Live Report: Gods of Black @ Slaughter Club (MI) – 28.04.2023
Live Report: Gods of Black @ Slaughter Club, Paderno Dugnano (MI) – 28.04.2023
a cura di Jennifer Carminati
Aprile 2023, mese all’insegna del metal estremo in quel dello Slaughter Club di Paderno Dugnano: iniziato a Pasquetta con i Naglfar, continuato il 15 con il Black Winter Fest e oggi, venerdì 28, termina con il Gods of Black, che vede come headliner i tedeschi Nargaroth e in apertura due gruppi italiani, entrambi milanesi per la precisione, davvero bravi, i Mechanical God Creation e gli Obsolete Theory.
Vi ho già raccontato dei primi due eventi, sempre su questa pagina potete trovare i report se avete piacere di leggerli, e oggi son qui a dirvi come è andata questa serata nel locale alla periferia milanese ancora una volta pervaso dalle cupe sonorità che solo il black metal con le sue varie sfumature a livello musicale ed emozionale sa offrirci.
Ma, questa volta c’è un ‘ma’, ebbene sì, e ve lo svelerò solo alla fine di questa lettura, altrimenti che gusto ci sarebbe? Arrivate in fondo e lo scoprirete.
Iniziamo dunque.
È venerdì sera e finalmente possiamo lasciarci la settimana lavorativa alle spalle e lunedì sarà festa per tutti (o quasi) per cui lo spirito con cui lascio l’ufficio e rientro a casa per poi prepararmi al concerto è assolutamente dei migliori. Orario di inizio previsto le 20.30 per cui per una volta almeno non devo fare le corse per raggiungere coi mezzi il locale alle porte di Milano, a volte si la vorrei pure io un’automobile per essere più comoda negli spostamenti, ma tant’è, ci si arrangia come sempre.
Obsolete Theory
Come molti di noi sanno, capita spesso purtroppo che i gruppi in apertura debbano suonare di fronte a poco più di una manciata di astanti il palco, ma non è questa sera il caso, e son molto contenta per loro. Quando iniziano gli Obsolete Theory il numero di blacksters e non solo che affollano il locale è già abbastanza cospicuo, a dimostrazione che la line up di oggi è davvero interessante.
Sul microfono fa capolino una maschera rossa da diavolo e dietro di loro verranno proiettate immagini funzionali a immergerci nell’atmosfera e renderanno ancora più esplicito il messaggio contenuto nei testi delle loro canzoni. Il loro ottimo connubio tra black metal oscuro e atmosferico, blackened death metal e quello che viene spesso definito avantgarde, con qualche incursione nel doom, mi piace assai, già ve lo dico.
Li ho ascoltati con molto piacere negli scorsi giorni a casa in attesa di vederli questa sera sul palco dello Slaughter e le mie aspettative non sono state affatto deluse, fosse sempre così ci metterei la firma. Nella breve scaletta proposta, i primi quattro pezzi arrivano direttamente da ‘Dawnfall’, secondo e ad oggi ultimo loro album del 2021: l’opener oltre che su disco anche della setlist è la maestosa ed epica “Night of Omen”, in cui il gelido e cavernoso growl di Daevil è accompagnato perfettamente dalle sinistre chitarre di Raygon e Mordaul e dai feroci blast-beat alla batteria di Savanth, con il basso di Bolthron sempre presente e preciso, cosa che succederà praticamente sempre nei loro 45 minuti.
Riffing disturbante e quasi ipnotico nei cori ripetuti ossessivamente nella successiva “The Vanished”, death/doom metal che sfocia nella furia tipica del black con un growl spaventoso di Daevil a chiudere il pezzo, seguito da meritatissimi applausi e corna alzate in cielo come giusto tributo all’eccellente prestazione dei nostri.
Brano che ho particolarmente apprezzato è stato “Atë”, in cui si fondono in maniera impeccabile e mai caotica death metal con incursioni sludge/doom, il tutto pervaso da un incidere massiccio che è un crescendo dall’inizio alla fine. Non so se rendo bene l’idea con questa descrizione, a volte è davvero difficile farlo credetemi, andate ad ascoltarli se non lo avete ancora fatto, e vi farete sicuramente una vostra opinione a riguardo, positiva senz’altro, e poi mi fate sapere se concordate con me o meno ok? Ci conto.
