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Live Report: Brutal Assault 2024 @ Fortezza Josenov, Jaromer (Repubblica  Ceca) – dal 7 al 10 agosto 2024

Di Jennifer Carminati - 21 Agosto 2024 - 19:00
Live Report: Brutal Assault 2024 @ Fortezza Josenov, Jaromer (Repubblica  Ceca) – dal 7 al 10 agosto 2024

Live Report: Brutal Assault 2024 @ Fortezza Josenov, Jaromer (Repubblica  Ceca) – dal 7 al 10 agosto 2024
a cura di Jennifer Carminati

L’estate è ormai iniziata da un pezzo e con essa la stagione dei festival, sparsi per tutta Europa, con qualche episodio anche in terra nostrana. L’oggetto di questo Live Report, è il Brutal Assault, festival metal estivo che si svolge annualmente in un contesto del tutto particolare. Giunto alla sua 27ma edizione, dal 7 al 10 agosto 2024, la storica fortezza militare di Josefov, ha accolto 154 band provenienti da tutto il mondo e migliaia di visitatori. Una fortezza militare del XVIII secolo non è un luogo standard per un festival musicale. A causa del suo scopo originale ha un layout interessante grazie al quale il festival può essere visto come un piccolo comune in miniatura, con pub e bar in pietra, enoteche e un sacco di posti dove sedersi e rilassarsi nascosti tra le mura e le cantine per proteggersi dalle eventuali intemperie.

Diventato ormai un appuntamento quasi imprescindibile per il metallaro europeo, e non solo: cresciuto di anno in anno in termini di lineup ed eterogeneità della proposta, passando da un approccio principalmente estremo ad uno molto più variegato, con band medio grandi e dando molto spazio anche all’underground.

Uno dei punti di forza del Brutal Assault come detto è la location del tutto singolare: la fortezza Josefov, sita nel tranquillo paesino di Jaromer, a qualche centinaio di km a nord di Praga, offre davvero tantissimo. Cinema horror, galleria d’arte, stand gastronomici e stand di ogni tipo. Da segnalare inoltre diverse attività collaterali, quali corsi di musica per bambini, incontri con artisti e ospiti speciali, clinic con musicisti, intrattenimenti vari e continui durante la giornata, ad opera di figuranti in maschera, che aggiungono un tocco scenografico di grande impatto ad una situazione di per sé già spettacolare.

Organizzazione impeccabile, con una gestione degli spazi sempre a misura d’uomo: moltissimi servizi igienici, a pagamento e non, tenuti costantemente puliti, addirittura con servizio spurghi attivo numerose volte nell’arco della giornata. Vespasiani con vista palco. Cisterne di acqua potabile gratuita. Festival cashless, tutto si paga con il braccialetto ottenuto all’ingresso, niente giro di contanti insomma. Birre e cibo a prezzi più che popolari e la possibilità di godersi i concerti da diversi punti dell’area verde circostante: dal “natural stand”, una specie di collinetta, posto di fronte i due palchi principali, oppure comodamente spaparanzati guardandoli dagli schermi posti in varie aree relax esterne anche all’interno della fortezza, tra cunicoli e tunnel.

Tantissimi davvero gli stand: sia di abbigliamento, non solo quello ufficiale del festival e delle band, che dedicati alla mondo della musica ovviamente. E nel mio girovagare mi sono imbattuta persino in due signore dedite al “taglio&cucito” per rammendare vestiti rotti o cucire le toppe appena acquistate sul chiodo o gilet di jeans d’ordinanza.

 

Chioschi di frutta con il “metal melon”, bevande fresche preparate al momento, caffetteria, shottini e amenità alcoliche varie e una selezione sterminata di stand culinari, ce n’è davvero per tutti i gusti e le nazionalità, e non è un modo di dire. Dal vegano all’etnico, dalla pasta alla pizza, passando per gli hamburger e il cibo di strada tipico della Repubblica Ceca, senza dimenticare i dolci per i più golosi.

Campeggi custoditi e possibilità di acquistare un lockerbox, con tanto di cavo usb per ricaricare i propri cellulari e una dimensione idonea a contenere anche oggetti più ingombranti da non doversi portare appresso.

La situazione all’interno delle mura della fortezza, nonostante l’elevata densità umana, resta sempre vivibilissima e tutto sommato tranquilla, anche grazie, come detto, alle tante proposte alternative ai concerti, e alle molte aree relax allestite, sia all’aperto che tra i freschi cunicoli della fortezza, che permettono di svagarsi e riposare lontano dai palchi, qualora lo si desideri fare.

Il Brutal Assault non è solo un festival musicale, lo avrete capito: ampio spazio è dedicato all’arte, con la presenza di mostre ed esposizioni, a ricordarci che “l’arte oscura e marginale non è solo musica”. Quadri e fotografie esposti tra i cunicoli hanno reso l’atmosfera ancora più magica e per certi versi macabra, essendo il tema principale la morte, con soggetti di teschi, ossa ecc.

 

 

 

 

 

 

 

Un contorno eccezionale quindi a quello che è il piatto principale, ovvero un festival con una lineup pazzesca che nulla ha da invidiare a quelli ben più blasonati di cui si sente sempre parlare, Hellfest ad esempio, tanto per citarne uno su tutti.

 

Ben quattro palchi, più uno sperimentale, tra cui spostarsi per assistere al concerto che si è scelto di vedere tra i tre gruppi che normalmente si esibiscono in contemporanea. Anche quest’anno la proposta era molto accattivante: Behemoth, Architects, Emperor, Candlemass, Carcass, Armored Saint, Deicide, Sadus, Dark Tranquillity, Abbath (con un set dedicato agli Immortal), Cryptopsy, Testament, Triumph of Death (con un set dedicato agli Hellammer), Forbidden, passando per nomi consolidati nella scena metal attuale, quali ad esempio i 1914, Aborted, Darvaza, Akhlys, Baroness, Imperial Triumphant, Hellripper, Impaled Nazarene , Chthe’Ilist e moltissimi altri.  A portare alta la bandiera italiana del metallo ci penseranno Mortuary Drape, Bosco Sacro ed Ufomammut.

Una lineup più che appetibile, equilibrata sia in termini di genere proposto che di grandezza delle band stesse: ad ognuna è stato assegnato il giusto tempo e spazio di esibizione, con la scelta del palco che meglio si addiceva. È stato davvero complicato scegliere quali gruppi vedere, parecchie le sovrapposizione di mio gradimento che mi hanno messo non poco in difficoltà. Ma con il Running Order a portata di mano, disponibile sul sito e App ufficiale del Festival, già qualche settimana prima dell’evento, ho potuto studiare bene il programma e pianificare le mie giornate. Schedule personalizzato che avevo poi a portata di mano, come le news in tempo reale, piuttosto che l’opzione “trova un amico” o la mappa dell’area, direttamente sul mio cellulare tramite l’App, davvero ben fatta e utilissima.

Area dedicate ai Meet&Greet adiacente all’Area Press dove ho potuto sostare per ricaricare il cellulare, bere gratis e ovviamente incontrare colleghi giornalisti e fotografi di altre nazionalità, con cui scambiare quattro chiacchiere.

Al Brutal Assault le giornate iniziano in tarda mattinata e finiscono in nottata, con l’ultimo gruppo che sale sul palco alle 2 circa. Un’esibizione che si alterna su uno dei due palchi principali, Marshall & Sea Shepherd, e altre due in contemporanea sui palchi più piccoli, Obscure e Octagon. Quest’ultimo praticamente incastonato tra le mura con un pentacolo disegnato con dei fili e teschi appesi sopra le nostre teste.

