Live Report: Abbath @ Slaughter Club, Paderno Dugnano (MI) – 07/01/2024
Live Report: Abbath @ Slaughter Club, Paderno Dugnano (MI) – 07/01/2024
a cura di Jennifer Carminati
Abbath in tour in Italia per un’unica data a gennaio 2024, notizia che Hellfire Booking Agency, in collaborazione con lo Slaughter Club di Paderno Dugnano e Erocks Production, ha cominciato a far girare alla fine della scorsa estate ed ha subito creato scompiglio nell’ambiente del metal estremo e non solo.
Speriamo sia in forma e non come l’ultima volta, abbiamo pensato la stragrande maggioranza di noi che l’ha già visto in passato, e poi, con chi verrà il leader degli Immortal? Non tutti possono aprire ad un personaggio del genere, eh no.
Domande che troveranno risposta a breve se proseguirete nella lettura, ma vi posso anticipare che no, non era bevuto il ragazzo e ha dato gran prova di sé, nonostante…poi lo scoprirete.
Stessa cosa dicasi per gli opener della serata: i distruttivi Hellripper con il loro approccio corrosivo e incandescente ed i Toxic Holocaust, con la loro miscela di thrash metal e influenze di hardcore punk, death metal e hard rock anni ’80, e chi più ne ha più ne metta.
Il loro viaggio insieme per questo tour Europeo è iniziato il giorno dell’Epifania in Svizzera, proseguendo per 14 diverse nazioni, su 31 differenti palchi, terminando su quello del Nordic Metal Cruise in Finlandia, il 10 febbraio prossimo.
L’appuntamento in Italia è per oggi, domenica 7 gennaio allo Slaughter Club di Paderno Dugnano, diventato meta di pellegrinaggio, non certo per i Re Magi che han sbagliato destinazione, ma per tutti i metalheads accorsi da ogni parte della Penisola per vedere dal vivo una vera e propria leggenda, che ha contribuito a scrivere tante pagine di storia della frangia più estrema del metal.
Moltissimi davvero gli accorsi al locale alla periferia milanese, in fila sin dal tardo pomeriggio, a tributare tre realtà che messe insieme hanno riempito il locale come in poche altre occasioni ho visto succedere a hanno dato luogo a una combinazione davvero micidiale che rappresentava un’occasione assolutamente da non perdere.
Ed eccomi qui, come vi avevo promesso, a distanza di poche settimane dall’ultimo del 2023, con il primo Live Report del 2024, e vi spoilero già, è stato un gran bel modo per iniziare l’anno concertistico, con la compagnia di amici ritrovati e buona musica come base di tutto, perché sono qui per questo, come sapete.
Un live che ha deluso le mie aspettative solo sul finale e ora vi racconto com’è andata, ma non prima di prendere una birra e scambiare quattro chiacchiere con il buon Gigi al bancone del bar e poi appostarmi tra le primissime file da cui non mi muoverò più fino a fine serata.
Ormai chi mi legge da un po’ e mi conosce lo sa, non sopporto il non vedere chi sta sul palco perché ho davanti schiene di omaccioni più alti di me … e non ci vuole molto per esserlo; e ancora di più non tollero di vedere un concerto attraverso gli schermi dei cellulari di chi mi sta di fronte, cosa che sempre più spesso accade anche ai concerti metal, ahimè.
Hellripper
Bando alle ciance ed iniziamo la serata alla grande, con un gruppo che non avevo mai avuto il piacere di vedere in sede live, ma che già non vedo l’ora riaccada perché mi hanno letteralmente sconvolto, in positivo s’intende.
Forse dovrei parlare al singolare, visto che gli scozzesi Hellripper sono la one man band di James McBain, ragazzo che col suo bel faccino pulito avevo visto prima gironzolare in giro per il locale e, una volta appostatosi al banco del merchandising, avevo con una certa nonchalance approcciato.