Sul palco il combo milanese dà davvero il meglio di sè, sarò ripetitiva ma vi assicuro che è stata magistrale l’interpretazione di Daevil, che passa dal growling truce violento e profondo, a uno screaming graffiante e aggressivo, sempre con la giusta dose di cupa potenza mista a furia cieca, e non sono certo da meno le prestazioni di tutti gli altri componenti della band che risultano uniti e compatti. Si congedano troppo presto da noi con “Dawn Chant” dal loro primo lavoro ‘Mudness’ del 2018, altro pezzo dalle atmosfere surreali al limite dello straziante che ti contorcono l’anima da dentro ad un ascolto davvero attendo e non superficiale.
In questi 35 minuti con gli Obsolete Theory le mie orecchie sono state in un ambiente assai confortevole, che ben conoscono e in cui sanno come districarsi, distinguendo il già sentito dallo sperimentare cose nuove rendendole proprie, fondendo il vecchio al nuovo corso di questo genere che tanto mi piace.
Mi avete assolutamente convinto e siete piaciuti molto, vi tengo d’occhio ragazzi, non deludetemi, alla prossima.
Line-up:
- Daevil: vocals
- Ow Raygon: guitar
- Mordaul: guitar
- Bolthorn: bass
- Savanth: drums
Setlist:
- Night of Omen
- The Vanished
- Acherontia Atropos
- Atë
- Dawn Chant
Mechanical God Creation
E dopo un veloce cambio palco, tocca ai Mechanical God Creation, altra band meneghina nata nel 2006 con all’attivo un demo e tre full-length dai quali pescheranno a piene mani per la setlist propostaci questa sera, privilegiando l’ultima uscita ‘The New Chapter’ del 2019, in cui troviamo diverse varianti di death e black metal, dal classico fino a raggiungere picchi vicini al brutal.
Mi piace sin da subito la voce della frontwoman Lucy, unica rimasta della formazione originale, che nulla ha da invidiare ai nomi femminili più blasonati della scena internazionale, aggressiva e violenta, interpreta magistralmente il suo growling bestiale e possente, spesso anche comprensibile in ciò che pronuncia, aspetto non trascurabile in questo genere di cantato estremo, dove spesso sappiamo bene sembra un rutto continuo e perpetuo (non trovavo un sinonimo migliore scusatemi).
I nostri sanno tenere il palco, davvero convincenti e coinvolgenti, e il pubblico risponde nella giusta maniera ad indicare che gli piace quello che sta ascoltando e vedendo, e io non posso che trovarmi d’accordo, questi ragazzi hanno ingranato una marcia in più nel panorama del metal italiano e ce lo dimostreranno ampiamente in questi 40 min a loro disposizione. Con la terremotante “Walking Dead” non ci sono zombie che ci assalgono fortunatamente ma tra queste quattro mura regna lo sfacelo più assoluto, tra pogo e headbanging delle prime file.
Siamo immersi in atmosfere tetre e tenebrose invece con la bellissima ambient song “Till the Sun is not longer black” che devo ammettere è una delle mie preferite su disco. Veniamo assaliti da una vera e propria tempesta di blast-beats di Carlo alla batteria in “I Am the Godless Man”, dal loro ultimo lavoro in studio, il tutto governato sempre e comunque, dall’impeccabile growling di Lucy: corna al cielo e applausi speciali per lei, davvero bravissima.
Cala un po’ il ritmo e la tensione viene lasciata andare solo con la conclusiva “Overlord”, dove incombono le atmosfere più cupe e raggelanti tipiche del sound del combo meneghino. Mi auguro davvero che proseguano senza sosta a produrre il loro death metal senza compromessi e che possano essere sempre portavoci della bandiera nostrana, a dimostrazione che anche qui si sa fare del buon metal (senza ulteriori etichette) e che non bisogna per forza spostarsi oltralpe per ascoltare un’eccellente voce femminile nella variante più estrema.
Continuate a distribuire legnate sui denti ragazzi, vi prego, ne abbiamo e avremo sempre più bisogno.
