Live Report: Anthrax + Kreator + Testament @ Alcatraz (MI) 6/12/2024
Live Report a cura di Vittorio Cafiero – Photoreport a cura di Luca Iacono
Quasi una serata di gala in salsa thrash metal in quel di Milano. In un Alcatraz preso d’assalto dai fan (il locale è sold out da qualche settimana per questa occasione), sono in scena tre nomi pesantissimi che rappresentano la crema del genere e che da quarant’anni mettono a ferro e fuoco i palchi di tutto il mondo. Davvero un appuntamento imperdibile per gli appassionati.
Testament
Sono le 18.30 quando i Testament entrano in scena. Fortunatamente le formalità di accredito si svolgono molto velocemente e riusciamo a prendere posto nella zona stampa proprio quando le prime note di “D.N.R.” vengono suonate. L’Alcatraz è già affollato, il pubblico è abbastanza eterogeneo anche se ovviamente la percentuale di over 40 è molto alta.
La band di Oakland appare decisamente in forma e carica, per nulla intimorita o limitata nella sua condizione di guest della serata (siamo abbastanza certi che per una fetta del pubblico possano essere i favoriti). Orgogliosi di quanto fatto nell’ultima parte di carriera, i Nostri non puntano alla captatio benevolentiae del pubblico con i classici del passato, ma si concentrano su estratti dai lavori meno legati al periodo d’oro. “3 Days In Darkness” viene accompagnata dai cori dei fans, ben chiamati da Chuck Billy e “WWIII” è la classica thrash song composta per essere suonata dal vivo. Il pit inizia da subito a scaldarsi ed iniziano a vedersi i primi episodi di crowd surfing. Fortunatamente il numero degli smartphone tenuti in altro è più basso rispetto al solito e questo aiuta l’ambiente ad essere più caldo e partecipativo. I Testament occupano bene tutti gli spazi a disposizione, si vedono gli anni di esperienza sul palco, con i membri che a turno saltono le scale laterali per andare a suonare accando al nuovo batterista Chris Dovas. Pur essendo band di supporto, sia come scenografia che come affetto del pubblico sono sicuramente al livello degli headliner.
“Children Of The Next Level” prima e “The Formation Of Damnation” poi permettono alla band di mettere in mostra le sue qualità a livello tecnico: su Steve DiGiorgio si è già detto tutto, mentre vedere Alex Skolnick e Eric Peterson duettare e a volte scambiarsi le parti soliste è un vero piacere per gli occhi e per le orecchie. La carriera dei Testament va avanti ininterrottamente da tempo, eppure, soffermandosi sui pezzi più nuovi, non sembra affatto che la band di Chuck Billy sia soddisfatta o appagata. Del resto, il livello qualitativo delle ultime uscite è assolutamente soddisfacente (cosa non scontata per chi é in giro da così tanto tempo). Momento soft con “Return To Serenity” (riprodotta decisamente più veloce del solito), mentre “Low” ci riporta agli anni ’90, quando il thrash doveva vedersela con sonorità più groove e compresse, mettendo sotto pressione la base ritmica. Tuttavia è ordinaria amministrazione per Steve DiGiorgio (partono vere e proprie frustate dal suo basso durante “Electric Crown”) e il giovane Chris Dovas dimostra grande padronanza dello strumento e nessun complesso di inferiorità.
Ottima prova quindi per i Testament, che scaldano opportunamente la platea, con una setlist apprezzabile e fresca, in quanto in gran parte riferita alla seconda parte della loro discografia.
Testament setlist:
D.N.R. (Do Not Resuscitate)
3 Days in Darkness
WWIII
Children of the Next Level
The Formation of Damnation
Return to Serenity
First Strike Is Deadly
Low
Native Blood
Electric Crown
More Than Meets the Eye
Into the Pit
Kreator
Mentre le note registrate di “Run To The Hills” scaldano a dovere il pubblico, osserviamo le imponenti scenografie sul palco dei Kreator, che spiegano la presenza di svariati Tir parcheggiati dal pomeriggio davanti all’Alcatraz. La performance della band tedesca parte in quarta con una “Hate Über Alles” urlata in faccia ai fan, seguita immediatamente da “Phobia”, canzone dal destino particolare: tratta da “Outcast”, album decisamente poco amato dagli appassionati, è comunque diventata un classico spessissimo presente nelle setlist della band di Mille Petrozza.
