Death

Intervista Trevor (Sadist)

Di Davide Sciaky - 22 Novembre 2020 - 9:00
Intervista Trevor (Sadist)

Il 4 dicembre uscirà “Assetati di sangue (45 serial killer allo specchio)“, il primo libro di Trevor, il cantante della storica band Death Metal italiana Sadist.
Abbiamo approfittato dell’occasione per far quattro chiacchere con Trevor che ci ha raccontato della storia dietro al libro e al suo interesse per i serial killer, ma anche delle ultime novità in casa Sadist.

Intervista a cura di Davide Sciaky 

Ciao Trevor, come stai?

Bene, bene dai, un periodaccio, un periodo brutto per tutti, ma sto bene.

 

Veniamo subito al dunque, il mese prossimo uscirà il tuo primo libro, ‘Assetati di Sangue – 45 Serial Killer allo specchio’. Nel Metal, si sa, tanti gruppi hanno usato serial killer come temi delle loro canzoni, pensi che per te sia stato il Metal a farti nasce questo interesse, o è stato il contrario, o sono due interessi completamente slegati e nati in maniera indipendente?

Diciamo che forse è la terza, credo che siano due interessi fondamentalmente slegati, anche se per ovvi motivi diciamo che i serial killer sono ovviamente accostati al male ed il Metal, anche se ultimamente si è voluto cercare di sdoganare, trasformandolo in qualcosa anche di bene, è sicuramente, era ritenuta da sempre la musica del diavolo, quindi sicuramente una musica malvagia, molto dura, quindi diciamo che gli argomenti, o meglio, la musica Metal con i serial killer ci possono assolutamente stare.
Però nel mio caso è assolutamente casuale, anzi, devo dire la verità che il Metal, come per tante persone, per me è stata una ragione di vita a partire da subito prima dell’adolescenza, intorno ai 13-14 anni mi sono avvicinato al Metal, poi intorno ai 17-18 ho iniziato a suonare, ma subito dopo, sui 20 anni circa, ho iniziato ad occuparmi di serial killer attraverso libri di saggistica, documentari, libri anche di criminologia.
È un interesse, perché ci tengo a sottolineare che non è né una passione, né ci trovo fascino, perché comunque potrebbe essere quasi irrispettoso nei confronti sia delle vittime che delle famiglie; è un interesse e nulla più, non tendo a mitizzare queste persone che da mitizzare hanno ben poco, nonostante il fascino del male ci potrebbe anche essere per me non è così: parliamo di persone che infliggono male agli altri!

 

Come si evince anche dal titolo, in questo libro racconti di 45 serial killer: perché proprio 45 e chi sono? Come hai scelto quelli di cui parlare?

