Intervista Temperance (Marco Pastorino)
Dopo l’uscita del quarto album dei Temperance, “Of Jupiter and Moons”, lavoro che ha segnato importanti cambi di lineup ed uno stile ancora rinnovato per il gruppo italiano, abbiamo intervistato per voi l’attivissimo Marco Pastorino, mastermind, chitarra e voce della band, tra i personaggi più influenti nella scena metal italiana degli ultimi anni.
Ciao Marco e bentornato su Truemetal.it. So che sei in viaggio, ieri vi siete esibiti per la prima volta presentando il nuovo disco a Vercelli [l’intervista è stata registrata il 28 aprile n.d.M.], al release party di “Of Jupiter and Moons” alle Officine Sonore. Com’è andata?
Bene. Bellissimo. C’era veramente gente da mezza Italia, sono arrivati amici da Napoli, dal nord-est, dal centro, ovunque… figata!
Che mi dici dei compagni di avventura nella data di ieri, tu che conosci bene la scena: i Frozen Crown.
Mi piacciono veramente tanto. Il disco è uno dei debutti più interessanti degli ultimi anni. Ci sono un paio di brani molto molto belli, molto più dei singoli. Per un album di debutto siamo indubbiamente sopra la media. Tu che dici?
Si anche a me è piaciuto molto, tra i più ascoltati del mese scorso assieme al vostro. Ma torniamo a noi, al vostro disco “Of Jupiter and Moons”. Ascoltandolo in macchina la primissima volta mi son chiesto: “Ma questi sono sempre i Temperance? Ho sbagliato disco?”, chiaramente non tanto per le voci che sono cambiate, quanto per lo stile…
Addirittura? Così tanto?
Se ci ripensi molto è cambiato dai tempi del primo disco “Temperance” (2014) con le harsh vocals, o ripensando al penultimo disco “The Earth Embraces Us All” che era molto più progressive. Qui vi mostrate ancora camaleontici. È difficile trovare delle coordinate esatte per descrivervi. All’inizio vi accusavano di essere simili agli Amaranthe per l’elemento elettronico, ora siete completamente altrove.
Quella cosa lì è vera… negli anni pur avendo quattro album credo ci sia sempre una base che parte dall’idea dei Temperance, ma poi viene sviluppato ogni volta in modo diverso a seconda di quello che poi serve all’interno di un disco o di un brano. Eravamo partiti effettivamente con qualche reminiscenza degli Amaranthe, lo ammetto anche io, per l’elettronica e per l’utilizzo delle voci; avevamo delle parti in growl, il pulito e la voce femminile. Col secondo album abbiamo cambiato qualcosina, col terzo album come dicevi siamo diventati un pelo più progressive ed abbiamo tolto la matrice più estrema. Con questo abbiamo ripreso il filone di “Limitless” per quanto riguarda i ritornelli, che sono sempre stati un po’ i nostri punti di forza… queste cose molto ariose, molto catchy e che ti rimangono in testa. Abbiamo anche unito una parte più symphonic, e poi tutto sommato la parte progressive è rimasta, soprattutto nell’ultimo brano che dura sette minuti, “Daruma’s Eyes (Pt.1)”. Per una band di metal melodico come noi non è molto semplice inserire un brano del genere in un disco, però ci carichiamo sempre! (ride)
Si, devo dire che “Daruma’s Eyes (Pt.1)” è uno dei miei preferiti all’interno del disco, speriamo di vedere prima o poi una “Part two”.
Eh ne abbiamo già parlato e parlato. Sicuramente prima o poi ci sarà qualcosa!
Tutta la varietà di cui parlavamo in quanto a generi proposti giova poi alla scaletta: nei live avete sempre più materiale.
Assolutamente! Adesso con quattro album all’attivo abbiamo una buona quantità di brani disponibili per una setlist incredibile! Abbiamo deciso di formare una scaletta veramente ampia e a seconda delle serate sceglieremo i brani, quindi abbiamo la possibilità di usare brani più speed, quelli più ragionati, i mid-tempo… naturalmente daremo priorità a quelli nuovi perché stiamo promuovendo questo disco, ma alla fine ci sono una trentina di brani utili per la scaletta. Poi non è che possiamo suonare quattro ore, ma ogni sera possiamo variare: mi sembra una cosa di valore per uno spettacolo: in questo modo la gente viene a vederci anche più volte. Questa cosa si è un po’ persa però. Io e Luca [Negro, bassista] siamo super-fan dei Dream Theater, e quando Portnoy a ogni data sceglieva una scaletta diversa ti veniva voglia di andarli a vedere ogni giorno!