 

Presente anche un piccolissimo palco, Kal Stage, dedicato esclusivamente all’elettronica e all’ambient, generi di nicchia, non certo metal, che attiravano i più curiosi. Di fronte ad esso, si trova persino un piccolo cinema, con una ricca selezione di film horror, in lingua inglese.

Mi viene difficile descrivere le emozioni che ho provato in questo mio primo, ma certamente non ultimo, Brutal Assault, ma ho provato a descrivervi quanto più nel dettaglio l’ambientazione del festival, per invogliarvi ad infoltire ancora di più il pubblico italiano presente alla prossima edizione, la #28 di cui già si sanno i primi nomi, ma arrivate a leggere questo live report fino alla fine e ne saprete di più.

Come detto quindi, sono davvero moltissime le caratteristiche e peculiarità che hanno reso nel tempo la manifestazione di Jaromer un evento popolarissimo, preso d’assalto, scusate il gioco di parole, dagli amanti del metal in generale, non solo estremo come poteva essere alle prime edizioni. Livello altissimo di organizzazione del contorno come detto, ma il piatto forte, resta la qualità della lineup, che soddisfa proprio tutti i palati. Forse non ci sono headliner che accontentano tutti, ma ci sono oltre 150 band in grado di soddisfare sia il metallaro oldschool, più intransigente e ancorato al passato, sia quello in cerca di sonorità nuove ed originali.

E questo è dimostrato dal fatto che al Brutal Assault si trovano davvero tutte le generazioni, un festival a portata anche di famiglia: tanti i bambini presenti, che oltre ad avere il merch dedicato, “Brutal Kids”, avevano anche spazi dove poter giocare e riposare, e allo stesso tempo vivere un’esperienza indimenticabili con i propri genitori.

 

 

 

 

 

 

 

 

Dopo questa doverosa introduzione al festival, addentriamoci ora nel racconto del mio personalissimo Brutal Asssault edizione #27, buona lettura.

Giorno 1 – mercoledì 7 agosto 2024

È dallo scorso autunno, quando uscirono i primi nomi, che il mio conto alla rovescia per questi giorni di ferie ad agosto è iniziato. Chiamarle ferie è un eufemismo visto che sono stati 4 giorni di zero dormire e devastazione, ma vi assicuro che ne vale assolutamente la pena per chi come me ama la dimensione live più di ogni altra cosa.

Questo appuntamento imperdibile per l’organizzazione impeccabile e anche per la varietà offerta di generi metal che accontenta davvero tutti, è stato ancora più fortunato quest’anno visto il meteo clemente di questi giorni. Un ultimo residuo di pioggia dei giorni scorsi solamente oggi, nel primissimo giorno, permettendoci quindi di godere di una temperatura più che accettabile per essere a metà agosto e non dover immergere i piedi in fango e poltiglia varia.

Anche per l’edizione di quest’anno, l’organizzazione del festival ha messo in piedi una serata di warm-up, che si è tenuta sempre all’interno della fortezza, la sera precedente all’inizio delle danze vere e proprie. Quindi si può dire che il Brutal Assault edizione #27 sia iniziato martedì 6 agosto con sette band che si sono esibite sull’Obscure Stage, ed Hellripper come protagonista principale.

Il mio di Brutal Assault invece inizia ufficialmente mercoledì 7 agosto, con il ritiro al banco accrediti del wristband, il classico braccialetto che permette l’accesso a quasi tutti i festival ormai. Include una specie di tesserina di plastica con un chip per i pagamenti cashless: in tutta l’area del festival, infatti, è stato possibile fare pagamenti solo ed esclusivamente tramite il bracciale, ricaricabile comodamente, tramite carta di credito ma anche contanti, nei vari “Top-Up Point” sparsi per il festival o direttamente dall’App ad esso collegata. Cibo, bevande, merchandise del festival e delle band, banchetti di altri venditori, tutto passa dal cashless, un sistema comodissimo che elimina la necessità di portare sempre dietro i soldi o di convertirli in corone ceche, moneta locale.

Alcune sovrapposizioni già dal primo giorno mi hanno costretto a scegliere, ma, selezione fatta e App del Festival a portata di mano, assolutamente a discrezione personale, via si parte, ecco che finalmente il conto alla rovescia è finito.

Spetta ai Skeletal Remain aprire ufficialmente la prima giornata del Brutal Assault #27 sul Marshall, uno dei due palchi principali. Dalla California ci portano il loro onesto death metal vecchia scuola, con un energico modo di suonare dal vivo e chiari riferimenti a leggende come Death, Morbid Angel e Obituary, per citarne alcuni. Aggressivi e brutali sono il giusto modo per iniziare.

Spostandoci sul Sea Shepherd troviamo gli Exumer, uno dei rappresentanti del classico thrash metal vecchia scuola. I tedeschi hanno avuto non poca influenza sulla scena in patria con i loro primi due album, “Possessed by Fire” (1986) e “Rising from the Sea” (1987) e sono rimasti fedeli alla forma originale del thrash dal 1985. Suonano estremamente orecchiabili e traggono l’essenza del genere nel modo più onesto possibile. Questi veterani del thrash tedesco, dopo essersi risvegliati dal letargo nel 2008, sono tornati tra noi, e ne siamo ben contenti.

Un primo pranzo a base di hamburger e patatine, con l’assaggio della prima di tante birre e restiamo qui per le prossime due bandi in tabellone: gli olandesi Severe Torture, ed il loro death metal assetato di sangue dal 1997, e i Terrorizer, tra le band che hanno dato origine al grindcore nell’underground estremo. Una combinazione micidiale di velocità e aggressività, una miscela musicale letale di “rumore e caos” che stavo aspettando da tempo di vedere su di un palco, e finalmente ce l’ho fatta.

Ci spostiamo sull’altro palco grande invece per assistere ai live di Grand Magus e Red Fang. I primi hanno un seguito di culto, tra cui mi annovero fiera, nella scena heavy doom. Con gli ultimi album hanno intrapreso un viaggio inarrestabile verso nuovi orizzonti musicali mantenendo ben salde le coordinate stilistiche del loro sound caratteristico e riconoscibile. I Red Fang, invece, sono una delle band più importanti della scena stoner (rock/metal) degli ultimi anni. Sono pesanti e divertenti allo stesso tempo e durante i loro classici “Wires”, “Prehistoric Dog” o “Hank is Dead”, si è scatenato uno dei tanti moshpit visti all’interno delle mura della fortezza.

Il sipario dell’Obscure, il palco forse più estremo del festival, lo inauguro con i Misery Index, e la scelta fatta è stata decisamente azzeccata. Nati come progetto in studio, quando il cantante e bassista Jason Netherton (ex-Dying Fetus) si è unito al chitarrista/cantante Mike Harrison e al batterista Kevin Talley (anch’esso ex- Dying Fetus) per registrare il loro EP di debutto. I quattro americani ci vomitano addosso un death metal/grindcore con una violenza e adrenalina senza sosta.

Ed ecco che finalmente, calato il sole, faccio la prima incursione al palco più piccolo in un angolo tra le mura, ma che, se non troppo affolllato, si vedeva anche al riparo stando all’interno della fortezza, l’Octagon. L’occasione è quella di vedere gli Hexvessel, gli sciamani della foresta oscura. Black metal, ritual folk, psichedelia e doom con sfumature gotiche, tutto questo si sente nella loro musica: un vero e proprio viaggio spirituale libero, a tratti inquietante, esplorando il misticismo della natura e la trascendenza spirituale personale.

