Live Report: Kataklysm, Soilwork & Wilderun @ Legend Club (MI) 23.02.2023
Live Report Kataklysm, Soilwork & Wilderun @Legend Club (MI) 23.02.2023
a cura di Giulio Miglio Taminelli
Serata strana, quella al Legend.
Tre gruppi profondamente diversi l’uno dall’altro ma uniti da radici comuni identificabili stranamente sotto il grande – a volte troppo grande – ombrello delle derivazioni del death metal.
Incuriosito dal chiacchierare di alcuni presenti proprio riguardo le influenze thrash e melodiche sulle correnti nate dal death metal statunitense, mi posiziono in fondo alla sala, leggermente defilato sulla sinistra… insomma, al bancone del bar.
Birra d’ordinanza, un saluto ai vari amici presenti, due occhiate agli appunti e sono pronto a seguire l’evento.
Nota: I primi ad aprire le “danze” sono stati i nostrani Disciplina, band italiana nata nel 2016 e in piena fase di sviluppo creativo. Purtroppo non sono riuscito a vederli dal vivo per una giusta dose di sfortuna e traffico ma, avendoli avuti come colonna sonora in auto nella mia disavventura in tangenziale, non posso che consigliarne l’ascolto e sperare di riuscire a “beccarli” in una nuova data.
Wilderun
La formazione americana è la prima a salire sul palco. La sala non è particolarmente piena e il pubblico sembra abbastanza impaurito dal gigantesco chitarrista Wayne Ingram.
Si spengono le luci e parte l’intro di The Tyranny of Imagination, pezzo dell’album Veil of Imagination che, pur pagando il suo tributo agli Opeth, colpisce nel segno e modifica totalmente l’atmosfera in sala.
Le teste si muovono a tempo lentamente e la sensazione è quella di essere immersi nella musica.
Ok, è decisamente prog metal.
Identifier e Passenger, entrambe tracce dell’ultimo album Epigone, ci danno un assaggio di quelle che sono le potenzialità vocali di Evan Berry.
Passaggi continui da vocalizzi pulitissimi a growl in stile “scarico del lavandino otturato” ben ideati che si accostano ad una batteria in continuo mutamento, con sincopi quasi accennati che si intervallano a blast beat e a “giri” decisamente più affini al metal.
Far From Where Dreams Unfurl ci riporta a Veil of Imagination, chiudendo la serata con quella che penso sia una delle canzoni prog più belle (perché è oggettivamente bellissima) che io abbia ascoltato negli ultimi mesi.
Le luci si riaccendono e, a giudicare dalle espressioni dei presenti, lo spettacolo è stato decisamente di gradimento. A voler cercare una pecca in questa band devo dire che la poca presenza scenica ha rischiato alle volte di appesantire la fruizione dell’esibizione, già di per sé non semplicissima per via del genere particolarmente complesso e la durata generale delle singole tracce che sfiorava la decina di minuti.
In ogni caso, ne consiglio vivamente l’ascolto almeno in cuffia, anche solo per rendersi conto di come l’intelligenza musicale di questi ragazzi sia arrivata a comporre, con sole quattro tracce tratte dagli ultimi due album, una scaletta adatta all’evento e contemporaneamente rappresentativa delle sonorità dell’intera discografia.
Setlist:
- The Tyranny of Imagination
Identifier
Passenger
Far From Where Dreams Unfurl
Soilwork
La band svedese si presenta sul palco del Legend nel pieno della promozione di Övergivenheten, ultimo album studio ed ennesima riprova di come Björn Strid, leader e voce dei Soilwork, non sappia stare senza far nulla per più di un annetto.
È proprio Strid a fomentare la folla sull’attacco di Övergivenheten, title track dell’album sopracitato e primo segnale inequivocabile di come questa esibizione sarà incentrata principalmente sui lavori dell’ultimo decennio, andando quindi ad escludere la quasi totalità delle opere antecedenti il 2013.
Anche se Stabbing the Drama, Nerve e, soprattutto, Bastard Chain in prossimità del finale proveranno a lenire un po’ la mancanza di classici, credo che la scelta di optare per una selezione più recente sia frutto della necessità di non “cozzare” con le sonorità dell’ultimo album, sia per evoluzione musicale, sia per i numerosi cambi di formazione (voluti o frutto di fatalità) degli ultimi anni.
Ad ogni modo, il pubblico è sembrato sempre soddisfatto, andando a riempire quasi totalmente la sala e partecipando in tutte le -moltissime- occasioni in cui dal palco veniva chiesto supporto o veniva chiamato il pogo. Personalmente ho trovato un po’ sottotono le tastiere in alcune occasioni, ma nulla di particolarmente problematico.
Björn Strid alla voce è semplicemente uno spettacolo. Durante Electric Again, anch’essa appartenente all’ultimo album, ammetto di essere rimasto davvero colpito dalla sua capacità polmonare sul canto pulito. Oltretutto, mi ha stupito come un cantante di un genere così duro abbia l’accortezza di togliere il microfono da davanti alla bocca ad ogni respiro, in modo da “pulire” l’esibizione di tutti quei piccoli suoni che normalmente produce la bocca in fase di respirazione. Vero che in simili situazioni cose del genere quasi non si notano ad orecchio, ma solo il fatto di vedere una persona esibirsi ponendo la giusta attenzione anche a questi dettagli accentua la sensazione di trovarsi di fronte ad un vero professionista.
