Alternative Metal

Intervista Tystnaden (Cesare Codispoti, Laura De Luca)

Di Marco Donè - 21 Settembre 2024 - 13:00
Intervista Tystnaden (Cesare Codispoti, Laura De Luca)

Dopo dodici anni dall’ultimo lavoro, “Anima”, i friulani Tystnaden tornano in scena con un disco tutto nuovo, intitolato “The Black Swan”. L’album, pubblicato il 13 settembre via Elevate Records, si preannuncia come uno dei full length più interessanti di questo 2024. Abbiamo quindi incontrato Cesare Codispoti e Laura De Luca per approfondire l’argomento “The Black Swan” e per scoprire qualcosa in più dell’universo Tystnaden. Di seguito il resoconto di una piacevolissima chiacchierata svoltasi in un parco di Udine, pochi giorni prima dell’uscita del quarto album del combo friulano.

 

Intervista a cura di Marco Donè

 

Ciao, ragazzi, sono Marco di Truemetal.it. È un vero piacere avervi ospiti sulle nostre pagine. Come state?

Cesare: Ciao, Marco! Il nuovo disco sta per uscire, siamo davvero carichi.

E allora partiamo subito con la prima domanda: “The Black Swan” esce dopo dodici anni dal vostro precedente disco, “Anima”. Dodici anni in cui è successo di tutto in casa Tystnaden: cambi di line-up, abbandoni, ritorni… Vi andrebbe di raccontarci cos’è successo?

Laura: E chi se lo ricorda? La demenza senile è ormai galoppante! (risate, n.d.a.)

Cesare: Eh, Laura ha ragione… Provando a riassumere questi dodici anni, diciamo che nel 2012 è uscito “Anima”. Poco dopo la sua pubblicazione, per motivi personali, Laura ha lasciato la band. È quindi entrata in gruppo Giada (Etro, n.d.a.), che ha preso il posto di Laura, al microfono. Abbiamo iniziato a fare molte date per pubblicizzare a dovere l’album e, in contemporanea, avevamo iniziato a comporre del nuovo materiale. Durante la scrittura siamo però incappati in un momento di stasi, che ha portato all’uscita di Marco (Cardona, n.d.a.). Abbiamo ricompattato la formazione con l’ingresso di Giulia (Coletti, n.d.a.) che ha portato entusiasmo, ma poco dopo Giada ha lasciato la band.  In quel periodo era entrata a far parte dei Frozen Crown e ha preferito seguire quel percorso. Credo fosse più o meno il 2018 quando ho iniziato a pensare alla voce che avrebbe dovuto cantare sul nuovo materiale che stavo scrivendo. Mi sono presto reso conto che solo la voce di Laura poteva sposarsi alla perfezione con i nuovi pezzi. Ci siamo quindi trovati in un bar: le ho fatto ascoltare le canzoni, abbiamo parlato del fatto che, essendo passato un po’ di tempo, le difficoltà fossero superate, anche perché i suoi bimbi erano diventati più grandi. Abbiamo quindi deciso di puntare su di lei.

Laura: Diciamo che quando Cesare mi ha chiamato, chiedendomi se potessimo incontrarci, avevo già intuito che si trattasse dei Tystnaden. Era passato tanto tempo. Poi… Credimi: quando mi ha chiesto se volessi tornare nei Tystnaden mi sono commossa: è sempre stata la mia famiglia e quando ti allontani per vari motivi… Eh, ci ho pensato per anni, ogni mese, li seguivo, sono andata anche a un loro concerto.

Cesare: Veramente?

Laura: Sì, al Piluttis… Quindi ho detto subito sì. Ho voluto ascoltare i brani, non mi ricordo nulla di quella occasione, però…

Cesare: Ti aveva impressionato la bozza di ‘Need’… Non ce n’erano tante, all’epoca. Avevamo quattro, cinque bozze, credo. Però quella l’aveva impressionata e quindi è stato un sì. Abbiamo subito programmato una prova.

Laura: La prima, che poi per me era la prima in assoluto con Giulia e Stiz (Stefano Galioto, n.d.a.)

Cesare: Pensa: loro non la conoscevano, o meglio: la conoscevano come entità ma non ci avevano mai suonato assieme. È stato molto bello, anche perché lei doveva rispolverare i testi, non se li ricordava tutti, ma le linee vocali erano invece ben impresse nella sua memoria. Beh, sia Stiz che Giulia hanno detto «Wow!», sono rimasti impressionati. Avevano sentito chi fosse l’anima dei brani.

