Legion of Darkness (Lord Inferos)
LEGION OF DARKNESS: L’EPOS MEDITERRANEO a cura di Marco Migliorelli
Sotto i portici di Trinacria, il black metal incontra la salsedine del Mediterraneo, ne assorbe il sapore antico e diventa Viaggio, Epos. Diventa la musica dei Legion of Darkness, musicisti veterani e noti ai cultori più raffinati del panorama underground nostrano. Dopo il superbo “Cantus” è uscito lo scorso aprile il loro secondo full lenght “Meridies”, per l’italiana Dark Babel Records. Ne parla qui a Truemetal Lord Inferos, “voce e poesia” del gruppo.
Inferos, è un piacere avere l’occasione di discutere la vostra musica, una lettura del black metal dalla personalità molto forte e ricca. “Meridies”. Meridiano ma anche “mezzogiorno”. La parola prima dell’epos è già in sé poetica, evocazione. Perché l’avete scelta, cosa racchiude.
È un piacere anche per me. Come giustamente hai notato, il titolo del disco è stato scelto proprio per la sua densità semantica. Il lemma latino indica il “mezzogiorno” dal punto di vista orario, il momento della giornata in cui il sole è più alto, ma ha anche il significato di “mezzogiorno” nella sua accezione geografica.
Se consideriamo quest’ultimo significato, possiamo ravvisare una relazione con il termine “mediterraneo”, parola che, se scritta con l’iniziale maiuscola, indica anche uno dei mari italici.
L’idea del mezzogiorno, per chi vive in regioni mediterranee, ha in sé il concetto di calore. Il caldo agita gli animi e inevitabilmente, rimanda a sensazioni violente, come l’odio o l’amore.
Sul titolo del nostro album ci sarebbe ancora da speculare, ma non posso rubarvi tutto lo spazio solo per una domanda e sono certo che non me lo permettereste.
La cover di Meridies. Un elmo d’oplita divinamente calato dal cielo è al centro di una composizione dalle tenui tinte bronzee con ai lati due portici con statue speculari. L’imponenza è pari a quella della Porta di Mileto del Pergamon Museum a Berlino. Non poca la suggestione. Cosa rappresenta? Qual’era la vostra idea, la vostra “immagine”.
Si tratta di un’immagine semplice. L’elmo da oplita sembra quasi giungere da un vortice temporale, ma potrebbe anche scaturire da un sole momentaneamente oscurato dalla tenebra di questi tempi.
È la materializzazione dei valori comuni della tradizione europea, filtrati dal nostro punto di vista mediterraneo. È un’immagine battagliera, perché questi valori vivono ancora in molti di noi, malgrado la modernità faccia di tutto per rimuovere quanto resta di onorevole dalla vita umana.
Quell’elmo è semplicemente il nostro “no” all’automatismo di stampo materialista, che le autorità temporali, culturali e religiose cercano di imporre sulle vite degli uomini d’oggi.
L’immagine è un “luogo” importante della vostra musica. Ithaca, brano completamente acustico chiude il disco. Una canzone che è anche un video dalle tinte tenui, carezzate da un sole languido, tramortito dal giorno che declina. Intorno la grecità remota. C’è la vostra isola nelle note di Ithaca, così come in quelle immagini c’è forse la Sicilia come appare attraverso il vostro “sentimento del tempo”. Sei d’accordo? Come è nata l’idea del video?
(Ithaca che è anche immagine di una Sicilia remota, due isole nell’immagine di una nell’evocazione di una radice remota e storica la cui complessità fu determinata dalle rotte del Mediterraneo: “frammenti lontani di una sovra realtà”, come s’ode in “Ciclo d’acciaio”…)
Diciamo pure che il concetto di immagine è alla base della nostra musica.
