Live Report: Hellfest 2023 – Giorno 3
Guarda le foto della terza giornata di festival.
Bloodywood
L’astro nascente del panorama metal orientale, i Bloodywood sono da alcuni anni spesso in tournée in America ed Europa e, nonostante gli anni di covid che hanno rallentato la loro ascesa, la risposta dei fan è fortissima ai loro concerti.
Unendo suoni folkloristici indiani, come il dhol, tipica percussione a doppia faccia suonata con bacchette sottili a ritmi molto veloci, al nu metal di stampo più americano, creano un’atmosfera carica di energia e di forza, spingendo i fan quasi al delirio fin da subito.
Il set è breve, 30 minuti per soli 5 pezzi ma di successo incredibile: la folla aumenta a dismisura in breve tempo nonostante sia presto, si scatena senza sosta per tutto il concerto tranne quando il frontman parla tra un pezzo e l’altro.
I discorsi di intermezzo sono parte integrante dello show: il gruppo vuole mandare un messaggio, forte e chiaro, di non arrendersi mai alle sventure e di sostenersi a vicenda, perché la nostra comunità (metal nda) è forte per il sostegno che ci si dà l’un l’altro “e nessuno lo fa meglio di noi” (cit. Jayant Bhadula).
Alla fine il pensiero che avevamo all’inizio dello show rimane: i Bloodywood sono destinati ad un futuro radioso ed ogni loro show è un’occasione imperdibile.
Puscifer
Nel 2018 l’abbiamo visto con gli A Perfect Circle, nel 2019 con i Tool, è quindi l’ora di rivedere il geniale James Maynard Keenan con i suoi Puscifer sul palco dell’Hellfest.
La prima grande novità che salta all’occhio in questo concerto è quasi sconvolgente, per chi conosce le band di Keenan: lo possiamo vedere in faccia! Il cantante, infatti, in tutte le sue band si tiene lontano dai riflettori (letteralmente) e solitamente rimane relegato in fondo al palco senza farsi illuminare. Con un concerto pomeridiano è però inevitabile essere colpito dalla luce del sole, ma il cantante non si nasconde neanche e rimane nella parte frontale del palco. Lasciando da parte le considerazioni estetiche, la band dedica molta attenzione all’ultimo album, “Existential Reckoning”, uscito nel 2020 da cui suona ben cinque canzoni, metà della scaletta. Le canzoni ci avevano convinto in studio, e dal vivo guadagnano ulteriormente grazie alla coinvolgente esibizione di tutti i musicisti. La cantante, e occasionalmente chitarrista, Carina Round tiene testa a Keenan sia dietro al microfono che nel modo “buffo” in cui si muove sul palco. Dato che l’ultimo album parla di rapimenti da parte di alieni non possono mancare proprio gli alieni che compaiono sul palco a inseguire i cantanti che li “combattono” durante l’esibizione. Dopo cinquanta minuti di show siamo rimasti delusi solo dalla durata, infatti un’esibizione così avrebbe meritato di durare ben di più.
Porcupine Tree
Primo concerto dell’anno per i Porcupine Tree, nonché unica comparsa ad un festival estivo dell’anno, come ricordato sul palco da Steven Wilson stesso, quello degli inglesi è uno show particolare da diversi punti di vista. Innanzitutto perché la band, dopo essersi riunita dopo anni di preghiere dei fan, ha collezionato sold out in tanti concerti da headliner (compresa l’unica data italiana a Milano l’anno scorso). Fa quindi strano trovarli inseriti in mezzo ad un festival, ancora illuminati dalla luce del sole, con un pubblico tanto grande e variegato. Inoltre, i limiti di un contesto come quello di un festival costringono la band a suonare circa la metà rispetto ai loro concerti da headliner: i Porcupine decidono quindi di suonare ben quattro brani, quasi metà della scaletta, dal loro ultimo lavoro, “Closure/Continuation”, nel pieno stile di un gruppo che non si è mai abbandonato alla nostalgia, con buona pace dei fan che avrebbero voluto sentire qualche classico in più. Il disco ci aveva convinto e quindi fa piacere sentire canzoni come “Harridan” e “Of the New Day” affiancare vecchie conoscenze come la meravigliosa “The Sound of Muzak” e “Anesthetize”. Nonostante il tempo limitato costringa a dei tagli rispetto agli show da headliner, i Porcupine Tree ci regalano anche una sorpresa con “Open Car”, canzone che non era stata inclusa nella setlist dello scorso anno, e quindi di fatto con la prima esecuzione dal 2010. Come in altri casi durante il festival ci spiace solo che la performance non sia durata di più, per il resto i Porcupine Tree convincono appieno tutte le migliaia di spettatori accorsi sotto al palco.
