Intervista Twisted Sister (1982)
Rockerilla numero 28, novembre 1982.
Twisted Sister, Under The Blade, debutto discografico del combo di New York.
Dee Snider, cantante dei TS, intervista.
Attraverso la recensione originale di Beppe Riva e le domande di Piergiorgio “PG” Brunelli uno spaccato del mondo HM di ventisei anni fa, per scoprire che, incredibilmente, certe cose sono rimaste esattamente come allora.
Buona lettura.
Stefano “Steven Rich” Ricetti
Foto di Jay Jay French come apparsa su Rockerilla num. 28 (Brunelli)
DEE SNIDER: SHOCK ROCK! (di PG Brunelli)
Il pubblico che ogni anno alla fine di agosto calca i prati che si stendono lungo il Tamigi in prossimità di Reading è senza dubbio uno dei più difficili. Non pochi gruppi del passato hanno clamorosamente fallito e sono stati violentemente repressi a colpi di lattine soprattutto se, pur rimanendo nell’ambito dell’hard rock, non ribadivano con la loro immagine il cliché che prevede l’uso di giacche nere o jeans. Immaginate cosa potrebbe succedere a un cantante biondo, inanellato, e truccato come la più imbellettata di quelle signore (o signori?) che popolano certe zone degli agglomerati urbani dopo il calar del sole.
Dee Snider (il cantante dei Twisted Sister) pur essendo calato perfettamente in questo personaggio, dal palco ha invece catturato il pubblico dell’edizione ’82 del Festival di Reading, lo ha tenuto in pugno per 45 minuti, lo ha sfinito, gli ha tolto ogni energia, l’ha ridotto all’impotenza, o meglio all’applauso. Per la verità, di energia, ne ha spesa fin troppa anche Dee Snider, il suo infatti non può essere sicuramente considerato uno show tranquillo.Se taluni gruppi possono essere catalogati High Energy dal punto di vista musicale, i Twisted Sister lo sono sicuramente sotto l’aspetto fisico: non c’è un attimo di pausa, non un secondo in cui non si perpetui una brutale aggressione verbale e fisica verso il pubblico.Nonostante la stanchezza palese è proprio Dee Snider che mi viene a cercare dopo lo show per scambiare quattro chiacchiere su quello che viene definito da molti (e naturalmente, anche da Rockerilla) il nuovo fenomeno dell’Heavy Metal.Il suo parlare è incalzante, continuo, aggressivo e riesce difficile seguire l’ansimante fiume di parole che fuoriesce dalla sua bocca ancora sporca di rossetto.
Come sono nati i Twisted Sister?
II fondatore è J.J. French, il chitarrista, e siamo giunti all’attuale formazione in sei anni, con AJ Pero che si è unito al gruppo sei mesi fa. Il nostro intento era quello di fare Heavy Metal Rock’n’roll, ma all’inizio siamo stati totalmente ignorati perché ci sono tanti club e tanti gruppi che spesso fanno materiale non proprio e la gente li fratta come dei juke-box. Noi non vogliamo essere considerati come macchine per la musica quindi suoniamo più forte che possiamo per scioccare il pubblico, per farlo smettere di conversare e attirarne l’attenzione. E anche per questo ci trucchiamo e vestiamo costumi.
Il vostro High Energy Rock è stato catalogato da molti come Glam, cosa ne pensi?
Non lo sopporto, tutti ci etichettano come Glam Rock perché le origini musicali del gruppo provengono da questo genere (J.J. French stava per diventare il chitarrista dei Kiss prima di Ace Frehley, quando si chiamvano ancora Wicked Lester). Noi, i New York Dolls e i Kiss veniamo tutti dallo stesso periodo, solo che loro si sono affermati prima. lo non penso che i Twisted Sister siano assolutamente Glam, il make-up è fatto per creare contraddizione con il nostro modo di suonare, duro aggressivo, potente, estremamente maschile. Non mi trucco per sembrare effeminato e bello, ma per essere idiota e kitsch.
Questo non è Glam, questo e Shock-Rock; l’idea dei costumi nasce dal mio odio per quei musicisti che salgono sul palco vestiti come tutti i giorni e suonano come sui dischi. Se io vado a vedere un concerto voglio sentire una musica diversa, voglio vedere gente viva e aggressiva, in sostanza degli eroi. Alice Cooper per esempio, io sono un fan di A.C., quando lo vedi lassù, vestito, truccato, con movimenti feroci per me è un eroe, un essere umano sotto altre sembianze che fa spettacolo e questo è quello che io voglio dal mio gruppo. Questo sdoppiamento d’immagine la si può vedere anche nell’album sulla cui copertina siamo truccati, mentre nel retro non lo siamo e anche nel programma della tournée siamo al naturale.
