Live Report: Dissonance Festival @ Circolo Magnolia (MI) – 03.06.2023
Live Report: Dissonance Festival @ Circolo Magnolia (MI) – 03.06.2023
a cura di Jennifer Carminati
L’estate inizia ufficialmente oggi, con la nona edizione del Dissonance Festival, appuntamento con il metal moderno italiano ed internazionale in programma quest’anno al Circolo Magnolia di Milano, sabato 3 giugno 2023.
In tutte queste edizioni il Dissonance Festival, organizzato da Versus Music Project, in collaborazione con Bagana, Trivel e Plasma Concerti, ha sempre puntato i riflettori sul metal cosiddetto moderno, portando sul palco sia nomi già ben noti e importanti della scena sia le novità più entusiasmanti provenienti da ogni dove, affiancandole sempre ad alcune delle band più valide del panorama italiano; dico alcune perché il basket da cui pescare sta diventando sempre più ampio e credo sia difficile scegliere chi pescare dal paniere e dar loro cosi un’enorme possibilità di allargare la propria fanbase.
Meshuggah, Soen, Destrage e Fulci sono i primi nomi usciti già molti mesi fa, ai quali si sono aggiunti poi, a completare il bill definitivo: i francesi Ten56, che finalmente riescono ad esibirsi visto che alla scorsa edizione un acquazzone aveva negato loro il palco, i portabandiera del djent italiano Damned Spring Fragrantia, i milanesi Benthos, i romagnoli Slug Gore, per gli amanti delle sonorità più estreme, e i primi due gruppi ad esibirsi saranno sempre gli italianissimi Prospective e Shading.
Cast di altissimo livello quindi, che spazia tra metalcore, hardcore, nu metal (ancora si può dire?!) djent e deathcore, non facendoci mancare qualcosa di più duro ancora come il grindcore.
Che dire, una proposta musicale che definirei quasi unica in Italia e che cerca al meglio di replicare nel nostro paese esperienze che è più comune vivere all’estero. Insomma, per una volta, posso finalmente dire che “non devo per forza prendere un aereo e andare oltralpe per assistere a un evento come questo”. Detto che, io comunque un paio di aerei quest’estate me li prenderò eccome per partecipare a due dei miei festival preferiti in assoluto, ma iniziamo con il raccontarvi quello di oggi.
Open air, 2 palchi, 10 band in cartellone, di cui, ribadisco, ben 7 italiane, un sabato di inizio giugno assolato, alla faccia delle previsioni meteo che promettevo temporali e maltempo tutto il giorno, banchetti di partner ed espositori, merchandising delle band (anche se in versione molto ridotta ahimè), location all’aperto immersa nel verde dell’idroscalo milanese, possibilità di sedersi su panche e sdraiette e prendersi ombra di giorno e arietta fresca la sera, cibo e bevande a prezzi e qualità ottimi senza interminabili file per pagare o dover utilizzare i tanto odiati token presenti in altri festival.
Acqua gratis, vi rendete conto, ancora è possibile questo, non è fantascienza, al Magnolia si può rifornirsi di acqua con la propria borraccia o semplicemente riempiendo i bicchieri, rigorosamente di materiale biodegradabile, messi a disposizione. Questi sono tutti i buonissimi ingredienti di questa giornata appena trascorsa che avrebbe potuto essere davvero stupenda se non ci fossero stati due punti che definirei di rottura, arrivati alla fine fortunatamente, questo ve lo anticipo, ma andiamo con ordine e ci arriveremo…
Tabellone bello fitto quindi, la giornata si prospetta lunga e in salita mi dico mentre vado al Magnolia con i mezzi, reduce da un 2 giugno passato a camminare, sempre in salita tra i boschi del mio paesello, ma con i due palchi che si alternano senza sosta praticamente e l’organizzazione perfetta, nonché il rispetto degli orari pubblicati sui social, tutto fa sì che il tempo scorrerà via davvero veloce quest’oggi.
Shading
Si parte poco dopo le 15.30 con la band veneziana Shading e il loro hardcore melodico che intrattiene e coinvolge con i suoi ritornelli orecchiabili il già pubblico presente sottopalco in maniera abbastanza cospicua vista l’ora. La setlist proposta nei loro 20 minuti comprende dei brani inediti e non ancora pubblicati con un working title non definitivo che riporto come da loro indicatomi. Acerbi, mi viene da definirli così, sanno un po’ troppo di già sentito, personalmente non mi convincono molto, ma diamogli il tempo di maturare per bene, e poi ne riparliamo.