Il numero, ti dico la verità, all’inizio era “40 serial killer allo specchio”, però la mia intenzione era quella di scrivere almeno 200, 220 pagine, poi alla fine ne sono uscite 235.
Non eravamo certi con l’editore, prima di fare l’editing del libro, non eravamo certi di riuscire a completare le 200 pagine, quindi ho aggiunto ancora un cinque capitoli di altrettanti serial killer, quindi siamo arrivati a 45 serial killer, perché anche se non è un numero tondo come 40 è diciamo un numero tondo per metà [ride] e appunto è venuto fuori questo.
40 era assolutamente casuale, era quello che mi ero prefissato pensando appunto di scrivere… però è difficile perché finché non fai l’editing, un conto è scrivere su un documento di Word, un conto è facendo l’editing capire su quante pagine andrà, quindi mi ci ero leggermente avvicinato perché sapevo quanti caratteri dovevo scrivere per arrivare a 200 pagine, alla fine ero sulle 180 quindi mi sono messo a scrivere ancora un po’ e siamo arrivati oltre le 230 pagine ed invece che 40 siamo arrivati a 45 serial killer.
La scelta è una scelta… è difficile dire originale, infatti lo scrivo anche nel libro, è stato detto veramente tanto su questo argomento.
Io col massimo dell’umiltà non avevo nessun tipo di velleità riguardo al libro; l’intenzione era appunto quella di realizzare queste schede su questi serial killer.
Diciamo che la scelta è caduta su serial killer, alcuni sono serial killer “molto noti”, non dico a tutti, ma a tanti; altri sono serial killer che sono leggermente più ricercati.
L’intenzione che avevo io era appunto quella di cercare di confermare due cose che trovo veramente importanti: una è che non c’è posto al mondo dove ti possa ritenere veramente al sicuro, nel senso che geograficamente è un fenomeno che attraverso agenti come Robert Ressler o John Douglas si è arrivati a coniare questo marchio, questo titolo di serial killer, negli Stati Uniti, e quindi sicuramente gli Stati Uniti, ahimè per loro, detengono forse il primato perché ci sono veramente tanti pazzi negli States, quindi vengono in mente sicuramente gli Stati Uniti quando si parla di serial killer. Però è una piaga veramente sociale, anzi, visto che siamo in tema, è veramente una pandemia quella dei serial killer, nonostante ultimamente sembra leggermente sopito questo fenomeno, ma è un fenomeno che abbraccia purtroppo tutto il mondo.
Proprio in questo libro ci si renderà conto che dagli Stati Uniti all’Europa, dal Pakistan alla Russia, dal Canada al Sudafrica, dall’India alla Cina, non c’è veramente posto al mondo che non abbia avuto almeno un episodio di questo genere, quindi la scelta è caduta cercando di far conoscere serial killer meno noti, ma sicuramente anche cercando di abbracciare geograficamente tutto il mondo.
Altra cosa che ci tenevo a sottolineare è che non c’è stata da sempre un’epoca ben precisa, o un periodo storico, dove sono spuntati in massa i serial killer. Si vedrà nel libro, chi leggerà il libro si renderà conto, io sono andato indietro fino al 1400 con personaggi come, uno su tutti, Gilles De Rais che aveva combattuto anche a fianco a Giovanna D’Arco, ma alla fine è ricordato più come un omicida seriale, perché ha fatto veramente tante vittime tra adolescenti e bambini, che per le sue gloriose gesta a fianco di Giovanna D’Arco in battaglia.
Quindi, ripeto, si va dal 1400 ai giorni d’oggi, non c’è geograficamente posto al mondo in cui sei al sicuro, e non c’è stato periodo storico in cui i serial killer non abbiamo fatto una capatina… pensiamo anche a Jack lo Squartatore, ce ne sono veramente tantissimi, anche Vincenzo Verzeni, italiano, Callisto Grandi, ci sono veramente personaggi già nel 1400, nel 1600, in epoca Vittoriana, fino appunto ai giorni nostri.

 

Raccontami come si struttura il libro, sono 45 capitoli in cui racconti separatamente le storie dei vari assassini o hai fatto anche delle considerazioni più generali sul concetto di serial killer?

Praticamente la struttura si divide in queste 45 sorta di schede, di biografie di serial killer, poi c’è una prefazione, una chiusura generale, c’è la triade di MacDonald, alla fine parlo anche di serial killer sia in musica, un accenno veloce, e soprattutto nel cinema.
Però fondamentalmente sono appunto queste 45 schede di altrettanti omicidi seriali.

 

Ecco, parlando di cinema hai anticipato una cosa che ti volevo chiedere: negli ultimi 20-30 anni i serial killer sono diventati sempre più spesso soggetti di cinema e televisione, oltre che ai film horror penso a tutti i vari CSI, NCIS e a show ancora più specifici come Hannibal e Mindhunter. Secondo te come si spiega questo largo interesse di pubblico, che sembra quasi paradossale pensando a come uno li consuma, magari per riposarsi a fine giornata ci si butta sul divano, si beve una birra e si guardano questi film o serie che parlano di atti assolutamente perversi?