Sempre su questo palco vedrò anche l’esibizione dei Diskord, death metal band tutt’altro che convenzionale: con un approccio piuttosto unico al genere, fondendo il death metal vecchia scuola a quello più dissonante e tecnico, mescolandoli insieme in un modo che li vede a volte avvicinarsi sia al jazz che al grind. Vanno visti dal vivo per capire quanto siano meritevoli questi norvegesi atipici.

Dopo un meritato momento di ristoro e la birretta d’ordinanza torno all’Obscure per assistere all’esibizione di Tom G. Warrior e i suoi Triumph of Death che per l’occasione faranno una setlist completamente dedicata agli Hellhammer. Tra i fondatori dell’intera scena metal estrema nei primi anni ’80, in questa prima giornata di Brutal Assault, ho avuto la fortuna di vedere riprodotte dal vivo le canzoni leggendarie di una delle band più importanti della storia del metal. Suonate nel modo più fedele possibile, i loro brani più famosi hanno preso forma con un suono nuovo ma autentico e Tom G. Warrior si è rivelato come sempre un frontman carismatico e trascinatore di folle. La stessa che si riversa ai piedi dell’Obscure per vedere questa leggenda vivente del metal mondiale.

Il primo giorno si sta avvicinando alla fine, e sarà l’adrenalina in corpo e un mix strano di emozioni ma ancora non sento la stanchezza addosso e riesco pertanto a godermi le ultime due esibizioni che avevo in programma.

Sul palco principale del Marshall, rivedo a distanza di 7 mesi esatti dalla sua ultima incursione italica, Abbath, perf.Immortal. una delle più grandi icone black metal norvegesi. Era il 7 gennaio quando lo vidi allo Slaughter Club di Paderno Dugnano, con una performance che mi lasciò non poco amaro in bocca. Situazione che non si ripete oggi invece, dove solo un acquazzone sul finale rovina un po’ l’atmosfera ma neanche troppo. Imperterrito, come giusto che sia, Abbath, nome proprio Olve Eikemo, continua la sua esibizione, con corpse paint e avanbracci di spine d’ordinanza, e uno spettacolo di fuochi come contorno. Tra scioglimenti, vicissitudini varie, progetti opinabili, l’iconico frontman dal “volto” significativo è diventato una sorta di sinonimo del black metal, norvegese e non solo.

E, poiché i vecchi tempi non hanno ancora raccolto abbastanza polvere, sebbene abbia già registrato tre album di successo sotto il suo nome, questa sera al Brutal Assault 24, farà rivivere il nome Immortal in un set davvero speciale. Manca forse un po’ di contatto col pubblico è vero, ma non ce lo aspettiamo neanche da uno come lui; ci aspettiamo invece le sue pose iconiche, bloccate indefinitamente nel tempo dai tanti scatti fotografici che lo hanno visto protagonista negli anni. Gesti, smorfie, posture al limite del grottesco, che fanno quasi sorridere, di certo non paura, ma che son parte integrante del suo personaggio, che ci offre al meglio che può il suo sound spesso definito “black n’ roll”, ovvero puro black metal con un groove originale e del tutto caratteristico che lo hanno reso tale e immortale nel tempo, concedetemi il gioco di parole.

E quale modo migliore di concludere il primo giorno di questa 27ma del Brutal Assault con una band italiana, i nostri portavoce del black metal, Mortuary Drape. Formati nel 1986 dal cantante Wildness Perversion, sono una band nota per la loro miscela unica di black occult metal. Il loro ultimo album, “Black Mirror”, esplora i temi delle nostre vite precedenti e il legame tra passato e presente. L’album offre un mix di blasfemia rituale e metal più melodico, ma allo stesso tempo impegnativo in termini di composizione e arrangiamenti. I testi approfondiscono riti magici, eventi reali e incantesimi che ci collegano alle nostre vite passate, esplorando il fenomeno del Deja Vu. Riff accelerati micidiali delle chitarre, sezione ritmica di batteria e basso dalla rara ferocia esecutiva, e uno screaming aggressivo e spesso sinistro. La band alessandrina rappresenta da oltre trent’anni uno dei nomi storici che vengono sempre citati quando si parla delle origini del black metal italiano. Un gruppo, come spesso accade purtroppo, apprezzato molto di più all’estero che da noi. E questa sera, tra le mura della fortezza di Josefov ne abbiamo avuto la riprova. Il Drappo mortuario è tornato a professare il suo verbo nero e ne ha ben donde di essere riposto nella catacomba, e noi amanti del metal più estremo ne siamo ben contenti.

Una volta arrivati in fondo a questo deja vu, non si vede l’ora di ricominciare il viaggio da capo. Ci rivediamo domani, per il secondo giorno di Brutal Assault 24, ora, e sono le 2, torno in ostello per dormire giusto 4-5 ore, ma non c’è tempo da perdere qui, di carne al fuoco ce ne è davvero tantissima.

Giorno 2 – giovedì 8 agosto 2024

Rieccomi, dopo un’abbondante colazione e litri di caffè, tornare sul terreno della fortezza e iniziare la giornata musicale con i primi cinque gruppi che si alterneranno sui due palchi principali, Marshall & Sea Shepherd. A dar fuoco alle polveri, alle 10.30 ci pensano i californiani Necrot, formati nel 2011 dai resti di altre band defunte e assolutamente lodati nell’underground per il loro death metal vecchia scuola intriso di punk grezzo. Il trio mette in mostra un suono estremamente aggressivo che ci asfalta tutti, e siamo solo al primo gruppo. Come arriverò alle 2 di notte anche oggi? Lo scoprirete.

Prima e fortunatamente unica delusione di questa 27ma edizione di Brutal Assault, l’esibizione degli Obscura. Il death metal tecnico non è musica per tutti, lo sappiamo. Ma poche band riescono ad avvicinare questo genere a persone che altrimenti rimarrebbero stordite dalla complessità. E tra queste band ci sono sicuramente i tedeschi Obscura. Nonostante il tecnicismo delle loro canzoni, mantengono comunque chiarezza e soprattutto orecchiabilità. Ma purtroppo vari problemi tecnici affliggono la loro esibizione che si riduce da 35 a 10 minuti, e non c’è bisogno di aggiungere altro. Un vero peccato, questa sarebbe stata un’ottima occasione per raggiungere una nuova fetta di pubblico, ma a parte scusarsi e promettere di tornare presto in Repubblica Ceca, i nostri non han potuto fare.

E dopo averne tanto sentito parlare decido di assistere al concerto degli Escuela Grind, ma francamente, non ne sono rimasta particolarmente entusiasta. Fanno grindcore come molti altri gruppi, inserendo parti death e noise, e un ringhio gotturale urlato della cazzutissima Katerina Economou. Ma, al di là del fatto che la voce femminile nel metal, qualunque genere sia, ormai non fa più notizia, trovo i loro brani, che difficilmente superano il minuto di durata, furiosi sì, ma caotici.

