Live Report: Kamelot+Blackbriar+Ad Infinitum+Frozen Crown, Trezzo sull’Adda (MI) – 20/10/2024
Le immagini della serata nel photoreport a cura di Mauro Parozzi
Package interessante questa sera in quel di Trezzo Sull’Adda: tre gruppi giovani, attivi e intraprendenti, ancora in fase di crescita nonostante i già numerosi album alle spalle, più una realtà affermata come i Kamelot. Una platea ben nutrita di power metallers (e qualche gothic girl) si è raccolta in una serata tiepida d’ottobre che, ne siamo certi, diventerà ancora più calda con il passare delle ore e delle esibizioni.
Frozen Crown
Puntualissimi, i Frozen Crown salgono sul palco grintosi e sorridenti, nonostante i suoni iniziali non siano ancora al meglio. Immediato l’impatto della grande novità: sul palco c’è ora la terza chitarra di Alessia Lanzone, entrata nella band da pochi mesi per rafforzare il muro di suono e ridurre l’uso di basi registrate. La nuova formazione a sei elementi consente infatti ai Frozen Crown di offrire un impatto rinnovato, aumentando la potenza sonora e ampliando le possibilità negli arrangiamenti.
Oltre ad Alessia – incredibile pensare che abbia appena compiuto 18 anni, data la sua naturale fusione con il resto della band – alla chitarra c’è anche Fabiola Bellomo, ormai una veterana. Superate le difficoltà iniziali, la band sfrutta il poco tempo a disposizione per lanciarsi in una setlist intensa e infuocata, sostenuta da una base ritmica inarrestabile: il batterista Niso Tommasini, neodiplomato al Conservatorio, è un carro armato di tecnica e velocità, mentre il bassista Francesco Zof si muove con fare guascone avanti e indietro per il palco.
Federico Mondelli appare più rilassato rispetto al passato, forse per la minore responsabilità alla chitarra nella formazione a sei. Giada Etro alla voce, sebbene inizialmente penalizzata dai suoni, sembra aver guadagnato potenza rispetto alle esibizioni precedenti.
Oltre ai brani classici come “Neverending” e “Kings”, i Frozen Crown colgono l’occasione dell’uscita del nuovo album “War Hearts” per presentare il primo singolo arrembante, “Steel And Gold,” di fronte a un pubblico già abbastanza numeroso nonostante l’orario tardo-pomeridiano. Una buona affluenza, che conferma la curiosità e il seguito che la band continua a generare.
Lanciati dalla recente firma del contratto con Napalm Records, i Frozen Crown usano queste date come riscaldamento per far conoscere il nuovo disco, e sembrano davvero pronti a spiccare il volo internazionale verso palcoscenici sempre più importanti.
C’è una cosa che va riconosciuta loro: entusiasmo e la convinzione sembrano innati. Dalle espressioni dei loro volti, è chiaro che non vorrebbero essere altrove. I sorrisi delle ragazze, il dinamismo del bassista, l’esuberanza di Niso e la concentrazione di Federico fanno dei Frozen Crown una macchina da guerra perfetta, pronta per le prossime sfide.
Frozen Crown setlist:
Neverending
Call of the North
Kings
Steel and Gold
Far Beyond
I Am the Tyrant
Ad Infinitum
Dal power metal tutto sommato classico dei Frozen Crown, con gli Ad Infinitum si cambia decisamente registro e si passa ad una sorta di ultra modern metal quadrato ma melodico. Contestualmente, da una formazione a sei elementi che punta alla sublimazione dell’impatto strumentale, si scende a 4 elementi con l’obiettivo di impattare con la compattezza di suoni più compressi.
La band mitteleuropea ha sicuramente nella frontwoman Melissa Bonny il suo fulcro, grazie alla sua voce pulita caratterizzata da venature soul, ad un range che le permette di trovarsi bene anche sulle note più basse e anche alle sue harsh vocals di tutto rispetto.
Da cornice alla performance vocale, c’è una band assolutamente preparata che si adopera in un trionfo di ritmiche sincopate, breakdown e soluzioni che fanno da ponte alla creazione di refrain di assoluto impatto. Tanti suoni moderni, quindi, ma una volta tanto accanto a “rallentoni” e a chitarre a 8 corde c’è anche spazio per scorribande solistiche a cura del bravo chitarrista Adrian Thessenvitz, affiancato dal potente basso di Korbinian Benedict che non fa rimpiangere la mancanza di una chitarra ritmica.