Laura: Li avevo scritti io, i brani erano fatti per me, studiati per la mia voce, era normale fosse così. E comunque anche adesso non ricordo i testi! (risate, n.d.a.) Li ho scritti io ma non li ricordo, neanche quelli di “The Black Swan”, che ho scritto l’altro giorno.

 

 

 

Ho avuto il piacere di vedervi in azione sul palco con l’attuale formazione per due volte. Sul palco mi siete apparsi davvero affiatati. Come vivete questa sorta di nuova reincarnazione dei Tystnaden?

Laura: Per me è perfetto! Siamo perfetti l’uno con l’altro. Di recente abbiamo anche fatto un reel su instagram, come un po’ si usa fare adesso. Parlavamo della storia della band, in maniera brevissima, durava giusto sessanta secondi. Si concludeva però con una frase: noi siamo come gli ingredienti di una ricetta: diversi, ma insieme siamo perfetti. Non so se Cesare sia d’accordo…

Cesare: Beh, sì. Nella nostra storia abbiamo avuto tanti bravi elementi ma, secondo me, come dice Laura, questa è la formazione che si incastra meglio, nel senso che risulta facile stare sul palco, ma anche la composizione è andata fluida. Forse questa è la formazione più matura, o forse siamo più maturi noi.

Laura: Forse siamo proprio i pezzi di un tetris che si è finalmente completato.

Cesare: Questo non vuol dire che… Cioè: non so se hai fatto caso all’ultimo live: c’erano un sacco di ex componenti. Siamo rimasti in ottimi rapporti con quasi tutti.

Laura: Sì, perché sono tutti parte della famiglia, ognuno ha avuto il suo perché, il suo senso, con loro andiamo d’accordissimo. Il rapporto rimane, e rimarrà sempre, ma quando devi dare una risposta a una domanda che ti chiede come ci sentiamo noi cinque, adesso, beh, devi dire che ci sentiamo proprio perfetti, in sintonia.

Dopo questa risposta Laura guarda Cesare e dice: «Sono 10€, comunque» (risate, n.d.a.).

Nel precedente album, “Anima”, Marco (Cardona, n.d.a.) aveva messo maggiore voce nella scrittura dei pezzi, mentre con “The Black Swan” sei tornato tu, Cesare, a essere il compositore principale. Questo rispecchia un po’ gli inizi dei Tystnaden. Certo, con maggiore maturità ma si nota proprio un ritorno allo spirito originale della band. Concordate?

Cesare: Lascio rispondere Laura.

Laura: Io c’ero, quindi sì, posso dire di essere assolutamente d’accordo con te. C’è un ritorno allo spirito iniziale del gruppo ma con un qualcosa in più, con una maturità in più. Una maturità data dagli altri componenti, dal fatto che non abbiamo più vent’anni e, almeno per quanto mi riguarda, perché non ascolto più questa musica. È come se le influenze di un genere diverso avessero portato un qualcosa in più, che però si sposa bene, risulta amalgamato. Alla fine, abbiamo lo stesso modo di vedere le cose ma tutto questo dona un qualcosa di più maturo rispetto a ciò che è stato, a quanto fatto nel 2006 o nel 2010.

Cesare: Nei cantati, in alcuni pezzi, Laura usa anche dei passaggi al limite del blues. Penso che questi facciano parte dei suoi ascolti attuali, magari derivano anche dal fatto che ha cantato in alcune cover band. Questo incide nella scrittura dei pezzi. Noi non abbiamo un tipo di composizione mentale. Io butto giù le parti, senza batteria, senza niente. Albi (Alberto Iezzi, n.d.a.) inserisce poi delle batterie abbozzate e Laura dà il colpo di grazia. Da lì si può solo arrangiare e arricchire. Anche Laura va di istinto: prende il microfono, si fanno i tape e si decide cosa tenere, è sempre stato tutto abbastanza istintivo. “Anima”, forse, è stato l’album più pensato, ragionato. Non dico che gli attuali siano i migliori Tystnaden, ho visto fan super affezionati ad “Anima”, ma perché hanno conosciuto i Tystnaden dei dodici anni di “Anima”. Va anche detto che in questi dodici anni sono avvenuti tanti cambi di formazione, c’è stato un covid di mezzo e il disco che hanno ascoltato di più è proprio “Anima”. Chi, come te, conosce i Tystanden da più tempo, sa però che esiste una storia forte dietro, due album che hanno fatto molto bene. I vecchi fan li abbiamo visti ritornare. A noi, personalmente, è piaciuto il percorso che abbiamo fatto. Quando riascolto un vecchio brano non dico «Che schifo, non lo avrei voluto fare», perché, personalmente, c’è sempre un’emozione dietro. La puoi trovare in una parte del testo o anche solo in un frammento del pezzo. Trovo che abbiamo fatto un percorso degno e che i fan possono apprezzare. Io sono stato contentissimo di tornare alla scrittura dopo tanto tempo. Avevo mollato a causa di motivi personali, familiari e per me è stato uno svuotare tutto.

