Intervista Wyatt E. (Sebastien Von Landau)
Cosmonauti della sperimentazione musicale, allacciate le cinture più strette che potete! Sono in arrivo in Italia i Wyatt E., multiforme formazione belga attiva dal 2015 e in tour nel nostro territorio per la prima volta in assoluto.
La scoperta di questa band risale per me all’anno scorso, grazie al loro supporto live ai Messa nel tour europeo e all’uscita del loro secondo ed ultimo full-length, “Āl Bēlūti Dārû”.
Da amante delle sonorità immersive, dilatate e di matrice non-occidentale, l’amore nei confronti di questo gruppo è scattato appena al primo ascolto, portandomi a consacrarli poco dopo nel mio cuore dopo aver assistito al loro annichilente set al Desertfest 2022 di Ghent, proprio nella loro nazione natia.
Lasciamo per un attimo da parte i riff incazzati ed i belati del metal, perché il viaggio che stiamo per fare a questo giro è molto diverso e le cose diverse ci piacciono sempre molto. Il terzetto è originario di Liegi e voler descrivere a parole la musica che compone mi risulta difficilissimo, in quanto ho compreso sin da subito che si trattasse di un’esperienza multi-sfaccettata che trascende la sola esecuzione di brani ma si propone, prima di tutto, come un vero proprio momento di catarsi proiettato in terre lontane ed in epoche remote, dal sapore mistico e meditativo.
Comunemente, li vedo definiti in molte occasioni come gruppo Doom o Byzantine Doom, per citare uno di quei neologismi di genere che sembrano nascere e morire come funghi allo scopo di servire pochissime, se non una sola, rappresentanze del proprio genere. Ma se del doom abbiamo, sicuramente, la lentezza, un pò di riff droppati e la progressione mantrica dei brani (oltre che, come intuibile, una durata impegnativa degli stessi), dimentichiamoci di tutto l’immaginario funereo che si accosta comunemente a questo genere a favore di un’insolita atmosfera mediorientale, dai toni certamente oscuri, ma più orientati a portarci all’interno di un quasi operistico viaggio spazio-temporale piuttosto che a connetterci con il nostro Satana interiore.
Ho avuto il piacere di scambiare quattro chiacchiere con Sebastien Von Landau, poli-strumentista dietro a chitarre, voci e synth di questo progetto e preferisco lasciare a lui il compito di raccontarlo per introdurre i nuovi ascoltatori a questa esperienza e spiegare qualche retroscena a chi li conosce già.
Prima di partire, un paio di precisazioni: i Wyatt E. sono una band prevalentemente strumentale e si esibiscono dal vivo nascosti sotto lunghe tuniche nere e maschere di ispirazione bizantina, che lasciano intravedere soltanto i loro occhi. E non sapete che gioia, per chi come me si crogiola negli accostamenti più bizzarri tra misticismi e distorsioni, vedere una Flying-V spuntare tra mani di queste entità ascrivibili quasi ad ombre sul palco. E pur non essendo sicuramente un progetto per tutti i palati, mi sento in dovere di proporre di non fermarsi al solo ascolto su disco ma farsi il favore di recarsi ad un loro concerto. Avrete la vostre dose di riff, avrete della musica pesante suonata come si deve, ma avrete anche un’ora-e-qualcosa di estraniamento dalla realtà attuale che vi restituirà al mondo più molli, destrutturati e pacificati di prima.
Sono molto felice di fare quattro chiacchiere con te, i Wyatt E. sono una band relativamente giovane dalle influenze particolarissime e mi piacerebbe dunque incuriosire un po’ chi ancora non vi conosce riguardo a questo progetto. Partiamo quindi con qualche presentazione: chi sei, chi sono i Wyatt E. e in che segmento del panorama musicale vi collochereste?
Hey, sono Sebastien Von Landau, uno degli elementi che si celano dietro ai Wyatt E., una band emersa dall’anonimato quasi per caso grazie ad un contratto con un’etichetta Israeliana che ha permesso la pubblicazione del nostro primo full-lenght (“Exile to Beyn Neharot, n.d.a.).
Definirei la nostra musica come una sorta di Doom Ambient, contaminata da un persistente tocco orientale.
Quasi per caso…?