LineUp
- Damiano Affinito – voce
- Andrea Miotto – chitarra
- Alex Aramini – chitarra
- Luca Ragazzo – basso
- Pietro “Biga Bigatello: batteria
Setlist
- Beached Things (working title)
- Brooks
- Hacking the Masses
- Body Modification
- Hive
- Reset
- Liquid (working title)
Prospective
I secondi ad arrivare sul palco, grande questa volta, perché come vi ho detto le esibizioni si alternano tra il main e il second stage, sono i bolognesi Prospective. Sono in giro dal 2015 questi ragazzi, quindi esperienza in più sulle spalle ce l’hanno e si vede oltre che si sente, ma non so, c’è qualcosa che non mi convince a mio parere sempre s’intende. Il frontman Daniele, vuoi un po’ il suo look alla “Achille Lauro del metal” cit.Karol Mazzola, vuoi il suo atteggiamento, personalmente, non mi piacciono.
Riff triti e ritriti ma proposti in una maniera che san coinvolgere il pubblico che li applaude e apprezza, per cui, va bene così. Il combo emiliano ed il loro djentcore non hanno convinto la sottoscritta ma sono certamente una realtà interessante nel panorama contemporaneo nostrano di cui vedrò di approfondire la conoscenza e magari cambierò opinione, alla prossima occasione quindi ragazzi.
LineUp
- Daniele Magnani – voce
- Luca Zini – chitarra e voce
- Giuseppe Colli – basso
- Flavio Cacciari – batteria
Setlist
- Kill Me
- Fake Routine
- Deadman
- Liar
- Against all Odds
- Still Searching (inedito)
Slug Gore
Ed eccoci al primo gruppo che inizio ad apprezzare davvero, i romagnoli Slug Gore, per gli amanti delle sonorità più estreme come me sono perfetti per sbloccare questo pomeriggio iniziato in sordina. Conosco i ragazzi e quello che fanno, se voi non siete tra questi, dopo stasera sono sicura che recuperate.
Ci presenteranno principalmente i brani del loro nuovissimo EP ‘Extraterrestrial Gastropod Mollusc’, uscito lo scorso febbraio, ispirato al mondo splatter dei b-movie anni ’80 come “Slugs” e “Tremors, sangue, gore cinematico e animali disgustosi, insetti per lo più, la fanno da padrona, insomma, in questi 20 minuti tiratissimi pure per loro. Facciamo una cosa grind, facciamo una cosa veloce dice il simpatico frontman Sbocco, con un alias così, come potrebbe essere diversamente.
Protagonista di alcune delle loro canzoni è la lumaca, come in “Salt”, in cui esprimono le sensazioni che provano queste povere creatura quando vengo colpite dal sale o in “Grounded by Slugs” dove protagonista è la regina delle lumache mutanti, vedere la copertina dell’EP per credere. In chiusura “Mucus Chainsaw”, dove il buon Sbocco imbraccia una motosega e chiede al pubblico di aprire il pit con conseguente devasto totale. Il loro death-grind ruvido e grezzo mi piace molto e sul palco spaccano davvero, bravi ragazzi continuate così, attendo con ansia di ascoltare il vostro prossimo materiale, nel frattempo consumo di ascolti quello che c’è.
LineUp
- Poldo alias Sbocco – voce
- Alessandro alias Fuoco – chitarra
- Pietro alias Amianto – basso
- Danny alias Danny – batteria
Setlist
- Infestation
- Hungry Parastic Beast
- Grounded by Slugs
- Necrophiliatitude
- Parasite Murder
- Salt
- Underground Giant Death Machines
- Demented Cricket
- Mucus Chainsaw
Benthos
E con i Benthos si cambia registro, torniamo di nuovo, questa volta meritatamente, sul main stage. Nella mezz’ora a loro disposizione ci proporranno tre brani tratti dal loro debut album ‘II’ uscito nel 2021 e colgono giustamente l’occasione per far sentire al pubblico live un paio di pezzi in anteprima. Il loro sound è contaminato da vari generi mescolati ben bene con un livello tecnico molto alto dei due chitarristi soprattutto. Son precisi e impeccabili nel proporci la setlist che scorre via davvero veloce e in maniera molto piacevole anche se come nel mio caso, ci troviamo di fronte ad un primo ascolto della band meneghina.