“Ithaca”, già dal titolo stesso, mette in chiaro quale sia il sostrato su cui si poggiano le note musicali. Il brano nasce proprio dal voler comunicare un certo tipo di stati d’animo che potremmo definire, grossolanamente, delle immagini mentali. Ritengo sia impossibile associare delle riprese di tipo diverso alle atmosfere di quel brano. Se poi aggiungiamo il fatto che tecnicamente il pezzo si prestava a questo lavoro, realizzarne un video è diventato un passo quasi naturale.
Nelle note di “Ithaca” c’è sicuramente la nostra isola, ma essa diventa un mezzo per esprimere sensazioni più universali, luoghi dello spirito in cui tutti possono ritrovarsi, a patto di possederne le giuste chiavi. Oltre al legame palese col poema omerico, ritornano anche in questo pezzo anche suggestioni esiodee, implicite, nel montaggio e nella scelta delle sequenze.
Faccio presente che non si vuole considerare la grecità come un elemento avulso dal contesto italico, in quanto la nostra cultura tutta è di chiara matrice greco-romana.
”Ek Pétras” e “Ciclo d’acciaio” compaiono finalmente nel disco completo, dopo l’ottimo assaggio del demo targato 2008. Quattro canzoni molto lunghe, escluso l’intenso epilogo acustico. Una struttura di brano perfetta per un cantato spesso in lingua italiana. C’è un legame fra lunghezza dei brani e la nostra lingua?
Non ci sono legami fra la lunghezza dei brani e l’italiano.
Cantare in italiano è stato un processo naturale (si tratta della nostra lingua) e non auto-coercitivo. Penso che l’italiano si presti moltissimo a certo metal estremo, ma non a tutti i momenti di una canzone.
Non ritengo che il suo utilizzo debba essere interpretato a tutti i costi come “marca” obbligatoria di identità ideologica e musicale della proposta, se il discorso che si propone vuole essere così caratterizzato. La musica non è altro che uno sbiadito riflesso di qualcosa che non possiamo toccare, ma che esiste; l’importante è che questo concetto sia chiaro.
Daniele Balestrieri definì ogni vostra canzone un “piccolo poema epico”.La ricchezza di sfumature di ogni vostra canzone, la sua lunghezza, sembrano fatte puramente per “Raccontare”. Cosa raccontano i vostri testi?
I nostri testi raccontano di sogni sfolgoranti di gloria, di visioni di battaglie, di eroi di immensa virtù, di cieli tempestosi su tempi che non esistono più. La frammentazione delle liriche e il nostro rapporto con la composizione, che per certi versi potrebbe anche essere definito “progressivo”, esprimono al meglio questa frenesia di immaginazione, questo essere a volte “pindarici” sia nei testi che nella musica.
Produzione nitida, suoni corposi che si sovrappongono come colpi di cesello nella creazione di un capitello corinzio. Siamo lontani dai dettami del puro black metal. Quando vi siete accorti che quello che suonavate in qualche modo “non vi bastava più”, che un universo ulteriore premeva, “risuonava” nella vostra testa?
Subito dopo la prima demo, capimmo che c’era qualcosa che non ci soddisfaceva più in quel sound; quel modo di suonare era ancorato a un determinato periodo della nostra vita, che in quei tempi volgeva al termine.
C’era aria di svolta e la svolta s’è fatta. Ci spostammo su tematiche che ritenevamo più adatte a noi, in quanto parte del nostro bagaglio culturale sin dall’adolescenza e che, non a caso, si coniugavano con la strada che avevamo intenzione di intraprendere.
Resto sulla produzione perché davvero, è una gioia percepirla in cuffia. E’ stato molto difficile ottenere un risultato professionale di così alto livello? Nell’undeground è una lotta e le difficoltà non sono poche, il nostro paese poi, ed il sud in particolare, non sono molto sensibili e “progressisti” nei confronti di questa musica…
Bisogna porsi degli obiettivi e mettere da parte tutto quello che è secondario.