Davvero gentile e a modo e, come mi aveva promesso, via e-mail mi ha poi confermato dal vivo che a fine serata mi avrebbe consegnato la scaletta e così è stato; fosse sempre così nella vita di tutti i giorni … una persona ti fa una promessa e la mantiene, utopia lo so, ma non per James.
Con lui sul palco i fedeli compagni di live: Joseph alla chitarra, Clark al basso e Max alla batteria a dorso e piedi nudi, che ha sudato l’impossibile su quel palco.
Un’allegra combriccola di amici che si diverte davvero a suonare insieme e lo trasmette coinvolgendo da subito il numerassimo pubblico già presente nonostante non siano ancora le 20 quando iniziano a suonare.
I brani degli Hellripper garantiscono uno scapocciamento generale continuo e non mancano numerosi circle pit chiamati dallo stesso James, che viene prontamente ascoltato.
Son pezzi di facile presa anche su chi magari non li conosce e li sta ascoltando per la prima volta questa sera: è impossibile rimanere fermi sulle note del trittico iniziale Vampire’s Grave, Hell’s Rock ‘n’ Roll e Nekroslut con cui i nostri iniziano a mettere a ferro e fuoco lo Slaughter Club.
La scaletta di questa sera attinge un po’ da tutta la loro discografia, fatta di 3 album e numerosi singoli e split, puntando soprattutto sui pezzi più veloci in assoluto, che i nostri ci sparano addosso come schegge impazzite, senza soluzione di continuità.
Non c’è pausa alcuna in questi 35 minuti a loro disposizione, se non per ringraziare il numeroso pubblico accorso o fare battute, non capite ovviamente, nel classico humor anglosassone che poco ha di humor a mio parere, ma vabbè. Il piccolo grande James, classe 1995, non dimentichiamolo, si preoccupa anche dei suoi fan che si cimentano in arditi crowd surfing, facendo presente loro che allo Slaughter non sono presenti catching people sottopalco.
Ma ridiamo e ci divertiamo lo stesso, tutti insieme, con un pogo e moshpit continui, come giusto accompagnamento alla band, uno scambio energetico che è palpabile tra chi sta sotto e chi sopra il palco che è raro vedere con tale intensità.
Ci sono parecchi ritornelli paraculi nei loro pezzi, diciamocelo chiaramente, ma nell’insieme di come ci vengono proposti, possiamo soprassedere a questo aspetto che fa storcere il naso ai metalheads più intransigenti come la sottoscritta, e continuare a goderci lo spettacolo, perché di questo si tratta.
La formula cattiva e allo stesso tempo divertente degli Hellripper è tanto semplice quanto efficace ed è una vera e propria istigazione a scapocciare e distruggere tutto, perfetta per un headbanging genuino e lo spasso assicurato, non tralasciando tecnica e precisione d’esecuzione dei pezzi.
McBain e soci con il loro blackened speed/thrash metal schiaffatoci addosso all’ennesima potenza ci hanno regalato un ottimo inizio di serata e per me sono loro i vincitori indiscussi, spero tornino presto da headliner, perché hanno un’attitudine e un tiro davvero pazzesco.
E “… chi ben comincia …” come si dice? Ah, sì, ora ricordo, “chi ben comincia è a metà dell’opera”, ma noi siamo a un terzo e non vediamo l’ora di vedere e sentire il resto.
Lineup
- James McBain – voce, chitarra
- Joseph Quinlan – chitarra
- Clark Core – basso
- Max Southall – batteria
Setlist
- Vampire’s Grave
- Hell’s Rock ‘n’ Roll
- Nekroslut
- Demdike (In League with the Devil)
- Goat Vomit Nightmare
- The Affair of the Poisons
- Bastard of Hades
- The Nuckelavee
- From Hell
- All Hail the Goat
- Headless Angels
Toxic Holocaust
In questo breve lasso di tempo che intercorre tra un’esibizione e l’altra, giusto il tempo di un cambio palco e quattro chiacchiere, il locale si va via via riempiendo sempre più, con grande soddisfazione di tutti, organizzatori in primis.