L’inizio (soltanto abbozzato, ahinoi) di “Coma Of Souls” dà l’occasione al cantante di organizzare solo il primo (cit.) wall of death della serata, in verità riuscito così e così. In sostanza, il pezzo funge da intro ad “Enemy Of God”. Un ormai rituale scoppio di coriandoli sul pit, assieme a “666 – World Divided”, permette il primo excursus sui Kreator moderni: meno violenti e contestatori, più vicini al ruolo di metal entertainer. È evidente con il pezzo in questione (ma del resto con molti altri della recente discografia del gruppo di Essen) la ricerca del singolo ad effetto, del ritornello corale da cantare e far cantare al pubblico dei concerti.
“Hordes of Chaos” (che invece forse è la title track dell’album spartiacque tra vecchi e nuovi Kreator) ci dà l’occasione di confrontare il dinamico bassista Frédéric Leclerq, che partecipa in modo abbastanza attivo ai pezzi, con il chitarrista finlandese Sami Yli-Sirniö, ormai nella band da quasi 25 anni, estremamente statico: zero headbanging, nessuna posa, backing vocals non pervenute, nessuna parola scambiata con il pubblico. Dal 2001 fisso al suo posto, forse non è mai veramente riuscito a scatenare l’entusiasmo dei fan, probabilmente proprio a causa della sua flemma finnica.
Dopo una “Hail To The Hordes” invero un po’ banalotta, si cambia fortunatamente registro con “Betrayer”. Old school thrash metal a manetta, impossibile stare fermi, specialmente con Mille che (dopo aver ricordato le sue origini italiane con un semplice “…mio padre di Katanzaro”) ha chiesto espressamente al pubblico di esibirsi in crowdsurfing, prontamente ascoltato dai presenti. È una intro maestosa, con luci infernali, che introduce “Satan Is Real”. Ancora ritornello cantabile e reiterato, per uno stile che in effetti fa un po’ a pugni con il thrash integralista e ortodosso proposto nel pezzo precedente.
“Mars Mantra” offre alla band la possibilità di rifiatare qualche istante prima di riattaccare con “Phantom Antichrist”. Con “Strongest Of The Strong” la dedica è per chi è davvero “forte”, ossia Testament, Anthrax e tutto il pubblico presente.
Ci si avvia in modo regolare verso la fine dello show. “Regolare” perché effettivamente tutto è perfetto, forse troppo, forse scritto su una sceneggiatura dove c’è Mille Petrozza impegnato a cantare, suonare e incitare i fan, mentre gli altri componenti della band fanno poco o nulla per aiutarlo in termini di presenza. Lo stesso Ventor (una volta vera e propria macchina da guerra e simbolo del metal estremo europeo) è diventato un’ottima mascotte, ma come drumming non regge il confronto con i mostri della batteria usciti negli ultimi anni. Questo il “problema” dal vivo dei Kreator.
Al di là di questi sofismi, fortunatamente pezzi come “Violent Revolution” e la conclusiva “Pleasure To Kill” bastano da soli a dare il colpo di grazia a un pubblico conquistato.
Kreator setlist:
Hate Über Alles
Phobia
Coma of Souls (intro)
Enemy of God
666 – World Divided
Hordes of Chaos (A Necrologue for the Elite)
Hail to the Hordes
Betrayer
Satan Is Real
Mars Mantra
Phantom Antichrist
Strongest of the Strong
Terrible Certainty
The Patriarch
Violent Revolution
Pleasure to Kill
Apocalypticon
Anthrax
Prima dell’inizio della performance degli Anthrax, lasciamo la zona stampa per provare a raggiungere bar e servizi, ma la cosa risulta praticamente impossibile. Sold-out reale, quindi, fortunatamente gestito al meglio: ancora una volta la disciplina del pubblico mantiene la situazione sempre sotto controllo in termini di sicurezza.