La musica per noi è oramai una questione privata in tutti i sensi. La si fa perché ci piace farla, se poi si trova qualcuno disposto a stampare, ma soprattutto a promuovere e a distribuire il tuo lavoro allora bene, se no si può tranquillamente aspettare o, nella peggiore delle ipotesi, conservare tutto in un cassetto.
Riguardo il sud, penso che tu abbia ragione, ma non sono nelle condizioni di darti una risposta più precisa, perché sinceramente abbiamo smesso da anni di cercare un rapporto con chi gestisce gli spazi dedicati alla musica.
Per quanto riguarda l’underground, mi interesso principalmente di quanto proposto dalla “Scaena Italica”, un’associazione di band e artisti alla quale abbiamo aderito sin dalla sua fondazione, e di questo ne vado fiero.
Il lavoro che i ragazzi stanno facendo penso sia ottimo, per quanto lontano dai facili entusiasmi di certo giornalettismo musicale. Come avrai notato, nel retro della confezione del nostro disco, si può vedere il simbolo della “Scaena”.
Una domanda secca, per entrare , letteralmente nell’anima creativa di questo disco. Scegli una canzone per raccontarci come prende forma la musica dei Legion of Darkness.
Non scelgo una canzone in particolare, perché il processo è sempre lo stesso.
Si parte da un concetto o da uno stato d’animo che si vuole rappresentare. Poi l’inizio vero e proprio, può scaturire da un riff o da un testo, è indifferente. La cosa importante è che musica e liriche siano in perfetto accordo fra loro. Partecipiamo tutti attivamente alla composizione, che è un processo severo e pregno di autocritica. Si lascia poco al caso. Nulla deve sfuggire al vaglio di qualità che mettiamo sempre in atto prima di considerare una canzone “finita”.
Alcuni potrebbero dire che questo metodo manca di istintività, ma la nostra istintività sta proprio in quella ricerca di buon gusto e di coerenza che cerchiamo di mettere in ogni nostro lavoro.
Siete riusciti a creare, per ricchezza di sfumature una sorta di “musica”, parte acustica e fiati, “nella musica”, ossia senza tradire una genuina, pànica, ruggente, appassionata impostazione black metal. (Un esempio? Gli ultimi minuti di ciclo d’acciaio. C’è tutto). Quale di questi due aspetti nasce per primo?
Nascono il più delle volte in concertazione.
Quando suoni e ascolti per tanti anni diversi tipi di generi musicali, cominci ad avere una visione di insieme, che difficilmente puoi avere da adolescente.
La musica diventa “unica”, non c’è più distinzione nella tua mente fra un genere e l’altro, se non quella fondamentale fra ciò che è ben fatto e ciò che non lo è. L’unico limite, se così si può chiamare, è dettato dalla coerenza all’obiettivo che ci si è prefissati.
Sono convinto che un pensiero di questo tipo stia alla base di quanto fatto da alcuni sperimentatori esemplari come John Zorn o Diamanda Galàs.
Dietro un eccellente lavoro di batteria e basso (a tratti discreto protagonista e mai sacrificato nell’economia del sound), è innegabile la cura, l’amore verso l’arpeggio più puro, tutt’altro che ai margini delle vostre composizioni.
Da “Songs of War”: “E l’aria godrà del tremolio delle corde”
C’è un bellissimo racconto di Flagellum, che riguarda un intero set di corde “tributato alla salsedine” perché solo sugli scogli e davanti al Mediterraneo potevano “arrivare” determinati “passaggi”….l’impressione è tale che sembra sia occorso un vero e proprio “lavoro a parte” oltre all’impegno richiesto dal black vero e proprio.
Sto pensando anche alla selezione dei musicisti oltre che alla scelta vincente di un altro singer della scena underground palermitana, Giulio Di Gregorio, noto a qualcuno per aver cantato in “Jeanne d’Arc” dei Thy Majestie e qui perfettamente inserito in un contesto epico anche se pur sempre black metal.