 

 

Proverei ad approfondire anche il titolo del disco: “The Black Swan” ha un significato importante. Per voi cosa rappresenta?

Cesare: Il titolo è nato in una chat tra me e Laura. Stavamo cercando un titolo. Io avevo letto un saggio di Taleb, che si intitola “Il Cigno Nero”. In questo libro spiega che i cigni neri sono degli eventi imprevisti e imprevedibili, che accadono all’interno delle vite umane. Fa poi una riflessione sul fatto di come le persone basino la propria vita sulla prevedibilità, quando invece dovrebbero basarla sui fatti imprevedibili, che non sono solo disgrazie. L’ho letto agli inizi del covid, il lockdown è avvenuto subito dopo. Il covid ha rallentato la scrittura del disco, per due anni non ci siamo praticamente visti: Laura e Stiz, con il ruolo che ricoprono, erano sempre in ospedale. Dopo quasi due anni ci siamo rivisti tutti assieme, da Laura, sembrava quasi strano. Dovevamo però far ripartire una cosa lasciata a metà. Quale miglior titolo, quindi? Vivere pensando un po’ di più ai cigni neri è una cosa che non va vista negativamente, va vissuta con lo spirito di una persona che deve prendere coraggio. I cigni neri possono cambiare la vita. Neri non perché negativi, ma perché rari. Il messaggio è quindi di cercare di basare la propria vita sulle cose scalabili, su quelle cose che possono portare cambiamenti; non soffrirle, non adagiarsi al prevedibile.

Laura: Tutto dipende da come una persona affronta poi l’evento cigno nero: può esserne risucchiato, mangiato; oppure può viverlo in modo positivo e quindi farne tesoro. Secondo noi, insomma, la reazione dell’essere umano è fondamentale, a qualunque cosa, positiva o negativa.

Nei pezzi del disco avete affrontato questi temi o avete toccato una visione più ampia?

Laura: Ogni brano è a sé, in realtà. Ogni canzone racconta una storia, un’emozione, una reazione umana. Tutto questo viene raccolto nel titolo “The Black Swan”, con l’intento di raccontare come una persona possa reagire all’evento cigno nero. Ogni brano sta in piedi da solo, però. Per dire: ‘Forsaken’ tratta il tema della guerra. Il testo l’ho scritto dopo lo scoppio della guerra in Ucraina. Ho molti amici ucraini e ho parlato con loro diverse volte. Insomma: il marito di una ragazza che conosco ha mollato tutto ed è dovuto andare a combattere, in Ucraina. Diciamo che ho cercato di sostenere questa persona, per quello che potevo, e ho sentito davvero tante storie. Ho voluto quindi trattare questo evento, anche perché, purtroppo, fa parte della nostra vita. Mi sono resa conto che nel corso degli anni ce ne siamo completamente dimenticati, da qui ‘Forsaken’. All’inizio della guerra ogni canale ne parlava, c’erano sempre speciali in merito. Sono bastati sei mesi, forse, e tutto è andato nel frullatore, ce ne siamo dimenticati. ‘Forsaken’ rappresenta questo, i dimenticati. Si parla del tema della guerra ma in ogni contesto ci sono i dimenticati. Noi abbiamo voluto toccare questo tema anche con il video. Abbiamo voluto lanciare un messaggio: solo gli occhi puri, come quelli di una bimba, riescono a vedere veramente. Tutti gli altri sono annebbiati.

Parlando del tema guerra, poi, l’attuale conflitto russo-ucraino poteva essere evitato anni e anni fa, con un intervento diplomatico. Per interessi economici, però, non si è voluto vedere, ed eccoci qua… Tornando a “The Black Swan”, voi tenete a sottolineare come tutti i titoli del disco siano composti da una parola.

Cesare: Tutti tranne uno.

Esattamente! Questa era proprio la domanda…

Laura: Eh, sai, non servono tante parole, a volte ne basta una. Anzi: ne basterebbe mezza, a volte è sufficiente lo sguardo, ma per una canzone devi mettere un titolo. Per descrivere le sensazioni, le emozioni basta una sola parola. Per noi, quindi, il titolo è sufficiente sia composto da una sola parola. E quella parola può rappresentare il mondo. La musica, le parole, i piccoli suoni: tutto all’interno di “The Black Swan” ha un carico infinito di significati: di noi, di quello che siamo noi, di quello che abbiamo passato, di quello che chiunque può aver vissuto e ritrovarsi nelle nostre storie. Questo è il motivo, insomma.

