Intervista Vanadium (1986)
Intervista di Beppe Riva ai Vanadium nella persona di Pino Scotto tratta dal magazine Rockerilla numero 69 del maggio 1986. Il periodo è quello appena successivo all’uscita del Loro quinto album dal titolo Born to Fight.
Buona lettura.
Stefano “Steven Rich” Ricetti
Foto dei Vanadium a corredo dell’intervista originale
VANADIUM INTERVIEW
Parlaci un po’ del vostro “viaggio in Inghilterra” per i ritocchi definitivi alla registrazione di Born to Fight…
Pino Scotto – Dopo gli ultimi album ci siamo resi conto che in Italia a livello di suoni e di tecnici non era possibile ottenere il meglio per il nostro genere di musica. E’ frustrante ascoltare gruppi stranieri che al primo LP si possono permettere delle produzioni stupefacenti, mentre noi ci siamo sempre scontrati con quest’ordine di problemi; così abbiamo cercato un producer d’Oltremanica, e fortunatamente ci siamo messi in contatto con Lou Austin, che in passato aveva lavorato anche con i Deep Purple. Non aveva mai sentito parlare di noi, ma il materiale che gli abbiamo inviato l’ha pienamente soddisfatto. L’album è stato registrato ai Regson studios di Milano, ma per il missaggio Lou ci ha consigliato i Ridge Farm nel Surrey; lì aveva lavorato con Schenker e Rory Gallagher, con eccellenti risultati.
Non ha mai fatto paragoni fra i Vanadium e i grossi nomi con cui si è trovato in sala d’incisione?
P. Scotto – La cosa che più ci ha stimolato è stato il suo sincero entusiasmo nei confronti della nostra musica; addirittura ci ha detto che, secondo lui, perdiamo troppo tempo in fase compositiva, mentre le grosse band sono più sbrigative. Effettivamente Lou continua a mantenersi in contatto con noi ed è attivamente alla ricerca di una distribuzione inglese del disco. Noi eravamo preoccupati proprio da questi “confronti” di cui mi chiedi, ma ci siamo ritrovati con una persona stupenda, che ha posto le premesse anche per una collaborazione futura. L’anno prossimo potremmo incidere ad Ibiza!
Vorrei la tua opinione sul contenuto di Born to Fight.
P. Scotto – I pezzi di cui siamo più orgogliosi sono l’opener Run Too Fast, la ballad Easy Way to Love e la conclusiva Arms in the Air. Sono brani che ci hanno dato molto carica nel suonarli, e la resa è stata quella ottimale.
I vostri ultimi due LP erano piuttosto diversi fra loro: più aggressivo A Race With the Devil, più “arrangiato” e melodico Game Over. Quale pista avete scelto per Born to Fight?
P. Scotto – Sinceramente non ci siamo mai posti il problema; quando ci riuniamo per comporre viene naturale la melodia, il tessuto dei riff… Cerchiamo sempre di andare avanti, cosa che secondo noi non fa la maggioranza dei gruppi d’oltralpe, anche perché molti hanno trovato la formula di successo che non conviene alterare più di tanto. Per noi Born to Fight è nettamente diverso dai precedenti lavori e mai come quest’anno possiamo ritenerci soddisfatti del risultato; l’unico neo è relativo alla resa della chitarra… Molti chitarristi tecnicamente mediocri sono valorizzati in studio oltre i loro meriti, mentre Stefano, che secondo me è formidabile, è ancora penalizzato dai precisi limiti di tempo e di mezzi a nostra disposizione. Anche se la registrazione di Born to Fight è costata il doppio di quella di Game Over, abbiamo dovuto fare ancora le cose di corsa: Stefano ci ha rimesso più di tutti noi.
Qual è la tua opinione sull’attuale scena metallica?
P. Scotto – Io penso sempre che le cose migliori vengano dai gruppi classici: gli ultimi dischi di Black Sabbath, Gary Moore, Judas Priest, Ufo. Credo che ci sia una differenza qualitativa notevole fra questi personaggi e il thrash-metal, anche se gruppi come Metallica e Anthrax mi sembrano in progresso.