Flagellum ha avuto sempre un gusto particolare per le melodie acustiche. La composizione in acustico è uno dei suoi cavalli di battaglia. “Ithaca” sarebbe venuta fuori anche in condizioni “normali”, ma probabilmente avrebbe avuto un sound diverso, magari avrebbe toccato alcune corde dell’animo piuttosto che altre. Agendo in questo modo ci siamo assicurati che le cose andassero nel modo che volevamo. Partecipare concretamente a un emozione che si vuole infondere in un brano, penso sia stata una marcia in più, per quelle che erano le nostre intenzioni.
Poi è giusto che gli ascoltatori “vivano” in modo personale i brani di un disco, ma spero che una buona parte di quello che ci eravamo prefissati di trasmettere giunga a loro così come era stata immaginata. Del resto tu mi hai confermato che, almeno per te, è stato così.
La voce di Giulio Di Gregorio ha completato con un breve intervento il brano.
La scelta è caduta su di lui perché abbiamo sempre apprezzato il suo modo di cantare e perché lo stimiamo inoltre, come persona. In futuro chissà.
Sia chiaro. Il black resta una forte componente del vostro sound. Così, a bruciapelo, volevo dirti da un po’ che diversi passaggi di “Cantus” oltre che di “Meridies” (Ek Petras…) mi inducono ad accostarvi ai primi Enslaved. Parlo dell’epoca di “Eld” e per l’ampio respiro delle vostre canzoni ed un approccio epico, penso subito ad una canzone storica di quel disco, “793. The battle of Lindisfarne”. Che mi dici, Inferos; a caldo, senti i Legion of Darkness vicini a quella “maschera” (fra l’altro abbandonata ormai) dei norvegesi?
Mah, secondo me noi quella maschera non l’abbiamo mai avuta. “Cantus” non lo reputo affatto “nordico” come album. In quel disco ho sempre trovato sonorità molto calde e mediterranee, ad esclusione forse di un solo brano. Tornando alla tua domanda, gli Enslaved ci piacciono eccome, ma il modo in cui ci sentiamo vicini a loro riguarda esclusivamente l’approccio libero alla musica, non la proposta in sé. Li abbiamo sempre stimati molto perché hanno saputo creare uno stile personale, mettendo da parte l’aderenza a certi cliché e tracciando un percorso musicale autonomo. Penso si tratti dello scopo che ogni vero artista vuole raggiungere.
Intrecci, fughe quasi, di violino e pianoforte. Fondamentali, perché se gli arpeggi spezzano il brano e introiettano una nuova dimensione, violino e pianoforte, come dire, “accompagnano” la canzone vera e propria, sottolineandone i momenti. Come nasce questo connubio, cosa ne pensi tu ormai dopo due dischi costellati di questi intrecci preziosi.
Questa è un eredità diretta degli ascolti a cui ci dedichiamo. Inoltre oramai si tratta quasi di un carattere distintivo del nostro sound. Questi strumenti sono importanti nell’economia del disco da due punti di vista: uno, macroscopico, è quello dell’originalità e della freschezza della proposta, l’altro è legato semplicemente alla funzione emotiva che questi strumenti svolgono alla perfezione, andando a rimarcare, come da te detto, certe parti delle canzoni, e contribuendo a creare quell’atmosfera da sogno che tanto ci è cara.
Come avrai notato però, l’uso che facciamo di questi strumenti è piuttosto misurato; bisogna intervenire solo dove conviene, se no si rischia di sfociare in barocchismi di cattivo gusto.
Sono d’accordo! E poi il pianoforte. Qui in Meridies, sul finire di “Ciclo d’acciaio”, (7° min. circa), sale in crescendo fino ad eguagliare la batteria ma già in “Cantus” c’è una canzone “Solo sepolcri e Cenere” nella quale, sul finire, dopo un lungo e rapito break acustico, ritorna il suo tema di pianoforte a dir poco struggente. Toglimi una curiosità, come è nato quel giro di pianoforte?