Sono melodici ma allo stesso tempo potenti con il growl isterico e rabbioso di Gabriele Landillo che ci va giù davvero pesante rimanendo sempre molto espressivo e alternando sapientemente una voce pulita molto emozionale. La loro schizofrenia ipnotica mi ha davvero entusiasmato e sono in assoluto la prima band rivelazione della giornata per la sottoscritta. Questi ragazzi meritano davvero attenzione e considerazione, e questo palcoscenico rappresenta sicuramente per loro un ottimo trampolino di lancio. Buon decollo ragazzi, e cercate sempre di mantenere la giusta rotta in futuro, che voglio risentirvi presto.
LineUp
- Gabriele Landillo – voce
- Gabriele Papagni – chitarra
- Enrico Tripodi – chitarra
- Alberto Fiorani – basso
- Alessandro Tagliani – batteria
Setlist
- Talk to me, Dragonfly!
- Perpetual Drone Monkeys (anteprima)
- Fossil (anteprima)
- Debris//Essence
- II
Damned Sprig Fragrantia
Giusto il tempo di prendere un’altra birra, perché si sa che l’idratazione col caldo è importante, e torniamo sul palco piccolo per i Damned Sprig Fragrantia, che festeggeranno in esclusiva al Dissonance il decennale del loro seminale album ‘Divergences’.
Definiti da molti i portabandiera del djent italiano i cinque parmigiani sono molto compatti, bravi davvero, mi piacciono da subito; tra un moshpit e l’altro del pubblico, ringraziano Mattia di Versus e ricordano con affetto la loro partecipazione alla prima edizione di questo festival. Con loro i cambi di tempo sono frequenti, i riff delle percussioni sono martellanti e l’ugola infernale di Nicolò alterna momenti più melodici a rallentare il ritmo, giusto il tempo di riprendere fiato un attimo.
Sono molto tecnici, a tratti contorti in quello che fanno e cascano quindi perfettamente nel contesto di oggi, cosa che non succederà per una band più in là nella scaletta, ma ci arrivo, abbiate pazienza ancora un pochetto e continuate a leggere (grazie). Nei loro trenta minuti a disposizione siamo trascinati all’interno di vortici tortuosi non di facilissimo ascolto ma se già li conosci sai cosa aspettarti da loro.
Sono rabbiosi e di grande impatto, sicuramente dieci anni fa tutto questo era innovazione ma ora? Saranno in grado di dare longevità e nuova vita al proprio stile, evitando di ripetersi e soprattutto di cadere nella pericolosissima trappola del già sentito? Io mi auguro proprio di sì, qualità e capacità ci sono, per cui credo proprio ce la faranno si, attendo fiduciosa, conto su di voi ragazzi, non deludete le mie aspettative, almeno voi.
LineUp
- Nicolò Carrara – voce
- Enrico Picari – chitarra
- Dario Zatti – chitarra
- Luca Marchi – basso
- Jonatan Franceschini Batista – batteria
Setlist
- Still Alive
- The Refusal Effect
- Divergences
- The Obsidian Fate
- D.M.Z.
- Blank Stares
- Perpetual
- Heritage (outro)
Fulci
Ed eccoci a quello che per me sarebbe dovuto essere il gruppo posto prima degli headliner, i casertani Fulci, che personalmente adoro e ho avuto modo di vedere varie volte dal vivo, sempre con enorme piacere. Questa sera, visto l’orario d’esibizione alle 19.05 con ancora troppa luce non ci sarà il consueto video proiettore con immagini dei film del famosissimo e compianto regista romano da cui i nostri traggono ispirazione per il loro concept, ma in compenso ci sarà una drum machine in carne ossa, il buon Edo che non avevo mai avuto occasione di vedere.
Sacrificati sul palco piccolo e troppo poco tempo a loro disposizione, ma lo sfruttano alla meglio che possono proponendoci un live da paura (e come poteva essere altrimenti), degno di band di alto livello che arrivano fuori dallo stivale; ho sentito più persone tra il pubblico parlare tra loro convinti fossero stranieri, infatti, tanto è raro vedere e sentire una proposta del genere con un livello di qualità così alto qui da noi.
