La donna più orrenda che abbia mai visto
“Paul Stanley torna a casa moggio moggio dopo essere stato a un concerto, e ripendando al tizio che ha appena visto sul palco esclama: quell’uomo è inarrivabile”.
Questa storiella l’ho letta secoli fa, riportata grossomodo con le stesse parole, in un articolo pubblicato su Metal Shock. Non rammento l’autore, so solo che era un’ottima penna.
Aneddoto attendibile? Non ne ho idea, però fa un certo effetto perché è riconducibile al cantante dei Kiss, non a un tizio qualunque.
Poco prima, in un numero ancora più vecchio della rivista “Rockstar”, lessi le lamentele di Brad Whitford degli Aerosmith (o era Tom Hamilton? Va beh, uno dei due) sul fatto che gli Skunk Anansie racimolassero al tempo migliaia di spettatori e qualcun altro, cioè il musicista del quale vi parlo oggi, solo poche centinaia. Eppure, a suo dire, quel tale era (cito) “un genio”.
La verità? Era un genio che attraversava un periodo buio. Fine anni Novanta. Ma io già sapevo che si sarebbe rialzato in fretta perché le mode passano, il talento resta.
Uno che negli anni aveva appuntato nella rubrica telefonica i nomi di Dalì, Andy Warhol, John Lennon, John Carpenter, Vincent Price, Groucho Marx, Donovan, che s’era sbronzato con Jim Morrison e Keith Moon e aveva condiviso il palco con Jimi Hendrix, che aveva recitato in film, musical, spot televisivi e serie tv, non poteva restare a lungo sullo sfondo.
E infatti negli ultimi dieci anni, in particolare, ha cominciato a risalire la china. Il suo penultimo album, del 2011, si è piazzato al 22° posto di Billboard, cosa che non gli riusciva dal 1989.
Oggi lo conoscono un po’ tutti, anche i ragazzini, e non sta mai fermo. È un’icona. È lo zio dello shock rock. Anzi, la zia.
Il suo nome è Vincent Damon Furnier, per gli amici ALICE COOPER.
Si può condensare la carriera di Alice Cooper in un solo articolo? Neanche per sogno, infatti non ci proverò nemmeno. Si può spiegare il suo ruolo all’interno del metal, però, partendo da un presupposto: di musica heavy ne ha scritta e prodotta relativamente poca, il suo campo di riferimento è da sempre l’hard rock ‘n’ roll.
Sul metal ha esercitato un’influenza più sottile e penetrante, che va a toccare l’aspetto estetico (ha imposto nel mondo del rock duro la “moda” del face painting avviata da Arthur Brown), quello lirico (nessuno, prima di Alice Cooper, aveva affrontato così esplicitamente e così ironicamente certe tematiche malatissime) e quello concettuale (la sua carica ribellistica ha influenzato il punk: Sid Vicious e Johnny Rotten lo amavano, Lydon è addirittura iscritto al fan club). Ritenuto giustamente un personaggio controverso, negli anni Settanta si faceva impiccare dopo aver sputato in faccia al prete, nella recita-esecuzione che veniva inscenata tutte le volte nei suoi spettacoli (non semplici concerti, sicuro); eppure Alice Cooper si è sempre considerato cristiano. Ex alcolizzato nella vita reale, mette in guardia i ragazzi sui mali cui vanno incontro nel momento in cui finiscono per credere a ciò che li ammalia. Però ancora oggi si diverte a farsi decapitare sul palco.
Ovviamente è stato coverizzato da gruppi metal di varia estrazione: la NWOBHM già lo omaggiava (‘School’s out‘ dei Tysondog, per dire, ma lo stesso Bruce Dickinson ha rifatto ‘The black widow‘). I Death SS hanno riproposto ‘I love the dead’; di recente ho sentito gli Icarus Witch rifare ‘Roses on white lace’, della quale vi parlerò fra poco. Ah, dimenticavo i Lizzy Borden: immagino che pochi conoscano la loro versione di un pezzo “minore” come ‘Generation Landslide‘.