Ho sentito anche influenze degli Avantasia, con quest’alternanza di tre voci, le armonizzazioni…
Si, credo che ci hai visto giusto. Soprattutto in “Daruma’s Eyes” o in “Broken Promises”. Siamo tutti fan di Avantasia, anch’io ci sento qualche reminiscenza di Tobias.
Soprattutto nel comparto symphonic, anche in “Empires and Man” viene in mente la ballatona, a un certo punto mi aspettavo uscisse fuori Amanda Somerville! Mi dicevi anche in passato che ti piace molto armonizzare le voci. Come hai lavorato poi per dividerti i compiti con Michele ed Alessia? Avevi già in mente le tre voci? Hai composto per due che poi son diventate tre?
Anche in passato avevamo tantissime armonie, tantissimi cori, su disco avevamo sei linee di voci nei brani. In questo caso i brani sono stati scritti prima del loro ingresso, e non sapevamo neppure che sarebbero stati loro a cantarli. Naturalmente quando sono saliti a bordo ci siamo divisi le parti a seconda di cosa serviva al brano selezionando le linee. Ad esempio in “The Art of Believing” abbiamo fatto cantare solo Alessia perché era proprio il suo pezzo. Stesso discorso per “Alive Again” che era un pezzo proprio sulle corde di Michele e non serviva che io ed Alessia cantassimo.
Invece sui vecchi brani come ve la cavate dal vivo?
Abbiamo fatto qualche prova per capire cosa potesse suonare meglio. Alla fine abbiamo riarrangiato alcune cose aggiungendo qualche armonia, magari una parte che prima era fatta da me la canta Michele, oppure una parte che prima era femminile ora è fatta da tutti e tre… mescoliamo molto le carte, anche per restituire nuova linfa vitale ai brani vecchi nei concerti, brani che hanno qualche anno ed abbiamo suonato una valanga di volte. Anche a Vercelli la gente era proprio gasata, così è come se li registrassi nuovamente, i pezzi prendono un’altra forma.
Con questa modalità avevate cantato “Mr. White” con loro in qualità di coristi nel DVD “Maschere – A Night at the Theater”. A proposito, dopo il DVD com’è andata con Chiara? È seguito poi lo split, avevate già qualche problema a livello di rapporti?
Io credo che in questi casi andando avanti negli anni cambiano le priorità di tutti. Una parte della band vuol fare determinate esperienze, qualcun altro no… ma di base il punto è che ci siamo ritrovati in un momento in cui c’era una netta divisione all’interno della band. Da una parte io, Luca e Alfonso, e dall’altra appunto Chiara. Noi eravamo molto determinati e convinti del fatto che fosse giusto continuare a suonare tantissimo dal vivo, perché comunque ci ha dato veramente tanti frutti negli anni. Volevamo anche sviluppare un determinato mood di lavoro per quanto riguarda gli album successivi, anche concettualmente e a livello di produzione. Ad un certo punto avevamo delle idee troppo discordanti e secondo me forzare le cose non funziona mai. Credo che non sia nemmeno giusto per le persone che ti supportano e comprano i tuoi dischi. Meglio fare una cosa vera, in cui credi fino in fondo, con le persone che ti possono seguire e possono far parte della band al 100%, piuttosto che magari cercare di accontentare la gente ma non essere veramente convinti di quello che si fa. Quindi siamo arrivati al punto di non ritorno ed abbiamo deciso di fare questo cambiamento. Rispettiamo assolutamente quello che abbiamo fatto in passato e siamo molto orgogliosi degli album, però adesso è veramente una nuova strada. Crediamo oggi di aver trovato la formula perfetta, in cinque così sia in studio che per quanto riguarda il live abbiamo uno show bello da vedere e da sentire!
Quindi non avete dato una letterina dopo il DVD come avevano fatto quegli altri? [ogni riferimento al caso Nightwish-Tarja è puramente casuale n.d.M.]
Nono, ci siamo parlati a voce perché nonostante ormai tutti noi abitiassimo molto distanti, avremmo anche potuto mandare la classica mail… però diciamo che anche in un’era così moderna siamo un po’ old-style tutti noi e preferiamo parlare a quattr’occhi. Anche quando parliamo degli obiettivi della band e dei progetti futuri, a meno che non sia una cosa veramente urgente che devi discutere al telefono, di solito abbiamo degli incontri molto lunghi in cui definiamo tutto nei minimi dettagli, anche per i passi successivi della band. Nessuna letterina!