Io uso sempre un esempio, un parallelo, sui quotidiani: quando un quotidiano ha in prima pagina, o nella bacheca di un’edicola c’è una notizia agghiacciante, terribile, di cronaca nera, sicuramente il quotidiano vende di più. Se ci sono due vigili del fuoco che hanno salvato una famiglia, la famiglia del Mulino Bianco, vende meno.
Anche se tutti ci spaventiamo, però siamo sicuramente affascinati dalla cronaca nera, dal male, ma lo vediamo tutti i giorni in trasmissioni sia in chiaro, in scuro, che tante trasmissioni sono per l’appunto collegate, se non ai serial killer e ai film horror, comunque sono collegate alla cronaca nera di tutti i giorni, femminicidi, infanticidi, quindi in questo senso credo che un po’ l’arma vincente di certi film, di certe serie tv, o anche di certi libri, sia il fascino del male.
Quello che ci spaventa d’altro canto ci affascina anche.
Parallelamente al mio amore per il Metal, per l’Heavy Metal, c’è stato anche quello per i film horror perché ovviamente quando i genitori ti dicevano, “No, non guardarlo che fa paura”, come sempre quello che cercano di proibirti è proprio quello che andrai a fare.
Io mi ricordo la prima volta che ho visto il trailer di Profondo Rosso non ho dormito per giorni, soprattutto quando dovevo andare in bagno da ragazzino accendevo tutte le luci di casa per raggiungere in fondo al corridoio il bagno, però nonostante tutto l’ho dovuto vedere.
Lì non avevo dormito per una settimana, quando ho visto il film intero non ho dormito per mesi, però nonostante tutto quello che ti spaventava era anche quello che ti affascinava.
Tornando ai film horror ho sempre preferito quelli con un finale abbastanza realistico, non mi sono mai piaciuti, secondo me già il primo tempo – io parlo da vecchietto, da cinquantenne che l’ha visto al cinema – il primo tempo di IT, quello originale, è pazzesco, il secondo tempo l’ho sempre odiato; avrei preferito che fosse un personaggio, cioè, un pezzo di carne umana, non un mostro a tre teste e dodici tentacoli, non mi sono mai piaciuti i colpevoli in versione mostro, ho sempre preferito appunto Profondo Rosso dove comunque Clara Calamai che è l’assassino, la madre di Carlo nel film, è comunque un personaggio in carne e ossa, è per l’appunto un serial killer, così come Venerdì 13, Freddy Krueger con Nightmare, Non Aprite Quella Porta, ho sempre preferito personaggi in carne e ossa.
Quindi in questo senso è una cosa che gioca a mio favore il fatto che negli ultimi tempi in tanti film horror il protagonista è un serial killer.

 

Come dicevi prima hai questo interesse nei serial killer da molti anni, cosa ti ha spinto a scrivere questo libro proprio adesso?

Guarda, è una passione, una passione tra virgolette, è uno strano interesse, ecco, tanto è vero che il titolo doveva essere intitolato “Strano Interesse”.
Lo definisco appunto uno strano interesse ed è un interesse che nutro da circa 30 anni, parallelamente da quando ho iniziato a suonare tra virgolette un po’ più seriamente ho iniziato anche ad occuparmi di serial killer, a provare appunto questo forte interesse.
Ti dico la verità che fortunatamente fino a poco tempo fa, circa un anno fa, prima che scoppiasse quello che è scoppiato in tutto il mondo, l’attività musicale sia con una cosa che con l’altra, mi ha portato sempre via parecchio tempo della mia vita.
Facendo poi questo di lavoro, sia appunto scrivendo musica, suonando e facendo tour con i Sadist, che l’attività con la Nadir Music, la promozione di altre band, attività in studio, la direzione artistica con la scelta delle band per la casa discografica che abbiamo, sicuramente mi porta via veramente molto tempo e spero che sia così anche nell’immediato futuro.
Però era una cosa che, non dico da tanto tempo, ma erano circa un dieci, dodici anni che maturavo questa idea, avevo avuto questa voglia, questa intenzione, senza alcun tipo di presunzione o sogno nel cassetto di diventare uno scrittore affermato e di diventare ricco vendendo un libro.
Proprio come succede con i dischi, io dico sempre che i dischi li fai prima di tutto per te stesso, poi speri anche che, nel senso, se piacciono anche agli altri ben venga, però lo fai principalmente per te stesso; qui è successo l’equivalente per il libro.
Ripeto, era da circa dieci, dodici anni che volevo scriverlo; negli ultimi quattro anni ho cominciato a scriverlo, in questo senso l’unica cosa positiva del lockdown è che mi ha permesso di finirlo, perché avevo iniziato a lavorarci quattro anni fa, e con l’obbligo di stare in casa sono riuscito a finirlo.