Cosa che mi succederà a breve invece con i veterani del death metal Incantation, che sin dall’uscita del loro debutto “Onward to Golgotha” (1992), sono stati un’insormontabile istituzione del death metal americano. Con la loro discografia hanno avuto un ruolo importante nel revival del death metal vecchia scuola negli ultimi anni. Quest’anno hanno festeggiato oltre 30 anni di carriera pubblicando il loro tredicesimo album, “Unholy Deification”. La line-up, guidata da John McEntee, è stata leggermente ringiovanita di ragazzi esperti, e nota di merito va al chitarrista più sorridente che io abbia mai visto su di un palco, Luke Shively, un vero piacere per gli occhi oltre che per le orecchie. Riff morbosi e incisivi e occulto sepolcrale, oltre 30 anni di pura coerenza blasfema di fronte ai quali è impossibile restare indifferenti. Banditi dalla luce dei riflettori mainstream per via dei loro elementi satanici, sono noti per i loro live dirompenti, e questa pomeriggio ce lo hanno dimostrato ampiamente.

Sapete che ci vuole ora? Un bel bicchiere di frutta fresca e un furgone di pompieri, sempre presente al festival, che arriva prontamente a dare una rinfrescata al pubblico, decisamente accaldato dopo queste ore passate sotto il sole.

Il primo spostamento all’Obscure di oggi lo faccio per i God is an Astronaut, che inspiegabilmente non ero mai riuscita a vedere in sede live, e quale migliore occasione. Per oltre 20 anni, il quartetto irlandese è stato uno dei gruppi strumentali che hanno costantemente sperimentato con il proprio suono, tra i più grandi divulgatori del post-rock. Con l’acronimo GIAA, fondato nel 2002 dai fratelli Niels e Torsten Kinsella, accompagnati dal batterista Lloyd Hanney, trascinano gli ascoltatori in mondi colorati, indefinibili nella forma, dove nessuna regola funziona se non la propria immaginazione. Anche in questa loro esibizione, con un pubblico del tutto particolare, ritroviamo gli elementi musicali ed emotivi per i quali i GIAA sono conosciuti: ampio strato di emozioni in una tavolozza di atmosfere infinite, tra cui è facile perdersi per poi ritrovarsi quando richiamati all’ordine dai nostri, perfetti esecutori di un genere di nicchia che amo particolarmente, anche in sede live.

Altra capatina veloce su uno dei due main stage per vedere parte dell’esibizione dei Forbidden, esponenti fondamentali del thrash metal della Bay Area. Nonostante i numerosi cambi di formazione e scioglimenti vari, sono riusciti a mantenere una posizione d’élite nel genere, grazie anche a Norman Skinner, noto per le sue impressionanti performance vocali, e la leggenda Chris Kontos, salito sul trono della batteria, consolidando, si spera definitivamente, il loro rinnovato ritorno sulle scene.

Giusto il tempo di mangiare qualcosa al volo e mi sposto all’Octagon, per l’ultima volta oggi, per vedere gli Yellow Eyes. Nome singolare per la band black metal newyorkese nota per le sue composizioni allucinate e narrative, che virano selvaggiamente tra canti frastagliati e striduli, e una malinconia lancinante. Proprio durante la loro esibizione vedo sopraggiungere, sulle mura alle loro spalle, degli oscuri untori ad osservare il pubblico…questi figuranti, rappresentati i medici della peste, sono un simbolo del Brutal Assault, e spesso faranno capolino ad osservarci dall’altro, con le loro fiaccole accese e quelle maschere inquietanti.

Arriviamo finalmente alla prima grande, almeno per me, rivelazione di questo Brutal. Perché il bello dei festival è anche questo, scoprire l’esistenza di band. Sto parlando dei 1914, “laddove la morte diventa assurda, qualsiasi cosa viva è un miracolo”. Dall’Ucraina, con il loro mix di blastbit e death metal vecchia scuola, conquistano letteralmente la fortezza. I “War Poets” 1914, formati nel centenario della Prima guerra mondiale, manco a dirlo, raccontano, con la loro musica intrisa di atmosfere opprimenti, gli eventi funesti dell’inizio del XX secolo. Le “loro” storie di campi di battaglia e assedi, piene di destini insoddisfatti, eventi orribili, ingiustizie, disperazione e morte, non sono così familiari come quelle della Guerra dei giorni nostri, purtroppo, ma in un certo senso sono molto più folli, poiché le vite venivano spesso combattute con mani nude. Forse il frontman si sarebbe dovuto trattenere dal fare certi discorsi e appelli sulla guerra in corso oggi nel suo paese, e limitarsi alla musica, o forse è stato giusto sfruttare il palco del Brutal Assault come cassa di risonanza del suo pensiero condiviso da molti come contraddetto da altri. Ognuno è libero di pensarla come gli pare e non è certo questa la sede per fare certi discorsi. Io mi limito a raccontarvi la mia esperienza al festival e tutto quel che concerne, compreso il fatto che, giusto per restare in tema di guerra, vado a bermi una birretta seduta su un bancale a fianco di un cannone anticarro.

Rimango poi in zona perché sempre sul palco dell’Obscure alle 22.10 si esibiranno i Baroness, o con le parole di Rolling Stones: “un’esplosione di progressive metal selvaggiamente catartico e brillantemente realizzato”. La band americana ci regala un’ora di suoni progressive e pesanti al tempo stesso. Gli americani superano le barriere di genere con elementi post-metal, divagazioni prog e jazz, vorticano le acque dello space-rock e del noise, arrivando direttamente al pubblico del Brutal che li accoglie calorosamente, nonostante siano anche loro un po’ “una voce fuori dal coro”. Ma come detto nell’introduzione, il bello di questo festival è che riesce ad abbattere le barriere settoriali di genere, offrendo una vasta gamma di scelta di gruppi da poter vedere, oppure fare altro nel mentre, e cosa si può desiderare di più?

Sono le 23 e ancora vorrei vedere due gruppi, ce la posso fare, me lo sento. Con un liquore tipico di queste parti in corpo ce la farò ancora meglio. Sfiziosi anche questi stand che offrono shot di vario tipo, anche non alcolici, perché qui al Brutal pensano proprio a tutto e tutti, astemi e vegani compresi.

Tornano ad esibirsi alla fortezza dopo 8 anni i sostenitori del black metal norvegese Satyricon. Con il loro approccio distintivo, il frontman Satyr e il suo braccio destro, il batterista Frost, hanno intrapreso un percorso di costante evoluzione e di disprezzo per i principi di base della dottrina cristiana nel loro approccio artistico, quindi, dopo aver perfezionato il black metal della seconda ondata con i primi album come “Dark Medieval Times” e “The Shadowthrone”, nel 1996 pubblicarono l’ormai iconico e acclamato “Nemesis Divina”, uno dei classici album black metal degli anni ’90 e il trampolino di lancio per tutto ciò che seguì nella loro discografia. Non legati da alcun principio, pubblicarono dischi brutali e dalle sfumature industriali, dove ridefinirono ancora una volta l’intero suono black metal, come fatto anche col nuovo album, uscito a maggio 2024, da cui ci hanno fatto ascoltare parecchi pezzi questa sera, senza tralasciare i loro grandi classici.