– E in effetti durante l’intervista DEE comincia a struccarsi lentamente e allo stesso tempo, man mano che la fatica passa, sembra trasformarsi, diventa più tranquillo e rilassato perdendo quell’aria truce da mangiatore di uomini che aveva prima. Il fiume di parole, però, non ha sosta nda – .
Hai avuto nessuna esperienza teatrale?
La mia aspirazione era quella di fare l’attore e cantante di musica lirica, ho una voce molto alta, da contro tenore con un tono da soprano, ma sono finito a cantare Rock’n’roll, dove posso cantare e recitare nelle stesso momento, dove posso essere un eroe. Un eroe, ecco quello che voglio essere, come Alice Cooper.
Come mai ci sono voluti sei anni per diventare eroi?
La radio Americana odia l’Heavy Metal perché non è un prodotto commerciale. Se ne vendono di dischi e i concerti sono affollati, ma non è seguito da una moda nell’abbigliamento; ci si veste con jeans e maglietta che sono tali da sempre, mentre nel punk, nella disco-music, nella new wave la moda cambia sempre, c’è un’industria molto grossa alle spalle. Ci vorrebbe una campagna pubblicitaria per l’Aspirina contro il mal di testa per far suonare Heavy Metal alla radio. A parte gli scherzi, il problema sta nella non commerciabilità della nostra musica, della nostra immagine, della nostra aggressività: non ci volevano dare un contratto, cercavano sempre di demolirci. Ogni qualvolta diventavamo famosi in uno stato ci consideravano come fenomeno locale e quindi non degno di nota. C’è anche un altro problema: la recessione.
Le case discografiche hanno paura, sono molto attente nel firmare contratti perché le vendite non sono alte e non vogliono accollarsi un gruppo perdente. Se un A&R man firma con una band e fallisce quasi sempre negli USA viene licenziato; il suo è un lavoro molto difficile che spesso non dura più di un anno e mezzo, perché bisogna essere molto bravi per non sbagliare mai. Prima o poi ti capita di sopravvalutare un gruppo e subito si perde il posto. Anche il nostro modo di affrontare la gente è molto particolare per cui le reazioni sono diametralmente opposte: o ci odiano o ci amano. In Europa tutti sembrano amarci e cosi anche in America ci hanno “scoperti”, ci mandano alla radio e tutte le case discografiche ci telefonano: siamo famosi.
Pensi che l’Europa sia più portata ad apprezzare nuove idee, nuove correnti musicali o anche nuove immagini?
Sì, la mentalità è diversa, più aperta, negli USA i circuiti underground si sono spostati dalle grandi città. New York non è più una miniera d’idee e di nuove proposte, è solo una città dove si crea la moda. Tutto ciò che ha il sapore dell’originalità, del diverso è confinato in periferia, nelle città di provincia. L’Europa ha spazi più limitati, le distanze sono minori, per cui ogni cosa riesce a filtrare, a muoversi meglio. Non ci si basa solo sul potere della radio che, come detto, è molto settaria. Qui l’Heavy-Rock è molto famoso, qui è la gente che decide quello che vuole sentire senza essere schiava del mass-media.
Noi rappresentiamo la parte aggressiva, non quella cattiva, dei giovani che crescono confusi senza sapere quale direzione scegliere e l’Heavy Metal è il mezzo per sfogare la loro rabbia. Vengono ai nostri concerti, saltano, urlano si scatenano e scaricano così tutto quello che hanno dentro. Noi facciamo di tutto perché la gente si lasci trascinare, ecco perché parlo con il pubblico, perché lo maltratto instaurando un rapporto di amore-odio molto forte. Il fan club in America conta 16.000 iscritti e c’è gente, fra loro, che segue tutti i nostri concerti e questo per noi è una grossa soddisfazione.