Abbiamo iniziato questo progetto come una sorta di secret band, senza alcuna intenzione iniziale di fare tour estensivi o quant’altro (il primo EP “Mount SInai/Aswan” risale al 2015, ma l’attività live è cominciata soltanto nel 2017). E’ stato solo grazie all’essere stati scoperti da Shalosh Cvlt, la nostra etichetta israeliana, che siamo finiti per diventare una vera e propria band.
Capisco, interessante. E in che modo, di grazia, un gruppo di ragazzi belgi finisce a comporre e performare quella che voi stessi definite “Musica per l’élite israeliana deportata in Babilonia dal Re Nabuccodonosor II nel 587 A.C.”?
Allora, i miei bisnonni erano ebrei aschenaziti, migrati ad un certo punto in Europa occidentale. Sono passati a miglior vita quando mio nonno era ancora piccolo e per questo motivo mi sono state tramandate pochissime informazioni a loro riguardo. Una cosa che ho scoperto per certo è che parte della famiglia aveva anche origini Siriane, ed è riconnettendo questi punti che ho utilizzato un episodio storico, L’assedio babilonese di Gerusalemme e la conseguente deportazione dell’élite israeliana in Babilonia, come filo conduttore per raccontare qualcosa di più intimo e personale. Per raccontare qualcosa che parli di esilio ed immigrazione e, allo stesso tempo, della mia esplorazione nei recessi delle mie radici.
Sembrerebbe dunque che ci sia, all’interno di questo progetto, molto di te come individuo a sé stante. Come si collocano in tutto questo gli altri membri della band?
Il progetto lo abbiamo iniziato insieme, non sono stato io da solo.
Ma mentre gli altri sono esclusivamente coinvolti nel processo musicale, che è già tantissimo, io sono anche il curatore delle nostre tematiche e del nostro immaginario.
E che tipo di ricerca avete fatto, in termini sia storici che musicali, per arrivare a suonare qualcosa di così lontano da voi nel tempo e nello spazio? Ma soprattutto: in che modo tutto questo è andato a connettersi col panorama Heavy e Doom?
Il nostro intento era quello di creare un immaginario sonoro, che si abbinasse a questo segmento di storia più grande di me, di te e di tutti noi.
Non si è mai trattato di essere storicamente accurati al 100%, noi creiamo intrattenimento esattamente come potrebbe fare un’opera o un film e come ho già detto sono stato spinto, principalmente, dal desiderio di celarvi dietro qualcosa di più personale.
E’ grazie all’essere stato da sempre un appassionato di storia che si è creata la connessione con questo episodio della storia giudaica, ma è soprattutto un mezzo per raccontare questa ricerca delle mie origini.
La musica si è autoimposta di conseguenza, ben prima del momento in cui abbiamo iniziato a collaborare con musicisti in Israele. E non la definirei nemmeno propriamente “orientale”, poiché, come in ogni caso, si tratta di interpretazioni e re-interpretazioni.
Onestamente, direi che siamo ben lontani dall’essere Heavy e siamo ben lontani dall’essere Doom. Ma sembra proprio che questi ambienti siano i più propensi ad immergersi in questo tipo di trip musicali.
Se qualcuno si stesse accingendo a questo punto ad ascoltarvi per la prima volta, quale album/brano consigliereste per iniziare? E in quale scenario? Che so, nelle cuffie sulla via del lavoro, a tutto volume durante le faccende domestiche, a notte fonda con luci soffuse… in qualsiasi momento, purché stonati fino al midollo…
Abbiamo sempre pensato ad i nostri album come opere indivisibili, per cui suggerirei di iniziare con il nostro EP di debutto, “ Mount Sinai/Aswan”, continuare con l’LP “Exile to Beyn Neharot” e finire dunque con la nostra ultima pubblicazione, “Al Beluti Daru”, così come sono stati scritti e composti cronologicamente.
Sarà per voi un viaggio nel nostro viaggio, fatto non solo di musica, ma anche di narrazione.
E riguardo allo scenario, onestamente mi cogli impreparato. Certamente suggerirei di essere in un momento di pace interiore. Magari prima di dormire, o, perchè no, immersi nella natura.
A questo punto, sono curiosa di conoscere il tuo/vostro background musicale. Con quale tipo di musica avete iniziato a suonare? Quali generi, quali ambienti? E in che modo si riconnettono con Wyatt E.?