Mentre per ‘Waiting for Anything’?

Cesare: Quella è una canzone particolare, non so se Laura voglia parlare del suo significato. È un testo molto impegnato e difficile, che narra una situazione difficile. È un pezzo che ci piace tanto, stiamo anche pensando di farci un video.

Laura: Preferirei non parlarne. La storia narrata è stata una delle esperienze più violente che io abbia vissuto e ogni volta che canto quella canzone, che la ascolto, rivivo quei momenti. Diciamo che scrivere di questa vicenda, però, è stato un modo per svuotare tutto, perché stava creando una montagna dentro di me (Laura si commuove, n.d.a.).

Diciamo che avergli dato più di una parola….

Laura: Sì, è per dargli più importanza, anche di quello che, forse, dovrebbe avere.

E se parliamo di “The Black Swan” dobbiamo assolutamente approfondire la copertina, che a me piace tantissimo. Credo sia sempre legata a quello che potremmo chiamare il concept dell’album.

Cesare: Sì, “The Black Swan” non è stato pensato come un concept ma alla fine è uscito come tale, grazie anche alla copertina. Giulia e Laura hanno fatto un ottimo lavoro con Beatrice De Mori, che ci è piaciuta per l’impatto che ha. Alla fine, è riuscita a rendere personale, interiore l’immagine del cigno nero.

Laura: Rappresenta alla perfezione quanto impatto possa dare un evento cigno nero e quanta forza si deve avere per poterlo affrontare, che sia un evento positivo o negativo. C’è una luce interna che “spacca”, ma è proprio quella che ti fa “trasformare”.

Cesare: Sì, ti trasforma partendo dalla sofferenza, con questa luce che esce dalle ali. C’è questa duplice anima che abbiamo sempre avuto come filone nei dischi dei Tystnaden. Rispecchia un po’ anche la nostra musica, con i passaggi dal melodico alle parti più aggressive. Questo gioco di luce e oscurità c’è sempre stato nei nostri album, fa parte della nostra interiorità, di come siamo, di come sono le persone. Ognuno di noi ha sempre un lato chiaro e una scuro. E, secondo me, Beatrice l’ha resa davvero bene. Anche i colori sono proprio quelli che volevamo per il disco.

 

 

“The Black Swan” è il primo lavoro dei Tystnaden in cui non sono presenti le tastiere e la voce growl. Com’è stato tornare insieme e, allo stesso tempo, affrontare qualcosa di diverso?

Cesare: Questa è stata una scelta. Una delle poche cose non istintive avvenute per “The Black Swan”. Avevamo deciso che questo disco sarebbe stato solo con voce femminile. Per quanto riguarda l’assenza delle tastiere, diciamo che al giorno d’oggi non è più un problema. Provo a spiegarmi meglio: dal punto di vista degli arrangiamenti, lo sai meglio di noi, con il mondo digitale si riescono ad arrangiare le parti di synth e tastiere in maniera egregia, e in questo ci ha dato una mano grande il nostro produttore, Fabio D’Amore. Ci siamo affidati a lui proprio perché… anche per questa mancanza (delle tastiere, n.d.a.), chiamiamola così, perché avevamo bisogno di questi colori. Tanti suoni che senti – che tra l’altro molti sembrano synth ma non lo sono – arrivano da tante parti di chitarra che ho fatto in pre-produzione. Le abbiamo tenute anche in fase di produzione proprio perché erano venute così particolari: suoni ambientali che abbiamo deciso di tenere. Anche perché con alcuni plug-in, o altri effetti in studio, sarebbe poi stato complicato ripeterli in live. Le parti erano venute davvero belle. Le sezioni orchestrali, invece, sono state composte da Fabio e studiate insieme. Altre sono reali: su ‘Need’, ad esempio, c’è una sezione di violoncelli che è stata suonata in studio. Su un paio di brani ci sono delle parti di synth composte da un nostro amico di Udine, Filippo Franceschini; in una canzone, ‘Broken’, c’è una parte di arrangiamento dei suoni di Efis Canu, degli Inira. Abbiamo avuto alcune collaborazioni che hanno aiutato a dare colore, il sound giusto alle canzoni. Tanti “temini”, invece, li abbiamo studiati io e Giulia proprio per dare colore ai ritornelli. Diciamo che questo è il primo album in cui siamo partiti con delle pre-produzioni. È la prima volta che siamo entrati in studio e avevamo davanti l’effetto finale del disco: è stato impegnativo ma bello. Di solito arrivavamo in studio più alla vecchia maniera, con lo scheletro dell’album ma tutto il colore veniva dato in arrangiamento, assieme al produttore. Questa volta abbiamo fatto un lavoro più importante.

