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Live Report: Black Winter Fest @ Slaughter Club (MI) – 15.04.2023

Di Jennifer Carminati - 17 Aprile 2023 - 17:33
Live Report: Black Winter Fest @ Slaughter Club (MI) – 15.04.2023

Live Report: Black Winter Fest @ Slaughter Club, Paderno Dugnano (MI) – 15.04.2023
a cura di Jennifer Carminati

Giunto alla sua XIV edizione, il Black Winter Fest, organizzato da Nihil Prod & Daemon Star sceglie lo Slaughter Club di Paderno Dugnano come location per questa annuale rassegna che riunisce in un unico evento varie sfaccettature di metal estremo aventi come trait d’union una radice black metal ben piantata nel terreno.

Il primo nome ad essere stato annunciato mesi fa è stato quello degli headliner, gli storici black metallers norvegesi CARPATHIAN FOREST che incentrerà la propria performance sul seminale ‘Black Shining Leather’ più altri loro classici ovviamente.

Vedere poi in un’unica serata nomi come KANONENFIEBER, INFERNO, HIEROPHANT, accompagnati da opener di primo livello come KURGAALL, DEATH DIES e INFERNAL ANGELS, ha rappresentato un’occasione davvero ghiotta per i blackster italiani di affollare il locale alla periferia di Milano che ancora una volta si trasforma nel rifugio preferito per gli estimatori della frangia più nera e underground della musica metal.

Data inizialmente prevista a gennaio e spostata all’ultimo minuto a causa del ricovero in ospedale di Nattefrost, a questo sabato 15 aprile, visto il mese potevano ribattezzarlo Black Spring Fest direte voi, ma dato che dopo un accenno di primavera, il meteo ci fa pentire di aver tolto i giacconi pesanti e aver portato il piumone in lavanderia, è giusto sia rimasto nominato così dico io, anche perché non credo alle coincidenze.

L’Inferno, a quanto pare, si è svuotato dei propri demoni, migrati tutti quest’oggi allo Slaughter Club che accoglie dunque una lineup che ha tutti i diritti di essere definita diabolica, e ancora una volta sono qui a raccontarvi cosa è successo e soprattutto cosa vi siete persi se non c’eravate.

Apriamo dunque le porte degli Inferi e addentriamoci nell’oscurità…

 

Infernal Angels

L’onere e onore di aprire la giornata alle 17 circa spetta agli Infernal Angels, band nata a Potenza nel 2002, che ha da poco firmato un contratto discografico per la pubblicazione del loro imminente sesto album, con Immortal Frost Productions. Con il loro quarto album ‘Ars Goetia’ del 2017, la band ha dato una decisa sferzata verso il death/black metal e l’estremizzazione sonora della compagine capitanata dal singer Xes ha continuato con il successivo ‘Devourer Of God From The Void’ del 2020, release decisamente dalle arie luciferine. Il loro black metal gelido è ben riproposto dalle chitarre di Nekroshadow e Apsychos, graffianti come gli artigli del demonio mentre il drumming asfissiante di Postmortem scandisce ritmi indiavolati e il basso di Asdraeth sostiene la sezione ritmica in tutti i loro pezzi. Va assolutamente menzionate l’opener “The Eternal Fire of Golachab”, con riffing davvero ispirati e un uso della componente violenta alternata a una più melodica davvero ben riuscito. Senza pietà alcuna gli Infernal Angels si lanciano in un’accelerazione bruciante con “Pestilentia”, dall’incipit folgorante che lascia poi spazio a ritmi meno sostenuti e dall’incedere monolitico. “The Light of Lucifer” dà un’ottima idea di cosa siano capaci i nostri, con le sue melodie diaboliche, il ritmo intelligente e la prestazione di Xes ad impreziosire il tutto. La loro efficacia emerge tanto nei blast beats quanto nei passaggi più lenti e cadenzati, la ferocia con la quale ci aggrediscono non è mai fine a sé stessa; rallentamenti e successive ripartenze sono fatte a regola d’arte nella setlist proposta, come in “Far From The Light Of God”, dove le parti cadenzate creano delle atmosfere cupe e negative ma al contempo estremamente ammalianti, con una chiara matrice swedish black melodic anni ’90. Ci salutano con “Empress of Sitra Achra”, emozionante e ricca di sfumature sia nelle melodie basse che in quelle alte. Gli Infernal Angels sono dunque riusciti in sede live, suonando in maniera impeccabile, a rendere a tutti gli effetti quello che è il loro sound, un black metal sanguigno, violento e diabolico, di evidente richiamo alla scena norvegese ma con uno stile personale, pur rimanendo entro i confini di un genere ben definito senza allontanarsene mai troppo. Peccato che il bassista Asdraeth sia rimasto sul palco solo per le prime due canzoni e poi per un problema tecnico allo stesso purtroppo non sia più riuscito a rimetterci piede, chissà che rabbia e delusione per lui non poter suonare con la sua band che ha saputo compensare comunque alla grande la sua assenza, a dimostrazione della bravura dei nostri.