Veniamo tutti da scenari differenti, dal Punk Noise à la Pissed Jeans al pop sperimentale in stile Animal Collective, passando per Hardcore e persino Black Metal.
Ma suonare con i Wyatt E. non è una semplice addizione a questo mix di generi, è più come se fossimo qui riuniti in veste di manovali al servizio della band. Come se fosse una musica primitiva, esistente ancor prima che noi decidessimo di farla.
E a quali musicisti faresti riferimento come tue influenze, sia in generale che nell’ambito Wyatt E.?
Da Nusra Fateh Ali Khan ai Master Musicians Of Bukkake, da GY!BE a Fazil Say. E tutto ciò che ci sta in mezzo.
Nomina i tuoi tre musicisti/band preferiti!
Così, senza starci a pensare troppo.
Fazil Say, Oiseaux-Tempête, Wackelkontakt.
Ok, detto questo torniamo ai Wyatt E., come sta andando questo tour? Da quanto siete in giro? In quali paesi ti sembra di aver avuto più successo dal vivo, e in quali vi è piaciuto suonare di più?
Siamo in giro per l’Europa dal 28 Aprile, e ci fermeremo agli inizi di Luglio. Non è un tour di mesi e mesi, ma non lo definirei nemmeno cortissimo.
Abbiamo una bella fan-base in Polonia e siamo sempre molto felici di tornarci, in ogni tour facciamo sempre almeno 4-5 date da quelle parti.
Abbiamo adorato suonare in Scandinavia perchè per noi, a questo giro, è stata la prima volta. E non per sembrare banali, o dire niente di ovvio, ma anche l’Italia è una sfida interessante. Anche qui per noi è la prima volta, e non abbiamo idea di cosa ci aspetti nei giorni a venire!
Da uno a dieci, quanto è scomodo suonare sotto le vostre maschere ed i vostri pastrani?
Otto su dieci dai 12°C ai 22°C, due su dieci al sotto di questa forchetta.
Ehm, ti ricordo che siamo in Italia ed è Giugno… i 22 gradi si superano facilmente, da queste parti. Ce la farete a sopravvivere?
Certo, passeremo semplicemente allo stato liquido.
I costumi sono sartoriali, oppure li avete trovati in offerta su Amazon?
Sartorialissimi! Li ha fatti Anjulie Wesel, la più talentuosa sarta della nostra città.
Che cosa viene aggiunto, nell’ambito del vostro live, dal suonare nascondendo quasi integralmente i vostri volti? Intendo sia per voi come musicisti, che per il vostro pubblico.
In questo modo mettiamo una distanza tra di noi, esseri umani, e la storia che stiamo raccontando. Vogliamo essere ricevuti come cantastorie de-personificati e non come dei singoli individui.
Ci stiamo avviando verso la fine, ma ricordo che si stanno avvicinando le vostre prossime date in Italia. Per quale motivo dovremmo venirvi a vedere? Che tipo di esperienza dobbiamo aspettarci?
Chi ci ha visti dal vivo la descrive più come un’esperienza sensoriale immersiva attraverso una narrazione che un semplice concerto ben suonato. E mi fa molto piacere, perchè è questo esattamente il nostro scopo di esistere.
E noi non vediamo l’ora di immergerci. Qualcos’altro che vorresti aggiungere per i lettori Italiani?
Por-*o.
D*-o!
Segnalo che, nel 2021, i Wyatt E., in collaborazione con Tomer Damsky, hanno fatto uscire anche un ottimo split di due brani intitolato “Jauneorange”, dove il lato B è occupato dagli inglesi “Five The Hierophant”, altra formazione meritevolissima di ascolto per gli amanti di questo filone.
Ed è sempre con Damsky e Five the Hierophant che è stato creato anche il progetto Atonia in occasione del Roadburn 2022, un live set liturgico dal retrogusto drone recentemente uscito anche come LP.
14 Giugno w/Bleeding Eyes e Wojitek – Villa Albrizzi Marini – San Zenone degli Ezzellini (TV)
16 Giugno w/To Die on Ice – Freakout Club – Bologna
Pagina FB: https://www.facebook.com/Wyattdoom/