 

Ecco, parlando di musica ti volevo chiedere dei Sadist: avete pubblicato il vostro ultimo album due anni fa, che rispetto alle vostre solite tempistiche non è moltissimo tempo, state già lavorando al suo successore?

Sì, guarda, in realtà il prossimo album è già finito, praticamente.
C’è stata una grossa rivoluzione in casa Sadist, a breve vedrete il comunicato stampa, abbiamo fatto una rivoluzione completa, siamo rimasti solo io e Tommy [Talamanca].
Abbiamo cambiato completamente formazione, sono entrati due musicisti stranieri [Romain Goulon (ex-Necrophagist) e Jeroen Paul Thesseling (Obscura) N.D.R]
Il disco è praticamente finito, la preproduzione l’abbiamo già fatta, adesso dovremo poi capire… praticamente nella preproduzione ha fatto tutto Tommy, ora questi due musicisti dovranno suonare ovviamente le loro parti, lui gli ha dato giusto una linea.
Io ho già fatto la voce per quanto riguarda questa preproduzione, poi dovremo registrarla nel migliore dei modi. Già questa suona bene ma dovremo fare un lavoro ancora più di cesello, un lavoro più certosino.
Per il momento abbiamo cercato di registrare tre brani il meglio possibile per la ricerca di… boh, visto che non siamo più giovani proviamo ancora un’etichetta di quelle tra virgolette importanti, poi, ripeto, nessuno si fa film strani.
Fortunatamente non ce li siamo mai fatti neanche a vent’anni, nessuno di noi ha mai pensato di diventare i nuovi Metallica e vivere la vita da rockstar come i Mötley Crüe. Non l’abbiamo mai pensato e abbiamo cercato di fare dischi in primis per noi stessi, per le persone che ti seguono da sempre, ma sempre con il massimo dell’umiltà.
Lo abbiamo sempre considerato un lavoro, ma nessuno si è mai fatto il film di diventarci ricco e di comprarsi delle ville in Florida facendo Death Metal e facendolo in Italia, che è un altro aggravante in più, se vogliamo.

 

Ecco, allora visto che hai tirato fuori te il discorso concludiamo quest’intervista parlando in generale del Metal in Italia: un anno fa parlavo con in Lacuna Coil e ho chiesto loro dell’affermazione che ogni tanto si sente che “l’Italia non è un paese Metal”. Mi ricordo che Cristina mi ha risposto che più che non essere un paese Metal, perché ovviamente esiste una scena, esistono tanti gruppi validi, anche se non spesso finiscono nelle classifiche, quello che succede è che quando una band comincia ad avere successo, anche all’estero, si trova qui un po’ più opposizione da parte del pubblico, di un certo pubblico, come se il successo di una band fosse il motivo dell’insuccesso di altre band, cosa che invece non succede all’estero. Ti trovi d’accordo con questa analisi?