Nel power-thrash è noto l’amore di Mustaine nei riguardi del nostro (ha suonato coi Megadeth ‘No more mister nice guy‘) ma già gli Anthrax, quando c’era ancora Neil Turbin al microfono, l’avevano omaggiato con la loro versione di ‘I’m eighteen‘, a sua volta riproposta dai thrasher Hallows Eve. Menzione d’onore per i grandi Iced Earth e la loro ‘Dead Babies‘.
Nel power vanno citati almeno i Grave Digger (cover di ‘School’s out‘) e i nostri Drakkar, presenti nell’elenco con la buona cover di ‘Poison‘.
Spostandoci in territori più hard e meno heavy: i 69 Eyes si sono cimentati con ‘Is it my body‘ , i Lordi con ‘He’s back‘ e Tarja Turunen… beh, è abbastanza nota la sua tremenda versione di ‘Poison‘.
In campo estremo val la pena citare i Children of Bodom di ‘Bed of nails‘ ma di recente ho ascoltato una cover – piuttosto fedele, devo dire, voce black a parte – di ‘Sick things‘ eseguita dai norvegesi Crest of darkness.
Curioso invece che King Diamond, grande fan dell’artista americano, non abbia mai proposto alcun brano di Alice Cooper.
Ovviamente possiedo l’album-tributo “Humanary Stew” (del 1999) e lì, ragazzi, c’è da restare a bocca aperta per il parterre de roi: leggete QUA i nomi, per capire. E magari ascoltatelo, ché è davvero ben fatto (la versione di ‘Go to hell‘, con Zakk Wylde e Dee Snider, è superiore all’originale).
Vi risparmio le collaborazioni perché sennò facciamo notte.
Insomma, credo che un po’ tutto l’universo rock, hard rock e metal ami Alice Cooper, le sue canzoni e il suo istrionismo. È talmente trasversale che perfino artisti pop lo hanno spesso citato tra le loro influenze o preferenze (Lady Gaga e Kesha, per esempio, molto prima di loro Liza Minnelli).
Eppure ha conosciuto dei periodi di grande difficoltà; la sua carriera è piena di alti e bassi, conta 27 album (!) in studio, 5 dal vivo, una decina di greatest hits.
Ha venduto milioni di album, naturalmente, ma quanti di questi sono significativi in ottica metal? Pochi. Più interessante, forse, è individuare il filo rosso che unisce alcune canzoni più o meno annoverabili nel nostro amatissimo genere. Ne cito qualcuna, in ordine cronologico (se cliccate sul titolo in giallo vi si aprirà il relativo video presente su YouTube); poi chi ha voglia di approfondire, approfondirà:
1) ‘Halo of flies‘ (dall’album “Killer”, 1971)
Pezzo lunghissimo, cangiante, un po’ psichedelico e per me meraviglioso. Consiglio di prestare la massima attenzione al cambio di ritmo a 3.35, immaginatelo con una produzione moderna. Vi assicuro che all’epoca davvero in pochi sfornavano riff così duri. Questo è chiaramente proto-metal.
2) ‘The black widow‘ (dall’album “Welcome to my nightmare”, 1975)
Come sopra. La grandeur e l’approccio teatrale del nostro smorzano i toni heavy, ma il pezzo in sé era durissimo per quei tempi. Occhio agli interventi solisti di Steve Hunter e Dick Wagner, tra le prime “asce incrociate” del rock duro.
3) ‘Make that money‘ (dall’album “Zipper catches skin”, 1982)
Pezzo contenuto all’interno di un album che non disdegno affatto (superiore ai tre precedenti), poiché manifestava la volontà di staccarsi dal goffo periodo “pop/new wave” di Alice e recuperare punti in ottica rock. Se riuscite a immaginarlo con una produzione sensata (questa è davvero spompatissima), vien fuori un piacevole tempo medio hard rock, che diventa heavy all’altezza dell’assolo conclusivo. Ero indeciso se citare questa o la schizoide ‘Tag, you’re it‘ ma vanno bene entrambe.
4) ‘The world needs guts‘ (dall’album “Constrictor”, 1986)
Eccolo, il primo album completamente votato al rock duro anni Ottanta! Niente di eccezionale, nella sua globalità, ma sentire la chitarra ruggente di Kane Roberts (occhio all’assolo) fa sempre piacere. Pezzo sostanzialmente heavy metal.