E per te, Laura? Cos’hai provato nel non avere la controparte maschile?

Laura: Allora: è una cosa che volevo fortemente, mi sentivo pronta. Ti dirò: sono soddisfatta perché mi ha dato più possibilità di espressione. Ci sono delle parti che negli album precedenti non ho mai cantato, dei modi di cantare che non ho mai utilizzato.

Cesare: Una volta i colori scuri erano dettati dalla voce in growl, con “The Black Swan”, invece, ha inventato delle soluzioni, degli special dove ha usato delle voci più rabbiose, ma che risultano accattivanti.

Laura: E questa è una cosa che mi è sempre piaciuta in altre voci femminili, ma in passato non mi sentivo pronta. Questa volta, invece, mi sono lanciata, e il risultato mi sembra sia davvero buono.

Il disco è in imminente uscita. Avete già programmato alcune date? Si può anticipare qualcosa?

Cesare: Il 21 settembre saremo a suonare a Innsbruck, al P.M.K. Stiamo parlando tra di noi per capire quale direzione prendere. Ci siamo sempre autogestiti nelle date, anche per conciliare al meglio i nostri impegni lavorativi. È però un dato di fatto che la situazione dei live, in generale, è più stretta: i locali sono sempre meno e autogestirsi è sempre più faticoso. Stiamo cercando di collaborare con altre band, anche più grandi di noi, per trovare posti dove poter suonare, anche per evitare di arrivare al pay to play, cosa che a noi non è mai piaciuta. Non giudichiamo chi lo fa, però noi non l’abbiamo mai fatto e vorremmo continuare a non farlo. È sempre più difficile, però. Lo sappiamo. Ci rendiamo anche conto che per emergere bisogna fare più live.

Laura: Il live per noi è importante, come credo per chiunque suoni uno strumento. È lì che ti fai conoscere per quello che sei veramente, hai il contatto con le persone, hai le vibrazioni, quell’agitazione iniziale, che c’è sempre, anche dopo venticinque anni, ma quando inizi è tutto incredibile. Anche noi, che abbiamo la schiena sfracellata, sul palco ci muoviamo come se avessimo vent’anni. Il giorno dopo, ovviamente, si va di tachipirina e brufen! (risate, n.d.a.) Vorremmo fare qualche live in più, ci stiamo muovendo ma, come diceva Cesare, è sempre più difficile. Anche perché non siamo più giovanissimi e non abbiamo più tanta elasticità. Ora ci sono anche tanti impegni, famiglie…

Cesare: Logisticamente è più difficile, sì. Poi c’è anche da dire che dopo dodici anni sono cambiati i locali, i contatti… non è facile reinserirsi nel circuito live. Ci stiamo lavorando, però.

E adesso? Quali progetti per i Tystnaden nel breve e nel lungo termine?

Cesare: Ne abbiamo già parlato tra di noi e c’è l’intenzione di scrivere un nuovo disco. Al momento sfrutteremo tutto il tempo a disposizione per le cose pratiche, per promuovere “The Black Swan” ma a breve vorremmo tornare a scrivere qualcosa. Se il feeling sarà esattamente quello che abbiamo vissuto finora, magari riusciamo a fare un prodotto in tempi un po’ più brevi. Personalmente, scrivere e andare in studio è una parte che adoro. Forse, e qui dirò una bestemmia e tutti mi spareranno, entrare in studio mi piace più del live. La parte della composizione mi piace davvero tanto.

Cesare, Laura siamo arrivati alla fine: vi ringrazio per il tempo dedicato e vi chiedo un saluto ai lettori di Truemetal.it.

Cesare: per prima cosa ti ringraziamo per lo spazio dedicato. Per noi è molto bello essere supportati dalle webzine, dai portali e soprattutto dai lettori e dagli ascoltatori. Un grazie caloroso a tutti quelli che ci seguono, supportano, che condividono la nostra musica e la acquistano. Per noi è fondamentale il pubblico. Ce lo siamo detti all’inizio: l’obiettivo è arrivare a più persone possibili: questo è lo scopo della nostra musica.

 

Marco Donè