Finale di giornata col botto per quanto mi riguarda, con i Vomitory, una delle band più longeve nel death metal svedese. Con l’uscita nel 2023 di “All Heads Are Gonna Roll” dopo 12 anni dal precedente, il loro ritorno sui palchi europei è andato di pari passo. Ho iniziato a seguirli da “Revelation Nausea” del 2001 e album come i successivi “Blood Raptur” o “Terrorize Brutalize Sodomize”, restano tra i miei ascolti quando ho voglia di sonorità violente senza ingentilimento alcuno. Adoro la loro brutalità estrema, che anche in quest’occasione ci schiaffano addosso con perizia tecnica e cattiveria in egual dosi. Ad un loro concerto l’intransigenza del combo svedese è evidente, non c’è tregua tra un brano e l’altro, la ferocia con cui i nostri ci sbattono addosso la loro musica è senza soluzione di continuità: dalla recente “All Heads Are Gonna Roll” alla micidiale, oltre che loro pietra miliare immancabile, “Chaos Fury”, passando per “Terrorize Brutalize Sodomize” e “Raped, Strangled, Sodomized, Dead”, la brutalità è sconcertante, già i titoli bastano a rendere l’idea di quello che significa essere qui questa sera e vedere questi svedesoni testa bassa che suonano la loro musica. Un concerto dei Vomitory è un vero e proprio concentrato di cattiveria e potenza, fatto di brutalità feroce e violenza fine a sé stessa, vomitataci addosso a velocità impressionante come solo loro sanno fare, senza compromesso e soprattutto, senza voglia di piacere a tutti. Ma al pubblico del Brutal rimasto ad assistere come la sottoscritta al loro live piacciono eccome, tanto è vero che, nonostante sia tardi e la stanchezza si fa sentire per tutti, si scatenano violenti moshpit e pogo, oltre che un continuo headbanging che si andava ad unire a quello dei cappelloni biondi sul palco, che difficilmente ho visto in viso se non quando gironzolavano tra il pubblico prima e dopo la loro esibizione, e conoscendoli li ho facilmente individuati. In quest’ora nessuno tra le mura della fortezza si è risparmiato, sia chi stava sul palco sia chi stava sotto, l’impatto fisico ed emotivo è stato evidente, e tutto questo è il motivo per cui scrivo questi live report con tanta passione: perché questo è emozione pura, e c’è poco altro da aggiungere.

Insomma, oltre che essercene per tutti i gusti culinari ce ne è davvero anche per tutti i gusti musicali, ed è impossibile uscire scontenti a fine giornata dai cancelli di questo festival. Anche il secondo giorno è trascorso, con tanta stanchezza in corpo ma altrettanta soddisfazione, mi dirigo, o forse dovrei dire mi trascino, verso la navetta che mi riporta all’ostello, per il meritato riposo.

Giorno 3 – venerdì 9 agosto 2024

Il terzo giorno inizia con il brutale attacco musicale dei finlandesi Rotten Sound, una forza implacabile del metal estremo dal 1993. Il loro approccio brutalmente duro al death metal, al black metal e al grindcore, è stato messo in bella mostra in questi 35 minuti tiratissimi, lasciandoci praticamente esausti, ed è solo mezzogiorno.

La giornata è ancora lunga ma oggi ricchissima di band che mi piacciono particolarmente, per cui state pur certi che da qualche parte e in qualche modo, e ormai avete capito come, l’energia per tirare le 2 di notte la troverò anche oggi.

Si alternano sempre sui due palchi principali, le esibizioni dei Lik, death metal vecchia scuola con brani veloci e frenetici, famosi forse più per il fatto che ci sono membri di Bloodbath e Katatonia al loro interno, che per la loro proposta che nulla di particolare ha da dire a mio parere.

Seguono poi i Svalbard, l’incrollabile quartetto di Bristol capitanano dalla bella e brava cantante chitarrista Serena Cherry. In grado di passare in men che non si dica da una cantato più pulito ad un ringhio cattivo ad uno screaming da brividi, nel mentre, continuando a dispensare sorrisi al pubblico e agli membri della band, con i quali c’è una evidente sinergia molto bella da vedere. Furia hardcore mista a post-rock o post-metal che dir si voglia, hanno una formula originale che dal vivo trova la sua dimensione migliore.

Si cambia nuovamente registro, con i finlandesi Kalmah, maestri del melodic swamp metal senza compromessi. Dal suono distintivo, aggressivo, melodico e pesante allo stesso tempo, sono riusciti a farsi apprezzare anche dal pubblico presente sotto il sole delle due di pomeriggio, festeggiando alla grande il loro ritorno sulle scene.

Dopo un pranzo a base di pollo allo spiedo e patate mi sposto all’Obscure per vedere una doppietta che tanto attendevo. Nella scena stoner-doom internazionale una band italiana spicca con merito da ormai venticinque anni. Di chi sto parlando? degli Ufomammut ovviamente. Il trio piemontese che, proprio per celebrare questo invidiabile anniversario, ha da poco pubblicato il decimo lavoro in studio, “Hidden”. Personalmente amo le loro opprimenti sonorità stoner/sludge/doom che in sede live raggiungono la dimensione ideale, tra quattro mura al chiuso ancora meglio, ve lo posso garantire, ma anche in questo contesto singolare all’interno della fortezza trovano il loro perché. Chi li conosce bene come me sa benissimo cosa aspettarsi, nessuna parola e tanto spazio alla musica, con un incedere di riff mastodontici ed effetti sonori dati da basi registrate e pad sapientemente usati dai nostri. Momenti di vera trance, in cui i corpi e le teste di tutti noi presenti si muovono a ritmo come rapiti da queste atmosfere ipnotiche e psichedeliche. Quello che mi ha sempre particolarmente colpito di loro è il muro sonoro che i tre riescono a ergere sul palco, massiccio e pesante, creando vibrazioni continue provenienti dalle casse che ti risuonano dentro, con il basso monolitico di Urlo a farla da padrona: la sua voce spesso distorta, sembra provenire da un’altra dimensione, e sa destreggiarsi benissimo tra timbriche lancinanti e sofferte e più pulite, dando luogo a qualcosa di unico nel panorama nostrano sicuramente, e apprezzato anche qui. Nelle loro canzoni, psichedelia e cosmo si fondono in un tutt’uno con i pesantissimi riff ossessivamente ripetuti di Poia alla chitarra, che durante l’esibizione spesso scambia sguardi d’intesa con i due compagni, sorretti dall’incedere greve di Levre alla batteria. In questi 40 minuti con loro sembra davvero di prenderci addosso, uno dopo l’altro come i pezzi della scaletta proposta, dei macigni pesantissimi che si staccano da quel muro ad un ritmo costante, al limite dell’ossessivo, che inevitabilmente porta ad un lento headbanging spesso ad occhi chiusi, come la sottoscritta ha fatto, in un trasporto totale generato dalla loro musica che è cresciuto sempre più col passare del tempo a loro disposizione. E son ben contenta abbiamo avuto la meritata occasione di esibirsi qui oggi, e aggiudicarsi così un’altra fetta di pubblico Oltralpe.

E dopo questa immersione assoluta che ogni vero viaggio psichedelico dovrebbe avere, ci addentriamo tra le sonorità distorte e cacofoniche degli Imperial Triumphant. Una band che fa sempre parlare di sé, nel bene e nel male, con l’atmosfera stravagante che si respira ad ogni loro live. Ritmi folli, tempi furiosi, stridii, black metal alla rovescia, jazz violento.

Il death/black metal dissonante trionfa oltre i limiti della comune comprensione con loro. “Suoniamo solo i suoni di New York City così come li sentiamo” dicono loro, e il vostro avantgarde black metal mi piace un sacco dico io. Li rivedrò il 13 agosto in Italia insieme ai Behemoth, qui potete leggere il mio Live Report se vi interessa, dove ne parlo più nel dettaglio.

