Prog Rock Progressive

Intervista The Forty Days

Di Mickey E.vil - 19 Luglio 2023 - 8:00
Intervista The Forty Days

Oggi facciamo quattro chiacchiere con un’interessante band dedita da qualche anno ad un elaborato new prog, prodotta dalla storica etichetta Lizard Records: i The Forty Days!

Qual è la storia dei The Forty Days, dai primi passi sino al vostro ultimo lavoro, Beyond The Air?

(Dario): I The Forty Days nascono nell’estate del 2014 come cover band Rock anni 70: c’erano alcune serate dove poter suonare, per cui chiamai un mio caro amico bassista con il quale volevo suonare da un po’, Dario Masiello, e lo presentai ad altri due amici coi quali avevo suonato in una tribute band dei Pink Floyd: il cantante Giancarlo Padula e il batterista Andrea Lucchese. Il nome “The Forty Days” deriva dal fatto che tra la prima prova e la prima serata c’erano circa 40 giorni. Suonammo fino a novembre, molte serate, divertendoci molto, poi Dario Masiello partì per l’Australia (dove risiede tuttora) e a quel punto iniziammo a pensare di scrivere qualcosa di nostro: obbligammo Giancarlo a suonare le tastiere oltre che cantare, dato che comunque un po’ sapeva suonare, e ci mettemmo a scrivere qualcosa, un po’ sullo stile Pink Floyd all’inizio. Contemporaneamente, gli amici David e Luca, gestori della nostra sala prove (Rock Village a Pisa) ci presentarono il nostro bassista attuale, Massimo Valloni: la line-up dal quale ricominciare la nuova avventura degli inediti era ormai pronta. Mi sono improvvisato scrittore dei testi, e tale effettivamente sono rimasto fino a oggi. Nel 2015 suonammo live qualche volta, iniziando a presentare le nuove canzoni davanti agli amici: uno di questi era Giorgio Morreale, che suonava la batteria da pochi mesi ma lasciava intravedere un bel talento. A fine anno Giorgio prese il posto di Andrea Lucchese, anche lui in partenza all’estero. Nel 2016, col gruppo ormai nella configurazione “definitiva”, affinammo le canzoni, presentandole a un bel numero di serate live e contest: i riscontri furono davvero buoni, e anche la comunità progressive rock locale iniziava un pochino a conoscerci. I tempi erano maturi per andare in studio per la prima volta, incidendo il primo album, The Colour Of Change: uscito il 28 ottobre 2017, si trattava di un concept album che parla di situazioni, pensieri e paure di un uomo alla soglia dei 30 anni nella nostra epoca.

Il bel percorso iniziato in quel periodo continuò lentamente e progressivamente con una bella promozione dell’album, fatta di belle esperienze ed incontri, e di concerti per la prima volta fuori dai territori toscani, ad esempio all’importantissimo festival 2Days Prog + 1 di Veruno, al quale partecipammo all’edizione 2021 dopo aver vinto il contest organizzato da Intervallo Prog. Purtroppo la pandemiaCcovid 19 e alcuni infortuni hanno rallentato molto la realizzazione del secondo album, Beyond The Air, la cui scrittura si è diluita in tutto il perdiodo tra il 2018 e il 2022. Finalmente, arriviamo al 9 giugno 2023 con l’uscita di Beyond The Air; si tratta di un altro concept album, che parla parla della crescita di un uomo attraverso l’indifferenza umana: soffre fino a diventare pazzo, ma alla fine risolverà i suoi problemi semplicemente adattandosi a questa indifferenza diffusa, tenendo ben stretti gli affetti più cari.

Raccontateci di come è nata la collaborazione con quel personaggio fondamentale che è Loris Furlan e la sua Lizard Records.

La collaborazione con Loris è nata nel 2017, nei mesi precedenti l’uscita di The Colour Of Change. E’ il tipico periodo nel quale una band al primo album cerca di farsi conoscere, cercando nello specifico una collaborazione. Tra le varie persone da contattare, gli amici conterranei Eveline’s Dust ci avevano consigliato di scrivere anche a Loris appunto, dato che aveva coprodottoo il loro bellissimo The Painkeeper. Era bello che ce ne avessero parlato molto bene dal punto di vista umano oltre che professionale, per cui speravamo in un suo interesse verso di noi: a quel punto, tra le varie mail inviate, ne è partita una al suo indirizzo, con una nostra presentazione e alcuni pre-mixaggi dell’album. Inizialmente Loris non era convinto, ma poco tempo dopo ci scrisse una cosa del tipo: “ragazzi, le vostre quotazioni stanno salendo”. E da lì è partito il cammino insieme.

Parlateci di come è nato Beyond The Air e di come ha trovato una forma “fisica” su disco. Ci sono differenze rispetto al predecessore, The Colour Of Change?

Come già vagamente anticipato, Beyond The Air parte abbastanza da lontano: ad esempio la canzone ‘Under The Trees’ era già pronta quando presentammo The Colour Of Change. In generale, tutti i brani erano pronti a inizio 2020, tranne ‘B4 The Storm’, una sorta di intermezzo acustico che è stato aggiunto proprio all’ultimo momento, in studio. Dal punto di vista della produzione, entrambi i dischi si avvalgono della preziosissima collaborazione dell’amico Edoardo Magoni: Edoardo ne ha curato la registrazione e il mixaggio, effettuando con noi un lavoro di rifinitura degli arrangiamenti, suonando anche qualche piccola parte. Sul primo album cercavamo un sound molto inerente a Animals dei Pink Floyd, dato che i brani portavano principalmente in quel mondo lì. Su Beyond The Air abbiamo provato a mettere un po’ da parte le influenze floydiane, cercando una voce più nostra: è venuto fuori un lavoro più neo-progressive, complessivamente diverso dal primo sotto molti punti di vista, ad esempio per il fatto che il lavoro di mastering è stato realizzato dall’Eleven Mastering di Busto Arsizio, portando quindi un ingrediente in più nel piatto finale.