Finntroll
La storia del folk e del black metal della penisola scandinava è costellata da grandissimi nomi, alcuni non più presenti sulle scene ed alcuni ancora in circolazione ed i Finntroll sono uno di questi. Famosi per i testi in svedese, nonostante siano di origine Finlandese, e per le lunghe orecchie che indossano per ricordare i troll del folklore finnico, i 7 calcano il palco del Temple stage, nel buio del tendone.
Il ritmo marciante carica subito i fan e la setlist, che mixa perfettamente i migliori pezzi da ogni album, aiuta a mantenere un livello alto di attenzione, nonostante un problema fondamentale piaghi tutto lo show: le chitarre sembrano inesistenti quando suonano gli altri strumenti.
Il problema si fa sentire fin da subito: nonostante la maggior parte del pubblico intoni e canti (o almeno ci provi) quasi ogni pezzo, e molti fremono dalla voglia di scatenarsi, prima che un mosh pit o un leggero crowdsurfing comincino devono passare 5 pezzi.
A lungo andare comunque il carisma del frontman Mathias Lillman e i ritmi serrati, oltre all’amore dei fan per i pezzi migliori, riescono a risollevare l’atmosfera e a scaldare la folla abbastanza.
I grandi pezzi come Solsagan, Trollhammeren e Under bergets rot, difatti, non possono lasciare indifferenti e alla fine la mancanza delle sei corde viene dimenticata (o quasi) e la folla si scatena.
In generale, un gran concerto, se non fosse stato per i problemi tecnici mai risolti.
Carpenter Brut
La terza giornata di Hellfest si chiude con uno show spettacolare a dir poco, quello del francese Carpenter Brut. Uno dei massimi esponenti della Synthwave, genere che proprio in Francia ha subito una gran spinta da artisti come Perturbator e Carpenter Brut stesso, Franck Hueso (questo il vero nome dell’artista nascosto dietro a occhiali da sole e sintetizzatore) potrebbe adagiarsi sugli allori di una musica di grande qualità già molto amata nel suo Paese. Invece a mezzanotte e mezza il Main stage del festival diventa una grandiosa festa che unisce alla musica uno spettacolo di luci assolutamente memorabile. Come se non bastasse, Carpenter porta sul palco tutti i cantanti originali che hanno registrato le canzoni suonate, e vediamo quindi la comparsa di Alex Westaway dei Gunship, Greg Puciato dei Dillinger Escape Plan, Mat McNerney degli Hexvessel e altri ancora che rendono decisamente unica il concerto. Nonostante giunti al termine del terzo giorno la stanchezza cominci a farsi sentire, la musica adrenalinica e la scenografia esaltante risvegliano anche i più esausti e per un’ora e mezza l’area principale del festival diventa un’eccitante festa all’insegna di quei suoni che tanto rimandano agli anni ‘80. Immancabile la cover di “Maniac”, celebre canzone della colonna sonora di Flashdance, che chiude in bellezza un concerto eccellente. Per tutto lo show la maggior parte del pubblico balla entusiasta e solo alla fine ci si accorge di aver finito già da tempo le energie. Chi si trascina a fatica verso l’area campeggio lo fa con un sorrisone stampato in faccia dopo aver assistito a quello che, per noi, è stato uno dei concerti migliori di questa edizione di Hellfest.