Ci girava nella testa mentre componevano “Solo sepolcri e cenere”. Era adatto, si sposava alla perfezione con la canzone. Amiamo moltissimo quel brano e quel fraseggio.
Su “Meridies” poi, grazie ad Adranor, abbiamo potuto avere un lavoro sulle tastiere e sul pianoforte più accurato. Adranor è un grandissimo musicista, conosce il black come le sue tasche ma anche altri generi musicali. Il suo contributo è stato d’importanza vitale, inoltre, l’entusiasmo che ha portato nel gruppo, ci ha aiutato a uscire da un periodo di crisi.
Eccellente anche la prova di Zakhrator alla batteria. Avete intenzione di chiamarlo stabilmente in formazione?
Zakhrator purtroppo non farà parte stabilmente della formazione dei Legion of Darkness, a causa di impegni personali. Colgo l’occasione per ringraziarlo nuovamente della sua collaborazione.
Un giorno mi hai scritto che siete “Troppo black per essere melodici, troppo melodici e progressivi per essere black. Ma non potremmo fare altrimenti, cercare di essere più canonici sarebbe un tradimento verso noi stessi”.
A me torna in mente quel brano: “Ithaca”. Per me chiave di lettura completa dell’intera poetica di “Meridies”. Il motivo consiste nel fatto che una canzone interamente acustica non solo riassume, in conclusione lo spirito di un disco ma anche ribadisce una componente ormai forte e consolidata del vostro sound…
Mi fa molto piacere che pensi questo, perché in effetti è così che la pensiamo anche noi.
In “Ithaca” è presente non solo la poetica di “Meridies”, ma la poetica dei Legion of Darkness.
A dirla tutta, la potremmo indicare come un breviario di quelle che sono le leve emotive che vogliamo sollecitare in chi ascolta la nostra musica.
Certo l’ala più oltranzista del metal estremo continuerà a giudicarci una band melodica, e per questo poco interessante, ma, citando una famosa pellicola: “francamente me ne infischio”.
Penso che possiamo infischiarcene in molti, anche perché trovo entusiasmante che il black metal sia spesso all’origine di sentieri musicali dai risultati sorprendenti come avantgarde e viking/folk. Anche voi avete preso le mosse da un genere che non rinnegate ma del quale avete sentito la necessità di varcare i limiti… le colonne d’Ercole….cosa pensi del black arrivato a questo momento del tuo percorso musicale?
Il black sta bene dove sta. Sarà sempre un genere musicale vivo, perché è vivo l’odio e il rancore degli uomini, dei giovani in particolare, contro chi vuole sottometterli e piegarli alla proprie logiche, senza fornire spiegazioni sensate, non ultime quelle di un credo religioso il più delle volte imposto e non accettato.
Il black metal è un genere anticristiano, questo è il suo “focus”, e tale deve e dovrà rimanere, perché è nel suo Dna, è la sua linfa vitale primaria.
Sia chiaro che noi adesso non potremmo definirci black metal, semplicemente perché il centro delle nostre tematiche non è più quello; la prima e unica nostra produzione strettamente aderente a quel canone, risale a 10 anni fa, ma come chiunque abbia un minimo di infarinatura circa il genere potrebbe rilevare, il nostro modo di fare musica si è formato su quel suono, per farci approdare poi a un risultato differente, che si può chiamare pagan metal o pagan black metal.
Bene Inferos, nell’attesa di una ristampa di “Cantus” e con l’augurio che i Legion of Darkness raccolgano quanto meritano, ed è tanto, tantissimo, lascio a te la conclusione ed i saluti, alle Genti di Truemetal. Grazie ancora.
Siamo noi che vi ringraziamo per lo spazio che gentilmente ci avete concesso.
Ci farebbe piacere apparire di nuovo su queste pagine con il prossimo disco, che spero non tarderà ad arrivare. A presto!