Cosa ne pensi della grossa frattura che si è creata all’interno del pubblico HM, fra i thrasher, i “classici”, i glamster etc?
P. Scotto – Quello che più mi dispiace è vedere l’affacciarsi di nuove generazioni HM che non conoscono i vecchi gruppi. Dovrebbero avere la possibilità di ascoltare un po’ di Hard Rock dei Seventies, e poi di fare le loro scelta. Io adoro i primi Motorhead, che sono stati l’espressione . massima dell’hard R’n’R, così come ho amato gli Zeppelin, Uriah Heep, Sabbath, Purple. Quello che il pubblico dovrebbe capire, è che il denominatore comune di tutte queste esperienze ha un solo nome: ROCK’N’ROLL. Il popolo dei R’n’R deve restare unito. Capisco che non abbia nulla a che spartire con l’audience di Duran Duran o Spandau Ballet, ma altre suddivisioni non le giustifico. In Italia è già faticoso reggere questo genere a livello di massa, altre situazioni di conflitto non possono che nuocere alla diffusione dell’Hard Rock/HM.
Foto apparsa sul retrocopertina di Rockerilla numero 86: evento eccezionale per una band HM italiana.
Infatti, voi stessi avete difficoltà a organizzare tour in Italia, nonostante vendite attorno alle 40.000 copie per gli ultimi 2 LP.
P. Scotto – Il problema è soprattutto di carattere organizzativo. Gli organizzatori non sono interessati a promuovere tour con un margine di guadagno sicuro ma limitato, come nel nostro caso. Il pubblico c’è, anche per fare una trentina di date, ma sono rari i promoter che curino a dovere la pubblicazione dei concerti, a volte capita che non siano nemmeno appesi i manifesti. Noi comunque non possiamo lamentarci troppo, poiché esistono in Italia validi gruppi come Revenge, Crying Steel, Strana officina, S.P.A. che sono pressoché costretti all’inazione.
Si è parlato di un tuo interessamento riguardo la band torinese S.P.A…
P. Scotto – Li ho conosciuti quando ci hanno fatto da spalla in uno spettacolo e Torino. Siamo diventati amici e mi hanno chiesto consigli. Mi sono offerto di produrli non tanto a livello di tecnico del suono — in sala mi sono limitato ad alcuni suggerimenti — quanto di promozione della loro immagine. L’LP è pronto, almeno tre pezzi sono molto buoni, da tempo siamo alla ricerca di un contratto: alla fine credo che uscirà per la Discotto Metal.
Non pensi che i Vanadium dovrebbero fare qualcosa di più per smuovere il mercato europeo?
P. Scotto – Ti faccio un esempio: Venom e Metallica, quando sono venuti in Italia, un paio d’anni fa, costavano pochissimo, Semplicemente le case discografiche, il management, investivano su di loro in quel tour consci che in futuro avrebbero raccolto i frutti di questa promozione concertistica. In Italia non esiste questa mentalità, non solo la Durium, ma nessuna casa discografica italiana sarebbe disposta a investire su di noi, consentendoci un tour europeo vantaggioso per gli organizzatori esteri, ma che potrebbe poi garantirci dei notevoli riscontri al livello di distribuzione discografica.
Affermando questo confermi che Vanadium è una band prevalentemente rivolta (piaccia o meno) al mercato italiano. Bisogna però riconoscere che non vi siete mai “commercializzati” nel corso di cinque LP…
P. Scotto – Non siamo mai stati un gruppo da 45 giri, l’integrità dei rock è tutto per noi e crediamo che Vanadium vada ascoltato sull’intera durata di un LP, anche perché il successo da hit-single è spesso illusorio. Oggi più che mai facciamo la musica che ci piace, divertendoci, senza forzature da parte della label. Per noi è la cosa più importante, il giorno che venissero a mancare questi presupposti, sarebbe la fine dei Vanadium. Long live rock’n’roll.
BEPPE RIVA
Articolo a cura di Stefano “Steven Rich” Ricetti