A questo punto non vedo l’ora di ascoltare il loro sesto album, che son certa renderà onore al monicker che portano e ci trascinerà nuovamente fino alle profondità dei gironi danteschi come successo in questi 40 minuti appena trascorsi in atmosfere infernali.

Formazione
  • Xes – voce
  • Nekroshadow – chitarra
  • Apsychos – chitarra
  • Asdraeth – basso
  • Postmortem – batteria
Setlist
  1. Intro
  2. The Eternal Fire of Golachab
  3. Ancient Serpent of Chaos
  4. Pestilentia
  5. The Light of Lucifer
  6. Far From the Light of God
  7. Empress of Sitra Achra

 

Death Dies

Veloce cambio palco, spariscono i teschi e candelabri accesi in precedenza, e quando mancano dieci minuti alle 18 fan capolino sul palco la storica black metal band padovana Death Dies nata nel 1995 per mano di Demian De Saba e Samael Von Martin degli Evol, seminale band degli anni Novanta. Con quattro album all’attivo decidono questa sera di proporci una setlist incentrata principalmente sui brani che saranno presenti su ‘Stregoneria’, album in uscita per la Time to Kill Records il prossimo 2 giugno. Con una lunga tradizione nel circuito underground nazionale, un’intensissima attività live e a livello discografico un’ultima uscita, ‘Legione’, risalente al 2015, i Death Dies sono finalmente pronti a fare il loro ritorno sulle scene con un nuovo disco che son certa andrà ad impreziosire ulteriormente la loro carriera. Nuova line-up a cinque elementi che vede oltre ai già citati Demian De Saba alla batteria e Samael Von Martin alla chitarra, Danjal al basso, Der Todesking alla chitarra e il frontman Viktor Flamel. I padovani Death Dies ne hanno fatta di strada dai tempi del loro ‘The Sound Of Demons’, uscito nel lontano 2002. La feroce “Impero” con cui iniziano è un buon esempio di quello che sono capaci di fare attualmente, ovvero unire la blasfemia di un black tirato al thrash grezzo fatto alla primissima maniera. Bello il riff portante, bestiale e devastante di “Falce e Corona”, pezzo dove in mezzo a tanta violenza c’è spazio per un’atmosfera sempre infernale ma più evocativa. Brani corrosivi ed incalzanti proposti uno di seguito all’altro tra i quali spicca, a mio gusto ovviamente, l’inedito “Oscuri Presagi” che andrà a concludere il loro show. Pregevoli le parti di basso e i riffing di chitarre alla base delle quali c’è tutto quell’immaginario medievale e rinascimentale che va dall’arcano, al sacro, al demoniaco, che danno luogo a 25 minuti di musica di un certo spessore: bravi davvero sono i Death Dies a dare un’atmosfera eretica alla loro verve black metal a tinte thrash, caratterizzandola in tutto e per tutto. Il cordone ombelicale con gli Evol è stato completamente tagliato tempo fa e non avrebbe senso fare paragone alcuno, ma questa sera decidono di proporci “Sorrow of the Witch” a ricordarci che le origini non vanno mai dimenticate del tutto: qui i suoni sono più epici e atmosferici con l’aggiunta di una componente folk a guarnire il tutto. Nel poco tempo a loro disposizione c’è spazio anche per una gradita cover dei Celtic Frost, “Dethroned Emperor”.

Una prestazione violenta del tutto apprezzabile che riporta all’attenzione un nome di culto della nostra scena estrema e che, come detto inizialmente, è propedeutica all’imminente pubblicazione del loro nuovo disco di inediti.

Non ci resta che attendere giugno quindi, a presto guys.