Si percepisce che, tra le tre band in scena questa sera, gli Anthrax siano, se non i meno amati, almeno i meno attesi. Va detto che il successo della band newyorkese in Europa è stato, in generale, meno impattante rispetto a quello in madrepatria.
Come intro, viene proiettato un video registrato che mostra una pletora di VIP (musicisti, attori, personaggi dello spettacolo e celebrità varie) intenti a commentare e salutare il gruppo. Una scelta simpatica e piuttosto originale (utilizzata anche dagli Hatebreed nell’ultimo tour) che viene apprezzata dal pubblico. Divertenti i boati di approvazione (o disprezzo) riservati ai volti che appaiono sullo schermo.
Si parte con “A.I.R.” ed è subito una bella botta in faccia. D’altronde, la triade Ian-Bello-Benante non è di certo raccattata per la strada: i tre picchiano davvero come dei pazzi (per usare un’espressione tecnica), con suoni ben calibrati (almeno dalla nostra postazione). “Got The Time” fa lo stesso effetto di oltre trent’anni fa: devastante, suonata, cantata, urlata e ballata da paura. Allo stesso modo, “Caught In A Mosh” si conferma un classico eterno nella discografia della band, arricchito per l’occasione da un notevole assolo di Jonathan Donais, ormai da più di dieci anni chitarrista solista del gruppo.
Dopo la tripletta di classici, ecco l’unico spazio riservato ai “nuovi” Anthrax con “Fight ’Em ’Til You Can’t”, proposta in una veste piuttosto pesante. Un brano al 100% Anthrax, che però manca del carisma dei pezzi più vecchi e non raggiunge il livello dei classici storici. Strepitosa, invece, la versione proposta di “Madhouse”, che sottolinea ancora una volta che razza di chitarrista ritmico sia Scott Ian, ormai vero e proprio leader del gruppo. Tant’è che, al termine del pezzo, si avvicina al microfono per salutare il pubblico, venendo acclamato coralmente. Dichiarando il suo amore per il thrash metal, lancia “Metal Thrashing Mad”, un brano che non solo ha contribuito a forgiare il suono del genere, ma anche la sua epica, in un certo senso.
È il momento di “Be All End All” da “State Of Euphoria”. Un album mai davvero esaltato dai fan, ma comunque significativo e parte integrante del periodo d’oro del gruppo. Ad introdurre “I Am The Law” è nuovamente Scott Ian, una dinamica che, da un lato, conferma gli equilibri interni al gruppo e, dall’altro, concede a Joey Belladonna un momento per riprendere fiato. In effetti, verso la fine dello show, il cantante italo-americano sembra un po’ affaticato. Dopo un inizio esplosivo in termini di energia, il concerto perde leggermente di intensità, ma è una flessione comprensibile: i Nostri non sono più ragazzini.
Il gran finale è affidato all’encore, con “Indians” e “Efilnikufesin (N.F.L.)”. Insomma, gli Anthrax scelgono di andare sul sicuro. Una band ancora in buona salute, sebbene una setlist improntata quasi esclusivamente sui classici sollevi interrogativi sul futuro e sulle direzioni che vorranno intraprendere.
Tre band che hanno vissuto alti e bassi, cambi di direzione e line-up, ma che sanno ancora il fatto loro. Rimangono e rimarranno sempre parte della Storia del Thrash Metal.
Anthrax setlist:
A.I.R.
Got the Time
Caught in a Mosh
Fight ‘Em ‘Til You Can’t
Madhouse
Metal Thrashing Mad
Be All, End All
I Am the Law
Medusa
Antisocial
Encore:
Indians
Efilnikufesin (N.F.L.)
Vittorio Cafiero