Come detto inizialmente manca nella loro scenografia scarna ma davvero impattante il telo da proiettore per accompagnare anche visivamente le scene orrorifiche che fanno da sfondo ai loro brani, spero ci sia occasione di rivederli di nuovo presto in un contesto che ne permetta l’utilizzo perché fa parte della loro proposta ed è un aspetto assolutamente caratterizzante e atipico di cui si sente l’assenza, se in passato si son visti nel loro solito show. Molti tra il pubblico oggi non li conoscevano e son stata ben felice di parlare di loro a chi mi ha chiesto o chi origliavo farsi domande dubbiose su chi fossero.
I Fulci sono genuini e immediati, la loro setlist non ha praticamente punti di stallo, le due chitarre di Dome e Ando ci lanciano addosso sassate che è difficile schivare, il tutto accompagnato dal basso di Klem, e che dire della performance di Fiore? micidiale e devastante con la sua caratteristica timbrica violenta ed espressiva al tempo stesso. Headbanging, circle pit, pogo e pure qualche temerario a fare crowd surfing sono praticamente costanti durante il loro show che inizia con i sintetizzatori di “Glass” e si chiude con “Eye Full Of Maggots”. Nel mezzo passano per “Among The Walking Dead”, “Legion Of The Resurrected” e “Nightmare”, e non poteva certo mancare “Apocalypse Zombie” con il suo sound lancinante che ti strappa letteralmente la carne dalle ossa.
Scorrono troppo veloci le note di una scaletta troppo condensata, ma, nonostante ciò, eseguita in maniera impeccabile. Chiudono con la mia preferita “Eye Full Of Maggots”. Corna al cielo vengono alzate e applausi copiosi per rendere il giusto tributo al quintetto campano, che lascia il palco solo dopo aver ringraziato di cuore il pubblico accorso in maniera copiosa quest’oggi e l’organizzazione. I Fulci fanno paura in tutti i sensi, con la loro brutalità disarmante e senza mezzi termini, sono un’eccellenza del panorama underground italiano, a mio parere e non solo credo, sono IL gruppo estremo nostrano degli ultimi anni, e devono continuare a puntare sempre più in alto e ambire a palchi internazionali che già stanno meritatamente calcando sempre più grandi, come lo siete voi ragazzi.
LineUp
- Fiore – voce
- Dome – chitarra/synth
- Ando – chitarra
- Klem – basso
- Edo – batteria
Setlist
- Glass
- Tomb
- Apocalypse Zombie
- Lonely Hearts
- Matul Tribal Cult
- Voodoo Gore Ritual
- Tropical Sun
- Among the Walking Dead
- Legion of the Resurrected
- Nightmare
- Eye Full Of Maggots
Ten56
Ed eccoci alla seconda band rivelazione della serata per la sottoscritta, i francesi Ten56, che se lo sono mangiato quel main stage, con un frontman, Aaron Matts, che dietro quel visto tatuato ha dispensato sorrisi e ringraziamenti dolcissimi che non ti aspetteresti (mai fermarsi alle apparenze, ma chi sta leggendo lo sa). Ah, d’ora in poi palco principale per tutti, finita l’alternanza. Ci mette pochissimi istanti a fare suo il pubblico e dopo neanche 5 minuti dall’inizio dello show chiama un riuscitissimo wall of death. Energia e potenza da vendere per questi ragazzi, che non conoscevo ma di cui subito durante il rientro a casa, mi sono andata a scaricare i brani su Spotify.
I Ten56 ci portano in un’atmosfera unica, mescolando pesantezza e tecnicità, e son capaci di farci attraversare nei loro trenta minuti tutte le emozioni conosciute, dall’allegria alla malinconia e tristezza più profonda, con il suono stridulo dei riff di chitarra accompagnate dal duo di grancasse e la loro dirompente musica, un mix ben fatto di generi, impreziosito dalla voce pesante del buon Aaron, con il suo growl, ma anche pulita con incursioni di rap aggressivo pure. Un vero pazzo scatenato il batterista, Arnaud Verner, con la sua salopette e non voglio pensare nudo sotto, ogni tanto si alza dalla sua postazione dietro le pelli e imbraccia un altro strumento o semplicemente saltella per il palco come un forsennato.
