei vostri contenitori televisivi. Un esempio su tutti è il Database del martedì con Pino Scotto dei Fire Trails. Parla di quest’esperienza. Come è nata etc. etc.
Siamo quattro soci ideatori: Gianluca Galliani, Max Brigante, Tommy Massara degli Extrema ed io. Detto questo, ci trovavamo a giocare alla playstation insieme e si parlava delle rispettive band – ognuno a proprio modo era il leader del proprio gruppo – si discuteva sulla poca visibilità che avevamo, pochi spazi, boicottaggi vari insomma le solite cose. Da qui, grazie a Gianluca, avemmo la possibilità di far nascere Rock Tv che è veramente un’isola felice, è una televisione non gestita da imprenditori ma da musicisti in prestito alla televisione che viene fatta con dei criteri che non sono basati sul bilancio o sul guadagno a tutti i costi. Quindi anche rinunce importanti a protezione dell’integrità del contenitore. Mi sento di dire che Rock Tv è proprio quello che è mancato in Italia ai tempi dei Raf e degli altri.
Cosa pensi delle webzine?
Sono il presente e il futuro perché il mondo è diventato dipendente da internet. Le informazioni sono talmente tante che per fortuna oggi esiste la possibilità di reperirle solo impegnandosi a cercarle. Come nel tuo caso, tanto di cappello, per una persona che investe gratuitamente il suo tempo per far si che tutti si ricordino oppure che possano sapere e conoscere qualcosa del passato che diversamente sarebbe impossibile poter fare. La fortuna è che per adesso ancora non si paga – o per meglio dire si paga una cifra affrontabile – per poter usufruire di questo mezzo e che è accessibile alla maggior parte delle persone. Secondo me molta della comunicazione dipende da voi.
Ok Mario, ho finito… ciao e grazie
Grazie a te e a TrueMetal
Stefano “Steven Rich” Ricetti
PS: PER SAPERNE DI PIU’ SUL PROGETTO REZOPHONIC PER L’AFRICA O CONTATTARE DIRETTAMENTE MARIO RISO, VISITATE IL SITO www.marioriso.com