Formazione
  • Viktor Flamel – voce
  • Samael Von Martin – chitarra
  • Der Todesking – chitarra
  • Danjal – basso
  • Demian De Saba – batteria
Setlist
  1. Impero
  2. Sorrow of the Witch (Evol cover)
  3. Lame
  4. Falce e Corona
  5. Dethroned Emperor (Celtic Frost cover)
  6. Argento
  7. Oscuri Presagi

 

Kurgaall

Cominciamo ora a salire piano piano i gradi che ci portano all’altare del black metal italiano con i Kurgaall, band fra i leader indiscussi della scena nostrana e non solo. In parte piemontesi e in parte friulani, nati nel 2005 dall’idea del mastermind Lord Astaroth di riversare i suoi studi occulti nei loro tre primi album collegati tra loro da un concept basato sul verbo luce e fuoco, utilizzando titoli in latino, aspetto non trascurabile in quanto ad originalità e peculiarità. I loro testi si richiamano principalmente a Satana ma dal punto di vista culturale e occulto, non è la classica musica per adorare una divinità, qualunque essa sia, ma sottintende un aspetto decisamente più esoterico e approfondito. Per loro un palco spoglio, riempito solo dalla loro presenza massiccia e compatta;  fanno capolino croci rovesciate e borchie indossate, questo sì, oltre ad un corpse paint tinto di rosso sangue per il loro corpulento e carismatico frontman Lord Astaroth, che si dimostrerà essere un vero aizzatore di folle oltre che un eccellente performer, dal punto di vista vocale davvero notevole, le sue urla agghiaccianti sembrano provenire dagli inferi più profondi, nei quali ci sembra di essere immersi grazie alle luci rosse e il fumo che riempiono il locale. In questo 2023 con l’uscita del loro nuovo album ‘Ordo Sancti Daemoni’ avranno un bel po’ da fare per promuoverlo e quale migliore occasione per iniziare con il Black Winter Fest questa sera in territorio nostrano, per poi iniziare un tour che li vedrà girare per l’Europa. Ci predisponiamo ad entrare quindi di nuovo nel mondo degli inferi con “War of Satan” dal seminale album ’Summi Verbi Lucifer’ del 2011, dove gli oltraggiosi Kurgaall ci sbattono in faccia l’esplicito satanismo caratterizzante come detto i loro primi lavori soprattutto.  Cade finalmente il sipario sull’ultimo album con “Le Secret de Satan”, un connubio di malvagità pulsante sangue nero ad alta pressione e “Iecofania Diabolica” non è certo da meno, con il suo incedere pesante ed oscuro. Nella title-track “Ordo Sancti Daemoni” vengono messe in mostra le ben note abilità del drummer AeshmaDaeva D.D., mentre la voce di Lord Astaroth risulta ricca di sfumature e timbriche profonde, viene sorretta egregiamente dalla coppia d’asce di H50 e Sargatanas Baal. “Ancient Serpent” ha un insolito ritornello che devo ammettere si imprime facilmente in mente sin dal primo ascolto. Non poteva certo mancare una chiusura ispirata e feroce con “The Grand Design of Pazuzu”.

I Kurgaall negli ultimi vent’anni si sono dimostrati essere una delle più interessanti realtà in circolazione se siete alla ricerca di onesto black metal fatto con indubbia qualità e senza fronzoli allora fanno per voi, per me sicuramente, mi sono piaciuti davvero tantissimo e son ben contenta di essere riuscita finalmente a vederli dal vivo. Quando si dice un nome, una garanzia, a ricordarci che il black metal, fatto bene, esiste anche in Italia.

Formazione
  • Lord Astaroth – voce
  • H50 – chitarra
  • Sargatanas Baal – chitarra
  • AeshmaDaeva D.D. – batteria
Setlist
  1. War of Satan
  2. Lucifer will Reign Again
  3. Le Secret De Satan
  4. Ierofania Diabolica
  5. Invocation of the Black Soul
  6. Ordo Sancti Daemoni
  7. Satanization
  8. Ancient Serpent
  9. The Grand Design of Pazuzu

 