Chiaramente tutto ruota attorno a soluzioni estremamente “contemporanee” e ad una più elaborata “Outer Space” segue “Surrender” con il suo incipit 100% da disco club anni ’90 (!!!). Si astengano quindi i puristi, questo sono gli Ad Infinitum, parti pulite sostanzialmente pop con break in growl e ritmiche pesanti portate al parossismo. “My Halo” è un esempio calzante in questo senso. Questo è il tipo di gruppi che – piaccia o non piaccia – trasportano il metal nel futuro e visto l’apprezzamento della Generazione Z, c’è poco da fare, specialmente osservando l’esaltazione del pubblico agli inviti di Melissa Bonny a saltare al ritmo della musica.
La chiusura della performance viene affidata ad “Unstoppable” con le sue velleità da inno, ma forse ci vuole qualcosa in più per diventare tale. A proposito di inno, a testimoniare l’ottima accolgienza ricevuta, la giovane cantante svizzera mostra fiera al pubblico una bandiera tricolore personalizzata appena ricevuta da un fan.
Con già cinque album in soli quattro anni alle spalle, gli Ad Infinitum hanno fatto un’ottima impressione tutto sommato, rimane solo da capire quale potrà essere ancora la loro curva di crescita, in termini di evoluzione musicale e popolarità.
Ad Infinitum setilist:
Follow Me Down
Aftermath
Upside Down
Anthem for the Broken
Outer Space
Surrender
Animals
The One You’ll Hold On To
My Halo
Unstoppable
Blackbriar
In giro già da 10 anni, solo due album alle spalle (ma tanti tra singoli ed Ep), un’evoluzione da alternative rock a sonorità più oscure, gli olandesi Blackbriar sono ancora poco conosciuti dalle nostre parti. Veli e pizzo neri, l’attitudine è quella tipica di un certo gothic metal d’antan, quello dove la voce femminile è pulita e abbastanza eterea, con dietro alle spalle un folto numero di musicisti. Nella fattispecie, abbiamo due chitarre (anche se gli assoli non sono tantissimi, anzi!), tastiere oltre a basso e batteria. Quando attaccano la loro setlist con “Mortal Remains”, il primo pensiero va immediatamente ai Within Temptation della maturità (ossia quello fino a “The Heart Of Everything”), con tutti i crismi del genere: mai troppo pesanti, mai troppo eccessivi, melodici ma con un buon “nerbo”, tali da farsi apprezzare dalle gothic girls così come dagli appassionati di sonorità più classiche. In effetti, sembra di essere tornati indietro di quei 25-30 anni quando gruppi nordici quali Tristania, Theatre Of Tragedy et similia andavano per la maggiore.
Nonostante i loro inizi alternative, appunto, questa sera la performance è al 100% orientata a suoni più “conservatori”. I pezzi non sono affatto male (ottimi in alcuni casi, come con “I’d Rather Burn” e “Arms Of The Ocean” in particolare) e il pubblico, benché non ferratissimo, ma rapito dal talento della rossocrinita cantante Zora Cock, sembra gradire il giusto e anche qualcosa di più. E’ di buon impatto la pesante e più cadenzata “Deadly Diminuendo”, mentre durante “Far Distant Land” l’invito rivolto al pubblico e quello di muovere le mani a tempo di musica, proprio come, ancora una volta, facevano ai tempi i loro conterranei Within Temptation.
Decisamente di genere, ma apprezzabili se nelle proprie corde, i Blackbriar hanno portato a termine egregiamente la loro performance, che davvero ha incarnato al 100% gli stilemi di uno stile di intendere il metal ormai un po’ di nicchia, ma sempre rispettabilissimo.