Era da qualche anno che non vedevo Joel Grind e soci e, devo ammettere, che sembra non essere passato il tempo per questo trio proveniente dall’Oregon in giro da venticinque anni ormai, che dalle nostri parti non ha mai sfondato, come si suol dire.
I motivi sono vari ed eventuali e non ci soffermeremo su quelli, non è la sede; siamo qui per parlare del live e questo faremo. I Toxic Holocaust propongono cose già trite e ritrite, è vero, ma dal vivo meritano e fanno assolutamente il loro sporco dovere e il concerto di stasera è l’ennesima conferma.
Quello che è cambiato è lui, lo ricordavo biondo e magro e lo ritrovo castano con la panza da birra, un attimo di smarrimento devo ammettere che l’ho avuto, ma non appena ha salutato il pubblico l’ho riconosciuto, il suo fare cazzone è sempre lo stesso e ci piace per questo.
Il loro è un thrash grezzo, ignorante come lo abbiamo definito con Luca, il mio compare di concerto oggi, che scatena immediatamente un pogo e moshpit violento e forsennato, già dalle prime note di Bitch, con cui i nostri attaccano alle 20.45 spaccate.
Il tempo con loro scorre veloce, in tutti i sensi: ci investono con mitragliate di riff tiratissimi e colpi precisi e letali, setlist perfetta per rimarcare la loro attitudine distruttiva fottutamente punk.
Una dietro l’altra, le classiche Wild Dogs e War is Hell, a rendere giustizia ad una carriera che, seppur non molto prolifica discograficamente parlando, con soli 6 album all’attivo, è piena zeppa di roba buona che i presenti, molti dei quali qui solo per loro, ne sono certa., non vedevano l’ora di ascoltare.
Misero il tempo anche a loro disposizione, trenta minuti son davvero pochi, e mi è mancato sentire 666 (dal loro primo album Evil Never Dies del 2003), ma per il resto nulla da eccepire.
La furia con cui ci scaraventano addosso velocissimamente i dodici brani della loro scaletta non fa sconti a nessuno, che piacciano o meno, i Toxic Holocaust dal vivo sono una garanzia e si dimostrano una realtà, seppur fermi a Primal Future: 2019, di intransigente marciume tossico.
Abbiamo e avremo sempre bisogno di band come loro in circolazione, a ricordarci che in questa tossicità dilagante ci si può sguazzare e stare a galla anche piuttosto bene, se si hanno le capacità e la giusta attitudine per farlo.
Applausi e corna alzate più che meritati anche per loro che scendono dal palco e subito dopo li ritroviamo al banco del merch e poi tra il pubblico, come nulla fosse e come nessuno fossero, soprattutto. Quando si dice l’umiltà di essere sé stessi, fino alla fine.
Questo è, personalmente, l’atteggiamento che amo ritrovare nei gruppi che vado a vedere, perché puoi essere anche Abbath, giusto per citare un nome a caso eh, ma se non ti ricordi da dove arrivi e, soprattutto, se non dai la giusta importanza al pubblico pagante e ai tuoi fan che ti permettono di essere dove sei, realmente sei e sempre sarai, nessuno.
A me il loro thrash feroce, intriso di metal e punk-hardcore, definitelo come vi pare, o non fatelo proprio che a volte è meglio, mi piace assai, e ora diligentemente mi metto in fila al banco del merch, perché glielo voglio proprio dire a questi ragazzotti alla mano e dalla faccia simpatica.
Lineup
- Joel Grind – voce, chitarra
- Rob Gray – basso
- Tyler Becker – batteria
Setlist
- Bitch
- Silence
- Gravelord
- Acid Fuzz
- Wild Dogs
- I Am Disease
- War Is Hell
- In the Name of Science
- Reaper’s Grave
- Death Brings Death
- Nuke the Cross
- The Lord of the Wasteland
Le due band in apertura hanno fatto di tutto per mantenere alta la temperatura all’interno del locale e il sudore oltre che la birra appiccicata a terra già si sprecano, ma il bello deve ancora venire.