Hierophant

Sono quasi le 20 e approfitto del line-check per fare un veloce pit stop al bar dello Slaughter a ridosso dell’entrata. Nel frattempo, noto che i presenti stanno aumentando sempre più, a dimostrazione che la lineup di questa sera è davvero succulenta. È bello vedere anche che molti affollano i banchetti del merchandise e scambiano due chiacchiere con i musicisti che hanno appena suonato o che devono ancora farlo. Dopo più di due anni di pausa, per i motivi ben noti a tutti purtroppo, gli Hierophant ritornano a calpestare i palchi con un nuovo disco, uscito, a distanza di sei anni dal precedente, lo scorso agosto per Season Of Mist, ‘Death Siege’, che ci proporranno quasi interamente nella setlist di questa sera. Croci rovesciate e teschi vengono disposti sul palco per la formazione romagnola ormai attiva da più di una decade che ha fatto tour in ogni dove, in Europa e fuori Continente, e che vede nella formazione attuale Lorenzo Gulminelli alla voce/chitarra, Fabio Carretti alla chitarra e Gianmaria Mustillo al basso, avvalendosi nei live di un turnista alla batteria. Palco illuminato da luci rosso inferno e, per scelta della band, ad ogni stacco tra una canzone e l’altra viene invece immerso nel buio più profondo, con un’intro dai suoni apocalittici il trio di Ravenna fa il suo ingresso sullo stage e inizia lo show con l’opener anche dell’album “Mortem Aeternam” seguita a ruota da “Seeds Of Vengeance”. Ci assalgono una raffica di blast beat furiosi che scatenano headbanging e pogo tra le prime file, che sarà poi costante fino al termine dei loro tiratissimi 40 minuti. Continuano poi con “Devil Incarnate” e “Crypt Of Existence” tra le urla tenebrose di Lorenzo e picking infuocato, il tutto sempre accompagnato dal giusto accostamento di fumo e gioco di luci sul palco, a creare un’atmosfera oscura che aumenta l’intensità del loro spettacolo. La loro è un’esibizione distruttiva, intensa e aggressiva, con rimandi alla vecchia scuola della musica estrema, e tutto questo convince molto il pubblico in sala che applaude soddisfatto, tra corna al cielo e blasfemie. Trascinanti i colpi sulla batteria, sorretta da un muro sonoro, saturo che scandisce una raffica di blast-beat senza fine che accompagnano tutti i loro pezzi in un’aggressione praticamente ininterrotta di death e black metal vomitatoci addosso dai nostri senza soluzione di continuità.  “Death Siege” diretta e martellante a ricordarci, qualora ce ne fosse bisogno, che gli Hierophant non vanno per il sottile, sanno picchiare veloce, pesante e duro. Abbandonano così il palco, dopo aver suonato la ben cadenzata “Nemesis Of Thy Mortals”, lasciandoci immersi in un loop di odio e violenza davvero senza criterio.

Gli Hierophant sono un gruppo compatto e solido, che suona un black metal puro e tradizionale, senza stupire con scenografie speciali, ma soltanto pura e cieca violenza, tipica di chi ha instillate sotto pelle le propaggini più estreme del Nero genere. Bravi davvero.

Formazione
  • Lorenzo Gulminelli – voce/chitarra
  • Fabio Carretti – chitarra
  • Gianmaria Mustillo – basso
  • Turnista – batteria
Setlist
  1. Mortem Aeternam (intro)
  2. Seed of Vengeance
  3. Devil Incarnate
  4. Crypt of Existence
  5. In Chaos, In Death
  6. Death Siege
  7. Nemesis of Thy Mortals

 