Alla fine della loro setlist che pesca e piene mani dai loro 2 EP all’attivo possiamo ritenerci più che soddisfatti, il combo francese, death/metal core o definiteli come vi pare, danno prova di avere talento e carisma, i loro riff sono davvero coinvolgenti oltre che convincenti. Non hanno inventato nulla si intende, ma ormai credo nessuno possa vantarsi di questo: l’importante è vedere gente sul palco come loro che fa quello che gli piace fare e riesce al meglio, con passione e voglia di divertirsi e far divertire in primis, facendo vibrare le corde della curiosità e invogliandoti ad approfondire la loro conoscenza e di andare a casa a riascoltare il prima possibile. I Ten56 sono chiaramente degli esordienti nel panorama mondiale, ma hanno un altissimo potenziale, per cui son certa che ci metteranno gran poco a salire i gradini del successo.
LineUp
- Aaron Matts – voce
- Luka Rozaka – chitarra
- Quentin Godet – chitarra
- Steeves Hostin – basso
- Arnaud Verner – batteria
Setlist
- Diazepam
- Saiko
- Yenta
- Shitspitter
- Sick Dog
- Traumadoll
- RLS (shortened version)
- Ender
- Boy
- Kimo
Destrage
Finalmente il sole è ufficialmente calato anche sul cielo del Magnolia e son le 19.45 quando fanno il loro ingresso sul palco i milanesi Destrage e ci danno un assaggio della loro indubbia capacità di fondere e rendere proprio un ampio spettro di generi che va dal metalcore al progressive, passando per l’alternative e djent e chi più ne ha più ne metta, davvero con loro non ci si annoia mai. Suoni non azzeccatissimi che penalizzano la resa finale dello show, voce troppo bassa rispetto agli strumenti e una batteria davvero predominante a coprire il resto. Non è la prima volta che sono chiamati ad accompagnare i Meshuggah nelle loro date italiane, successe anche nel non troppo lontano 2018, occasione però in cui non riuscii a presenziare, ahimè.
Noto sin da subito quanto i Destrage possano vantare un pubblico di sostenitori di tutto rispetto, che li ha accolti a dovere e non ha mollato il supporto per tutta la durata della loro esibizione. La voce di Paolo Colavolpe è spesso quasi inesistente, fortunatamente ci pensa il pubblico a sopperire all’apparente mancanza cantando e urlando senza sosta, mostrando così di conoscere a menadito la discografia dei nostri, oltre che la band dimostra la competenza di un gruppo con esperienza ed estremamente professionale. Quello che noto quasi subito è l’assenza di un bassista ma il lavoro egregio dei due chitarristi Ralph Salati e Matteo Di Gioia non fa troppo rimpiangere questa mancanza.
Amici più esperti di me in questo mi fanno notare che dietro le pelli c’è Federico Paulovich, uno dei più noti e talentuosi batteristi italiani degli ultimi anni. La scaletta va a pescare da tutti i sei album dei milanesi, andando così ad accontentare sia i fan di vecchia data che i nuovi; per chi non li conoscesse, i Destrage, nel corso della loro carriera hanno cambiato molto le sonorità che propongono e sono andati sempre più ammorbidendosi, ma dal vivo posso dire che tutti i pezzi proposti risultano coerenti tra loro e non annoiano assolutamente. Il pogo è incessante e la band galvanizzata nel vedere sotto il palco tanta foga ed entusiasmo dà il meglio di sé, nonostante i problemi ai suoni come detto.
I Destrage, a mio gusto personale, non sono piaciuti, ma sono certamente un meccanismo ben oliato e capace di coinvolgere il pubblico e possiamo solo che essere orgogliosi di avere gruppo come loro nella scena nazionale. Non mi stancherò mai di continuare a dire e ribadire che i nostri gruppi vanno sostenuti e supportati, a tutti i costi, solo così possono ambire ad attraversarle queste Alpi.
LineUp
- Paolo Colavolpe – voce
- Ralph Salati – chitarra
- Matteo Di Gioia – chitarra
- Federico Paulovich – batteria
Setlist
- Double Yeah
- Don’t Stare At The Edge
- Destroy Create Transform Sublimate
- Symphony of the Ego
- The Chosen One
- Everything Sucks and I Think I’m a Big Part of It
- Italian Boi
- Purania
Soen
Ed ora, arriviamo, al primo dei due punti di rottura della giornata, della serata anzi, come anticipatovi all’inizio di questo report sarebbero arrivati ed entrambi sul finale. Se vi piacciono i Soen, fermatevi qui col leggere, perché non vorrei ricevere insulti, andate direttamente alla parte degli headliner. Se invece non vi piacciono o volete comunque sapere che ne pensa la sottoscritta continuate pure, e io vi ringrazio di tanta attenzione, vi prometto che sarò breve.