Line-up:
- Lucy: vocals
- Francesco: guitar
- Cesare: guitar
- Fabrizio: bass
- Carlo: drums
Setlist:
- Illusions
- Walking Dead
- Bow to Death
- Till the Sun is not longer black
- Black Faith
- I am the Godless Man
- Overlord
Nargaroth
Son da poco passate le 22.30 quando, per la prima volta sale sul palco dello Slaughter, la band tedesca Nargaroth, con ben 13 album all’attivo in questi 60 minuti a loro disposizione ripercorreranno un po’ le note dei loro 25 anni di carriera.
Nel venire qui questa sera, ho il mio bel bagaglio di dubbi riguardo questa entità da sempre controversa all’interno della scena black, ma quello che sapevo di certo è che la prima cosa che avrei fatto una volta varcata la soglia è andare a prendermi una birra al bancone e scambiare due chiacchiere con i simpatici e gentili ragazzi del locale. Cosa che ho già fatto prima delle due band opener e che ripeto ora, perché si sa, non c’è due senza tre, e il quattro vien da sé giusto?
Il palco è allestito con un telo nero alle loro spalle a ricordarci il nome, qualora ce ne fosse bisogno, due totem con candele annesse e poco più; senza bassista salgono sul palco nell’ordine il batterista, i due chitarristi e poi lui.
Unico responsabile del progetto, inizialmente si faceva chiamare Kanwulf ora il suo nome d’arte è Ash, alle origini René Wagner, classe 1974, ha indubbiamente un’attitudine black con la divisa d’ordinanza blackster indosso: chiodo, borchie, cinture con proiettili, face paint classico entra in scena senza guardare il pubblico, impugna il microfono con altrettanto algido distacco e inizia a spararci addosso una dopo l’altra le sue cartucce.
Premessa doverosa. Il personaggio in questione si è reso negli anni spesso ridicolo, come quando chiedeva di superare un test riguardo il black metal a chi volesse comprare un suo disco online piuttosto che scegliendo per i propri brani titoli alquanto idioti, ad esempio “Love is Always over with Ejaculation” o “Possessed by Black Fucking Metal” propostaci anche questa sera, rendendo a volte la sua proposta ridicola, rovinandola già sul nascere. Ma perché mi dico io fare queste scelte azzardate e controproducenti?! Nel tempo Ash ha perso di credibilità agli occhi dei più intransigenti ascoltatori di questo genere estremo, creando spesso polemiche inutili con scelte davvero fuori luogo, e non potevo non dirlo anche in questo mio report, perché non sono aspetti trascurabili, a mio parere, anche nel decidere di andare a vedere un suo concerto o meno.
Scelta questa sera che non hanno preso in moltissimi, infatti, e ci sarà un motivo.
Detto questo, nulla da dire sulla setlist proposta, azzeccatissima.
Dal loro settimo e, ad oggi, ultimo album ‘Era of Threnody’ risale al 2017, ci proporranno solo “Conjuction Underneath the Alpha Wheel”, ben fatto black metal dai tratti epici mischiato a molta melodia sinfonica.
Fortunatamente direi nessun brano dal super discusso e ancor più criticato concept album ‘Jahreszeit’ del 2009, a privilegiare su tutti il loro seminale ‘Black Metal ist Krieg (A Dedication Monument)’ del 2001 dal quale ci lanceranno addosso proiettili blasfemi e violentissimi come: “The Day Burzum Killed Mayhem”, in cui Ash con un grido di dolore lancinante racconta l’evento che quel terribile giorno del 1993 cambiò per sempre la storia del black metal, ovvero l’uccisione di Euronymous per mano di Varg Vikernes. L’opener “Erik, May You Rape the Angels”, dedicata a Erik Brødreskift, conosciuto come Grim, batterista di Immortal e Gorgoroth, e morto suicida nel 1999. La ferale “Black Metal ist Krieg” insieme alla già citata “Possessed by Black Fucking Metal“, diventate, nonostante tutto, vere e proprie loro pietre miliari, vengono anch’esse proposte questa sera a dimostrazione che Ash lo sa fare questo genere, o almeno, sapeva fare, prima di prendere deviazioni strane lungo la via della sperimentazione.
Arriviamo dunque alla conclusiva “Seven Tears Are Flowing to the River”, chiusura dai toni rallentati e depressivi alternati a momenti molto più aggressivi e tirati, a dimostrazione, di nuovo, che Ash, quando non è impegnato a far parlare di sé, sa scrivere e suonare dell’eccellente black metal.