Inferno

Ve lo ricordate lo schema immaginario dell’inferno dantesco? una voragine suddivisa in nove cerchi di violenza ed orrore, lungo la quale rimbombano le urla e le frustate del castigo. Questa potrebbe essere a tutti gli effetti la rappresentazione metaforica dei cechi Inferno, band nata nel 1996, con un’ampia discografia all’attivo, fatta di black metal aggressivo ed opprimente, che ha assunto un aspetto sempre più oscuro ed evocativo con il passare del tempo, arrivando all’ottavo album, intitolato ‘Paradeigma (Phosphenes of Aphotic Eternity)’, uscito nel 2021. Il quartetto ceco, che negli anni ha visto diversi cambiamenti della line-up nella quale il cantante Adramelech è rimasto il solo ed unico membro della formazione originale, sale sul palco poco dopo le 21 e per i successivi 40 minuti resteremo totalmente immersi nei gironi del loro universo occulto, tra ritmi indemoniati e atmosfere cupe e ritualistiche che aprono inevitabilmente malefici portali nel nostro subcoscio di umili peccatori quali siamo. La loro è una miscela esoterica davvero ben riuscita, fatta di un black atmosferico, in gran parte strumentale, suoni cadenzati, con accelerazioni improvvise e caotiche, il tutto accompagnato dalle urla maligne e agghiaccianti di Adramelech, la cui mano tremula spunta dal mantello con cappuccio che lo ricopre interamente. “The Wailing Horizon” sembra volerci lanciare verso un’orbita che ruota attorno a ritmiche eleganti e sfarzose, davvero fascinoso come pezzo, a mio parere uno dei loro meglio riusciti questa sera. Capeggiati dal sacerdote dell’occulto alla voce, gli Inferno mostrano una buona coesione strumentale sostenuta da un growl profondo e funereo e avvolti quasi costantemente dal fumo e luci blu, i musicisti col volto incappucciato rimangono statici sul palco, con il solo Adramelech ad invocare i demoni con la sua magistrale interpretazione. La meravigliosamente inquietante e lenta “Phosphenes” funge da apripista per “Ekstasis of the Continuum”, pezzo epico che non smette mai di salire d’intensità; entrambi esempi della capacità delle band di sapere creare atmosfere dense ed avvolgenti. In pezzi come “Descent into Hell of the Future” e “Stars Within and Stars Without Projected into the Matrix of Time”, sono presenti riff appassionati su cui i nostri costruiscono sapientemente una marcia lenta che diventa sempre più cattiva di minuto in minuto. La bestia ancora una volta è stata liberata e dopo un’ultima invocazione demoniaca, i nostri silenziosamente svaniscono tra i fumi degli inferi da cui son venuti.

Corna al cielo e applausi anche per gli Inferno, senza null’altro da aggiungere.

E dopo essermi persa nell’atmosfera venutasi a creare, nella totale cecità, deve trovare ora l’uscita da questo labirinto sensoriale e dirigermi al bancone del locale, perché necessito davvero di un’altra birra dopo questa intensa performance che mi ha particolarmente colpito.

Formazione
  • Adramelech – voce
  • Morion – chitarra
  • Skagul – chitarra
  • Sheafradh – batteria
Setlist
  1. Phosphenes
  2. The Wailing Horizion
  3. Descent into Hell of the Future
  4. Ekstasis of the Continuum
  5. Stars within and Stars without Projected into the Matrix of Time
  6. Omega >1 (Oscillation in Timelessness)

 

Kanonenfieber