5) ‘Roses on white lace‘ (dall’album “Raise your fist and yell”, 1987)
L’avevo citata prima. “Raise your fist and yell” è l’album metal per eccellenza di Alice Cooper. Dovessi consigliarne uno, allora citerei questo (ribadisco, in ottica heavy: i miei album preferiti di Alice sono ben altri). Ancora Roberts alla chitarra, l’incredibile Ken Mary alla batteria e tanto per non farci mancare nulla, Kip Winger al basso. Formazione mostruosa, per un album con alti e bassi ma che sprizza energia da tutti i pori.
6) ‘Freedom‘ (dall’album “Raise your fist and yell”, 1987)
Visto che è il suo lavoro più heavy, permettetemi di citare un’altra canzone tratta da “Raise your fist and yell”, cioè il pezzo d’apertura. Devastante su tutta la linea, con un coro da urlare – come incita il titolo – col pugno alzato al cielo.
7) ‘Hurricane years‘ (dall’album “Hey stoopid”, 1991)
Dopo il successo del laccatissimo “Trash”, Alice indurisce la proposta e senza rinunciare ai cori di facile presa piazza anche riff e assoli di chiaro stampo hard&heavy. Qui alla chitarra solista c’è un certo Vinnie Moore. Direi che si sente.
8) ‘Cleansed by fire‘ (dall’album “The last temptation”, 1994)
Bellissimo lavoro, uscito in piena epoca “alternative”. Questo pezzo chiude l’album e fa parte di un concept. Oscuro, metal nell’essenza, controcorrente nelle liriche. In una sola parola: fantastico.
9) ‘Brutal Planet‘ (dall’album “Brutal Planet”, 2000)
Canzone eponima dell’album industrialoide di Coop (si legge “cup”, niente a che vedere con le cooperative), poi bissato dall’inferiore “Dragontown” (2001). Non mi è mai piaciuta ma testimonia quanto potesse essere pesante la musica del nostro quando si metteva in testa di sfidare al loro stesso gioco quelli che lo imitavano (devo fare nomi?).
10) ‘Vengeance is mine‘ (dall’album “Along came a spider”, 2008)
L’album più noioso di Alice dal 2003 a oggi. Però questo pezzo ha qualcosa in più e se guardate il video (pieno di citazioni per i fan, e con Slash alla chitarra solista) la situazione migliora.
Negli ultimi due album Alice è ritornato a un suono molto variegato, meno spigoloso e più anni Settanta. La cosa non deve sorprendere, visto che lui ha sempre detto di voler fare del “guitar-driven rock ‘n’ roll”, cioè rock pilotato dalla chitarra elettrica e con una chitarra elettrica puoi suonare un po’ di tutto; Alice si è sempre messo alla prova in vari generi, vecchi e nuovi, ma questo è materiale per un altro articolo.
La grande verità è che chi ama la musica capisce (non subito) che il concetto di “tempo” non sempre è applicabile. Louis Armstrong, Chopin, Muddy Waters o i Deep Purple non saranno mai vecchi; sono delle bussole, fari che illuminano il percorso per fornirci dei punti di riferimento stabili. Per ricordarci cos’è la grande musica.
Per me Alice Cooper è grande, grandissima musica, ma voi non fidatevi di me. Anche se conosco benissimo la sua discografia, non sono nessuno. Come i protagonisti di “Fusi di testa”, al suo cospetto sono cacchetta.
Fidatevi semmai dei nomi che lo hanno collocato sul piedistallo, tributato con cover oppure omaggiato con la partecipazione ad album creati appositamente per lui. Fidatevi di chi si è detto onorato di poterci lavorare assieme (l’impossibile: dal compianto Chris Cornell a Ozzy, da Satriani e Steve Vai a Bon Jovi e Steve Tyler, da Tobias Sammet ai Guns n’ Roses fino a sir Paul McCartney).
Fidatevi delle vostre orecchie.
Ascoltate, giudicate.
Guardatelo dal vivo, ha l’energia di un ragazzino e canta meglio oggi di quindici anni fa, per quanto il tempo non faccia sconti e prima o poi dovrà smettere pure lui. Credo…
Temetelo. Amatelo.
Ricordatevi di Coop, ok?
P.S.
Il titolo dell’articolo, ovviamente, si riferisce a questa scena del film “Dark Shadows” di Tim Burton.