Sì, ma ci sono un po’ di fattori, ci sono un po’ di cose da raccontare sulla scena Metal in Italia.
Intanto la scena Metal in Italia è da collegare a qualsiasi contesto sociale del nostro Paese, cioè, non siamo un Paese unito, e questo forse anche perché è una Repubblica relativamente giovane, 150 anni e poco più, e quindi non siamo patrioti, non siamo uniti.
A noi è capitato alcune volte, non dico diverse volte, ma alcune volte ci è capitato di affiancare band molto importanti, una su tutte gli Iron Maiden, e il pubblico italiano – non dal vivo, perché dal vivo c’è stata un’ottima risposta – ma sulle solite pagine degli addetti ai lavori c’erano i cosiddetti hater, persone che invece di dire, “Ah che figata, c’è una band italiana accostata agli Iron Maiden”, se ne uscivano con i soliti, “Raccomandati, vaffanculo, rotti in culo”, il solito discorso, mentre in Francia la stessa cosa succedeva con i Gojira, aprivano loro agli Iron Maiden, e tutti i francesi, “Grandi! Fategli il culo agli Iron Maiden”: è tutta qua la differenza.
Però noi siamo questi, essere profeti in patria in Italia è veramente una cosa quasi impossibile.
Solitamente vedi gli amici, come i Lacuna Coil, ricordo i Lacuna Coil, sia di quelli “più giovani” di Maus, Pizza, che di quelli vecchi del compianto Claudio dei Cayne che suonava anche nei Lacuna Coil, la Cristina dei tempi in cui si chiamavano Ethereal… noi eravamo a registrare il terzo album, “Crust” in Olanda, e ai tempi avevamo nella band Oinos che era un caro amico dei Lacuna Coil e andavamo noi a provare a Milano, andavamo da lui, noi essendo di Genova andavamo tutti a Milano visto che lui era senza mezzo, e poi andavamo, per esempio, mi ricordo al Midnight, il pub dove andavano tutti i metallari, andavamo a bere qualcosa e si andava con Cristina, con loro, a finire le serate.
Cristina chiedeva a noi come trovare un contratto discografico; sei mesi dopo li ha, fortunatamente per loro, avvistati la Century Media e gli è cambiata la vita.
I Lacuna Coil sono appunto l’esempio, ora sono amati anche in Italia, purtroppo c’è una fetta di pubblico che li odia perché sono italiani, ed invece di essere contenti che una band italiana sia affermata nel mondo ad alcune persone non va bene, anzi, a molte, purtroppo; però ci sono altre persone, fortunatamente, più intelligenti che apprezzano il fatto che siano diventati importanti.
Ma come lo sono diventati in Italia? Attraverso il successo all’estero.
Loro sono partiti dall’Italia, sono andati all’estero, sono diventati una band importante all’estero e poi sono ritornati in Italia. Se fossero rimasti qua non avrebbero avuto lo stesso successo, e questa è una pecca del nostro paese.
Però, ripeto, quello che succede nel Metal lo vediamo in tutti i contesti sociali, vediamo, mi viene in mente, l’equivalente nel calcio. Ora forse girano meno soldi e qualcuno ha iniziato ad accorgersi che abbiamo dei ragazzini molto bravi, che magari sono più bravi dello straniero che compravi, ma fino a poco tempo fa se eri straniero potevi venire a giocare qua, mentre il ragazzino del vivaio non giocava perché c’era da far giocare lo straniero.
Siamo molto esterofili, questo qua è una cosa che gioca a nostro sfavore, e siamo anche poco uniti perché io mi ricordo di quando è partito il fenomeno dello Swedish Death Metal con band come Dark Tranquillity e In Flames, si sono accodate un po’ di band dalla Svezia, dalla Norvegia, dalla Scandinavia, e nessuno ha, passami il francesismo, sputtanato il successo di queste band.
Da noi invece, se parte una band, vedi i Lacuna Coil, gli altri stanno a casa e non combinano un cazzo, ma sputtanano il successo invece di dire, “Cazzo, ragazzi, uniamoci al loro successo, cerchiamo di capire come hanno fatto, cerchiamo di farci dare una mano”.
Invece no, sputtanano.
C’è poca unione tra le band, questa è una cosa che sicuramente manca, però è la nostra caratteristica, siamo così e non ci dobbiamo sorprendere se lo siamo anche nel contesto Metal.
La cosa invece che mi fa molto male da una parte, dall’altra mi fa sorridere, è che per i media di settore mainstream, vedi carta stampata TV e Sorrisi, vedi media televisivi X Factor, Voice of Italy, i soliti talent, non sanno neanche dell’esistenza di questa scena underground Metal in Italia.
Io essendo un addetto ai lavori lavoro con le band tutti i giorni, io ho una mailing list di 3000 band italiane, e non le ho neanche tutte perché ovviamente non puoi averle tutte, quindi pensiamo a quanti gruppi ci sono, e io sto parlando solo di quelli che si avvicinano al fare un disco, che si avvicinano ad una promozione “underground” ma già importante, quindi ci saranno poi altre 3000 band proprio di ragazzini quindicenni che non hanno ancora fatto neanche un EP, quindi magari in Italia ci sono 10.000 band che suonano Metal, ma gli addetti ai lavori mainstream non ne conoscono neanche l’esistenza.
Per loro il successo è fare un singolo, prendere la persona, fargli fare X Factor, bruciarlo: se gli va bene, bene, se gli va male si impicca in solaio perché per sei mesi vive di una notorietà di fighe, macchine belle, successo, il disco nell’autogrill, poi dopo questi sei mesi se il fenomeno non è partito è carne da macello, c’è già un altro, viene messo in solaio a prendere la polvere come un giocattolo.
Nel Metal, ma non solo, nel Rock in generale, ci sono band che magari provano tre volte a settimana in una saletta puzzolente, umida, si fanno il culo a scrivere ai locali, “Senti, mi fai suonare? Facciamo Metal, facciamo Rock Alternativo”, “Vediamo, mandatemi una mail” – i gestori dei locali poi se non hai conoscenze non ti cagano mai – e questo qua succede a tutte la band.
Questi grandi addetti ai lavori che si sciacquano la bocca di sapere chissà cosa di musica non sanno neanche dell’esistenza di quello che succede nelle sale prove di tutta Italia.
Di tutto il mondo poi, ma magari nel mondo i media mainstream se ne accorgono, qua in Italia è pazzesco perché non lo sa nessuno.
Ci sono pochi personaggi, mi viene in mente il manager storico di Vasco Rossi che è mancato poco tempo fa, ora mi sfugge il nome, che lui aveva lanciato una volta per scherzo sulla sua pagina Facebook e Instagram, “Voglio i Sadist a Sanremo”. Lui era il manager di Vasco Rossi e un grandissimo conoscitore di musica underground, di Metal estremo; conosceva i Sadist, gli Immortal, i Suffocation, ed era uno che oltre ad essere il manager di Vasco Rossi aveva lavorato con Mina, Eros Ramazzotti, questa gente qua.
È incredibile, se parli con qualcuno magari ti senti dire, “Ah, ma succede ancora!”, eh sì che succede ancora! È sempre successo, è Metal, nel Metal abbiamo sempre fatto le prove settimanali, la pizza in saletta prima o dopo le prove, la birra, il parlare tra di noi…