Ed arriviamo ora a quella che per me, e non solo credo, sarà La performance con la l maiuscola volutamente inserita, della serata, oltre che una vera e propria rivelazione. Devo ammettere che non conoscevo affatto i tedeschi Kanonenfieber e la loro immaginaria vita di trincea ambienta durante la Prima guerra mondiale. Mi sono approcciata ad un loro primo ascolto in preparazione del live di questa sera e devo dire che non mi avevano particolarmente entusiasmato su disco, ma dopo averli visti oggi mi sono totalmente ricreduta sul loro conto. Palco allestito a tema, con il finto filo spinato, i sacchi pieni di terra per trincerare le fosse e tutto l’occorrente per creare l’atmosfera giusta ed immergerci totalmente nella realtà fatta di stenti, dolore e freddo caratterizzanti un terreno di guerra. La scaletta è lunga e pesca dalla loro scarna discografia, fatta di un solo full-lenght, ‘Menschenmühle’ del 2021 e 2 EP usciti l’anno successivo; non consistente, dunque, ma basta per un’ora di esibizione e son certa col tempo verrà arricchita da altre uscite di spessore. I tedeschi mettono su uno spettacolo davvero teatrale, tra costumi di scena, recitazione vera e propria e, riff e blast beat a cannone, neanche a dirlo. Un’esibizione che strappa qualche lacrima pure nei momenti più toccanti e tiene inchiodato l’occhio sul palco, per seguire le vicende dei poveri soldati in quella infame guerra di trincea che li ha visti purtroppo protagonisti, fino ad arrivare alla resurrezione del cantante/sergente nelle vesti di un Tristo Mietitore. I loro vinili al banco del merch vanno a ruba in men che non si dica: in copertina uno scheletrico soldato in uniforme tedesca che ricarica il cannone non con la polvere da sparo, ma con i corpi dei civili, ossia le vere vittime di ogni guerra. I Kanonenfieber nei loro testi raccontano gli orrori di un conflitto, il dolore e la sofferenza che esso provoca, estremizzando questo concetto attraverso i canoni violenti tipici del black metal. Spesso, tra un brano e l’altro, come su disco, vengono riproposti degli spezzoni di audio originali dei tempi della Grande Guerra: una scelta senz’altro di incredibile impatto, che ci immerge totalmente nel tema portante la loro proposta. Si parte con “Die Feuertaufe”, canzone molto dura, e non poteva essere altrimenti. “Dicke Bertha” e “Die Schlacht bei Tannenberg” proseguono sulle orme dell’opener, perché la guerra non è forse più aspra e violenta nei suoi momenti iniziali in cui l’odio profondo tra i popoli ha il suo apice? I loro blast beat sono coinvolgenti, da headbanging e pogo sfrenato che si scatena inevitabilmente tra le mura del locale totalmente rapito da quello che sta succedendo sul palco. Da questo momento in poi, le atmosfere iniziano a diventare più cupe, rallentate a tratti: il tempo passa, i soldati pagano sempre più le ferite psicologiche degli eventi e della morte dei compagni, della distanza della famiglia, e tutto questo viene rappresentato egregiamente nel loro spettacolo. “Grabenlieder” è un brano manifesto che propone, anche sul palco, scene di vita durante la guerra dei soldati che, durante il giorno di Natale, ricevono in regalo granate insieme ad una cartolina d’auguri da parte dei propri affetti, a casa, ad aspettare, un loro improbabile ritorno. Chiude la toccante “Yankee Division”, che nichilisticamente ci ricorda come alla fine di tutto, il soldato verrà sepolto per poi essere inevitabilmente dimenticato, e la guerra serve solo a portare distruzione, dolore, tristezza e morte, nessuno esce davvero vincente da un conflitto, nessuno.