 

Merenda doverosa prima di assistere ad uno dei momenti topici di questa 27ma edizione del Brutal Assault. Sono da poco passate le 16 quando gli Aborted fanno il loro ingresso sul palco del Sea Shepherd. La brutalità e l’aggressività del gruppo proveniente dalle Fiandre non ha bisogno di spiegazioni.

Una carriera di oltre vent’anni fatta di ironia, orrore macabro e implacabile brutalità fatta musica. Un mix accuratamente realizzato di riff intensi, sangue e ferocia implacabile che si arresta solo per un momento di romanticismo puro. Sven invita a salire sul palco il loro produttore e perché mai direte voi. Per ringraziarlo dell’ottimo lavoro in fase di registrazione? Sia mai. Il motivo è ancora più nobile. Il suddetto ha deciso, evidentemente in accordo con il gruppo, di chiedere in sposa la sua compagna proprio oggi, sul palco del Brutal Assault. Il cuore tenero nascosto all’interno di ogni metallaro presente comincia a pulsare e tra le risate miste ad applausi generali il fatto è stato compiuto, ed è stato registrato da centinaia di telefonini e visi sconvolti. Alla faccia dei due testimoni per sposo.

Lasciandoci alle spalle questo aneddoto brutalmente romantico torniamo al cuore pulsante del festival, ovvero la musica. I Toxic Holocaust ci regaleranno la loro corsa thrash tagliente sul calare del sole. Joel Grind e soci propongono cose già trite e ritrite, è vero, ma dal vivo meritano e fanno assolutamente il loro sporco dovere, e il concerto di oggi è l’ennesima conferma. Quello che è cambiato è lui, lo ricordavo biondo e magro e lo ritrovo castano con la panza da birra, un attimo di smarrimento devo ammettere che l’ho avuto, ma il suo fare cazzone è sempre lo stesso, e ci piace per questo. Il loro è un thrash grezzo e ignorante, che scatena immediatamente un pogo e moshpit violento e forsennato tra il pubblico che non sembra mai stanco.

Sei al Brutal Assault e vuoi perderti l’esibizione dei Jinjer? Sia mai, parte 2. Ma ammetto di averne approfittato per cenare nel mentre, tanto gli schermi da dover poter seguire i live non mancano di certo qui. Grazie al loro lavoro instancabile, ai tour costanti e alle uscite acclamate dalla critica che hanno raccolto oltre 250 milioni di stream e visualizzazioni su tutte le piattaforme, i Jinjer sono senza dubbio una delle band più entusiasmanti del metal moderno degli ultimi anni. Il successo non arriva per caso, e tanto fa la presenza di Tatiana Shmayluk, il loro “angelo con il diavolo nel corpo”. Ma con lei ci sono musicisti talentuosi ai quali vanno tutti i dovuti complimenti per la performance di questa sera. Groove pesanti e accattivanti al tempo stesso che rendono la loro proposta molto interessante soprattutto per le nuove generazioni di metalheads.

È calata definitivamente la sera quando fanno il loro ingresso sul palco del Sea Shepherd i padrini dell’epic doom Candlemass. Dopo quasi quattro decenni di onorata carriera, restano una delle band più heavy viventi. Con i primi due album “Epicus Doomicus Metallicus” (1986) e “Nightfall” (1987), registrati da Messiah Marcolin, definirono l’intero epic doom con i loro densi riff dei Sabbath dall’odore di rock classico e sono spesso elencati come gli album più influenti del genere. Ma i Candlemass non sono una band che trae solo beneficio dal passato. La leggenda del doom metal con sede a Stoccolma, sono indelebilmente una delle band più importanti e influenti nella storia del metal, e con il ritorno del cantante originale Johan Langquist hanno quel qualcosa in più che rende la loro esibizione di oggi in qualche modo unica. E mentre osservo quegli oscuri individui sul lato del palco a scrutarci tutti dall’alto delle mura, rifletto su come il tempo per alcune band, almeno dal vivo, non sembri passare davvero mai.

Altro momento che passerà allo storia del festival. Quest’anno i mondi della musica classica e del black metal si incontreranno per la prima volta al Brutal Assault, con i Cult of Fire che suoneranno un set speciale a rendere omaggio a Bedrich Smetana e alle sue opere insieme alla Bohemian Symphony Orchestra di Praga, guidata da Martin Sanda.

Un’esperienza mai vista prima al Brutal Assault e vi assicuro che assistere a questo concerto in particolare, comodamente seduti sulle panche della collinetta posta di fronte ai palchi principali, avendo come sfondo un cielo stellato e come cornice le mura della fortezza di Josefov, beh, è stato indescrivibilmente magnifico. Quest’anno ricorre il 200° anniversario della nascita di uno dei più grandi compositori della storia della musica classica ceca che si guadagnò giustamente un posto speciale nel cuore dei suoi contemporanei e delle generazioni che seguirono. E la sua musica e la sua passione per la cultura ceca hanno contribuito a spianare la strada alla nazione ceca dell’era moderna. Più di un secolo e mezzo dopo, una scena metal estrema iniziò a formarsi in quella che era ancora la Cecoslovacchia. Una manciata di band piantarono i semi di quella che sarebbe poi diventata parte della cosiddetta seconda ondata di black metal. Fedeli a questa tradizione, i Cult of Fire hanno raccolto la fiaccola della fiamma nera e sono diventati una delle pochissime band metal di fama internazionale che emergono dalla patria dei Brutal Assault. Ormai hanno portato la loro musica e le loro esperienze visive nella maggior parte dei continenti del mondo e sono diventati protagonisti di molti eventi speciali. Non avevo mai visto gruppi black metal esibirsi con orchestre sinfoniche a seguito, e farlo oggi, in questo contesto del tutto caratteristico, è davvero unico. È importante notare che questo non è stato il solito concerto di una band metal che suona le proprie canzoni con arrangiamenti orchestrali ma bensì di brani commissionati da Vladimír Pavelka dei Cult of Fire e arrangiati da Martin Šanda proprio per essere suonati oggi da band e orchestra. Questo evento speciale è destinato a diventare un’altra pietra miliare nella storia di Brutal Assault ed io potrò dire orgogliosa di averne preso parte.

Dopo questa esibizione da brividi che mi porterò dietro per molto tempo ancora, mi appresto ad assistere agli ultimi tre live di questo terzo giorno di festival, e la stanchezza ora è davvero tangibile. Probabilmente se mi sedessi in qualche angolo tranquillo crollerei inesorabilmente tra le braccia di Orfeo, ma devo resistere. Il tempo di dormire lo troverò quando rientro a casa, ora devo godermi al massimo questa lineup spettacolare in questo contesto magnifico, dove si respira buon’umore e passione per la musica, di qualunque genere essa sia. Ne approfitto per dire che, tra uno spostamento e l’altro di palco, mi sono imbattuta in uno stand che ad una certa ora della sera comincia a pompare nelle casse musica techno, per i metallari esauriti e/o esausti, o semplicemente per chi apprezza anche questo tipo di proposta.

Ultimo gruppo di oggi all’Octagon sono i norvegesi Khold, con il loro suono primordiale che ricorda le prime radici del black metal e un corpse paint caratteristico.  Gard (voce/chitarra), Rinn (chitarra), Eikind (basso) e Sarke (batteria), lasciano il segno tra le mura della fortezza, con il loro impegno nel recuperare la cruda essenza del black metal più intransigente. Groove intensi, una spinta potente e riff di chitarra pesanti che trasudano qualità grezze e genuine.

