Live Report: An Evening with Dream Theater @Palazzo dello Sport, Roma – 26/10/2024
Per un evento come il nuovo tour italiano dei Dream Theater, il primo, per di più, dopo il ritorno nei loro ranghi del drummer Mike Portnoy, la redazione del vostro TrueMetal si è mobilitata alla grande.
Dopo il Photo Report della data milanese, a cura di Davide Sciaky, alla successiva data romana erano presenti ben due recensori, Fabrizio Figus e Francesco Maraglino, che danno qui sotto conto della serata capitolina a base di progressive metal, con il loro distinto e diverso – ma per entrambi ugualmente intenso – carico di emozioni.
DREAM THEATER (live report 1, a cura di Fabrizio Figus)
Si possono odiare o amare, tacciare di mero esibizionismo oppure osannarli come una delle band più significative del panorama Progressive Metal degli ultimi decenni. Possono essere non capiti, giudicati noiosi, sopravvalutati. Qualcuno li definisce prolissi…
Possiamo dire tutto dei Dream Theater, ma non che passino inosservati.
Per il sottoscritto, sono state una delle band che più hanno contribuito alla mia formazione musicale. Credo che il disco che ho ascoltato di più in assoluto sia “Images and Words”.
Stasera, al Palazzetto dello Sport di Roma, assisteremo praticamente a un doppio evento: i 40 anni di carriera della band in questione e il ritorno, dietro alle pelli del Teatro del Sogno, di uno dei batteristi più talentuosi del panorama Metal: Mike Portnoy.
Vi risparmio la descrizione del mio stato d’animo… ma si può facilmente immaginare.
Varcato l’ingresso del palazzetto (location dove vidi il mio primo concerto, ben ventinove anni fa), mi trovo davanti una folla impaziente, sia sul parterre che sugli spalti. Ce n’è di ogni età (quarant’anni di carriera non sono pochi effettivamente).
La band statunitense sarà l’unica a suonare, quindi non è previsto un gruppo spalla.
“Inizio concerto: ore 20:00” recitano le informazioni sull’evento e, infatti, alle 20:00 precise, le luci si spengono e l’unica immagine riconoscibile è l’enorme telo che copre il palco con il manifesto del tour impresso. Un unico roboante urlo si eleva verso la sommità del palazzetto, mentre l’intro di Metropolis, Part I: “The Miracle and the Sleeper” fa capire a tutti noi che ne vedremo delle belle. L’intro ci porta verso il brano vero e proprio (dove Portnoy esplode con il suo titanico set di batteria) e il telo cade letteralmente, rivelando i nostri cinque musicisti con dietro tre maxischermi. Il tutto ha qualcosa di onirico e cinematografico allo stesso tempo. Già notiamo un LaBrie prudente, conscio del fatto che, dopo sessantuno primavere, di certo la voce non è più la stessa (oltre al fatto che il nostro singer, a causa di un’intossicazione alimentare avvenuta nel 1994, ha dovuto rassegnarsi a uno stile canoro decisamente limitato).
Lo show procede con Act I: Scene Two: I. Overture 1928 e Act I: Scene Two: II. Strange Déjà Vu tratte dal meraviglioso concept album “Metropolis Part 2: Scenes From a Memory”. La band è esattamente come la ricordavo: precisa al millimetro. Cosa che porta tutte le nostre menti a ricordi indelebili, come se quarant’anni non fossero mai passati, come se avessi ancora i capelli lunghi (anzi, come se avessi ancora i capelli), in una sorta di limbo spaziotemporale infinito.
Andiamo avanti con The Mirror dal terzo platter della band “Awake” per poi farci travolgere dalle note di Panic Attack, estratta dall’album “Octavarium”, del 2005.
Facciamo un balzo nel 2019 con Barstool Warrior da Distance Over Time alla fine della quale, il tentacolare Jordan Rudess ci regala uno splendido momento immersivo, sugli elettronici tasti bianchi e neri, in una suggestiva atmosfera di luci blu.
Momento estremamente toccante, per proseguire la magia del momento, è stata l’esecuzione di Hollow Years, nella versione demo del 1996.
Lo spettacolo va avanti con Constant Motion e, per concludere, la prima parte dell’esibizione, viene proposta l’aggressiva As I Am.
Cala il sipario per una pausa che durerà venti minuti abbondanti.
Dopo tale pausa, prima che i nostri salgano nuovamente sul palco, i maxischermi ci regalano un mix di immagini di computer grafica, dove si ripercorre l’intera carriera della band, con una musica orchestrale a fare da colonna sonora che fa risuonare i temi principali di ogni disco al passaggio delle copertine sugli schermi. Veramente fantastico.
Lo show riprende con l’ultimo singolo dei progster: Night Terror. Devo dire che il brano, nonostante non mi abbia fatto impazzire nella versione da studio, rende bene in sede live. È il momento di This is the Life, interrotta però dalla stessa band a causa di un malore di una persona tra il pubblico. La canzone ricomincia da capo dopo l’arrivo dei soccorsi.
Under a Glass Moon infiamma nuovamente il pubblico, seguita da Vacant, Stream of Consciousness e Octavarium.