Che altro dire se non che questi Kanonenfieber ci hanno colpito come un fortissimo pugno allo stomaco e ce l’hanno fatta salire questa febbre da cannone, emozionanti al limite del commovente in alcuni tratti, con il loro micidiale e potente impatto musicale e visivo, con una presenza scenica di indubbia qualità, invidiabile da molti gruppi ben più blasonati, spesso solo sulla carta.

Ne sentiremo parlare ancora di loro, questo è poco ma sicuro.

La loro esibizione è stata davvero intensa, sotto tutti i punti di vista, e alla fine si ha la sensazione di dovere riprendere il fiato, ed è per questo che esco dal locale a prendermi una boccata d’aria e a scambiare pareri su quanto appena visto che ha riportato inevitabilmente alla mente di tutti noi tragici pensieri verso chi l’ha vissuta, o sta vivendo tutt’ora, un’infausta e sempre ingiusta guerra.

Formazione

One man band, Noise

Setlist
  1. Die Feuertaufe
  2. Dicke Bertha
  3. Die Schlacht bei Tannenberg
  4. Grabenlieder
  5. Grabenkampf
  6. Die Fastnacht der Hölle
  7. Der Füsilier I
  8. Der Füsilier II
  9. Yankee Division

 

Carpathian Forest

Dopo qualche minuto di doverosa pausa, emotiva direi, per tutti quanti, rientro nel locale per assistere allo spettacolo dei tanto attesi norvegesi Carpathian Forest, headliner della serata, anche se, ad essere sincera, io me ne andrei ampiamente soddisfatta già ora. Intro sulla base di ‘Nekromantik’, storico film di culto del genere, ed è subito il caos in sala. Un Nattefrost che parte in sordina, con una voce inizialmente piatta e strozzata, che col tempo va fortunatamente migliorando. Tanti sono gli anni trascorsi dall’uscita di ‘Black Shining Leather’ primo album in studio del gruppo, pubblicato nel 1998, capolavoro indiscusso e vera pietra miliare per gli estimatori del genere estremo, riproposto quasi interamente questa sera. Nel tempo non è cambiata la loro attitudine fatta di riff e vocalizzi sporchi, passaggi epici disegnati dalle chitarre, un basso roboante e una batteria dallo stile efficace e minimale. Quella che è cambiata spesso, invece, è la formazione della bestia scandinava, se si fa esclusione ovviamente del mastermind Nattefrost, indiscusso protagonista anche sul palco.  Si apre lo show della follia con un trittico iniziale in grado di lasciarci senza fiato: “I will Follow”, “The Beast in Man” e l’omonima “Carpathian Forest”, contornata da bestemmioni di rito urlati anche dal pubblico come in un coro blasfemo. Il resto dello show segue i medesimi schemi fatti di black metal feroce, melodie glaciali e lucida follia. Tocca ora alla titletrack dell’album omaggiato questa sera, “Black Shining Leather”, una marcia violenta, fulminea, capace di non perdere un singolo colpo a ben 25 anni di distanza dalla sua realizzazione. “The Swordsmen”, dai variegati riff, trascinanti e quasi orecchiabili, da headbanging immediato, ha anche dagli interessanti breakdown, perfettamente in grado di introdurre passaggi più lenti, che ben si inseriscono nel contesto. Seguono gli altri brani dal loro seminale album con una fluidità degna di nota: ad un distruttivo e martellante black, dai vocals tiratissimi, di “Sadomasochistic” segue uno stile cupo, funereo e misterioso dell’interludio “Lupus”, e nel mezzo si intrecciano ritmiche scatenate, aggressive sia nei vocals che nello strumentale, caratterizzato da riffing ossessivo e un gran lavoro di basso. Riuscitissima cover dei The Cure “A Forest“, in una versione notturna e suadente, con un Nattefrost che sembra sussurrare le parole di questo splendido pezzo come fosse immerso davvero in una buia foresta in cui addentrarsi con la giusta cautela. Bella parentesi in questo contesto violento e disturbante. In dirittura di arrivo ci propongono un’altra cover, tocca ai Turbonegro questa volta e alla loro “All my Friends are Dead”, riproposta con lo stile originale del pezzo ma riadattato allo screaming lacerante del buon Nattefrost, che nel contesto non stona affatto. Basterebbero poche parole per descrivere la loro essenza: black metal essenziale, duro e perverso, che ritroviamo ovviamente nell’outro “The Old House on the Hill”. I Carpathian Forest sono tornati in vita, ed era ora finalmente, aggiungo io: oggi abbiamo visto una band rinata per come ci si aspettava e soprattutto augurava, che ha dato luogo a un concerto musicalmente devastante, ben suonato, con un Nattefrost in forma e dall’ugola (quasi sempre) in grado sempre di sprigionare il suo inconfondibile screaming. Nattefrost è il black metal, e lo era stato anche quando nell’ultima sua calata italica, sempre tra queste mura, tra l’altro, ubriaco fradicio e col batacchio di fuori lanciava banane sul pubblico. Meglio la lucida prestazione di questa sera, indubbiamente.

L’importante è rinascere sempre dalle proprie ceneri, come la più tenace delle fenici.

Questa pelle splende ancora, e menomale che è così.

Formazione
  • Nattefrost – voce
  • Malphas – chitarra
  • Erik Gamle – chitarra
  • Nasreten –  basso
  • Audun Automat – batteria
Setlist
  1. _INTRO_ The Vulture Swarms_
  2. I will Follow
  3. The Beast in Man
  4. Carpathian Forest
  5. The Woods of Wallachia
  6. _CUE_ Black Shining Intro_
  7. Black Shining Leather
  8. The Swordsmen
  9. Sadomasochistic
  10. _CUE_Lupus_
  11. Lupus
  12. Pierced Genitalia
  13. A Forest (cover dei Cure)
  14. All my Friends are Dead
  15. Knokkelmann
  16. Mask of the Slave
  17. _OUTRO_The Old House on the Hill_

Quella che si è appena conclusa può essere definita a tutti gli effetti una riuscitissima XIV edizione del Black Winter Fest: un vero trionfo del metal più feroce ed estremo, celebrato col giusto tributo da tutti i metalheads, blacksters e non solo, che hanno partecipato con trasporto a questa lunga giornata. Molte sono state le soddisfazioni regalate dalle band sul palco, a dimostrazione che, anche se è vero che il nero è l’assenza di colori, può avere delle sfumature a livello musicale ed emozionale, anche nel black metal, ebbene sì. E’difficile ora trovare l’uscita da questo limbo così buio, dall’ambiente tetro ed angosciante in cui siamo stati inghiottiti nelle ultime ore come anime da torturare in cerca di una qualche espiazione.

Dopo una giornata simile, esco dallo Slaughter di Paderno Dugnano ormai incendiato definitivamente dalle gelide fiamme degli inferi con una sola consapevolezza: l’inferno è ancora di casa in Italia e la fiamma nera, ne siamo certi, non si estinguerà mai.