Restiamo nelle terre di Odino con i Kampfar, il cui nome deriva da un antico grido di battaglia norreno, ed entriamo nei miti norreni e nelle meditazioni sui culti pagani. La band guidata da quasi 30 anni da Dolk, proprietario di una voce assassina e una presenza scenica pazzesca, è vicina agli Enslaved nell’atmosfera, ma nel suo nero culto pagano, riflette anche il folk neoclassico e vichingo. Nella parte finale dello show Dolk si toglie la maglia mettendo in mostra il suo tatuaggio sul ventre che ritrae il logo della band. Uno show potente e incisivo che ci ricorda cosa significhi fare black metal credendoci davvero.

Dalle terre nordiche non ci spostiamo ancora, e concludiamo questo terzo giorno di Brutal Assault 24 con i Ved Buens Ende. Maestri norvegesi dell’avanguardia, per i quali parla il loro nome: Ved Buens Ende significa ‘alla fine dell’arcobaleno’. Formatasi all’inizio degli anni ’90, la band ha visto il passaggio di numerosi luminari della scena black metal, quali: Vicotnik, Czral, Skoll, Sverd, Øyvind Myrvoll e ICS Vortex, ovvero attuali o ex membri dei Dødheimsgard , Emperor, Satyricon, Arcturus, Ulver, Virus, Manes, Nidingr, Aura Noir, Dimmu Borgir, Fleurety, Nattefrost e altri. Il loro debutto del 1995, “Written in Waters”, è diventato una pietra miliare nella musica estrema. La rara attività dal vivo dei Ved Buens Ende rende ancora più speciale l’esibizione di questa sera, o meglio notte, sul palco dell’Obscure. Per tutti gli amanti di sonorità non convenzionali e idiosincratiche, questo era il modo perfetto di finire questa estenuante terza giornata.

Giorno 4 – sabato 10 agosto 2024

Ebbene sì, siamo arrivati con parecchia fatica fisica ma molta soddisfazione, a questa ultima giornata del Brutal Assault 24. Oggi sarà all’insegna di tante band old school e vedremo salire sul palco delle vere e proprie leggende del metal mondiale. Mi dirigo quindi per l’ultima volta verso la location del festival, anche oggi all’insegna del bel tempo e di un caldo sopportabile, senza afa, come vorrei fosse anche al mio rientro Milano.

Sole a picco sulle nostre teste e si inizia con i Cytotoxin, e la loro esibizione incredibile, davvero micidiale. Nella notte del 26 aprile 1986 si verificò un incidente nella centrale nucleare di Chernobyl in Ucraina che cambiò il mondo. Ispirata da questa catastrofe e dalle sue conseguenze, la band tedesca ha dato vita a quattro dischi da cui estrapoleranno i pezzi della loro scaletta di oggi. Un death metal brutale con un frontman dalla presenza scenica pazzesca. Molto tecnici gli altri componenti della band. Anche i bunker più profondi presenti all’interno della fortezza non sono riusciti a proteggere il pubblico del Brutal Assault da questo assalto frontale che toglie quasi il fiato tanta è l’irruenza dei nostri.

Restando sul Marshall fanno il loro ingresso sul palco poi i Sinister, a chi piace il death vecchia scuola qui trova pane per i suoi denti. Gli olandesi hanno tanta energia e passione da scaraventarci addosso nei loro 35 minuti e il pubblico ricambia con un moshpit selvaggio che fa inorgoglire il frontman Adrie Kloosterwaard, che ringrazia gli organizzatori per essere riusciti finalmente a farne parte, dopo 35 anni di carriera della band. Anche per loro suoni pressoché perfetti e soprattutto ascoltare i loro brani terremotanti in questo contesto ti fa rendere conto della bravura dalla formazione europea, spesso sottovaluta.

Giusto il tempo di pranzare al volo con una pizza margherita davvero niente male e birretta ovvio e mi dirigo per la prima volta oggi verso l’Obscure per un’altra dose di brutal death metal, questa volta da parte dei Kronos, band di spicco dell’underground francese. Non risparmiando nessuno dalla loro pura brutalità musicale ci offrono altri 35 minuti disarmanti dopo i quali non mi resta che reidratarmi di nuovo, con una birra starete pensando voi. E invece no, un ottimo succo d’arancia misto a non so bene che altro che alla modica cifra di 2,5 euro mi ha permesso di rinfrescarmi e guadagnarmi un altro bicchiere da collezione.

Sono le 16 e dopo una “doccia” gentilmente offerta dal camion dei pompieri, mi appresto a rivedere nuovamente i Pestilence, terza volta in meno di sei mesi, non male direi. Sono una delle più importanti band death metal europee e tra le più distintive e rispettate al mondo. Tra i classici del passato e brani dell’ultimo periodo l’inossidabile Patrick Mameli, chitarra e voce che ve lo dico a fare, ormai unico membro storico ancora in formazione, si conferma quello che è sempre stato: un esecutore impeccabile di riff con un carisma del tutto particolare. Tenuta ginnica d’ordinanza, muscoli e tatuaggi in evidenza, cartone del latte e lattine di bibite energetiche a portata di mano, e via. Una prestazione di alto livello la loro, curata sotto ogni aspetto, grazie anche ai professionisti da cui il buon Mameli si fa sempre accompagnare: Michiel van der Plicht alla batteria, Rutger van Noordenburg all’altra chitarra e Roel Käller, al basso. Nota di merito a entrambi per una padronanza dello strumento e una presenza scenica non indifferenti. Pogo e moshpit si scatenano in maniera inesorabile a quasi ogni loro attacco, impossibile rimanere impassibili di fronte all’esecuzione micidiale e impeccabile di brani spesso articolati tecnicamente ma allo stesso tempo coinvolgenti e travolgenti in una maniera incredibile, e il pubblico del Brutalrisponde alla grande. Questa è passione, questa è coerenza, questa è fedeltà, questo è il metal. Fiera di far parte di questa grande famiglia, come ci ricorda a più riprese Mameli.

Tocca scegliere ora, di nuovo, e tra Impaled Nazarene e Chthe’ilist scelgo questi ultimi, ma un po’ me ne sono pentita lo ammetto. Formati nel 2010 dal cantante e chitarrista Phil Tougas e dal batterista Phil Boucher. Il loro obiettivo era portare un’atmosfera più oscura al death metal mantenendone la complessità e l’imprevedibilità. L’origine del loro nome, un’enigmatica frase non verbale, si aggiunge al loro mistero e riflette la loro estetica eterea e i temi lirici delle loro canzoni, con un approccio unico. Normalmente il brutal death metal mi piace, lo avrete capito, ma la loro proposta, e soprattutto il modo d “cantare” del frontman l’ho trovato spesso indecifrabile. Sembrava di sentire il grugnito disgustoso di un maiale e quando non ci capisco nulla mi sembra solo un caos che non riesco ad apprezzare fino in fondo.