Nonostante la voglia di picchiare duro, ho apprezzato comunque la volontà da parte della band di voler costruire una scaletta che seguisse un senso logico, con una partenza molto spinta intervallata da momenti di dialogo con il pubblico in modo da non sovraffaticare musicisti e fan, seguita da un momento decisamente più calmo composto da Valleys of Gloam e The Nurturing Glance in modo da dare spazio all’animo melodico delle chitarre e arrivando infine alla grandiosa (non per gusto musicale personale ma per costruzione stessa della canzone) Stålfågel che funge da finale perfetto per un’esibizione più che ottima.
Setlist:
- Övergivenheten
- This Momentary Bliss
- Stabbing the Drama
- The Living Infinite I
- Is It in Your Darkness
- Electric Again
- The Living Infinite II
- Bastard Chain
- Valleys of Gloam
- The Nurturing Glance
- Harvest Spine
- Death Diviner
- The Ride Majestic
- Arrival
- Nerve
- Stålfågel
Kataklysm
Giusto il tempo di idratarmi con una più che meritata birretta e di farmi un giro a bordo palco per assistere al cambio gruppo, operazione che mi ha sempre affascinato e che, in questo caso specifico, mi ha permesso di notare un vibratore a forma di torre Eiffel appoggiato su uno degli amplificatori (ci torneremo) che i Kataklysm fanno il loro ingresso dirompente sul palco con Push the Venom, traccia del 2010 tratta dall’album Heaven’s Venom.
James Payne alla batteria è un tritacarne, a mio parere il miglior batterista che la formazione abbia avuto sino ad ora ed unico in grado di rimpiazzare Max Duhamel. Veloce, preciso, pulito e martellante. Praticamente un mitragliatore.
Date le origini milanesi, mi aspettavo qualche parola da parte sua “in lingua” ma, con mia estrema soddisfazione, per tutto il concerto sarà Maurizio Iacono a presentare in Italiano (ovviamente con qualche piccolo errore, dato che l’italiano è la lingua dei suoi genitori).
Proprio Iacono sarà il grande intrattenitore della serata, in grado di passare molto tempo a chiacchierare con il pubblico sino a coinvolgere gli stessi membri della band.
Ancora non capisco il perché ogni tanto girasse un vibratore a forma di torre Eiffel in mano (ve l’ho detto che ci saremmo tornati), ma credo che certe domande non avranno mai una risposta.
Data l’assenza di un album da pubblicizzare, dato che Unconquered risale ormai a quasi tre anni fa, la scaletta dell’esibizione sarà un compendio di classici provenienti da nove dei quattordici album studio pubblicati.
A voler proprio esser puntigliosi, buona parte delle tracce sarà presa da album provenienti dal primo decennio dei 2000, ovvero il periodo di maggior successo della band.
Ad ogni modo, a distanza di anni rimango sempre colpito da quanto sia graffiante il Growl di Iacono, profondamente diverso da quanto si sente in cuffia normalmente.
Tornano al concerto, non ci saranno mai cali di ritmo durante tutta l’esibizione, con buona parte della sala del Legend occupata da un pogo piuttosto animato, soprattutto durante Where the Enemy Sleeps e To Reign Again.
Durante il corso del concerto la sala, purtroppo, si svuoterà di circa un quarto dei presenti, ma credo che la cosa sia dovuta più all’ora tarda che a problematiche musicali.
Anzi, proprio riguardo all’audio in sala c’è davvero da complimentarsi con i fonici. Date le ridotte dimensioni del Legend mi aspettavo un audio decisamente più confuso ed invece tutte e tre le esibizioni a cui ho assistito sono state ineccepibili (credo abbia gracchiato per un attimo una cassa durante i Soilwork, ma la cosa è stata prontamente risolta… o forse me la sono solo immaginata).
The Black Sheep e Blood in Heaven faranno da chiusura ad un ottimo concerto che, senza troppi fronzoli, riesce a fare egregiamente il proprio mestiere regalando anche emozioni ai fan.
Uscendo dal locale e tirando le somme di ciò che ho visto, devo dire che i Soilwork sono stati i veri Headliner della serata. Escludendo i miei gusti personali, gli svedesi sono quelli che hanno saputo lavorare meglio sull’esibizione e sulla scelta delle canzoni, oltre ad avere un’organizzazione migliore sul palco.
Ottimi comunque anche Wilderun, sorpresa della serata per quanto mi riguarda, e Kataklysm, ovvero una band che nonostante non sia più sulla cresta dell’onda come un tempo sa “portarsi a casa la pagnotta” riuscendo a divertirsi e a divertire.
Setlist:
- Push the Venom
- Narcissist
- Underneath the Scars
- Where the Enemy Sleeps…
- Manipulator of Souls
- To Reign Again
- The Killshot
- Outsider
- Crippled & Broken
- At the Edge of the World
- As I Slither
- In Shadows & Dust
- The Black Sheep
- Blood in Heaven