Sì, la cosa incredibile è che in Italia molti, e neanche tutti, conoscono a malapena il nome “Metal”, ma poi ti chiedono, “Va bene, ma cos’è?”.
Io ho vissuto in Svezia e mi ricordo che parlando con delle amiche era uscito il discorso che ascolto Metal e loro hanno cominciato a sparare nomi, “Ah, ascolti gli Opeth? King Diamond? I Moonsorrow?” e io pensavo ascoltassero Metal anche loro, invece erano semplicemente nomi che conoscevano per “cultura generale”.

Sì, è un discorso di cultura, poi c’è da dire che sicuramente l’Italia, i paesi latini in generale, non sono propriamente conosciuti per il Rock.
Il Rock è una cosa di cui ci siamo “appropriati” negli ultimi anni, negli ultimi decenni, quindi sicuramente la musica leggera è nostra, il ballo liscio è nostro, ma l’Heavy Metal è qualcosa di cui ci siamo, diciamo, appropriati.
Ma adesso che questa musica esiste e c’è anche a livello commerciale, io parlo di grandi nomi, vengono in Italia gli Iron Maiden, i Metallica, per non parlare degli AC/DC che abbracciano una fetta di pubblico più ampia e possiamo definirli più Hard Rock che Metal, però sono artisti che fanno dalle 50.000 persone alle 100.000 degli AC/DC, non fanno 1000 persone, voglio dire, anche commercialmente è molto più “commerciale” l’Heavy Metal in termini monetari ed economici del Blues, per scomodare un altro genere “di nicchia”.
Però nonostante questo sembra che per tanta gente non esista, questa è una cosa veramente incredibile.
O comunque uno conosce giusto Iron Maiden e AC/DC, i Judas Priest sono già troppo underground.
È strano ma è così: da una parte penso che il fascino del Metal era appunto che spaventava chi non era fan, lo spaventare era anche un po’ la sua riuscita, la musica del male, la musica del diavolo, quindi la cosa che in parte attirava era la stessa che spaventava.
Tanto credo che il volerlo sdoganare non ci abbia portato da nessuna parte, anzi, io credo che ultimamente il Metal sia diventato troppo una musica da buonisti e non credo che sia un bene, assolutamente.