Sempre sul tema “nuova lineup”, passiamo ai nuovi ingressi: Michele Gautioli ed Alessia Scolletti. Durante l’ultima intervista mi parlasti molto bene degli Overtures, nei quali entrambi militano. Sicuramente c’era già un grande rapporto di stima per Michele, Alessia e tutta la band… come mai alla fine avete optato per loro tra le varie proposte ricevute anche internazionali?
Abbiamo ricevute molte candidature e le abbiamo ascoltate tutte perché era giusto dare la possibilità a chiunque, però dopo aver deciso di cambiare vocalist, parlando io, Luca e Alfonso abbiamo pensato ad Alessia e Michele. Era un cambiamento per noi perché passavamo da una band a quattro elementi ad una a cinque. Due voci soliste al posto di una. Un bel cambio, ma eravamo convinti che sarebbe stata la strada giusta da prendere. Abbiamo lasciato la cosa un attimo in stand-by mentre abbiamo provato i brani, abbiamo speso qualche giorno con i demo alla mano, poi abbiamo sentito i ragazzi e detto: “Mik, Ale, sentitevi i brani e se avete voglia di provare qualcosa ben venga…”. Abbiamo preso questa decisione in Danimarca mentre registravamo le batterie di Alfonso con Jacob Hansen. Lì abbiamo avuto un po’ di tempo libero tra i demo ed abbiamo deciso. Sembra un po’ il fantacalcio. Abbiamo pensato al fatto che Alessia ha una voce incredibile ed è libera, non è impegnata. Anche lei, come tutti noi, vive di musica. Abbiam detto: “se vogliamo una figura di questo tipo meglio una persona così rispetto ad una che ha tanti impegni e non si può dedicare al 100% in quello che fa”. Anche se ci conosciamo da anni nel DVD abbiamo avuto modo di sentire che ha un potenziale incredibile. Io credo anche che in questo album non ci sia tutto quello che ha da dare. Possiamo fare veramente tante cose. Per Michele è la stessa cosa. Credo che sia sotto gli occhi di tutti il fatto che sia diventato uno dei cantanti più interessanti che abbiamo in Italia, e sarebbe stato stupido non prenderlo! (ride)
Sento anch’io che c’è del grande potenziale, magari ancora sviluppabile in un prossimo disco pensato per quelle voci.
Sicuramente, ma già da questo disco abbiamo avuto tante novità per quanto riguarda la produzione dell’album. Per la prima volta abbiamo un pianoforte vero e non midi o roba del genere, tra l’altro suonato da Michele. Abbiamo voluto fare un lavoro molto diverso sulle chitarre, nessun reamp ma chitarre totalmente registrate da ampli. Per quanto riguarda le voci abbiamo voluto eliminare ogni forma di editing per renderlo molto vero, e infatti credo sia la cosa che arriva a tutti: è un disco vero, non studiato a tavolino o magari scritto e lavorato a computer in post-produzione. Tutto quello che senti è vero. Nel bene o nel male noi suoniamo così! (ride)
Passiamo al videoclip di “Of Jupiter and Moons”, sul nostro forum dicono che la parte filmica è stata girata sull’Etna, confermi?
Si, giustissimo! Purtroppo in Sicilia c’erano solo i due registi e l’attrice, è veramente una location che lascia senza fiato. Abbiamo deciso noi la storyboard del video, i due registi erano gli stessi di “Unspoken Words”, e parlando un po’ delle possibilità abbiamo pensato a tante cose diverse. Per richiamare un ambiente a tema abbiamo pensato che l’Etna sarebbe stata la cosa veramente più figa, peccato non esserci stati! Molto bello.
Sempre su quel brano c’è stata una piccola polemica su “Alpenglow” dei Nightwish, a giudicare da qualche commento sul web e sui forum che parlano di plagio. L’intro di piano è simile e la “once upon a time” che apre il pezzo è la stessa. Penso che sia una citazione visto che tu l’hai spolpato quel disco dei Nightwish, oppure no?