Blackbriar setlist:
Mortal Remains
Crimson Faces
Spirit of Forgetfulness
I’d Rather Burn
Arms of the Ocean
Selkie
Deadly Diminuendo
Far Distant Land
Cicada
Until Eternity
Kamelot
Assenti dalle nostre parti dal 2019, i Kamelot colgono l’occasione di questo tour per presentare al pubblico italiano il loro ultimo album “The Awakening”, uscito oramai un anno e mezzo fa. Gruppo forse ultimamente un po’ meno alla moda rispetto agli anni d’oro del genere e soprattutto rispetto a quando alla voce c’era Roy Khan, ma che conserva comunque un’ottima fanbase accorsa in massa (o quasi) in quest’occasione. L’affluenza al Live di Trezzo nel momento in cui la band prende la scena è più che buona, sebbene il sold out sia abbastanza lontano. Subito si percepisce l’ottima scenografia e, già dalla opener “Veil of Elysium”, la presenza come ospite speciale di Melissa Bonny (in questo tour dunque a doppio servizio), che non si limita soltanto a qualche sporadica backing vocals, ma presenzierà in scena attivamente per ben sei pezzi. Ovviamente duetta il più delle volte con Tommy Karevik e il feeling con il cantante è più che buono. Lo Svedese, oramai ex-Seventh Wonder, indubbiamente ricorda il suo precessore, ma è talentuoso, si muove molto bene sul palco e sembra essere particolarmente a suo agio nelle interazioni con il pubblico, cosa che lo rende particolarmente simpatico (e anche qualcosa di più, a sentire gli apprezzamenti del pubblico femminile!). Opportuno menzionare anche il grintoso e attivo Sean Tibbets al basso, nonché il leader e fondatore Thomas Youngblood, sul palco come un fiero condottiero, che da più di 35 è il mastermind della band.
Su “Opus Of The Mind” Melissa è nuovamente in scena in background, ma è su pezzi come “Insomnia” e “When The Lights Are Down” che viene fuori la classe cristallina dei Nostri. “New Babylon” é molto “Sabaton” nella parte corale e nel suo incedere e in questo caso Melissa si occupa di cori e scream…veramente una cantante versatile! Pezzo di impatto, anche a livello coreografico, con due figuranti incappucciate che prendono posto sul palco e l’utilizzo di piattaforma idraulica a fare da piedistallo a Tommy Karevik. Di fatto, è “tutto molto bello” (cit.): la scena, gli effetti pirotecnici, il drumkit, la gestione del palco. Tanta professionalità per una band e dei musicisti che danno l’impressione di essere veri fuoriclasse. A volte si ha l’impressione di assistere ad uno spettacolo di Broadway.
A metà show c’è spazio per la storica “Karma” e le sue sonorità novantiane, mentre in “Sacrimony (Angel Of Afterlife)” per Melissa c’è da fare lo straordinario, dovendo coprire le parti che su disco sono a carico di Elize Ryd e di Alyssa White-Gluz (e si può dire che il growl della Svizzera convince anche di più?).
C’è anche spazio per gli assoli di Oliver Palotai alle tastiere e di Alex Landenburg alla batteria, nonché per il vero momento soft, con “Willow” (e sono splendidi i giochi di luce).
Ci si avvicina alla conclusione e in “March Of Mephisto” Melissa questa volta fa la parte di Shagrath dei Dimmu Borgir. Da ammettere a questo punto che la vocalist è stata veramente uno dei punti di forza di tutto il concerto: una grande professionista. Su “Forever” si cerca l’interazione con il pubblico e vengono presentati tutti i musicisti: in effetti si perde il tempo sufficiente ad eseguire un pezzo in più. Poco male, per il consueto bis si chiude alla grande: in “One More Flag In The Ground” Tommy è il grande protagonista (con tanto di intro al pianoforte) e si chiude definitivamente ancora con la presenza di Melissa Bonny su “Liar Liar (Wasteland Monarchy)”.
Serata decisamente intensa in quel di Trezzo. Benché diverse tra loro, tutte e quattro le band hanno convinto, con prestazioni tutto sommato impeccabili e tanto entusiasmo, dimostrando, tra le altre cose, come nel Metal il gender gap stia velocemente andando a risolversi sempre di più.
Kamelot setlist:
Veil of Elysium (con Melissa Bonny)
Rule the World
Opus of the Night (Ghost Requiem) (con Melissa Bonny)
Insomnia
When the Lights Are Down
Vespertine (My Crimson Bride)
New Babylon (con Melissa Bonny)
Karma
Sacrimony (Angel of Afterlife) (con Melissa Bonny)
Willow
The Human Stain
Drum Solo
March of Mephisto (con Melissa Bonny)
Keyboard Solo
Forever
Encore:
One More Flag in the Ground
Liar Liar (Wasteland Monarchy) (con Melissa Bonny)
Vittorio Cafiero