Siete soddisfatti dei primi responsi a livello di recensioni?

Le recensioni arrivate fino ad ora sono state bellissime, alcune da stentare a credere che fossero vere. Passa proprio il messaggio di un apprezzamento sincero, non di circostanza. Ovviamente speriamo che continui così, sperando che tutto questo porti a qualche bella novità. Ma apprezziamo anche il fatto che possano arrivare critiche: fanno bene, fanno crescere, e comunque anche il “non piacere” fa parte del gioco. Meglio una critica negativa decisa, che indifferenza: significa che comunque hai trasmesso qualcosa.

A livello di testi, siete affezionati all’idea di concept album. Come elaborate le tematiche su cui lavorare?

(Dario): Generalmente le idee dietro ai testi le sviluppo io, così come i collegamenti tra i vari brani a livello di significato: porto l’idea in sala prove e se piace a tutti, vado avanti. Sono sempre testi con vena malinconica, nonostante siamo tutte persone che, almeno fuori da lavoro, non si prendono troppo sul serio. Di solito poi cerco di lasciare un minimo di libera interpretazione alle parole: devono raccontare situazioni o pensieri in cui ci si possono ritrovare più o meno tutti. Dal punto di vista della musica invece, le idee vengono principalmente da me e Giancarlo, ma in sala prove poi ognuno scrive la propria parte liberamente, in modo che sia in sintonia col brano, ma che permette a a tutti di mettere qualcosa di personale.

Come descrivereste l’artwork del disco e per voi cosa significa il formato fisico oggi?

La copertina è venuta spontaneamente fuori durante un servizio fotografico effettuato a Lucca con il bravissimo fotografo e nostro amico Roberto Bernocchi. Abbiamo portato l’aquilone, che in sostanza doveva rappresentare metaforicamente il protagonista dell’album, che cerca di volare in aria combattendo l’indifferenza. Il luogo della copertina lo abbiamo trovato per caso: l’immagine dell’aquilone inchiodato a un muro di indifferenza appunto, ci è sembrata forte, con un bell’impatto. Per quanto riguarda la stampa su formato fisico, assieme a Loris abbiamo deciso di stampare un buon numero di copie, dato che la “nicchia” del progressive rock fortunatamente è alimentata da appassionati che ancora comprano dischi fisici. A questo punto, perché limitarsi al digitale? Anche solo per non perdere il gusto del semplice gesto di scartare un disco, aprirlo per la prima volta, leggere il booklet ecc… oltretutto, da veri nostalgici, abbiamo optato per il classico jewel box in plastica.

Come vi muovete in ambito live, in Italia e all’estero, proponendo un genere come il rock progressivo?

Qui tocchiamo un tasto dolente, perché purtroppo la situazione che riguarda i live non è delle migliori in Italia, almeno per quanto ci riguarda. Abbiamo notato un progressivo peggioramento a partire dal 2016, e ultimamente ci sembra che il progressive rock sia uno dei generi che ha subito maggiormente il cambiamento dei tempi. Gli spazi sono molto pochi, i locali sentendo le parole “progressive rock” spesso si volatilizzano: ci sono i festival, ma sono al 90% riservati a mostri sacri o band già dotate di molto seguito. I gruppi emergenti dove dovrebbero suonare a questo punto? Come fanno a farsi conoscere? Confessiamo che tutto questo sia piuttosto scoraggiante: ci arrangiamo come possiamo, a volte riusciamo a essere coinvolti in buone situazioni, ma non si contano neanche sulle dita di una mano in un periodo biennale. Ci sono arrivate almeno un paio di proposte per suonare in festival oltreoceano, ma con rimborsi minimi, affrontando il viaggio da turisti: sarebbe bello, ma far combaciare queste proposte con la vita di tutti i giorni, spesso non è possibile, come nel nostro caso. Continuiamo e continueremo a impegnarci al massimo, ma sostanzialmente la situazione è quella che è: parlando con amici che suonano generi affini, non riguarda solo noi, ma probabilmente il 98% delle band che suonano progressive rock. In ogni caso, non ci sembra un problema solo di genere. Purtroppo c’è sempre meno interesse per i live, le persone ormai cercano situazioni dove la musica fa da sottofondo, o dove fa più o meno ballare, o dove risulta già ascoltata (cover/tribute): è abbastanza desolante vedere le persone che si rianimano vagamente solo quando annunci una cover, e a noi è successo pochissimo tempo fa.

Dove possiamo trovarvi online, attraverso quali canali? Intanto noto che avete un sito, cosa buona e giusta di questi tempi di intossicazione social…

Giusto, è da poco online il nostro sito: thefortydays.com. Abbiamo pensato che fosse il mezzo migliore e più formale per condividere il nostro lavoro. D’altra parte le pagine sui social network risultano spesso dispersive, mentre un sito rappresenta un contenitore un po’ più organizzato. Siamo comunque presenti su Facebook, Instagram e Youtube, oltre che su tutte le piattaforme di streaming musicale. I vari link sono tranquillamente reperibili dal nostro sito. Sicuramente apriremo una pagina su bandcamp nell’immediato futuro.

Quali saluto e messaggio finali mandereste ai lettori di TrueMetal?

Un saluto e un abbraccio a tutti i lettori di TrueMetal! Sembrerà una raccomandazione banale, ma alla luce di quanto detto sulla situazione dei live: continuate a sostenere la musica emergente! Andate ai concerti, comprate i dischi: è l’unico modo per tenere vive le nuove band, altrimenti di questo passo non rimarrà più niente.