Mah, ti dico, sinceramente: nessuna citazione. Io non ci sento tutte quelle reminescenze, nel senso, sento molto più Nightwish nell’opener dell’album “The Last Hope in a World of Hopes”, che secondo me è molto più su quella scia rispetto a “Of Jupiter and Moons”. Però ci sta anche il fatto che sia uscita questa specie di polemica sulla cosa. Noi non abbiamo risposto perché ci può stare. Ogni anno escono talmente tanti album e ci sta che una cosa possa anche sembrare più simile a un’altra. Ad esempio in quel brano lì nel break centrale ci sento molto i Kamelot, altra band che ci ha ispirato molto, però nessuno ha parlato dei Kamelot… ma alla fine anche la polemica fa parte del gioco!
Molto bella anche “Of Empires and Men”, il pezzo meno metal ma con un pathos veramente molto forte con le tre voci che si amalgamano alla perfezione. Il pezzo è nato già così oppure all’inizio l’avete pensato con la batteria e la parte elettrica e siete andati per sottrazione?
No, è proprio partito così. Si tratta di uno degli ultimi brani scritti dell’album. Veramente era un po’ di tempo che all’interno di un disco dei Temperance volevo mettere un brano così, dove non ci fossero chitarre né batteria e dove le voci prendessero il sopravvento con una linea orchestrale in sottofondo. Così come dicevi te mi viene in mente “Farewell” degli Avantasia, quel mood lì di canzone. Abbiamo voluto fare un brano in cui tutte e tre le voci potessero uscire al 100%, e comunque rincorrersi all’interno del brano. All’inizio del secondo ritornello Michele parte con un acuto mentre io e Alessia siamo in armonia nel ritornello, poi Michele rientra e canta l’armonia con noi… Secondo me è molto bello, è uno dei miei due brani preferiti dell’album. Siamo molto contenti di aver proposto un brano così distante dal mondo metal sul quale abbiamo avuto un ottimo feedback.
A me ricorda più “What Kind of Love” degli Avantasia, da “The Scarecrow”.
Si, quella con Amanda Somerville!
Sempre in chiave acustica: com’è stato proporre su Rock TV e Radio Lombardia i brani arrangiati dal disco?
Tanti brani nostri nascono dalla linea vocale, quindi io mi ritrovo a scrivere la linea vocale imbracciando la chitarra acustica. “Broken Promises” è nata proprio in acustico. Quindi è stato molto semplice trasportarla. Per “Of Jupiter and Moons” che ha un riff più metal è stato un pelo più strano, però è sempre un’esperienza interessante perché vedi tutte le sfaccettature del brano. Ma tornando al discorso di prima quando hai delle armonie vocali è tutto molto più facile, quindi magari in un brano può rendere più o meno bene se riarrangiato, ma se la parte vocale è forte avrà sempre qualcosa da dire in ogni forma.
Torniamo al futuro della band. Cosa dovrete affrontare nei prossimi mesi?
Per prima cosa faremo un tour di dieci date da headliner, poi tante date confermate in tutta Europa, il tour coi Serenity… l’obiettivo principale per il 2018 ed il 2019 è suonare il più possibile. Adesso ancora più che in passato abbiamo veramente uno show che ha qualcosa da offrire di interessante ed unico. All’interno della scena di metal melodico non ci sono band con tre voci pulite che per tutto il concerto si rincorrono come in “Of Empires and Man”, in tutti i brani. Abbiamo preso la decisione di investire tutto sul live, quindi faremo tantissime date live ovunque. I progetti sono quelli.
A questo punto viene naturale chiedere: 2019 nuovo disco?
Non ti dico di no perché poi se usciamo sul nuovo disco poi usciranno gli articoli di smentita.
…e cinque punti in meno alla recensione!
No, comunque non credo, con tutto quello che abbiamo fatto di corsa per questo disco suoneremo e basta, e molto probabile che anche il prossimo suoneremo soltanto… poi magari riunione domani e nuovo disco, ma non penso! (ride)
Ultima domanda di rito, vai pure a ruota libera, un messaggio ai nostri lettori.
Come dicevo anche in passato, grazie a tutti voi per il supporto, grazie anche a te e a Truemetal. Oggi non è facile trovare delle persone che riescano a supportare delle realtà giovani come noi, è sempre più difficile costruirsi un feedback all’interno di una scena in cui ci sono tantissime band. Abbiamo incontrato negli anni tante persone che ci hanno dato una mano, ci hanno supportato ed aiutato continuamente, siamo contenti di far parte di tutto questo. Come ti dicevo stiamo puntando tutto sui live, perché crediamo che sia la nostra dimensione totale, quindi vi invitiamo a venirci ad ascoltare!
Intervista a cura di Luca “Montsteen” Montini