Inchino di ringraziamento da parte di Ash verso il pubblico e scendono tutti dal palco, stop, fine, nessuna parola ulteriore, nessun ritorno.
La loro è stata una prova dal sicuro impatto nei momenti alla Burzum, lasciatemi dire così, in cui il pubblico risponde anche se in maniera sempre abbastanza tiepida, ma resta un po’ di amaro in bocca, non so, qualche pezzo in più avrebbero anche potuto farlo visto che le loro incursioni italiche son davvero sporadiche, ma questo è se vi pare, e anche se non ci pare direi.
Quello che mi ha piacevolmente stupito è stata la prestazione degli altri componenti della band, di cui non sono riuscita a recuperare i nomi essendo turnisti, che mi sarei aspettata fossero equiparabili alla tappezzeria del locale di Paderno, invece no, molto bravi, ottima tenuta del palco e sembravano davvero un gruppo che suona insieme da anni, massicci e compatti, mi son piaciuti.
Riguardo la one-man band tedesca e la loro discografia negli anni è stato detto tutto e il contrario di tutto, ho letto di ogni a loro riguardo, ha diviso da sempre i seguaci del metal estremo tra: i detrattori che li hanno accusati di voler spingersi troppo oltre con scelte azzardate che viravano addirittura verso il folk e le sonorità tipiche dell’America Latina in un loro album in particolare, e quindi che cazzo centrano con il black metal si son detti, e me lo son chiesta anche io ascoltando alcuni loro lavori che me ne son ben guardata dal riascoltare, e i sostenitori che ne esaltano le capacità di evolversi e cambiare nel tempo, il non volersi fossilizzare in uno schema preciso, senza troppo giudicare le scelte fatte dai nostri, dal nostro anzi.
Se avete letto attentamente il mio report, è palese da che parte sta la sottoscritta, i Nargaroth non fanno parte dei miei ascolti, ma volevo vederli dal vivo questa sera e vi posso assicurare che non mi hanno deluso, anche grazie alla scelta intelligente della setlist che ha proposto solo grandi loro classici e successi.
Che altro dire se non che ne sentiremo parlare ancora dei Nargaroth, volenti o nolenti.
Line-up:
- one man band – Ash
Setlist:
- Erik, May You Rape the Angels
- Conjuction Underneath the Alpha Wheel
- Abschiedsbrief Des Prometheus
- The Day Burzum Killed Mayhem
- Black and Blasphemic Death Metal
- Black Metal ist Krieg
- Karmageddon
- Hunting Season
- Possessed by Black Fucking Metal
- Seven Tears Are Flowing to the River
Giunta alla fine di questo venerdì sera posso uscire ancora una volta soddisfatta dal locale nella periferia milanese perché comunque sia ho assistito a tre ore di buona musica più o meno estrema, più o meno black metal, suonata con tutti i crismi e con il giusto spirito di devozione al sacro verbo del metallo.
Ricordate però che all’inizio vi ho anticipato ci sarebbe stato un ‘ma’ alla fine di questo report? Ecco, ora che lo avete letto, forse lo avete anche intuito.
Il nome dato all’evento, Gods of Black, a mio parere, ci tengo a precisare, risulta davvero pretenzioso oltre che sbagliato. Non dirò i nomi che a mio gusto e preferenza avrei inserito nella line-up della serata, ma di certo non avrei messo i Nargaroth come principali protagonisti, non essendo, mia personale opinione ripeto, degni di essere definiti Gods di questo regno magnifico rappresentato dal black metal.
Discreti rappresentanti si, se ci fermiamo a qualche album fa, Gods proprio no, non mi trovo d’accordo, mancano dell’essenza vera e propria che rende il black metal tale, e soprattutto, le sfumature di questo loro nero virano troppo verso i colori più chiari della tonalità. Anche i due gruppi in apertura sicuramente non si può dire facciano black metal nella maniera più fedele e intransigente alla definizione dello stesso, per cui mi chiedo nuovamente il perché di questo nome dato all’evento.
Ma come sempre, de gustibus non est disputandum, e vi saluto con la speranza di un prossimo Gods of Black degno di tale nome.