Non che non lo siano stati i predecessori eh, anzi, ma siamo tutti qui principalmente per vedere chi a breve salirà sul palco, speriamo in buon condizioni fisiche e non in preda a deliri alcolici che mi farebbero girare alquanto i coglioni che non ho, ma rende bene l’idea dello stato d’animo.
Abbath
Sono da poco passate le 22 quando un gelo assiderante sembra calare improvvisamente tra le mura dello Slaughter Club, finora immerso in atmosfere caldamente infernali. Ma chi ha letto, se non per piacere per obbligo, la Divina Commedia, sa che all’’inferno ci sono entrambi gli elementi, fuoco e ghiaccio, e stessa cosa accade questa sera.
Atmosfere brutali e taglienti, che solo gruppi provenienti dalla Norvegia, con il black metal che scorre nelle vene, sanno ricreare ovunque, vadano e in qualunque situazione si esibiscano.
Un’immensa scritta in acciaio Abbath fa capolino sul palco, improvvisamente calano le luci e di fronte ad una batteria a doppia cassa molto imponente con dietro l’effige del protagonista della serata cominciano a palesarsi i vari componenti della band.
Gli Abbath entrano in scena senza troppi fronzoli, con il batterista ad aprire la fila e dietro gli altri, con corpse paint e avanbracci di spine d’ordinanza.
Molte le magliette degli Immortal che ho visto aggirarsi per il locale, indossate da metalheads più o meno giovani devo dire, ma tutti qui riuniti per tributare quello che è a tutti gli effetti un progetto nato nel 2015, non dalla costola, ma dalla colonna vertebrale di questo storico gruppo.
L’icona storica del black metal mondiale Abbath, dietro la sua armatura oltre che il face painting che da sempre lo contraddistingue, accompagnato da una formazione di grande livello, darà luogo a un live che ha peccato per due cose.
La prima è la qualità dei suoni, davvero pessima almeno da dove ero posizionata io, con un impasto complessivo che non rendeva loro giustizia e nel quale la voce spesso veniva sommersa. Da posizioni centrali era meglio mi han detto poi, peccato per chi come me era laterale quindi.
La seconda, ve la dico dopo, perché si tratta di come finirà questo concerto.
La scaletta inizia subito con Triumph, un tuffo nel passato, ma torniamo al relativamente presente con Acid Haze, Dream Cull e Hecate estrapolati dal secondo e terzo album degli Abbath.
Pubblico che si smuove un po’ con Battalions, cover del progetto I che pochi ricorderanno, e poi ecco che gli Immortal fanno capolino come il trittico: In My Kingdom Cold, Tyrants e Nebular Ravens Winter, per non deludere i fan della “vecchie guardia” accorsi come già detto numerosi questa sera e che questi pezzi volevano sentire.
Manca forse un po’ di contatto col pubblico è vero, e la risposta dall’altra parte del palco non arriva infatti di rimando, ma non ce lo aspettiamo neanche da uno come lui; ci aspettiamo invece le sue pose iconiche, bloccate indefinitamente nel tempo dai tanti scatti fotografici che lo hanno visto protagonista negli anni e che tutti abbiamo visto passare sotto i nostri occhi almeno una volta nella vita, e non credo a chi dice il contrario.
Gesti, smorfie, posture al limite del grottesco, che fanno quasi sorridere, di certo non paura, ma che son parte integrante del suo personaggio, che ci offre al meglio che può il suo sound spesso definito black n’ roll: puro black metal con un groove originale e del tutto caratteristico che lo hanno reso tale e immortale nel tempo, concedetemi il gioco di parole.
Anche questa volta purtroppo non abbiamo avuto la possibilità di vedere sul palco Mia Winter Wallace, bassista e ancora oggi membro ufficiale del gruppo ma che, facendo parte anche della band brasiliana Nervosa, inevitabilmente non riesce a combinare le date e difficilmente riesce ad esibirsi con gli Abbath qui a casa sua. Troviamo quindi oggi Frode Kilvik a rimpiazzarla al basso insieme a Ole André Farstad alla chitarra e Ukri Suvilehto alla batteria, tutti artefici di un’ottima prestazione, forse un po’ troppo statica ma senz’altro precisa tecnicamente.