Il fiume di parole è senza fine, per fermarlo ci vorrebbe l’opera di un pool di ingegneri; si conversa di Pete Way come produttore, del loro show con Pete, Lemmy e “Fast” Eddie Clarke sul palco durante il brano finale, ma gli S.O.S. di Bernie Marsden incalzano e la conversazione è costretta alla fine. L’attore Dee Snider intanto ha calato la maschera e ha rivestito i panni del comune Hall’s Angel (la scritta Twisted Sister che appare sul retro delle loro giacche ha gli stessi caratteri di quelle dei noti motociclisti); così questo gigante di 1,90 cm, mangiatore di uomini (sul palco), si trasforma in un gentile e affabile personaggio che firma affettuosamente autografi alle bambine di cinque anni. Il doppio volto del Rock’n’roll ha colpito ancora.
PIERGIORGIO BRUNELLI
“MONSTER OF POWER” – ALBUM of the Month
TWISTED SISTER
“Under the Biade”
Recensione a cura di Beppe Riva
Ormai le prove sono difficilmente confutabili: le situazioni più dirompenti dell’HM ’82, spesso scoperte e valorizzate dagli stessi inglesi, sono di estrazione americana. Le opere dotate di quel surplus di intensità che nel Metalrama distingue il prodotto “superiore” da quello di buona caratura sono state finora tre: “Too fast for love” (Motley Crue), “Metal on Metal” (Anvil) e “Battle Hymns” (Manowar). Se ad esse si aggiungono le conferme d’alto bordo degli storici Aerosmith e Blue Oyster Cult, le overdose d’aggressione incitate dagli esordi di Bitch e Cirith Ungol (e cito solo casi esemplificativi), otterremo il quadro esauriente della “Dominance” americana d’oggi, a dispetto delle professionali ma prevedibili repliche di Judas Priest o Iron Maiden. La cornice si arricchisce ora di una nuova perla e come intuirete facilmente (ricordate il non impossibile pronostico del mese scorso?) si tratta del debut-album dei Twisted Sister, esagitati newyorkesi d’esportazione.
L’Isola d’Albione si è inchinata, soggiogata dal potere dei conquistatori: Pete Way, fine bassista che ha ripudiato gli UFO, si è prestato alla loro produzione, cercando l’improbabile matrimonio fra sofisticate teorie di registrazione e heavy rock brutale, sporco e deragliante; Fast Eddie, in un memorabile passaggio di consegne, ha voluto immortalare il suo stile radicale, al cospetto dei nuovi “signori”, in una storica track, “Tear it down“. Il tutto ha il sapore, da parte di idoli di vecchie e nuove generazioni dell’hard britannico, del riconoscimento ufficiale. Se annotiamo che lo stesso simbolo ultraheavy dell’Inghilterra attuale, Lemmy dei Motorhead, ha voluto accostarsi ai TS sul palco di Reading, avremo la misura dell’alone di rispetto che circonda questi orribili trash-rockers, a loro volta simboli di un’East Coast U.S.A. alienante e industriale, emarginata ma mai repressa.
Twisted Sister non è soltanto un’impressionante immagine scenica, è un amalgama sadicamente nutrito da anni di ostracismo discografico, di rifiuti sprezzanti che convergono oggi nella furiosa rabbia vocale di Dee Snider (ultimo, immane, powerful singer votato all’altare dell’HM) e nel solismo assolutamente feroce ed intrigante di Eddie Ojeda e Jay Jay French ( i killers imbellettati, nessuna posa, freaks). Per la completa documentazione di chi non era risalito ai precedenti singoli, TS ripropongono su “Under the Blade” versioni effettivamente ri-registrate dei loro classici “What you don’t know“, “Under the Biade” (soprattutto), più “Bad Boys” e “Shoot’em down“. Si tratterebbe di un’esercitazione rischiosa, se il “nuovo” non reggesse il confronto con il già noto, ma “Run for you life” scongiura il pericolo con una prestazione eroicamente in crescendo, sfociante nel più distruttivo caso metallico del momento, “Sin after Sin“, 3’20” istigati da una ritmica catastrofica che crolla nel refrain vocale sotto le perverse esortazioni di Dee Snider, e risolti nel finale dall’intervento risolutivo del fuciliere Ojeda. “Destroyer” concretizza rifrazioni Horror di stampo cinematografico, “Tear it loose” presenta per la prima volta il Fast Eddie del post-Motorhead, e “Day of the rocker“, per finire, sembrerebbe estratto dal repertorio da antologia degli AC/DC.
Ma oggi è il giorno dei Twisted Sister: voi siete stati avvisati!
BEPPE RIVA
Articolo a cura di Stefano “Steven Rich” Ricetti