Questi 40 minuti con loro in sottofondo sono stati letteralmente agonizzanti, non mi vengono altri termini per esprimere le sensazioni che mi hanno suscitato questi svedesi. Al di là del gusto personale, che ormai avrete capito vira verso ben altre sonorità, cosa c’entra un gruppo come i Soen in questo contesto? Assolutamente nulla. Fino ad ora nella scelta dei gruppi c’era stata una sorta di coerenza di base e filo conduttore, ma con loro questo filo si è spezzato. Ho sentito termini di paragone azzardatissimi con i Tool, ma per favore, non mischiamo la merda con la cioccolata ragazzi, ok, le sonorità vagamente son quelle, ma siamo in universi paralleli.
Io non metto assolutamente in dubbio che facciano, credo abbastanza bene, il loro progressive metal (ma siamo certi?), non li conosco abbastanza per poter dire diversamente, ma qui, ora, han creato davvero uno scompenso a molti: vi assicuro che in tantissimi ci siamo ritrovati nella parte più esterna del Magnolia, sulle sdraiette o seduti sulle panche chiacchierando nella speranza si sentissero meno e nell’attesa estenuante che questi 40 minuti passassero veloci.
Chiedo scusa di nuovo agli amanti di questo gruppo, ma come detto non son proprio riuscita ad ascoltarti con attenzione per poter scrivere null’altro, e visto che non mi piace scrivere cose che non penso né tantomeno paraculate, qui mi fermo in segno di rispetto e coerenza per quello che faccio. Vi avevo anticipato che sarei stata breve, e io mantengo sempre le promesse fatte.
LineUp
- Joel Ekelöf – voce
- Cody Ford – chitarra
- Lars Enok Åhlund – tastiera, chitarra
- Oleksii “Zlatoyar” Kobel – basso
- Martin Lopez – batteria
Setlist
- Monarch
- Martyrs
- Savia
- Modesty
- Antagonist
- Lotus
Meshuggah
Finalmente ci siamo. Dopo mezz’ora di cambio palco, con un impianto luci imponente arricchito di teli/video, tutto è pronto per gli headliner tanto attesi di questa nona edizione del Dissonance Festival. Intro estenuante che dura qualche minuto, con centinaia di cellulari alzati inutilmente al cielo, spazientisce un po’ i presenti, me compresa, ma ecco, istante di buio e con il ritorno delle luci rosso fuoco si palesano sul palco i Meshuggah.
E’ con la rovente “Broken Cog” che il loro spettacolo ha inizio, mandando subito il pubblico in delirio oltre che visibilio per questi giganti del metal mondiale. Il magnetico frontman Jens Kidman riesce a tenere gli occhi puntati sul palco praticamente in maniera costante, mentre gli occhi degli altri musicisti sono sui propri strumenti, concentratissimi nel riprodurre dal vivo gli intricati ritmi che creano con la loro musica malata, disturbata e aggressiva che li caratterizza sin dagli esordi.
E’ riprodotto tutto esattamente come su disco, non saprei come descrivervi in altre parole quello che è un live di queste vere e proprie macchina da guerra, son disumani o umanoidi, o dei robot umanizzati ecco forse questo, oppure non si spiega davvero come facciano ad essere dei veri e propri metronomi in carne e ossa. La spina dorsale del loro sound è quel mostro tentacolare che sta dietro le pelli, Tomas Haake, che non perde un colpo neanche volendolo fare di proposito secondo me. Stessa cosa si può dire per le tre colonne poste ai lati di Jens Kidman, Fredrik Thordendal e Mårten Hagström alle chitarre e il buon Dick Lövgren al basso.