Veniamo ora al secondo punto dolente della serata. Non sono neanche le h 23 quando, finita Winterbane, dodicesimo pezzo in scaletta e ne mancavano ancora due, uno scocciatissimo a mio avviso Abbath, con un secco e lapidario “Good night” scende dal palco per non tornarci più.
Tutti ci aspettiamo che torni per l’encore, anche chi non aveva la scaletta in mano sa che la manfrina di scendere dal palco per poi tornare la fanno tutti ormai, ma loro no. Dopo qualche minuto di sgomento capiamo che è davvero finita, le luci si accendono, la musica di sottofondo anche, e tutti, chi più chi meno incazzato e deluso della sottoscritta, lasciamo il locale.
Una performance che mi ha lasciato non poco amaro in bocca devo ammetterlo e ancora peggio è stato sapere dopo, dagli amici rimasti per farsi autografare cimeli e fare selfie con lui, che si è negato ai suoi fan; mestamente se ne è andato cercando di camuffarsi tra la folla rimasta, è tornato sul tour bus senza dedicare un minuto a chi era accorso da ogni dove per vederlo e magari non avrà altre occasioni per farlo.
Questi atteggiamenti io non li accetto e mi indispongono alquanto, oltre che deludermi e far passare in secondo piano quella che era stata tutto sommato una performance degna di tale nome, nello stile freddo e austero a cui Abbath ci ha abituati.
Ma un’uscita di scena così non si fa, non si dovrebbe proprio fare, lo trovo totalmente irrispettoso.
La prossima estate lo rivedrò in ben altre due occasioni: a giugno al Graspop Metal Meeting in Belgio e ad agosto al Brutal Assault in Repubblica Ceca, e vi saprò dire se soddisferà le mie, e quelle di tutti, aspettative, ormai altissime.
Stay Tuned and Stay Metal, e lo scoprirete.
Lineup
- Abbath – voce, chitarra
- Ole André Farstad – chitarra
- Frode Kilvik – basso
- Ukri Suvilehto – batteria
Setlist
- Triumph (Immortal cover)
- Acid Haze
- Dream Cull
- Hecate
- Battalions (I cover)
- Ashes of the Damned
- Dread Reaver
- In My Kingdom Cold (Immortal cover)
- Tyrants (Immortal cover)
- Nebular Ravens Winter (Immortal cover)
- The Artifex
- Winterbane
Son sincera, nei giorni che precedevano la serata, mi chiedevo quale sarebbe stata l’affluenza. Vuoi perché è domenica 7 gennaio, e domani si ritorna tutti al lavoro, magari dopo qualche giorno di meritano riposo durante le vacanze natalizie, o semplicemente perché è lunedì.
Vuoi per la nomea che l’headliner si portava appresso, pesante come un macigno, insomma, non avrei mai immaginato un’affluenza così massiccia di gente, e lo Slaughter Club quasi al limite della sua capienza massima si è dimostrato all’altezza oltre che la scelta giusta da parte degli organizzatori, Hellfire Booking Agency e Erocks Production per questo primo grande evento dell’anno.
Per fortuna esistono serate come questa, fatte di amicizia e passione per il metal, che ci ricordano quanto il metallaro sia fedele alle sue band e alla musica che ama in generale, e che il culo lo muove eccome, se ne vale la pena.
Ancora una volta tra le mura del locale alla periferia milanese l’Inferno è stato rilasciato in Terra, e non potevo chiedere un inizio 2024 migliore, dimenticando per un attimo il fine serata pessimo.
Devastante sotto ogni punto di vista, e non ho altro da aggiungere.
Io e la mia, come è stata definita, ferocissima maglietta gialla dei Fulci ci avviamo verso casa, con un mix di sensazioni diverse, ma con soddisfazione di esserci comunque stata.
Ci si vede alla prossima bolgia infernale, e non tarderà molto ad arrivare.