I cinque musicisti lasciano ancora una volta il palco per poi ritornare per il tradizionale bis che vede come protagonisti i brani Act II: Scene Six: Home, l’emozionante Act II: Scene Eight: The Spirit Carries On e l’obbligatoria Pull Me Under.
Conclusioni:
La cosa che più temevamo tutti, probabilmente, era la performance canora di LaBrie (soprattutto dopo aver visto i video amatoriali della prima data del tour). Il cantante però ha retto abbastanza bene tutta la serata anche se, a dire il vero, nei passaggi più difficili e acuti è stato aiutato da un aumento esponenziale di riverbero e delay dalla regia. C’è da dire che il frontman non si è risparmiato un minimo nonostante fosse vistosa la fatica in alcuni punti dei brani.
Come già detto in altri termini, i Dream Theater sono ormai un’istituzione che la cosa piaccia o meno. La garanzia a vita di questa band è che i loro spettacoli saranno sempre, probabilmente, pressoché perfetti e curati in ogni minimo dettaglio. In quarant’anni di carriera LaBrie & Co. sono riusciti a creare un universo fatto, oltre che di suoni, anche d’immagini, parole e sensazioni, come un monumento alla sinestesia, unendo realtà distopiche, metafisiche, psicologiche, cinematografiche e letterarie. Una sorta di creatura fatta di carne e innesti cibernetici, dove l’intellettuale si sposa all’ingegneria minuziosa di un demiurgo dall’aspetto multiforme. Quindi, ripeto, che si amino o si detestino, i Dream Theater ci sono e restano una delle realtà più importanti al mondo.
E stasera l’hanno dimostrato, per l’ennesima volta, in quasi tre ore di esibizione.
DREAM THEATER (live report 2, a cura di Francesco Maraglino)
Va detto che per Roma, già prima dell’avvento in città dei Dream Theater, l’ottobre dell’anno domini 2024 era stato un mese a forti tinte progressive metal. Già il dieci del mese, infatti, avevano fatto visita alla Capitale i Soen, formazione svedese che si era esibita all’Orion Live Club di Ciampino.
Forti del successo di critica e di pubblico (come si suol dire) dell’album “Memorial”, il vocalist Joel Ekelof e compagni avevano dato vita ad una performance del tutto convincente, pescando a piene mani proprio dal recente disco, dall’apertura di Sincere fino a Violence, passando per una strepitosa Unbreakable e per tanti brani dalle opere precedenti, tra cui ci ha particolarmente emozionato una Lotus di rara raffinatezza, alternando violenza sonora a melodia talora quasi di stampo “emo” e gotica.
Ma grande era ovviamente l’attesa per il 26 ottobre, stavolta al Palazzo dello Sport dell’ Eur, per la data dei Dream Theater, i quali da pochissimo hanno annunciato il prossimo album, “Parasomnia”, in arrivo nel 2025.
Avendo visto dal vivo la celebre formazione statunitense millemila volte, il vostro recensore aveva avuto il dubbio se tornarci ancora una volta. E’stato un breve momento d’incertezza e poi, vuoi perché attirato, come tutti, dal ricordo dietro i tamburi di Mike Portnoy, vuoi perché al cuore di un rockettaro non si comanda, è stato solo un attimo ritrovarsi sotto il palco dei cinque musicisti.
Alle venti in punto un boato di gioia incontenibile da parte del pubblico di un Palazzo dello Sport gremito ha salutato l’arrivo dei cinque supereroi del progressive-metal, che hanno aperto subito sciorinando Metropolis Pt. 1: The Miracle and the Sleeper, e . quindi, Overture 1928 e Strange Déjà Vu da “Metropolis pt. 2”.
Dopodiché, i nostri hanno ripercorso brani da tantissimi album del proprio carnet, inondando la platea delle note torrenziali di composizioni vorticose come Constant Motion, il classicone Under a Glass Moon o il nuovo singolo Night Terror, cattive come As I Am, Stream of Consciousness o Panic Attack, ovvero intrise di lirismo come Barstool Warrior e, soprattutto, Hollow Years, all’interno di una esibizione divisa in due tempi.
Si chiude con Octavarium, suite della serie “heavy-metal-meets-Pink –Floyd-Genesis-Yes”, ma nessuno vuole andare a nanna senza il doveroso bis.
Che arriva, puntuale ed entusiasmante con la mediorientaleggiante Act II: Scene Six: Home, la sempre commovente The Spirit Carrier On e la quasi immancabile Pull Me Under, nel meritato tripudio generale.
Tornando a casa, a parte le considerazioni consuete sull’acustica della venue (venue la quale, peraltro, è comunque sempre nel cuore del vostro cronista per questioni prog fin dai tempi in cui, nel 1982, venne ivi in pellegrinaggio con un pugno di amici dalla natia Taranto, per ascoltare i Genesis dell’era Phil Collins) e sullo stato di forma del vocalist (che peraltro è stato tutto sommato all’altezza della situazione), nonchè i commenti sbalorditi di quegli spettatori che sono anche musicisti sull’impeccabile mostruosità tecnica di John Petrucci e soci, ci sentiamo già tutti pronti a tornare ad ascoltarli al prossimo giro.