Ho usato appositamente il termine colonne perché i Meshuggah son noti anche per questo loro essere statici e monolitici sul palco nonché una totale freddezza nei confronti del pubblico, anche se, devo ammettere, questa sera qualche parolina in più del solito l’anno spesa, ma poca roba eh. I loro concerti sono così, vige una pesantissima atmosfera aliena con un assalto visivo oltre che sonoro, grazie alla scenografia di luci eccezionale che accompagna egregiamente le loro canzoni. Chiudono con la classica “Future Breed Machine”, unico brano eseguito dal seminale ‘Destroy Erase Improve’, quando i Meshuggah, era il 1995 per chi non lo sapesse, non erano quello che sono ora, ma forse ancor più scorticanti e violenti all’impatto.
Salutano e se ne vanno, tra gli applausi e l’ovvia certezza, divenuta poi una speranza svanita, di rivederli subito on stage per un bis. Il concerto dura poco, troppo poco, praticamente 55 minuti di orologio. La scaletta la trovate scritta in fondo, qui vi scrivo quello che non ha trovato posto nella loro troppo breve esibizione: son mancate come l’aria pietre miliari della loro discografia come “Transfixion”, “Stengah”, “Ritual” piuttosto che “Concatenation”. Vogliamo parlare dell’assenza di “Bleed”? no, meglio di no, già l’amaro in bocca è tanto.
Sicuramente la loro musica è estremamente impegnativa ed è difficile tenere questi ritmi a lungo per gente che non è proprio di primo pelo, però comunque più di qualche perplessità per la scarsa durata rimane in tutti noi, son solo le 23 quando ci allontaniamo sconsolati dal Magnolia e andiamo tutti mestamente chi verso la propria auto chi come me verso i mezzi pubblici, con un unico pensiero in testa: avremmo voluto essere colpiti dalle onde d’urto inesorabili che solo le loro atmosfere annichilenti e alienanti sanno generare ancora per un bel po’ di minuti.
Tutto passa diceva qualcuno, e col passare dei giorni passerà anche a noi presenti questo senso di insoddisfazione e delusione che ora ci pervade, e torneremo a considerare i Meshuggah per quello che sono: una garanzia di quel disturbato, disturbante e disumano muro sonoro che li ha resi una vera e propria leggenda.
LineUp
- Jens Kidman – voce
- Fredrik Thordendal – chitarra
- Mårten Hagström – chitarra
- Dick Lövgren – basso
- Tomas Haake – batteria
Setlist
- Broken Cog
- Rational Gaze
- Ligature Marks
- Born in Dissonance
- Catch Thirtythree
- The Abysmal Eye
- Demiurge
- Future Breed Machine
A parte questo scivolone finale, non certo trascurabile, per il resto promossi tutti e tutto a pieni voti, meteo in primis che ci ha permesso di passare una giornata intera senza il patema d’animo di dover correre ai ripari o ancora peggio che saltasse qualche esibizione. Volete sapere cosa mi porto a casa da questa, riuscitissima nona edizione del Dissonance Festival? Anche se la risposta è no, non ce ne frega una beata cippa, io ve lo dico lo stesso, tiè. Che ci sono promoter e Promoter con la P maiuscola, quelli che mettono prima il cuore e la passione per la musica del guadagno, e che tutto questo si vede nell’organizzazione impeccabile di una giornata come oggi e si sente e lo abbiamo respirato nell’aria per tutto il tempo trascorso qui al Circolo Magnolia senza intoppo alcuno.
Versus Music Project oggi ha davvero dimostrato dove sta la differenza, quando chi organizza concerti ama la musica per primo e pensa a tutto nell’ottica di soddisfare chi ama la musica e paga per supportare la scena, macinando chilometri, prendendo ferie dal lavoro, sudando sotto il sole nell’attesa della propria band preferita e dormendo magari poco o nulla perché il giorno dopo al lavoro ci devi andare per forza. Ma chissenefrega, tutta la fatica e la stanchezza passano in secondo piano se la giornata è come quella di oggi, ne vale sicuramente la pena, e credetemi, è una grande soddisfazione per me e son davvero contenta di poter concludere il report con queste parole. Anche qui, in Italia, si possono organizzare Concerti che creano ricordi indelebili nella memoria di ognuno di noi, non c’è bisogno di prendere nessun aereo, non per questo festival almeno.
Si chiude qui la nona edizione del Dissonance Festival, oggi, ribadisco, ne è valsa davvero la pena esserci, anzi la gioia.
Per chi c’era, una giornata che ricorderemo; per tutti gli altri, ci vedremo sicuramente alla decima.