Fortunatamente, dopo l’ultima cena tra queste mura, con uno spezzatino di carne e patate al forno davvero gustoso, mi piazzo nel natural stand per godermi appieno la perfomance degli Emperor che rivedo con molto piacere a distanza di un paio di mesi dalla loro esibizione al GMM24. La band, guidata dal visionario musicale Ihsahn, è uno dei pionieri del black metal sinfonico e una delle più grandi leggende del metal estremo, avendo contribuito allo sviluppo dell’intero movimento e dell’arte estrema in generale. I loro quattro album iconici sono gemme del genere, veri e propri capolavori andati ben oltre i confini norvegesi. La loro musica va oltre il regno noto del black metal con una velocità travolgente, un’eccezionale musicalità e tastiere onnipresenti che creano un’atmosfera sinfonica senza eguali. Gli Emperor sono definitivamente finiti, discograficamente parlando e dovremmo considerarci quindi estremamente fortunati di aver rivissuto stasera la gloria dei giorni passati che furono. Non sempre la parola fine ha un’accezione rigorosamente eterna, e noi in questo caso lo speriamo davvero. Inno a Satana, Inno a Ihsahn.

Nella mia personale programmazione mancano solo due band per considerarsi chiusa questa 27ma edizione del Brutal Assault, e la prima di esse è stata letteralmente una folgorazione. Conoscevo già su disco i Dodheimsgard ma vederli sul palco dell’Obscene è stata tutt’altra storia. I DHG sono una band estrema norvegese dalla quale non sai mai cosa aspettarti. Nel 1994, con il chitarrista/cantante Aldrahn e Fenriz (Darkthrone) al basso/voce, iniziarono come band black metal, ma due anni dopo la loro formazione, il fondatore e batterista Vicotnik (anche membro dei maestri d’avanguardia Ved Buens Ende di cui vi ho parlato ieri) ha assunto il ruolo principale e poi ha iniziato a suonare la chitarra e più o meno a cantare. Hanno guadagnato una posizione incrollabile nella scena oscura estrema con il disco cult “666 International” (1999), con quale hanno inventato uno stile industriale sperimentale d’avanguardia. I DHG possono essere considerati indubbiamente una band black metal estrema e all’avanguardia, con riff che ti tagliano sotto la pelle, ma allo stesso tempo, nei loro ultimi due monumentali dischi, giocano con atmosfere vicine ai quieti Pink Floyd e atmosfere misteriosamente astrali. Sono una band dai mezzi espressivi e dalle forme inaspettate, ben oltre l’ immaginabile. Un momento sei nel nulla, bruciato dalle fiamme dell’inferno e circondato dalla morte stessa, quello dopo sei trasportato sul dorso di un unicorno rosa. DHG è un mondo di paradossi, un virus contorto nero come la pece e magici raggi arcobaleno. Il nome Dødheimsgard è un’abbreviazione di tre parole: død – morte, heim – casa e gard – regno; quindi, una traduzione naturale sarebbe ‘regno della morte’ o ‘mondo degli spettri’, che nel loro indefinibile incrocio di confini musicali ben si adatta. Follia e genio espressivo allo stato puro.

Ci siamo, ultima band in cartellone per la sottoscritta, e che band.

Devo introdurvi i Behemoth? Non penso proprio. Da oltre tre decenni, con il loro atteggiamento di ribellione intransigente contro tutto e tutti, incrollabile, distintivo, sono diventati più di una semplice band black metal grazie alla visione unica di Nergal. L’immagine distintiva ed eretica è rimasta, lo stile oscuro e aggressivo che abbraccia black e death metal è rimasto; tuttavia, la visione artistica del trio di Danzica dal 1991 è riuscita ad avvicinarli ad un pubblico più vasto dopo ogni album, senza perdere di credibilità. A causa di alcuni problemi di salute dichiarati nelle scorse settimane, il batterista Zbigniew Promiński alias Inferno, non prende parte al tour europeo ed è stato sostituito da Jon Rice, batterista dei Uncle Acido & The Deadbeast. Un entusiasmo ed un mosh pit continuo che accompagnare la loro scaletta, che spazia in tutta la loro ampia discografia, non tralasciando nessun album.

Le due gradinate ai lati della batteria, su cui spesso i musicisti si piazzeranno, i simboli esoterici, il fumo, le luci se le fiamme, sono stati studiati fino all’ultimo dettaglio, come ci si aspetta da loro. Suoni perfetti e potentissimi, ferocia devastante, dall’iniziale “Post‐God Nirvana” e “Ora Pro Nobis Lucifer” alla recentissima “The Deathless Sun”, danno luogo ad uno show inattaccabile per l’aspetto visivo e l’accuratezza esecutiva. Un vero e proprio tuffo nel passato con “Ov Fire And The Void” e poi è susseguirsi dei loro grandi successi: da “Conquer All a Off To War!”, passando per “Daimonos” e “Bartzabel”, con Nergal in versione “Papa satanista”.Finale lasciato all’antemica e infernale “Chant For Eschaton 2000” e “O Father O Satan O Sun!”, nell’encore, seguita qualche minuto dopo il momento di saluto da parte di tutta la band al pubblico super caloroso del Brutal Assault 24, che si porta a casa anche oggi la sua buona dose di blasfemia e pensiero oltraggioso. Una delle band metal più importanti passate tra le mura della fortezza che ha proposto ancora una volta uno spettacolo ineccepibili sotto tutti i punti di vista, visivamente coinvolgente, con fuochi, fiamme e costumi di scena indossati dai nostri che attingono alla proiezione interiore delle loro personalità blasfeme e che contribuiscono a rendere un loro concerto un vero e proprio show.

La 27ma edizione del Brutal Assault termina qui, non mi resta che tirare definitivamente le somme di questa mia prima e più che soddisfacente partecipazione.

Sono le 2 passate quando, come in un’orda di zombie barcollanti per la stanchezza e/o per il troppo bere, attraverso per l’ultima volta il varco di ingresso al Brutal Assault, con un po’ di tristezza perché è finita, ma con altrettanta gioia per aver preso parte a questa eccellente edizione #27.

Dopo quattro giorni di festival torno a casa stremata ma felice: davvero impossibile vedere tutto quello che avrei voluto, ma posso ritenermi più che soddisfatta: 15 bicchieri, 2 maglie ufficiali, e soprattutto, 50 band viste, un terzo della lineup proposta me lo porto a casa con me, e ho cercato di farla entrare anche nelle vostre di case, come la migliore delle televendite.

Battute a parte, il Brutal Assault è davvero pazzesco: un festival di richiamo internazionale, in grado di attirare migliaia di persone anche da altri continenti, e quest’anno posso finalmente dire di averlo vissuto in prima persona. Un successo più che meritato, indubbiamente, sia per la sempre eccellente selezione musicale che per l’organizzazione: son mancate solo le due parole, sold-out, per mettere la ciliegina sulla torta, per restare in tema culinario.

Un festival a misura d’uomo, pensato per chi ama la musica: palcoscenico ideale per band emergenti e underground che qui trovano il giusto spazio, essendo protagonisti con il loro live tanto quando i grandi nomi. Un’esperienza fantastica, sotto tantissimi punti di vista, dal personale a quello musicale certo, che non vedo l’ora di ripetere il prossimo anno.

I primi headliner: Gojira, Dimmu Borgir e Ministry. Gli altri nomi già annunciati sono: August Burns Red, Angelmaker, Benighted, Between the Buried and Me, The Kovenant, Dope, Obituary, Pig Destroyer, Static X, Suffocation, Throwed e Unleashed.

Altre band arriveranno a Josefov per l’edizione #28, leggete le news sempre qui su TrueMetal e sarete aggiornati.

Ci si rivede nel 2025, dal 6 al 9 agosto per la 28ma edizione del Brutal Assault.

Stay Tuned & Stay Metal, see you next year, for sure.